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Africa “terra nullius”? Ucronie dal Continente

 

coverdi Elena Nicolai

Je vois un pays là où d’autres voient un continent, et dans ce pays, je suis Moi.

(Khadra Y., L’équation africaine, Pocket, Paris 2011: 135). 

Dove sta l’Africa?

C’è stato un momento in cui, dopo aver raggiunto e iniziato la conquista delle Americhe, i geografi e gli studiosi europei cominciarono a lasciare degli spazi vuoti sulle mappe. Questi vuoti dovevano essere riempiti, erano un’ammissione di ignoranza e un appunto su ciò che ancora si doveva scoprire, capire, illustrare. Conquistare. Le mappe vuote sono un bell’esempio della «mentalità moderna dell’esplora e conquista» (Harari, 2017: 356); in una di queste geografie del vuoto è caduta anche l’Africa. Kapuściński (2011:7) scrive che l’Africa: 

«[…] È un continente troppo grande per poterlo descrivere. È un vero e proprio oceano, un pianeta a parte, un cosmo eterogeneo e ricchissimo. È solo per semplificare, che lo chiamiamo Africa. In realtà, a parte la sua denominazione geografica, l’Africa non esiste». 

Possiamo provare a immaginare oltre le stereotipie, muovendoci lungo la rotta funambolica di un apparente paradosso che nega l’esistenza dell’Africa, disegnando un vuoto nella nostra mappa. E dunque, che cos’è che chiamiamo “Africa”?

La definizione stessa di “Africa” è solo parzialmente descrittiva: include una generalizzazione che però, acquisendo una fisionomia dai tratti politicamente via via più distinguibili soprattutto a partire dall’età postcoloniale, diventa un fattore importante; questa generalizzazione che crea unità agisce non solo nelle modalità di autorappresentazione e di investitura delle politiche interne degli Stati africani, ma anche dei rispettivi orientamenti economici e di politica estera nonché sulle nostre immaginazioni africane.          

Ammettiamo che l’Africa non esista se non come realtà geografica: questo paradosso, apparentemente ingrato, può esserci utile invece per restituire spessore e complessità alle diverse realtà etniche, culturali e politiche del continente. Per riempire il vuoto storico, culturale, delle mappe che abbiamo disegnato finora. Si stabilisce così, implicitamente, che il riconoscimento e la valorizzazione della pluralità debba essere alla base del discorso sull’Africa. Significa, anche, la necessità di storicizzare la nostra percezione dell’Africa e portare alla luce il sostrato ideologico insito nelle rappresentazioni del continente. Nelle nostre descrizioni e interpretazioni dell’assetto geopolitico d’Africa, un ruolo fondamentale assume il punto di vista e la cornice entro cui si inscrive l’analisi: l’Africa come unità, come insieme identitario, sta altrove, sta in un’alterità vista dall’Europa e in relazione all’Europa. Insomma, per dirla con Y. V. Mudimbe, l’Africa sarebbe un’invenzione (Mudimbe-Muzzopapa, 2017).

Africa inventata, un’Africa che non esiste: ma dove sta l’Africa? Non sta in Occidente, non sta in- Oriente: nei discorsi sull’Africa si trova in un luogo diverso, attratta dal primo o dal secondo di questi poli (più spesso dal primo) o dal suo centro, rivendicata dal suo nucleo sentito come realmente africano. I discorsi che si sono fatti sull’Africa, sugli africani, sulla presunta identità collettiva del continente, insomma la gnosi dell’Africa, hanno un impatto epistemologico sull’approccio all’insieme dei saperi autoctoni e anche, parallelamente, sulla costruzione del senso di sé dei popoli e di una nazione africani, di una comunità sovranazionale quale quella di una postulata comunità panafricana.

1Recentemente la ONG “Africa no filter” ha edito un manuale che intende proprio agire sui discorsi sull’Africa, How to Write About Africa in 8 Steps: Un manuale di narrativa etica, distinguendo tra le narrazioni che chiama “etiche” e “non etiche”; una guida per muovere oltre le stereotipie e decolonizzare le modalità di rappresentazione dell’Africa nel mondo della cooperazione internazionale[1]. Smascherare le cornici culturali di riferimento con cui si tratta d’Africa ha come effetto il riconoscimento dell’autonomia culturale e politica delle popolazioni delle nazioni africane.

