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Memorie di famiglia, storie di vita di una comunità

41ylfom6hkl-_sx325_bo1204203200_di Annamaria Clemente

«Intanto, mentre ero a Ischia, avevo appreso che durante uno dei tanti viaggi fatti da mio fratello con la carovana per trasportare con i carretti una vagonata di fave da spedire a mezzo vagone ferroviario dalla stazione di Gela nel continente, la mula col carro che conduceva mio fratello, nel passaggio a livello custodito a due metri dalla stazione nel passare i binari non volle andare né avanti né indietro impaurita dal sordo rumore dei binari; appena la locomotiva era a pochi metri dal carro mio fratello saltò giù dal carretto e rimase illeso accanto ai binari; la mula, invece con le aste fu macinata a pezzi mentre il carro senza aste rimasse accanto a mio fratello. Nel paese i primi arrivati degli altri sparsero la notizia; mio padre partì subito con un carrozzino e lo incontrò strada facendo nella strada San Cono-Gela. Da quel giorno mio fratello rimase scioccato e non volle più continuare quella specie di lavoro. Così fallito il suo lavoro per la spedizione di cereali per Malta e per il continente è fallito altresì il mio affare della fabbrica di sapone».

Indugio sulla pagina, sembra una storia letta altrove: forse non fave ma lupini, non un carretto ma una barca, la Provvidenza, che di provvido porta solo il nome, un naufragio approdato in sangue sparso, la perdita di un carico e con esso la speranza del riscatto. Episodio di verghiana memoria ma che con il Ciclo dei vinti ha ben poco a cui spartire, è Salvatore Palidda a riportarlo nel suo libro San Cono. Migrazioni ed emancipazione (Meltemi, Milano, 2020).  Un piccolo libro ma dall’ampio respiro che tenta di ricostruire la storia culturale e sociale di un paesino dell’entroterra siciliano, San Cono, attraverso non solo una ricostruzione prettamente storica, oggettiva, fatta di dati, di numeri, analisi e documenti ma anche la narrazione di una storia più intima, soggettiva, tessuta di ricordi rubati al tempo, di affettuose memorie familiari.

Salvatore Palidda apre infatti ai lettori le porte dei propri archivi, quelli familiari, offre pagine dei diari della madre gelosamente conservati forse in qualche baule insieme alle foto in cui è ritratta con le amate scolare, pagine scritte «a mano, con bellissima calligrafia su fogli grandi, A4, che stracciava da un libro contabile» a cui il padre affidava i ricordi di migrante e di uomo ligio, più che al dovere del partito imperante, ad una propria filosofia morale. Nel dialogo ininterrotto tra macrostoria e microstoria, tra voci di soggettività diverse ma accomunate dal medesimo sostrato storico, il tema ricorrente è quello della migrazione.

mobilita-umane-1184Come da sottotitolo al volume, leit-motiv che percorre e attraversa le pagine è infatti la migrazione, fenomeno declinato nei suoi vari aspetti, un tema tanto fondamentale da essere assunto a momento eziologico della comunità sanconese, fondativa della stessa identità, caratteristica precipua del gruppo umano ivi descritto. Una materia sovrabbondante, quella migratoria, che tracima dalla stessa narrazione e struttura gli studi del sociologo così come la vita dell’uomo Palidda.

Basterà soffermarsi a leggere alcune tra le prefazioni scritte nei suoi libri per rendersi conto di quanto il fenomeno migratorio sia non solo oggetto privilegiato di ricerca ma genesi stessa alla radice della sua attività di studioso, esperienza iniziatica alla sua formazione intellettuale. In Mobilità umane. Introduzione alla sociologia delle migrazioni così racconta: 

«Ho cominciato a svolgere ricerche sulle migrazioni di cittadini italiani e di altre nazionalità agli inizi degli anni Ottanta, in Francia, ma il mio coinvolgimento nel fenomeno migratorio risale a molto tempo prima. Sin dall’infanzia, infatti, ho avuto a che fare con storie di migrazioni, sia perché buona parte degli adulti del mio paese d’origine incantava i ragazzini con i racconti delle proprie esperienze migratorie nelle Americhe sia perché mio padre (classe 1896) aveva vissuto per circa quindici anni tra New York e Chicago, era cittadino americano e ricordava spesso, più nel bene che nel male, questo suo passato, insieme alla tragedia della prima guerra mondiale» (Palidda 2008: VII). 

