Stampa Articolo

Feste sospese e ripensamenti in tempo di pandemia. La Santissima Trinità di Vallepietra e la sua migrazione sui social

 

Pellegrinaggio a Vallapietra, Documentario di Pozzi Bellini, 1939

Pellegrinaggio a Vallapietra, Documentario di Pozzi Bellini, 1939

il centro in periferia

di Emanuela Panajia

Questioni metodologiche in spazio e tempo sospeso

Mentre i mesi passavano in questa situazione di emergenza, mi sono chiesta perché? Perché scegliere la sospensione dei riti come oggetto, perché abbandonarsi all’idea della difficoltà di fare ricerca in questo momento mi abbia così tanto condizionato nel cercare altre vie, quelle che oramai sono diffusissime come i mezzi digitali già tra l’altro utilizzati parallelamente? L’accelerazione nell’utilizzo di tali strumenti dovuta al periodo di pandemia ci ha immessi in un tempo altro, da cui certamente non si può tornare indietro e dei quali strumenti non possiamo fare a meno. La “resa” a questa diversa modalità, di cui tutti avevamo fatto esperienza in modalità collaterale, è stata totalizzante, eppure mi continua a “frullare” per la testa un no deciso ad alcune che sono non solo scorciatoie ma anche barriere per la ricerca antropologica in sé.

Ritornare a fare ricerca, con tutto ciò che rientra nell’ambito dell’incontro con i testimoni in maniera diretta, è il leitmotiv della disciplina, rimane il metodo utilizzato e la metodologia che ne consegue rappresenta l’imprescindibile cammino operativo dell’etnografia. Parlare di sospensione del tempo è sempre un’illusione, come forse lo è illudersi di recuperare il tempo perduto, l’inevitabilità del trascorrere del tempo come Marcel Proust ci ha insegnato è una consapevolezza che sottostà comunque a questo senso di sospensione. D’altra parte nelle narrazioni, l’immenso edificio del ricordo rinvia puntualmente, nei racconti dei testimoni intervistati, ai due cicli festivi precedenti al Covid, ed è già costruito saldamente nella memoria e nell’identità degli stessi attori “sospesi”.

Un prima e un dopo, un punto da cui ripartire o a cui riferirsi costantemente, anche in merito alle pratiche devozionali mutate, essendo sempre presente il rimando al 2019/20 e in particolare all’ante lockdown del 9 marzo 2020. Fare i conti con tutto ciò non è semplice e comunque non è definitivo, molti dei processi avviatesi silenziosamente sono in corso e probabilmente avranno esiti nuovi in futuro. Ho cercato dunque di cogliere un dato parziale e temporaneo di ciò che è avvenuto, con l’auspicio che possa essere utile per tentare vie necessarie alla riorganizzazione sociale e culturale soprattutto in questi territori periferici, decentrati, al margine. La motivazione che mi ha portata ad indagare quest’area, a parte le osservazioni riportate di seguito, è data anche dalla condizione di aree interne, che più di recente, ma anche prima della pandemia, vivono su sé stessi l’abbandono e la riconquista del territorio attraverso le dinamiche in atto dello spopolamento ma anche il ritorno, ciclicamente, di tentativi di rivitalizzazione delle stesse aree attraverso sempre nuovi processi di “rinascita”. Tale movimento di ripresa guarda al sistema paese (intendendo con questo i piccoli borghi), come ad esempio il movimento del Riabitare l’Italia il cui manifesto ultimo è certamente quello esplicitato in Riabitare L’Italia, a cura di De Rossi (Donzelli), che porta come sottotitolo propriamente “Le aree interne tra abbandoni e riconquiste”.

La domanda che mi sono posta rimane e si rafforza: come, dunque, ne risultano trasformati i riti, le feste, le cerimonie dopo questo tempo? Cosa rimane di queste “nuove” tendenze, che ciclicamente in realtà ritornano, che guardano al riabitare i luoghi periferici, marginali, decentrati? Come le forme culturali di devozione popolare si stanno trasformando e reinventando, si sono messe in discussione? Se è vero che oggi il mondo dei beni immateriali è soprattutto partecipazione, quanto questo tempo sospeso ha pesato e peserà nella ripresa di riti, delle cerimonie e delle manifestazioni del patrimonio immateriale a cui stiamo assistendo da pochi mesi?