Quando guardiamo l’Africa, la osserviamo e la collochiamo “rispetto all’Europa”, da un punto di osservazione eurocentrico e sottolineandone l’unitarietà anche a fronte dei numerosi Stati che ne compongono la variegata geografia politica. È stata infatti l’Europa a “continentalizzare” l’identità africana: ancor più che per altri continenti e luoghi, il modo con cui definiamo l’Africa è il prodotto delle sue interazioni con le altre culture e civiltà a partire dal nome stesso, forse di origine berbera e fenicia e quindi indigena, oppure di origine non autoctona nel lessico semitico, o nella tradizione greco-latina (in particolare, il termine latino Africa avrebbe designato specificamente l’Africa Nord-Occidentale, provincia dell’impero e con cui Roma entrò più spesso in contatto;  secondo Suida sarebbe stato il nome proprio di Cartagine, che, in lingua punica, significherebbe Afrigah “colonia”, dalla radice semitica faraqa “dividere, separare” (Mazrui 2005: 69; Treccani, voce “Africa”) [2].

Una riflessione critica sulla cultura africana coinvolge e precede quella sulla sua geografia e sul suo assetto geopolitico: l’Africa allora sarebbe un fenomeno, e l’africanità un suo accidente, neutro. Quest’Africa che non c’è, che non si sa bene dove sia, che immaginiamo e che non sappiamo come raccontare, è caduta oltre i contorni della mappa, è lontana. 

invenzioneL’Africa è lontana         

Di chi è l’Africa? Il paradosso dell’altro lontano l’ha per secoli designata come terra nullius (terra di nessuno), biffando di fatto le sue possibilità di organizzazione politica autonoma e, per la popolazione autoctona, abrogando il diritto di possedere proprietà e terre. Non solo un vuoto nella mappa ma, ancor di più, un contorno vuoto, di nessuno. La storia africana scritta dall’Occidente ha per secoli negato l’esistenza e la verosimiglianza di una risposta africana alla presenza europea sul suo territorio, saldando l’ideologia politica sua propria al discorso sull’Africa. Scrive Mudimbe: 

«Tre importanti figure, a partire dal quindicesimo secolo e sino alla fine del diciannovesimo, hanno dettato i tempi e i modi dell’assoggettamento, della colonizzazione e della trasformazione del ‘Continente Nero’: l’esploratore, il soldato e il missionario» (Mudimbe – Muzzopapa, 2017: 80). 

«Raccogliete il fardello dell’Uomo Bianco» scriveva accorato Kipling in una nota poesia del 1899; esploratore, soldato e missionario, “i portatori del fardello africano”, e queste tre figure simboliche hanno per secoli reinterpretato i luoghi, le rotte e le prospettive delle popolazioni africane, attraverso il processo di othering che, per opposizione, costruiva anche l’identità occidentale ed europea. La colonizzazione «era presentata non solo come una soluzione alternativa alla schiavitù ma piuttosto come una maniera di riparare ai mali della tratta» e, secondo l’art. 22 del patto della SDN (Società delle Nazioni), era «una missione sacra di civilizzazione» (Rist, 2021: 101, 115).

L’altro lontano, dunque, popolava le terre africane ma senza possederle, in attesa: quasi applicando il principio cuius regio, eius religio, l’Africa cambiava la sua identità geopolitica, culturale e religiosa conformandosi alla potenza che, con le sue missioni, ottenesse il controllo di una qualche sua regione. Non solo potenze coloniali e cristianesimo, ma anche Islam. Il vuoto entro i contorni del continente africano assumeva nuovi colori, forme, obiettivi esogeni.

s-l400Quando però l’alterità, l’altro, diventa il prossimo lontano, per dirla con una felice espressione di Antonio Benci (Benci, 2016), la terra d’Africa si avvicina e si concretizza: si popola d’un tratto e la triade coloniale esploratore, soldato e missionario mutano radicalmente il loro ruolo. Se il colonialismo ha assegnato alle tre figure simboliche una specifica missione politica comune e compresente agli obiettivi soggettivi, le dinamiche geopolitiche moderne abbisognano di finalità diverse. Con un chiasmo voluto, partiamo dall’ultima delle tre figure, quella del missionario, per descrivere brevemente le tre nuove missioni e i tre nuovi attori non africani sul Continente, in una terra che è “altrove”. 