Ricordi e racconti migranti, come quello narrato nell’incipit, dalla capacità performante, che plasmano e orientano sguardi, scelte di vita, visioni del mondo: egli stesso percorrerà la strada del migrante seppur con altri movimenti, altre traiettorie e altri esiti. 

«L’importanza di tali esperienze di vita è stata e resta rilevante nell’orientamento della mia interpretazione e della mia analisi delle migrazioni e dei fenomeni politici in generale. Anzi, tale patrimonio, quando valutato con la consapevolezza che raccomanda Weber, mi ha aiutato a guardare in modo disincantato e critico al populismo, e a riconoscere più distintamente gli aspetti che spiegano alcuni comportamenti dei migranti e degli autoctoni membri della società locali di partenza e di arrivo» (ivi: VIII). 

Non solo Weber, forte della lezione imparata dal sociologo algerino Albdelmalek Sayad, incontrato durante i suoi studi in Francia, considera la migrazione come fatto sociale totale, quindi oggetto che non esaurisce il proprio carico concettuale nell’analisi momentanea del fenomeno ma che estende la propria portata ad un sistema più ampio, in un afflato che avvolge l’intero vissuto del migrante e ne vaglia ogni prospettiva possibile, ogni dinamica sociale: 

«La migrazione è un fatto sociale totale. Nel tentativo di sviluppare questa concezione del fenomeno, proposta da Sayad, mi rifaccio all’importanza delle mobilità umane nell’intera storia dell’umanità, ai molteplici aspetti del confronto fra i migranti e l’organizzazione politica della società di partenza e di arrivo e, soprattutto, a quella caratteristica cruciale, e spesso inconsapevole, degli esseri umani che è la libertà di movimento e l’aspirazione all’emancipazione […]. Ogni elemento, ogni aspetto, ogni sfera e ogni rappresentazione dell’assetto economico, sociale, politico, culturale e religioso è coinvolto in questa esperienza umana. Ecco perché le migrazioni acquistano una straordinaria “funzione specchio”, rivelando le caratteristiche della società di origine e di quelle di arrivo, della loro organizzazione politica e delle loro relazioni» (ivi: 2). 

I processi migratori divengono, nella vita e nell’analisi di Palidda, luoghi intellegibili delle più profonde contraddizioni della comunità di partenza, ne mettono a nudo l’organizzazione interna, le disfunzioni del sistema politico, la precarietà dell’assetto economico e gettano una luce sulle relazioni con le società di approdo. Ed è proprio a partire dall’analisi della migrazione che l’intera storia del paesino natìo si spiega e si dispiega: San Cono si presenta come luogo di immigrazione e di emigrazione, il sociologo racconta di come sin dalla costituzione in Comune, durante tutto il Settecento, il paese venga popolato attraverso quella forma di insediamento incentivato dai potenti:

«Per popolare e far coltivare terre incolte e isolate – scrive Palidda – al fine di aumentare la produzione di cereali e per sfruttare l’aumento di popolazione dell’isola, il regno incitò alcuni feudatari a creare questi insediamenti facendo appello a gente che per diversi motivi scappava da dove abitava alla ricerca di costruirsi un futuro migliore».

Che la spinta primaria all’emigrazione sia sempre da individuare nel tentativo di sopravvivere, di scampare a condizioni di vita asfittiche è motivo consustanziale al movimento e, nel caso dei Sanconesi, tale spinta propulsiva «[…] è un elemento che merita di essere tenuto in considerazione rispetto a una delle caratteristiche antropologico-politiche dei Sanconesi: la forte e perpetua volontà/motivazione all’emancipazione». Un attributo che manifesta la sua tempra, per esempio, nella grande capacità imprenditoriale dei Sanconesi attraverso la coltivazione di quel simbolo esclusivo della Sicilia che è il fico d’india, una produzione, quella sanconese, che domina il mercato nazionale tanto da esserne  leader indiscussa. La potenza di tale impulso così come la storia del paese e l’analisi del tessuto sociale non passano tanto per mezzo della precisa ricognizione storica, dell’attenta indagine sociologica o dallo scrupoloso vaglio dei dati, quanto dalla lettura delle pagine del racconto autobiografico di Maria Grande e di Cono Palidda unitamente alle storie di vita di compaesani illustri inserite nella seconda parte del libro.

