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di Ambra Zambernardi
È la mia settima stagione in tonnara. In un sabato di metà giugno, come ogni anno in questo periodo, tonni e tonnarotti hanno un appuntamento in località La Punta, nel Nord-Est dell’isola di San Pietro, di fronte alle Tacche Bianche della scogliera tra Cala Lunga e Punta delle Oche. Qui viene calata la tonnara di Carloforte, in questi giorni in piena attività di pesca.
Oggi infatti è prevista la seconda mattanza della stagione, poiché già da alcuni giorni è stata sigillata la porta che dal tunnel conduce alla gabbia di stabulazione: la quota non è ancora raggiunta, ma l’accordo con gli acquirenti della “Ricardo Fuentes & Hijos” ha stabilito e conseguito le tonnellate di pescato venduto vivo che verrà rimorchiato a breve nelle acque di Malta.
Qui verrà trasferito nella tuna farm in cui, debitamente sovranutrito e ingrassato, verrà ucciso tra alcuni mesi da sub specializzati con lupare di mare. Rimangono dunque circa 14 tonnellate di pescato, che può essere mattanzato e lavorato in loco, presso lo stabilimento delle Tonnare PIAM S.p.a.
La tonnara di Carloforte (con la consociata tonnara di Portoscuso, calata di fronte a Capo Altano sulla costa sulcitana, una manciata di miglia a Nord-Est) è l’ultimo posto del Mediterraneo in cui ancora si mattanzano i tonni rossi. La giornata promette bene e il rais, con cui faccio colazione prima di recarci in tonnara, sembra più rilassato di altre occasioni, in cui passaggi e mattanze apparivano complicati fin dall’alba. È una mattina calda e serena, anche se non completamente limpida, e il mare è calmo.
Giunti in stabilimento, attendiamo l’arrivo dei sommozzatori. Il barcareccio è già pronto, tra l’ormeggio e la banchina; il capo-rais (il vascello su cui prenderanno posto i tonni mattanzati, la cui funzione è qui assolta da un pascarmotto a doppio paranco) è già stato riempito con le vasche di ghiaccio che accoglieranno i loro corpi.
Il morale della ciurma è alto e ciascun tonnarotto prende posto sull’imbarcazione assegnata. Io, come al solito, mi siedo a poppa alla sinistra del rais, sulla musciara oggi particolarmente affollata: oscilliamo a seconda del momento tra le dieci e le ventidue unità, tra musciari e ospiti occasionali.
Nonostante le due ore di sonno in corpo, sono presa dall’emozione di ogni mattanza e mi godo in silenzio la navigazione a rimorchio che ci porta in alto.
Una volta giunti sull’isola ci stacchiamo dal rimorchiatore Osanna e i prodieri ci conducono a remi fino ad ormeggiarci sulla porta Leva: il branco è già nella Camera e stamattina va condotto in Leva per essere mattanzato. I sommozzatori si immergono per controllare che tutto sia a posto.
C’è una forte corrente da Ponente, che causa il sollevamento del Corpo: anziché poggiare sul fondale, la parete di fondo della camera della morte rimane sollevata e, nonostante la porta Leva sia aperta, i tonni non montano perché la percepiscono come un muro. Inoltre la corrente da Ponente è esattamente contraria alla direzione che i tonni dovrebbero prendere, spostandosi dalla Camera (a Levante) verso la Leva (a Ponente). Rimangono così a girare placidamente in tondo, presi dal vortice della riproduzione e dalla tranquillità apparente della Camera che li ospita. Sono cinque i sommozzatori che tentano invano di rompere il ballo, la formazione a carosello, funzionale alla deposizione dei gameti nella colonna d’acqua, sia con i loro corpi, sia con le bolle d’aria liberate dall’erogatore.
Si fanno le 14 in attesa che i tonni montino e il rais in immersione è già alla quinta bombola: in musciara e in pascarmotto si fuma, si beve Ichnusa, si improvvisa una pesca all’amo delle occhiate sotto lo scafo, si fanno circolare forme di pecorino e fugassa.
Quando inizia a serpeggiare un po’ d’inquietudine, decido di rinfrescarmi buttandomi a mare dove, con una maschera, posso scorgere nitidamente i tonni che sotto di me girano in tondo al centro della Camera, lontano dalle pareti, enormi e bellissimi. In questa tonnara non ho mai assistito a una mattanza di pesci così grandi. Risalgo in musciara, mentre il rais decide di piombare il Corpo, giù a quaranta metri, per abbassare il sacco. Ancora niente, i tonni oggi non ne vogliono sapere di montare. Bisogna ricorrere all’ingerro, l’extrema ratio in questi casi: una rete che dalla porta Camera viene calata in verticale nella Camera dall’equipaggio della musciaretta diretto dal vice-rais, per sospingere i tonni oltre la porta Leva.