Missionario

L’Africa è ancora lontana: quando vengono abbandonati gli ideali e i discorsi coloniali, entrano invece in gioco i discorsi sullo sviluppo, Terzo Mondo, la solidarietà internazionale. Si realizza così l’invenzione dello sviluppo: 

«Fino a quel momento [cioè il 1948, quando l’ONU vota le due risoluzioni 198-III e 200-III “Sullo sviluppo economico dei Paesi insufficientemente sviluppati”] le relazioni Nord/Sud erano largamente organizzate secondo l’opposizione colonizzatore/colonizzato. La nuova dicotomia “sviluppati” e “sottosviluppati” propose un rapporto differente, conforme alla nuova Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e alla progressiva mondializzazione del sistema statuale. Alla vecchia relazione gerarchica delle colonie sottomesse alla loro metropoli si sostituisce un mondo nel quale tutti (gli Stati) sono uguali di diritto anche se non lo sono (ancora) di fatto» (Rist, 2021: 138-139).         

Una nuova lettura, una nuova mappa del mondo con i Paesi che ancora non hanno colmato i loro vuoti. Leggiamo anche dall’introduzione alla già citata opera di Antonio Benci: a “premessa filologica” del suo studio sulla nascita del concetto di solidarietà e di cooperazione internazionale vi è la riflessione di Giancarlo Quaranta, contenuta originariamente in L’era dello sviluppo (1986): 

«È indispensabile che si ricordi come solo pochi anni fa era possibile mobilitare i popoli in nome di valori, come il colonialismo, l’imperialismo, lo schiavismo, la patria o per ogni tipo e sorta di guerra piccola o grande, interna agli Stati o esterna, mentre allo stesso modo non si può mancare di osservare come sia impossibile, da almeno quaranta anni, usare i medesimi valori e lo stesso linguaggio e, forse, fare le stesse cose. Certo, sfruttamento, imperialismo e altre forme di sopraffazione dell’uomo sull’uomo seguitano ad esistere, ma non appartengono più alla scala dei valori della cultura, né integrano una qualche spiritualità o tanto meno ne costituiscono i parametri della rispettabilità». 

L’altro lontano passa dall’essere una mera presenza sul territorio ad essere soggetto co-costruttore del proprio sviluppo e della propria politica: l’idea di solidarietà si incarna nelle forme dello sviluppo e della cooperazione, trasformando così il ruolo di una delle figure simbolo e cioè quella del missionario, che è la prima della triade a mutarsi e mutare la propria azione in cooperazione. 

«Da un lato, il tragitto che porta sino all’idea di cooperazione è un’evoluzione che supera le impostazioni caritative ed etnocentriche degli inizi per giungere alla filosofia di intervento che è in linea con le correnti interpretazioni del concetto di solidarietà e che “dovrebbe” essere imperniato, come dice Zoll, non solo sulla condivisione ma anche sul sentirsi responsabile per gli altri e sull’internazionalizzazione nel senso più alto del termine» (Benci, 2016: 17). 

Il processo di othering descritto da Said (Said, 2013) si trasforma dunque in sede programmatica in una coscientizzazione e assunzione di responsabilità internazionali nelle missioni d’ordine religioso e di cooperazione internazionale, coinvolgendo e riplasmando l’altro in una nuova cornice ideologia e di intervento.

In epoca coloniale, con i missionari, la parola rivolta all’Africa era sempre predeterminata, colonizzata, perché gli obiettivi del missionario dovevano adeguarsi alle prerogative politiche e culturali del suo Paese di origine e i presupposti ideologici poggiavano su teorie evoluzionistiche e su di un’antropologia dualistica (Mudimbe- Muzzopapa 2017: 81, 88).

