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Dal buio di una catacomba una luce di speranza per la Sicilia

 

Galleria principale della Catacomba (Fonte Archeofficina.com)

Galleria principale della Catacomba di Villagrazia di Carini  (Fonte Archeofficina.com)

di Federico Furco

È grazie all’attività dei ragazzi della società cooperativa archeologica Archeofficina che è stato possibile, per la prima volta, aprire al pubblico la catacomba paleocristiana di Villagrazia di Carini. Sotto il coordinamento di Rosa Maria Carra Bonacasa, in collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Culturali e Ambientali di Palermo e con i permessi della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, dal mese di maggio sono i ragazzi stessi, tutti specializzati o specializzandi nei vari ambiti della archeologia, ad effettuare le visite guidate nei tratti di gallerie che al momento sono stati adibiti all’accesso al pubblico.

Il complesso catacombale paleocristiano, il più vasto della Sicilia occidentale, data la sua estensione – oltre 3500 mq – e la sua monumentalità, è testimone della grande importanza raggiunta dalla comunità cristiana nel territorio, ed è con tutta probabilità da collegare concettualmente a quella Ecclesia Carinensis menzionata per la prima volta da Papa Gregorio Magno, nelle sue epistole a cavallo tra VI e VII sec., ma attiva già almeno un paio di secoli prima. Al momento quest’ultima è un rarissimo esempio in Sicilia di Diocesi rurale, ovvero di sede vescovile non direttamente collegata ad un grande insediamento. La presenza di una diocesi rurale in questo sito può spiegarsi quindi con l’importanza economica dello stesso, posto in una zona topograficamente strategica dal punto di vista delle infrastrutture. Geopoliticamente, infatti, il luogo rivestiva un ruolo decisivo anche per i commerci e la viabilità: Hiccara corrispondeva più o meno all’odierna località di Villagrazia ed è menzionata, nell’Itinerarium Antonini, come statio della costiera Via Valeria, che da Messana (Messina) conduceva a Lilibeo (Marsala).

Pianta della catacomba

Pianta della catacomba

Il cimitero ipogeo, tagliato in due tronconi dalla costruzione di una cava in epoca moderna, era già stato intercettato nel 1899, durante la costruzione di un acquedotto. Il Salinas ne aveva esplorato la parte più a Nord, al momento non aperta al pubblico, ma le vere e proprie campagne di scavo sistematico sono state effettuate solo dal 2000 in poi, sotto la direzione dell’Università di Palermo. Dagli studi sin qui effettuati, sembra che il complesso sia stato frequentato, per la sua funzione originaria, orientativamente dal IV al VII secolo e poi più volte riutilizzato: dal XIV al XVII sec. come opificio per la produzione di zucchero, (come dimostrano i rinvenimenti di macine e di vasi per la lavorazione della melassa come forme e cantarelli), e nell’ultimo secolo come fungaia, rifugio antiaereo e addirittura come discarica.

La parte meridionale del complesso è quella che ha mantenuto pressoché inalterati i caratteri originari ed è quella che è stata interessata dagli scavi dell’Università, non senza difficoltà iniziali. Al momento dello scavo le gallerie erano infatti ricolme di fango per buona parte della loro altezza a causa delle continue alluvioni che hanno vessato il territorio nel corso dei secoli, ed è questo il motivo che ha permesso ad alcune sepolture (poche, a dire il vero, soprattutto nella parte più prossima al piano di calpestio originario) di non essere violate. Tutte le sepolture sono state riutilizzate nel tempo, così che non si ha la presenza di nessuna sepoltura singola; i tipi che si riscontrano sono essenzialmente gli stessi dei complessi catacombali di Roma e del Lazio e comprendono le formae (sepolture a terra), i loculi (sepolture addossate ordinatamente alle pareti e chiuse verticalmente), gli arcosoli o tombe a mensa (tombe che presentano una chiusura orizzontale e che sono sormontate da una lunetta decorata) e i cubicoli (sorta di ambienti sepolcrali riservati ai membri di una stessa famiglia o corporazione e che si differenziano dal resto del complesso per la loro monumentalità e per il fatto che possono contenere tutte le precedenti tipologie di sepoltura). In particolare è stato notato che molti dei cubicoli qui presenti, dotati di lucernari propri, sono stati ricavati dallo sfondamento della parete di fondo di alcuni arcosoli, a dimostrazione dell’intensa attività di frequentazione alla quale è stata sottoposta la catacomba soprattutto nel V secolo e che ne ha richiesto l’ampliamento in vari periodi.