9788863155419_0_536_0_75Pagine che se da una parte si configurano come racconto di vita familiare, storia privata, unica nel suo dispiegarsi, dall’altro si pongono come scorci inusuali ed inediti da dove poter osservare la storia nazionale, disvelandosi epifanicamente in tali scritture biografiche aspetti e scorci della vita quotidiana degli uomini che a fatica l’osservatore, guardando dall’esterno, potrebbe scorgere o percepire. Che le storie di vita siano osservatori speciali lo ha ampiamente e pioneristicamente dimostrato Pietro Clemente quando scrive: «[…] le storie di vita ci fanno assistere allo spettacolo meraviglioso (che mai potrebbe essere “osservato” dall’esterno da un antropologo), di una cultura vista dall’interno di una vita, e di una vita vista dall’interno di una cultura» (Clemente 2013: 155-156). Rappresentazioni emiche in dialogo con la storia del tempo, con gli usi, le abitudini, i gesti, le tradizioni e i modelli mentali e comportamentali: 

«“il passato” diventa “imprevedibile” quando ci appare attraversato da queste storie, la storia stessa si riapre e si ribella ad essere mero paradigma temporale da manuale di scuola media: in essa erano possibili tante cose che non immaginiamo. Fuori da una serie di idee deterministiche sulla storia e sulla società, e ascoltando la voce della gente comune, i diari, gli epistolari, le autobiografie riaprono la conoscenza allo stupore della diversità» (Clemente 2013: 161). 
San Cono

San Cono

Dentro la storia dei personaggi che si raccontano è possibile leggere la storia di San Cono, ma  diviene possibile anche leggere, come nel gioco delle scatole cinesi, la grande storia della Sicilia rurale, una storia esemplare che nel suo dipanarsi racconta dell’impervia trasformazione della struttura feudale siciliana, della destrutturazione del secolare sistema latifondista, di quelle mancate riforme agrarie tanto necessarie quanto agognate, di promesse disattese da un governo sempre troppo lontano o colluso con poteri locali occulti, dei movimenti di lotta contadine con le loro occupazioni dei terreni, le rivolte, le proteste, il coraggioso attivismo sindacale e le generose lotte di partito. È la storia siciliana che si dispiega tra le pagine, le vicende di una comunità rurale asservita dalla miseria, dall’arretratezza, dalla violenza, condannata e rassegnata all’emigrazione. E la voce che narra è proprio quella di una famiglia coinvolta nelle grandi trasformazioni sociali del paese ma anche dell’Italia. 

Attraverso gli scritti di Maria Grande apprendiamo delle condizioni di profonda arretratezza del paese, dell’analfabetismo dilagante, della mancanza di impianti d’acquedotto, dell’assenza di reti fognarie, della luce elettrica, delle scarsissime condizioni igienico-sanitarie e con esse dell’alto tasso di mortalità: «non case ma tuguri, non strade ma sentieri petrosi, pieni in ogni angolo d’immondezzai con milioni di mosche: uno strazio veramente!». Cresciuta in un ambiente dalle «velleità aristocratiche» giunge a San Cono, «[…] paesello [...] dimenticato da Dio e dagli uomini», dopo aver vinto un concorso, qui a contatto con una realtà totalmente aliena rispetto al suo mondo assume il compito di «“missionaria” dedita alla educazione non solo dei bambini, ma anche dei genitori, una sorta di opera di “civilizzazione”», una maestrina dalla penna rossa, dedita all’ammaestramento morale e civile di quelli che dovranno essere gli italiani, impegnata nell’applicare una pedagogia che forgi una piena coscienza civile attraverso l’alfabetizzazione.

Il dovere, quello della maestra Grande, che non è dettato dalle politiche e dalle correnti di pensiero dell’Italia e degli italiani da fare, non vuoto stereotipo deamicisiano, ma missione, vocazione, che si pone come particolare sensibilità nell’annettere tali effetti alle condizioni storiche e a nefaste scelte politiche. «Contrariamente a quanto si possa pensare, non si tratta affatto di un punto di vista genericamente religioso o tanto meno influenzato dal discorso del ministero fascista della pubblica istruzione. Appare invece un orientamento che oltre ad essere profondamente umano è anche sociale, attento ai nessi con la dimensione delle condizioni economiche e persino esplicitamente politico (nella eccezione del bene comune della polis)». 