La parabola delle missioni, da Limes

La parabola delle missioni, da Limes

Nel dopoguerra, invece, gli orientamenti mutano radicalmente e la Chiesa cattolica giocò un ruolo di primo piano nel promuovere l’idea di solidarietà e sviluppo, soprattutto con il Concilio Vaticano II (1965) e l’enciclica sociale Populorum Progressio di Paolo VI (1967). L’attività missionaria vaticana, e italiana, in Africa, sono una presenza longeva; attualmente questa presenza si è notevolmente ridotta perché anche gli interventi umanitari si sono internazionalizzati sempre di più e integrati con le strutture locali ma rimane uno dei fattori più efficaci di rimodulazione dei volti dell’Africa. Si vedano le aree di intervento dei missionari fidei donum in Africa [3] . 

Inoltre, per l’Agenzia Italiana di Cooperazione allo Sviluppo (AICS) ad esempio, nel triennio 2017-2019 su 22 Paesi considerati aree prioritarie di intervento sono ben 11 i Paesi africani; un’area recentemente individuata come prioritaria è poi quella del Sahel [4].

L’arena in cui si incontrano la lotta al sottosviluppo, gli imperativi del dogmatismo capitalista e le priorità del commercio è oltre qualsiasi confine, e non meramente nel territorio della nazione beneficiaria degli interventi; è delimitata sempre più da accordi bilaterali, multilaterali: un campo internazionale e sovranazionale. La cooperazione è internazionalizzata, anche se pur sempre ancorata alla radice nazione che opera sul territorio estero. A cosa puntano queste missioni umanitarie e la cooperazione che ridisegnano le mappe d’Africa?           

«Lo sviluppo non si riduce alla semplice crescita economica. Per essere autentico sviluppo, deve essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l’uomo» [5] (Paolo VI, Populorum Progressio, ed. 1994: 661; Benci 2014; Benci 2016: 154), citava a monito il Pontefice facendo sue le parole di Louis-Joseph Lebret. Sullo sfondo degli interventi di sviluppo, infatti, il pericolo reale era quello che le esigenze commerciali sopravanzassero in lunghezza le esigenze di sviluppo e solidarietà, come già paventato nell’Enciclica stessa, e che la politica fuori d’Africa continuasse a determinare la politica interna dei Paesi africani e il discorso dell’Africa sulla sua identità.

Perché anche qui l’Africa muta di segno, diventa un vuoto diverso, da colmare: come oggetto e soggetto di aiuto e solidarietà viene identificata con il Terzo Mondo (espressione di Alfred Sauvy del 1952, modulata sul concetto di “Terzo Stato” della Rivoluzione Francese), il Sud del Mondo, il sottosviluppo tout court. Come reagisce l’Africa, passata ad essere scenario privilegiato della cooperazione allo sviluppo ma anche delle missioni di pace?

In uno scenario moderno, che intreccia equilibri geopolitici sovranazionali e internazionali a quelli locali africani, le maglie di questa rete faticano a contenere gli strappi dati dalle fragilità dei sistemi politici, dai cambiamenti climatici dovuti anche a diretta azione antropica, le spinte centrifughe di contrapposizioni etniche e religiose. Un Great Game africano, che deve ridisegnarne la mappa? 

ristSoldato         

Un altro volto d’Africa è quello che disegnano le attuali missioni di peacekeeping, di contrasto al terrorismo, di “pace”, che ci portano a parlare del secondo attore-simbolo della nostra triade, che è il soldato. Chi è il soldato italiano in Africa, svestito il ruolo di baluardo coloniale, dismesso il ruolo difensivo degli interessi della madrepatria, e che gioca ora egli stesso un ruolo internazionale?

La presenza sul territorio africano di numerose missioni dove troviamo il soldato è indotta dalla intersecazione di piani diversi quali la stabilità politica a livello locale, i conflitti religiosi, i flussi migratori, le emergenze e l’impegno umanitario e, non ultimo, il terrorismo; l’Italia è in prima linea, con la UE e la Nato e l’ONU e in maniera sempre crescente (Marrone-Nones, 2020).