San Biagio a Marano Equo

San Biagio a Marano Equo

Contesto territoriale e pandemico

La valle dell’Aniene è stata meta di ricerca per le discipline demoetnoantropologiche con particolare interesse per la raccolta di “materiali” documentali con finalità museografica da almeno mezzo secolo. Fin dagli anni Settanta del Novecento alcuni studiosi (antropologi, storici, archeologi, architetti, ecc.) hanno avviato dei processi dialogici con le autorità locali i cui esiti sono stati la costituzione di vari Musei territoriali, che per tutta una “stagione” hanno guidato e contribuito alla costituzione di una rete di divulgazione di conoscenza intorno ai saperi tradizionali e alle tematiche connesse al mondo contadino, all’organizzazione sociale e del lavoro, alla devozione popolare, all’artigianato locale.

La valle dell’Aniene comprende un territorio che va dall’alto, al medio e basso corso dello stesso fiume Aniene e incornicia una geografia che si estende dai monti Simbruini (confine con l’Abruzzo) fino a Subiaco, da Subiaco a Tivoli fino a toccare i confini della Ciociaria, quindi il basso Lazio. L’economia ruota attorno ad un forte pendolarismo causato dall’attrazione di Roma capitale e si “snoda” attraverso delle infrastrutture che hanno, dalla fine dell’Ottocento, cambiato per sempre la vocazione rurale del territorio. Il ripristino  del terzo acquedotto di Roma antica, l’Acqua Marcia nel 1870 per volontà di Pio IX, la costruzione della ferrovia Roma-Pescara nel 1888, l’apertura del primo tratto dell’autostrada Roma-L’Aquila nel 1969, sono opere che hanno “convertito” i contadini in operai, i braccianti in pendolari, connaturandosi nell’ambiente urbano attraverso l’intensificarsi degli spostamenti dai piccoli paesi verso la metropoli determinando un cambiamento epocale come molti territori della penisola italiana ma che presenta qui dei tratti peculiari. La presenza di siti benedettini, in particolare i monasteri di santa Scolastica e san Benedetto hanno costituito un dato fondamentale per un certo fermento e vitalità dei culti, credenze, tradizioni locali che nonostante i cambiamenti hanno mantenuto attivi i processi e le dinamiche socio-culturali a questi collegati, costituendo un polo di attrazione per la valle stessa. L’idea iniziale da cui partire per condurre la ricerca in questo territorio “periferico” in un momento particolare, in piena diffusione della pandemia Covid-19, ha dovuto fin da subito misurarsi con questioni teoriche e metodologiche che non avevo affrontato precedentemente.

Come incontrare i testimoni? Fino a che punto mi sarebbe stato possibile approfondire l’argomento stesso, considerate le restrizioni degli spostamenti? Quanto sarebbe pesato su tutto ciò il “clima” di paura generato dalla situazione emergenziale? Ho scelto per questo motivo di avvalermi di alcuni metodi “classici” e altri “agili” a seconda della situazione in cui mi sono venuta a trovare di volta in volta. Inizialmente avevo scelto di frequentare una realtà che già conoscevo, quella della festa di san Biagio a Marano proprio per riprendere le fila di una ricerca in essere e cercare di cogliere le nuove manifestazioni della stessa in questa situazione particolare. Andando però sul territorio per dei sopralluoghi e osservando dal web altre dinamiche collaterali, fin da subito ho capito che sarebbe stato più opportuno affiancare altre due realtà festive “sospese”, proprio per raccontare la molteplicità e diversità creativa con cui le comunità hanno “risposto” al momento particolare. Alla festa di san Biagio di Marano Equo si è dunque aggiunta l’osservazione sulle feste “sospese” della Santissima Trinità di Vallepietra e di Sant’Anatolia di Gerano.

La riflessione a cui mi sono avviata in questi mesi si è soffermata anche sull’attuale dibattito, in realtà per gli antropologi rivitalizzato, sui movimenti di ritorno ai luoghi/paesi, ai borghi, alle aree decentrate, periferiche, alle valli, alle colline, alla dimensione abitativa altra rispetto al “costrutto” città. Territori che per decenni sono stati vissuti come scarto, vuoto, margine, retrovia e a cui sono irrimediabilmente legati a doppio filo vite di donne e uomini che in maniera diversa, chi intermittente, chi con delle fughe, chi ritornando a “colonizzare” quelli stessi spazi e relazioni interrotte, ritornano per differenti ragioni. L’opportunità di riprendere le fila di un discorso, senza cadere nella retorica della dimensione ottimale di vita considerando le tante brutture, mancanza di servizi, solitudini vissute, ecc., che attraversa alcuni luoghi, mi sembra possa contribuire alla valorizzazione di terreni fertili per l’uomo. Senza appiglio nostalgico ad una dimensione perduta si può verificare in alcuni tratti l’esistenza di basi da cui nascono nuovi processi funzionali, conviviali, relazionali che restituiscano memoria e che la proiettino non utopisticamente al futuro ma all’oggi, al presente.