L’intera operazione non impiega meno di mezz’ora, durante la quale il capobarca a poppa della musciara attende lo strattonamento della cima da parte del sub: il segnale che gli farà urlare il fatidico “Leeevaaaaa!!!!!”, una volta che i tonni sono entrati nella camera della morte.
Improvvisamente il suo grido rimbomba nel petto di dieci, venti uomini, che ansimando devono velocemente chiudere, cioè sollevare, la porta Leva dietro i tonni montati. Ma questa volta il branco va diviso a metà, non sarebbe possibile mattanzare in una volta sola pesci così grandi: con un muro di bolle d’aria il rais suddivide il branco lasciando indietro la metà di ritorno verso la Camera.
Ora dalla musciara mi sposto sul capo-rais grazie ad un passaggio in barbàiciu, il barchino sul quale in pochissimi hanno il privilegio di salire, oltre al rais e al suo barbaricèo; mi trovo subito dopo praticamente da sola sul capo-rais a contemplare la chiusura del quadrato di mattanza dal lato di Ponente.
Sono pochi istanti quelli in cui si stagliano nitidissime sul fondo del Corpo le sagome nere dei pesci maestosi, non più tranquilli, ora inquieti in pochi centimetri d’acqua.
Gli istanti seguenti sono già un bollicame impazzito, onde e schizzi si levano alti e furibondi, mentre decine di code pinneggiano disperate in cerca di un’uscita verso il mare aperto. Mentre rimango ancora una volta paralizzata dalla scena, vengo investita da una pioggia di acqua e di sangue e mi sposto a poppa mentre rais e barbaricèo abbandonano il barchino nella tempesta.
Ora bisogna dirigere la mattanza, prima di ammuscellare e iniziare a salpare i tonni in vascello.
Comincia la thynnomachia: mentre il rais coordina le operazioni, i tonnarotti sul fondo della Leva ingaggiano un corpo a corpo coi tonni, fino ad allamarli.
Con due paranchi, cinque grossi uomini issano tonni da trecento chili, vivi e combattivi, che finiscono per agonizzare, asfissiati e dissanguati, sul ghiaccio che li accoglie.
Per la prima volta e nonostante il frastuono, in questa prossimità, sento il suono, forte e distinto, che produce il fiotto di sangue del tonno pugnalato: così dissanguato e con un occhio coperto dalla mano di un tonnarotto, morirà più velocemente.
E infine, il silenzio. Quel silenzio sul quale il capobarca in piedi sul vascello e con le braccia spalancate come il Cristo Redentore può recitare l’invocazione finale: “Sia lodato e ringraziato il Santissimo Sacramento”, prima di tuffarsi nella Leva per il bagno di sangue.
Sono ventisette oggi i tonni mattanzati, con una media di 280 kg, e riposano inermi sulle sentine del vascello, mentre il corteo di barche rientra in stabilimento. Ora i conti spettano ai marchesi, come un tempo si diceva, riferendosi ai marchesi di Villamarina, proprietari della tonnara dell’Isola Piana, oggi tonnara di Carloforte, amministrata dai loro eredi.
Dialoghi Mediterranei, n. 56, luglio 2022
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Ambra Zambernardi è antropologa e danzatrice. Dopo la laurea specialistica in Antropologia Culturale ed Etnologia, ha conseguito nel 2020 il Dottorato di ricerca in Scienze Antropologiche in co-tutela internazionale presso le Università di Torino e di Siviglia, con un progetto di ricerca etnografica sulle ultime tonnare attive in Mediterraneo. Dal 2020 è titolare di incarico per la didattica integrativa in Antropologia del Mediterraneo e dal 2021 in Antropologia del Genere e della Parentela presso l’Università di Torino. Dal 2021 è docente a contratto titolare del corso di Lineamenti di Antropologia per lo Studio delle Migrazioni presso l’Università del Piemonte Orientale. Lavora come ricercatrice per la Fondazione di Sardegna e ha svolto ricerca sul campo in Medioriente su migrazioni forzate e dislocazioni post-belliche (Giordania, Iraq, Palestina, Israele, Siria) e in Mediterraneo su sistemi e comunità di pesca (Italia, Francia, Spagna). Dal 2014 la sua ricerca scientifica e artistica ha come tema le tonnare fisse del Mediterraneo: il suo progetto Calar tonnara include una monografia foto-etnografica, una mostra fotografica, un laboratorio di danza e uno spettacolo teatrale. Ha esposto le sue fotografie in mostre personali e collettive presso musei sardi (Cittadella di Cagliari, MACC di Calasetta, MuT di Stintino, CineTeatro Cavallera di Carloforte).
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