Nel 2020 si rafforza con il decreto missioni la presenza italiana sul continente, soprattutto in Sahel e Mali ma anche nel Golfo di Guinea: 

«Da alcuni anni il governo italiano ha rivolto alla regione saheliana – tradizionalmente fuori dai radar della politica africana di Roma – un’attenzione particolare, in ragione della necessità di rafforzare la presenza politico-militare in una delle aree cruciali per il transito dei flussi migratori diretti verso il Mediterraneo. […] In un contesto di progressivo deterioramento della situazione di sicurezza e di profonda destabilizzazione regionale, alimentata da fattori molteplici – dall’attivismo di gruppi armati di ispirazione salafita-jihadista, legati ad al-Qa’ida (Jama’a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin, JNIM) o allo Stato Islamico (Islamic State in the Greater Sahara, ISGS), fino alla moltiplicazione di conflitti comunitari sullo sfondo di crescenti tensioni interetniche, o al radicamento di network criminali di traffico illecito – il decreto afferma la necessità di un coinvolgimento militare ulteriore dell’Italia in Sahel. In concreto, tale impegno dovrebbe tradursi nella partecipazione di personale militare italiano alla forza Takuba [6], con mandato di consulenza, assistenza e addestramento delle forze armate e delle forze speciali locali al mantenimento della sicurezza e alle operazioni di contrasto al terrorismo, rafforzamento delle capacità militari regionali e supporto logistico e operativo attraverso la fornitura di mezzi elicotteristici e il dispiegamento di asset aeroterrestri»[7].

Il Golfo di Guinea è uno scenario nuovo: 

 «Novità di rilievo è rappresentata, inoltre, dall’accento posto sul contrasto alla pirateria e alla criminalità armata nel Golfo di Guinea, tra Nigeria, Ghana e Costa d’Avorio, dove l’interesse nazionale coincide in buona approssimazione con le attività di estrazione e sfruttamento di idrocarburi effettuate da ENI». 

È evidente come le frontiere assumano significati ulteriori rispetto alla geografia politica locale soprattutto a fronte degli interessi nazionali esteri e degli equilibri geopolitici fluidi che legano il continente all’Europa: 

«Il dispiegamento della task force nella regione di confine tra Mali, Niger e Burkina Faso – la regione delle ‘tre frontiere’ – risponde alla necessità francese di ottenere un più diretto coinvolgimento degli alleati europei nelle operazioni di contrasto ai fenomeni di estremismo violento di matrice jihadista […]. Accanto al dispositivo francese, nel 2017 gli Stati membri del network regionale G5 Sahel hanno deliberato l’istituzione di una forza congiunta composta da contingenti militari forniti dagli Stati membri (5.000 soldati), la Force Conjointe du G5 Sahel (FC-G5S), allo scopo di potenziare l’efficacia delle missioni di counterterrorism regionali, il contrasto alle attività criminali transfrontaliere e la lotta ai traffici di esseri umani. […] In questo contesto securitario si inserisce la task force Takuba, che agirà sotto il comando dell’Operazione Barkhane» [8].             

Il volto del continente, se visto dall’Italia e rispetto alle missioni internazionali italiane, è sempre il Sud del mondo ma non più così lontano, perché non solo gli echi ma gli effetti di ciò che sul suolo africano e sui suoi mari accade risuonano velocemente in Europa ma anche perché i fenomeni migratori e il terrorismo avvicinano scenari di scontro africani e gli Stati nazionali europei.

L’Africa delle missioni internazionali vista dall’Italia è meno lontana e il vuoto del continente ha la traccia di diverse rotte, linee di intervento, aree di azione; entra anche in una dimensione globale, che osserva Asia, Medio Oriente, Africa, Europa e U.S.A. segnare mappe diverse di una presenza strategica.         