Santuario di Vallepietra,, documentario di Pozzo Bellini

Santuario di Vallepietra, documentario di Pozzi Bellini, 1939

Reazioni e risposte in smarrimento

La tempistica [1] su cui si è generato questo progetto è stata scandita dall’irrompere del Covid nel marzo 2020, ho iniziato a riflettere su come potessi “muovermi” in un momento nuovo e ho cominciato a dare forma compiuta al progetto di ricerca a luglio 2020. Considerata la pausa estiva e il periodo particolarmente difficile per recarsi sul campo, anche per i soli sopralluoghi, decido di iniziare a fare ricerca sulle fonti scritte per poi dedicarmi ai rilevamenti a settembre. Non avevo però fatto i conti con una serie di emozioni contrastanti: nel pieno della pandemia lo stato di sospensione generato in quel periodo ha avuto conseguenze sulla vita di ognuno di noi, dunque anche io inizio a sentirmi sospesa, molti impegni si congelano, anche quelli che in qualche modo potevano essere portati avanti, ognuno di noi fa esperienza di cosa significhi immobilismo, impotenza, paura, se non terrore per alcuni, tutte dinamiche psicosociali che hanno conseguenze pratiche nella vita quotidiana.

La correlazione tra questo momento e la marginalità dei paesi, il riscatto possibile delle relazioni e della geografia di un territorio mi pare possa generare una nuova occasione però di valorizzazione del patrimonio culturale immateriale che spesso si nasconde nei luoghi più piccoli, intimi, dove comunque le questioni che attraversano i corpi sono ugualmente centrali, importanti per la memoria, per la costruzione delle identità, per tutte quelle potenzialità inespresse che potrebbero certamente fare la differenza sulla qualità della vita. Anzi, a volte proprio questa posizione secondaria, limitrofa, appartata rende le istanze più “autentiche”, “sentite”, “utili” ai fini dell’autorappresentazione di sé stessi e dell’altro. Ma allora come superare la difficoltà oggettiva dei primi timidi contatti? Con il tempo! Dietro la percezione di sospensione di cui ho scritto in realtà sedimenta un tempo ingannatore, perché l’emergenza ha bloccato le pratiche, gli incontri, la possibilità di tutti quei momenti collettivi preparatori delle feste, che annunciavano l’imminente arrivo di un tempo diverso dall’ordinario con delle sue precise funzioni sociali, culturali, politiche e anche economiche (basti pensare che le feste patronali spesso per le piccole comunità interessano la spesa maggiore a livello di amministrazioni locali), ma non ha comunque smesso di scorrere e di attraversare ugualmente i corpi della gente. Ho deciso dunque di dare e darmi un altro po’ di tempo, per poi riavviare i discorsi.

La domanda è allora se in questa inattesa situazione, immersi in queste sensazioni contrastanti gli agenti diretti, i protagonisti delle feste, dei pellegrinaggi, i componenti delle confraternite, le associazioni locali, ma anche gli abitanti che partecipano in vario modo alle attività devozionali abbiano resistito in qualche forma, si siano riorganizzati, o si siano arresi a questi nuovi processi di sospensione “fittizia”. Senza che ce ne accorgiamo, lentamente, in modo invisibile ma altrettanto caparbiamente ci sta qualcuno che resiste nella quotidianità. Questo è quello che avrei voluto raccontare, senza però cadere nella retorica del bel paese, con la complessità che il caso necessita. Ci sta ancora la speranza che non sia tutto irrimediabilmente perduto, che si è trasformato più velocemente per causa di forza maggiore ma ha comunque resistito e questo ci mostra nuove vie da percorrere con esiti tutti da scoprire. Eppure rispetto a queste considerazioni della scorsa primavera, oggi è cambiato tutto repentinamente. Apparentemente, attraverso l’entusiasmo della ripresa, che si è poi compiuta a pieno nell’estate appena trascorsa, come se fosse passata una spugna, anche le riflessioni su ciò sembrerebbero sospese [2]. La memoria del sospeso, anche quella mi pare si voglia ricacciare in un angolo lontano, come allontanare, per dimenticare e riprendere da dove si era interrotto. Ma ciò è possibile e se lo fosse attraverso quali processi ormai avviati?

proiezione dell'immagine di sant'Anatolia a Castel di Tora (RI)

Proiezione dell’immagine di sant’Anatolia a Castel di Tora (RI)