San Cono, chiesa

San Cono, chiesa dello Spirito Santo

Attiva nel sociale, identifichiamo nelle sue esperienze un femminismo ante-litteram, che si scontra con una certa mentalità patriarcale e maschilista, come in occasione del sequestro da parte del prete delle figlie della levatrice del paese, donna sola e indigente, e la maestra perora con una sapiente e persuasiva argomentazione cattolica la sua causa presso il vescovo di Caltagirone, o ancora il suo pellegrinare di casa in casa per convincere i padri della necessaria istruzione delle figlie femmine: «“vedi siamo 4 generazioni e siamo state tutte alunne di tua mamma che per noi fu non solo la bravissima maestra di scuola ma anche la maestra di vita”. Come ricorda la mamma di Enzo Ingala, fu mia madre ad andare a parlare direttamente con il padre che non voleva mandarla alle scuole superiori: infine lo convinse e la mamma di Enzo non l’ha dimenticato». Un ricordo personale della madre rievocato da una studentessa che se commuove certamente Salvatore Palidda durante il funerale materno coinvolge emotivamente anche il lettore, mentre muove e sollecita corde più profonde, approcci più pensosi: sono quelli dello studioso che osserva aprirsi uno squarcio nello spazio-tempo della Storia attraverso quelle narrazioni di cui parla Clemente, quelle microstorie che permettono di ripensare i contesti, di rinegoziare le idee, di ripensare in ultima istanza la stessa Storia.

festa_di_san_conoCoinvolge il modo con cui la maestra Grande attraverso la sua storia di vita, l’impegno che mette nelle relazioni e nelle dinamiche sociali, getti le basi per un grande cambiamento del tessuto connettivo di San Cono. Al suo fianco Cono Palidda nella vita e nella memoria. «Il suo racconto è straordinariamente franco, con aspetti antropologici molto significativi per capire il “mondo” in cui ha vissuto, il carattere e la sua forza di volontà e disponibilità a sacrifici per obiettivi etici e morali che aveva interiorizzato». Un mondo marcato dai ritmi dei grandi eventi del Novecento: un’infanzia da bracciante, la Prima Guerra mondiale, l’orrore di Caporetto dove è carne da macello, la prigionìa in Austria, la fatica di un ritorno ad una normalità impossibile che mette in risalto quella piccola furbizia meridionale fatta di espedienti improbabili e coraggiosi e la scelta necessaria quanto inappellabile di emigrare, la parentesi densa dell’emigrazione che forgerà la sua identità di citizien americano e lo accompagnerà per tutta la vita impedendogli di vestire altri abiti che non siano quelli di uomo onesto.

Attraverso le memorie del padre ripercorriamo il nudo meccanismo di adozione degli atteggiamenti, dei valori e dei modelli del comportamento del migrante, così come leggiamo dell’interiorizzazione dei luoghi comuni, dell’acquisizione delle retoriche sulla guerra, sulla società del tempo e al contempo osserviamo quella caratteristica antropologica, di cui scrive l’autore, quell’individualismo coriaceo e terreo che spinge a migliorare tra mille rinunce e sacrifici la propria condizione. Ma è soprattutto dalla sua memoria di personaggio pubblico di San Cono che guadagniamo una visuale migliore, osservandolo nel suo ruolo di esattore tesoriere del comune, di agente del Consorzio agrario di San Cono e gestore della Cooperativa Scudo Crociato. In queste pagine possiamo seguire le dinamiche interne ai rapporti di potere tra i vari gruppi sociali, apprendiamo non solo le notizie storiche ma abbiamo altresì la possibilità di vedere in scena gli attori protagonisti e il modo in cui si rapportano agli eventi.

San Cono, Processione del Santo patrono (ph. Vincenzo Zappalà)

San Cono, Processione del Santo patrono (ph. Vincenzo Zappalà)

Per esempio con le sue parole assistiamo alla festa patronale del santo, che già ad un primo livello è utile a documentare il secolare sincretismo tra profano e sacro così tipico dei culti patronali e della religiosità dell’area mediterranea, un rituale codificato fatto di corse con la vara in spalla, di offerte di elementi vegetali, di tensioni tra il modo popolare di vivere il culto e il clero. Sperimentiamo, da fonte di prima mano, i modi in cui la festa si fa collante della comunità e soprattutto notiamo come, a fronte del divieto fascista di portare in processione il Santo, Cono Palidda riesca a fermare, nonostante il momento di forte identificazione sociale, la rivolta contro i carabinieri grazie al solo potere di uomo retto che la comunità gli accredita e riconosce.