Fonte: Covid-19 and the New Scramble for Africa | African Arguments

Fonte: Covid-19 and the New Scramble for Africa | African Arguments

Esploratore 

C’è infine un’altra Africa vista dall’Italia e dal mondo, cioè l’Africa degli investimenti esteri: l’esploratore, in epoca post-coloniale, è soprattutto imprenditore. Come per gli esploratori della triade coloniale, l’esploratore va per sé e interpretando un interesse superiore, quello della nazione che rappresenta e sostiene in terra straniera. Ad altro percorso, altri itinerari che riempiono il vuoto delle mappe d’Africa.

Di chi è l’Africa?, la domanda proposta nel momento iniziale di questa breve analisi, si ripropone in questa sezione finale in cui, volutamente e in un rovescio di prospettive, l’Africa viene posta nel mezzo tra Europa e Asia che esplorano le possibilità di investimento o, secondo alcune linee interpretative, è mira predatoria  di vecchi e nuovi attori. 

«Tra le regioni meno sviluppate del mondo, l’Africa è quella che dal 2000 al 2017 ha ricevuto la quota più consistente di investimenti diretti esteri (IDE). Tra il 2018 e il 2022, dieci economie subsahariane saranno tra i primi venti Paesi a più rapida crescita economica, continuando un trend positivo iniziato nei primi anni 2000. Questo ritmo di crescita, unito a una maggiore stabilità politica e all’introduzione di incentivi agli investimenti in due Paesi su tre (soprattutto destinati al comparto industriale), hanno reso il continente fonte di rinnovato interesse per attori tradizionali, come gli Stati Uniti e l’Europa, e nuova meta per attori emergenti come la Cina, l’India, la Turchia e la Russia» (Procopio, 2018). 

C’è un attore non nuovo ma certo con una presenza crescente e una grandissima capacità di investimento che interviene sempre di più in Africa e che l’era coloniale non conosceva, e non in tale veste: l’esploratore cinese [9], sulle tracce di una nuova via della seta (Belt and Road Initiative); se il gigante asiatico gioca un ruolo di primo piano, si vede però che è in buona compagnia, non è certo l’unico impegnato nella corsa all’Africa che è un lungo processo, in continuo mutamento:  

«Anzitutto, il quadro degli attori esterni interessati al continente è parzialmente mutato. Da un lato è venuto meno il Brasile, che negli anni di Luiz Inácio Lula da Silva si era affacciato con notevole decisione e costanza sull’altra sponda sud dell’Atlantico. […] Dall’altro lato, diversi Paesi hanno seguito le orme tracciate da quelli – come la Cina, l’India o la Turchia – che erano partiti prima. Si tratta di Stati europei (la Germania, e in certa misura anche l’Italia), ma soprattutto di attori mediorientali. Tra questi ultimi si è scatenata un’accesa competizione che tende ad esportare in territori africani le rivalità che li contrappongono nel quadrante d’origine, come quella tra Arabia Saudita e Iran, o quella tra il cosiddetto ‘Quartetto arabo’ – sempre i sauditi, con Emirati, Bahrein ed Egitto – e il Qatar. Oggetto di mire incrociate e mutevoli, il Corno d’Africa è tra le aree in cui questa dinamica appare più chiaramente» [10]. 

benciLa pandemia ancora in atto nelle sue fasi iniziali ha quasi sovvertito alcune strategie di investimento in Africa, tuttavia il trend si ipotizza che restaurerà i rapporti commerciali con i vari partner, sia tradizionali che relativamente nuovi [11]. C’è quindi una cartografia che disegna l’Africa degli investimenti e una, invece, che assegna il territorio alle materie prime oggetto di interessi commerciali e di investimento e che spesso coincidono o sono vicine ad aree interessate da crisi o da instabilità politiche [12].

E qui ritornano, quanto mai attuali, le parole di Mudimbe che ricordavano come, nella narrazione leucocentrica europea dell’era coloniale, mancasse del tutto la voce di chi era in Africa, lasciando per sottinteso che non sia mai esistita una resistenza, una reazione, un attore sul territorio.