La visita guidata, limitata agli ambienti finora messi in sicurezza e musealizzati, inizia dall’entrata ricavata in corrispondenza della cava per l’estrazione della pietra e si sviluppa attraverso un tragitto obbligatorio. Ai lati dell’asse principale, che si estende in senso Nord/Sud, si aprono varie gallerie; nella parte più settentrionale di quest’ultimo è presente la prima testimonianza pittorica della visita, che si riferisce alla decorazione di un arcosolio col tema del sacrificio di Isacco. Proseguendo ci si imbatte nel primo incrocio, in corrispondenza del quale vi è un’epigrafe risalente con tutta probabilità alla prima metà del VII secolo: è l’unica in lingua latina finora attestata, dal momento che tutte le altre presenti nella catacomba risultano essere in lingua greca. Seguendo la galleria che si apre ad Est, mentre si notano molto chiaramente sulla volta del cunicolo i segni lasciati dalla dolabra, l’attrezzo utilizzato dai fossores per lo scavo sottoterra, si incontra uno dei cubicoli principali, caratterizzato dalla presenza di un elemento architettonico, ovvero un capitello scolpito nella roccia.

Rappresentazione di un fossore proveniente dalle catacombe romane

Rappresentazione di un fossore proveniente dalle catacombe romane

Tornando sulla galleria principale, si può osservare un arcosolio destinato ad ospitare le spoglie di vari infanti (nove nel corso del tempo) e la cui lunetta presenta, come decorazione (fine IV sec.), la figura di un bambino che tiene per le redini un cavallo: la resa delle due figure è nettamente differente, tanto che il bambino sembra solamente abbozzato rispetto all’animale. Tutta la scena è calata in un contesto oltremondano e la volontà pare quella di voler ritrarre il defunto in comuni attività quotidiane; colpisce certo l’assenza di chiari riferimenti cristiani, ma questo non deve stupire più di tanto dal momento che non mancano esempi, in territorio romano, di interi cimiteri sotterranei (si veda la Catacomba della Via Latina altrimenti detta Ipogeo di via Dino Compagni) nei quali coesistono temi decorativi pagani e cristiani insieme.

In fondo alla galleria principale, sulla parete Est, si apre infine il cubicolo più grande dell’intera struttura, che ospita, tra gli altri, due arcosoli (IV-V secc.) decorati col medesimo tema neotestamentario: l’adorazione dei Magi. Particolarmente interessante è la decorazione dell’estradosso dell’arcosolio che presenta tre figure ignote alle quali, già in antico, sono stati obliterati i volti, forse in conseguenza di una damnatio memoriae.

Decorazione dell'arcosolio col tema del'adorazione dei Magi (Fonte Archeofficina.com)

Decorazione dell’arcosolio col tema dell’adorazione dei Magi (Fonte Archeofficina.com)

È, questo dei Magi, un tema ricalcato sul tema dei barbari che omaggiano l’imperatore, come si può ad esempio osservare ancora oggi su uno dei lati della base dell’obelisco di Teodosio innalzato sul finire del IV sec. sulla spina del circo di Costantinopoli. Qui l’imperatore riceve dei doni sia dai barbari occidentali, sia da quelli orientali e sono questi ultimi, per il loro abbigliamento (si veda il berretto frigio, che caratterizza anche i Magi dell’arcosolio), ad interessarci particolarmente.

Il motivo dei Magi che omaggiano il figlio di Dio si afferma dunque preliminarmente in ambito funerario, ma finirà poi per diventare caratteristico anche della decorazione degli edifici di culto, come nella basilica di S. Apollinare Nuovo a Ravenna (V sec.).

 Decorazione musiva parietale della Basilica di Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna

Decorazione musiva parietale della Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna

La visita, come già detto, al momento è limitata agli ambienti che sono stati messi in sicurezza e musealizzati dai soci della cooperativa, che si sono occupati anche della pannellistica presente lungo tutto il percorso. Le campagne di scavo future, sempre sotto la direzione della cattedra di Archeologia Cristiana, serviranno a conoscere gli ambienti al momento inaccessibili e a renderli poi fruibili al pubblico. L’iniziativa di Archeofficina, all’interno della quale – è importante sottolinearlo – operano professionalità piuttosto giovani, ha avuto un buon riscontro da parte del pubblico, se è vero che in tre mesi di attività, e con aperture non giornaliere, si è raggiunta la quota di cinquecento visitatori circa.

Il settore dei beni culturali al momento non vive sicuramente un periodo felice, ma operazioni come questa dimostrano che con professionalità e dedizione è ancora possibile investire in un campo che per le istituzioni, in fin dei conti, sembrerebbe non avere alcun futuro.

Dialoghi Mediterranei, n.15, settembre 2015

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Federico Furco, laureato all’Università di Palermo in Beni Demoetnoantropologici con una tesi in Cultura Greca, frequenta presso l’Università di Bologna il corso di Laurea Magistrale in Ricerca, Tutela e Documentazione del Patrimonio Archeologico. Si occupa di archeologia e cultura del periodo greco-romano, di teatro e drammaturgia dell’antichità nonché di studi sulla gestione dei parchi archeologici.

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