Assai significativo è poi l’episodio dell’ammasso del grano: nel momento di grande tensione sociale, conseguenza di infelici scelte politiche da parte del nuovo Governo che mirava alla liberazione dell’intera Italia dall’occupazione nazifascista, vediamo nascere in Sicilia, tra il ‛44 e il ‛45, un movimento di protesta antimilitarista che al grido di Nun si parti ma darreri nun si turna adunava gruppi di giovani contadini, di studenti universitari e operai che si ribellavano non solo alla nuova chiamata alle armi ma anche all’obbligo di consegnare il frumento ai consorzi agrari per aumentare la produzione di derrate alimentari utili al sostentamento della lotta di liberazione al Nord. Tutta la Sicilia veniva coinvolta nel movimento di ribellione contro queste disposizioni intese come ennesimo sopruso che si andava a sommare alle antiche esasperazioni inflitte al popolo del sud. Una repressione dura fu la risposta del Governo tanto che la Sicilia si tinse di rosso, di sangue, dopo la strage per il pane di Via Maqueda del 19 ottobre del 1944, o quella di Ragusa del 4 gennaio 1945 o ancora l’eccidio di Randazzo del 17 giugno del 1945, quando le vite di centinaia di uomini, donne e bambini, furono annodate in un «rosario di sangue» che reclama ancora giustizia.

randazzoÈ in tale contesto che si situa il racconto di Cono, allora agente del Consorzio agrario. A fermare la mano dei rivoltosi, che quel primo pomeriggio del 29 dicembre 1944 avevano lanciato bombe a mano e spari di fucile agli autisti degli automezzi arrivati per caricare il grano fu un personaggio del paese, tale Pasquale Randazzo, che ricordando ai compaesani ribelli il bene ricevuto da Palidda (in qualità di esattore riservava trattamenti di favore ai poveri contadini esasperati dalle tasse) comandò loro di non toccare le riserve private dell’uomo conservate nel magazzino attiguo. Una figura quella di Cono Palidda che da leader popolare per tutta la vita si adopera per apportare benessere alla comunità sanconese, così come nella vicenda della cooperativa dello Scudo Crociato: è grazie alla sua precisione di uomo rispettoso della legge e saggio interprete della giustizia che molti contadini hanno potuto ottenere un appezzamento da coltivare, contro quei cavilli burocratici che spesso inceppavano il meccanismo dell’assegnazione delle terre promesse.

Leggendo la sua storia di vita non sarebbe sbagliato pensare che Cono sia quasi il genius loci di San Cono, incarnando quello spirito all’emancipazione che il sociologo afferma essere intrinseco alla natura del luogo e che caratterizza gli abitanti del paese destinato a conoscere come tutta l’Italia i fenomeni dello spopolamento e dell’immigrazione straniera. Inoltre se è vero – come scrive Clemente (2013: 171) – che «le storie di vita totalizzano la storia della società, nel senso che riducendola ad una vicenda individuale la racchiudono tutta in questa, e la biografia diviene un luogo di verifica e misurazione del complicatissimo insieme di azioni, di relazioni e di pertinenza della storia», allora la vita di Cono, della sua popolazione e dei suoi personaggi, racchiude ed esemplifica la storia del Paese ma riflette anche la Storia della Sicilia, per quel gioco di incastri che avvicina individuale e collettivo, grandi storie e piccole storie. Ed è forse per questo che leggendo l’episodio della mula penso a Verga, a quello scrittore che prima di ogni altro ha saputo descrivere dal basso, e racchiudere in una storia familiare eterna ed esemplare, le miserie, le sofferenze, i patimenti della nostra sfortunata quanto ribelle Isola.   

Dialoghi Mediterranei, n. 55, maggio 2022 
Riferimenti bibliografici 
Clemente, P., Le parole degli altri. Gli antropologi e le storie della vita, Pacini Editore, Pisa, 2013
Palidda S., Mobilità umane. Introduzione alla sociologia delle migrazioni, Raffaele Cortina Editore, Milano 2008
Palidda S., San Cono. Migrazioni ed emancipazione, Meltemi, Milano, 2020 

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Annamaria Clemente, laureata in Beni Demoetnoantropologici presso l’Università degli Studi di Palermo, è interessata ai legami e alle reciproche influenze tra la disciplina antropologica e il campo letterario. Si occupa in particolare di seguire autori, tendenze e stili della letteratura delle migrazioni. Su questo tema ha scritto saggi e numerose recensioni.

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