Impressione ideologicamente forzata e fuorviante, anche oggi dacché in ambito politico e economico, ma anche di contrasto al terrorismo, sono molteplici le partnership africane:

«Il varo o il consolidamento di iniziative regionali e sub-regionali – l’Unione Africana, l’African Continental Free Trade Area, ma anche raggruppamenti ad hoc nati in reazione a minacce jihadiste, come il G5 Sahel o la Multinational Joint Task Force – mostrano, seppure tra mille difficoltà, una volontà e capacità di articolare risposte almeno in parte autonome alle sfide del continente. Come stanno imparando gli europei nei negoziati per il post-Cotonou (ovvero per un nuovo accordo che riorganizzi le relazioni UE-Africa), anche nell’ambito di partnership asimmetriche i paesi africani cercano spazi maggiori per le loro priorità» [13]. 

51nnqaop1ql-_sl500_Così l’Africa ha reagito e reagisce unendosi e definendo un proprio assetto geoeconomico: l’Unione Africana nel 2019 ha dato i natali alla zona di libero scambio potenzialmente più grande al mondo, l’African Continental Free Trade Area (AfCFTA), con un accordo che riunisce tutti Paesi del continente, lo Schengen africano, che si affianca ad altre unioni commerciali su base geografica come al COMESA [14] (che interessa l’Africa orientale e riunisce 21 Stati) e al CEDEAO [15] (che abbraccia i Paesi africani occidentali), che rinforzano le relazioni e le strutture transnazionali intrafricane, rivendicandone l’autonomia.

Ogni discorso sull’Africa, come abbiamo visto, disegna una mappa diversa, come a riempire un vuoto lasciato dai predecessori. Kapuściński, che legge Erodoto, ci consente di chiosare così, a commento di tanta geografia dei vuoti: «Io rido a vedere che molti hanno disegnato la mappa della terra e che nessuno l’ha spiegata in modo ragionevole» (Erodoto, Storie, Libro IV, cit. in Kapuściński, 2010: 176).

          Dialoghi Mediterranei, n. 58, novembre 2022         
Note
[1] Ecco come cambiare la narrazione stereotipata sull’Africa in 8 mosse – Info cooperazione (info-cooperazione.it); How to write about Africa: A new handbook provides eight steps for the development community to share their work on the continent more ethically. – Africa.com (www.africa.com)
[2]  https://www.treccani.it/enciclopedia/africa
[3] N. B. Il missionario fidei donum è un sacerdote diocesano distaccato per un periodo di 4 o 5 anni; pur rimanendo formalmente ancorato alla diocesi d’origine, effettua il suo servizio presso una missione con vincolo di obbedienza al vescovo della missione.
[4] https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/sahel-linteresse-italiano-senza-una-direzione-chiara-25085
[5] Paolo VI, Populorum Progressio, in Enchiridion delle Encicliche, vol. 7, Edizioni Dehoniane Bologna 1994: 661. Come fa notare Benci, le citazioni di autori, anche contemporanei come Lebret (l’opera da cui si cita è Dynamique concrète du dévelopment del 1961) è una delle novità dell’Enciclica.
[6] Il silenzio che circonda la missione militare italiana nel Sahel – Andrea de Georgio – Internazionale
[7] Decreto missioni: l’Italia rafforza la sua presenza in Africa (ispionline.it) ; Boots on the ground: L’Italia in armi e dove serve? – Limes (limesonline.com)
[8] Ibidem, Decreto missioni: l’Italia rafforza la sua presenza in Africa (ispionline.it). Si veda anche il testo della Deliberazione del Consiglio dei ministri in merito alla partecipazione dell’Italia a ulteriori missioni internazionali, adottata il 21 maggio 2020 (Anno 2020).
[9] Document final 28 Mars Chine Afrique (diplomatie.gouv.fr); Cina in Africa nonostante la crisi – Limes (limesonline.com)
[10] The New Scramble for Africa? Sì, ma non è nuovo. | ISPI (ispionline.it)
[11] Cfr. UNCTAD, World Investment Report 2020: 9, World Investment Report 2020 | UNCTAD
[12] The New Scramble for Africa? Sì, ma non è nuovo. | ISPI (ispionline.it)
[13] Ibidem.
[14] Common Market for Eastern and Southern Africa (COMESA);
[15] Communauté Economique des Etats de l’Afrique de l’Ouest(CEDEAO) | (CEDEAO) (ecowas.int) 
Riferimenti bibliografici
Benci A., Il prossimo lontano. Alle origini della solidarietà internazionale in Italia, Unicolpi, Milano 2016.
Idem, La Lotta al sottosviluppo. Da Truman a Giovanni XXIII in Altronovecento 25 (2014): 1-25.
Harari, Y. N., Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell’umanità, Bompiani Firenze 2017.
Kapuściński R., Ebano, Feltrinelli, Milano 2011.
Kapuściński R., In viaggio con Erodoto, Feltrinelli, Milano 2010.
Mudimbe, V. Y., Muzzopapa G. (a cura di), L’invenzione dell’Africa, Meltemi Editore, Milano 2017.
Mazrui, Ali A. “The Re-Invention of Africa: Edward Said, V. Y. Mudimbe, and Beyond” in Research in African Literatures, vol. 36, no. 3, 2005: 68–82.
Paolo VI, Populorum Progressio, in Enchiridion delle Encicliche, vol. 7, Edizioni Dehoniane Bologna 1994.
Rist, G., Le développement. Histoire d’une croyance occidentale, Les Presses, Paris 2021.
Said E. W., Orientalismo. L’immagine Europea dell’Oriente, Feltrinelli Milano 2013. 
Sitografia 
Boots on the ground: l’Italia in armi è dove serve? – Limes (limesonline.com)
Common Market for Eastern and Southern Africa (COMESA);
Communauté Economique des Etats de l’Afrique de l’Ouest (CEDEAO) | (CEDEAO) (ecowas.int)
Covid-19 and the New Scramble for Africa | African Arguments
Decreto missioni: l’Italia rafforza la sua presenza in Africa (ispionline.it)
Document final 28 mars Chine Afrique (diplomatie.gouv.fr); https://www.limesonline.com/cina-in-africa-nonostante-la-crisi/2947
Ecco come cambiare la narrazione stereotipata sull’Africa in 8 mosse – Info cooperazione (info-cooperazione.it)
How to write about Africa: A new handbook provides eight steps for the development community to share their work on the continent more ethically. – Africa.com (www.africa.com)
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/new-scramble-africa-si-ma-non-e-nuovo-22668
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/sahel-linteresse-italiano-senza-una-direzione-chiara-25085
https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/sahel-linteresse-italiano-senza-una-direzione-chiara-25085
https://www.treccani.it/enciclopedia/africa
Il silenzio che circonda la missione militare italiana nel Sahel – Andrea de Georgio – Internazionale
Marrone A., Nones M., Le forze italiane in missione all’estero: trend e rischi IAI 2020: Le forze italiane in missione all’estero: trend e rischi | IAI Istituto Affari Internazionali
Procopio M., Investimenti: chi gioca la partita in Africa? (2018) Investimenti: chi gioca la partita in Africa? | ISPI (ispionline.it)
UNCTAD, World Investment Report 2020: 9  World Investment Report 2020 | UNCTAD
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Elena Nicolai, dottoressa di Ricerca in Italianistica e in Filologia Classica, si è poi specializzata in migrazioni e politiche sociali a Ca’ Foscari. Ha pluriennale esperienza nell’ambito della Cooperazione Internazionale in vari Paesi, tra cui Pakistan, Togo, India, Tunisia; ad oggi consulente presso la sede AICS Somalia, Mogadiscio. È docente di Pedagogia Interculturale nel Corso di Specializzazione per le attività di sostegno agli alunni con disabilità (UNINT). Fra i suoi ultimi lavori scientifici ricordiamo: Breviario pakistano: mappe interculturali e prospettive pedagogiche (2022); L’Almagesto arabo: alcune note sulle traduzioni greco-arabe di al-Ḥağğāğ e di Isḥāq ibn Ḥunayn-Ṯābit ibn Qurra, QSA (2018).

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