Durante il periodo pandemico, in alcuni casi anche le istituzioni hanno, in qualche misura reagito, per esempio attraverso il progetto “Il nostro tempo infinito e sospeso” [3], visioni in video-mapping dei trasporti votivi nelle città della Rete delle grandi macchine a spalla italiane (patrimonio Unesco), modulato sul progetto dell’Istituto Nazionale per il Patrimonio Immateriale, e “costruito”, con un piano condiviso tra comunità e istituzioni, insieme all’Ufficio Patrimonio UNESCO del Mibact. Il progetto di valorizzazione in tempo di pandemia è stato ospite a Nola, Viterbo, Palmi, Sassari a partire da settembre 2020. Le comunità hanno guardato le luci delle feste proiettate sui palazzi importanti delle città protagoniste, ma non hanno più avuto il ruolo di attori ma di spettatori, non più testimoni viventi di uno spazio peculiare ma recettori visivi di feste già avvenute. L’assenza della festa negli spazi della festa era stata “sostituita” da una modalità passiva e performante, per “riempire” di luci la facciata della cattedrale, la piazza principale, ecc. che altrimenti sarebbero rimaste non solo vuote ma anche grigie e desolate. Rimaneva il magone dentro sicuramente, guardare in streaming tutto ciò ha rappresentato un’alternativa alla cancellazione contemporanea delle espressioni festive della tradizione, ma comunque una consolazione, seppur magra, per chi la fa la festa con azioni, pratiche e attese preparatorie. Qualcosa di simile è stato realizzato anche a Castel di Tora per la festa di sant’Anatolia a luglio del 2021, quando in notturna l’immagine della santa martirizzata è stata proiettata sulla facciata del santuario. 

L’antropologo Vito Teti parla di “restanza” per intendere non una resistenza arroccata, ma una messa in gioco della “presenza” di demartiniana memoria. Affermare sé stessi è la realizzazione del fine ultimo dell’uomo, la felicità. Le feste appaiono, allora, come bussole di presenza ancor più durante il periodo di pandemia, allorché sono state costrette non all’immutabilità ma al confino nelle case, nelle chiese, lontane dalle piazze, dalle vie.

Pratone antistante la chiesa di sant'Anatolia a Gerano, luogo della fierao E. Panajia 2020

Pratone antistante la chiesa di sant’Anatolia a Gerano, luogo della fiera, 2020  (ph. E. Panajia)

Comunità e culti tra sospensione dei riti e resistenze devozionali nella valle dell’Aniene

L’analisi ha riguardato tre casi, individuati in altrettanti comuni, di cui fornisco una brevissima descrizione per completezza, ma approfondirò un solo campo per questioni di spazio e sono: -Gerano e la festa di sant’Anatolia, che ha ricompreso anche la Madonna del cuore e l’infiorata a questa dedicata; - Marano Equo e la festa del santo patrono san Biagio; - Vallepietra e i pellegrinaggi alla Santissima Trinità.

La festa di sant’Anatolia presso il comune di Gerano si caratterizza per essere accompagnata da una fiera a cui accorrono molti locali dalla valle dell’Aniene stessa, ma è considerata anche una meta importantissima per le comunità rom, sinti, ecc. dell’area centrale dell’Italia. Qui infatti, nell’occasione in cui si celebra la santa riconosciuta come loro patrona arrivano comunità dalla capitale, dall’intero Lazio, dall’Abruzzo, ma anche da altre regioni centrali. La peculiarità sta proprio in una festa doppia, luogo di confluenza di più modalità di stare al mondo, nelle più diversificate sfaccettature, quella devozionale, culturale, sociale, performativa, ecc. 

La festa di san Biagio di Marano Equo si configura come una festa patronale molto sentita dalla comunità con due dati fondamentali: il primo riguarda la ritualità della benedizione delle gole che in periodo di pandemia covid-19 acquista un significato ancor più marcato, non più limitato alla protezione dai malanni stagionali ma esteso alla guarigione dal virus; il secondo dato consiste nel fatto che si caratterizza per una forma alternativa rispetto ai paesi limitrofi, la festa è infatti gestita dal comune. Dunque la stessa statuina, che rientra nelle peculiarità del santo in casa (Cannada Bartoli, 2004), è esposta su un altarino allestito dentro l’edificio comunale. 

particolare della benedizione delle gole, festa di san Biagio a Marano Equo, 201, foto E. Panajia 2016

Benedizione delle gole, festa di san Biagio a Marano Equo, 2016 (ph. E. Panajia)

La Santissima Trinità di Vallepietra è una festa complessa per l’intreccio di elementi ancora rinvenibili nelle pieghe del sostrato popolare. Nella sua messa in azione performativa assumono importanza fondamentale: la presenza di compagnie, confraternite o gruppi spontanei che compiono il pellegrinaggio verso il santuario, il paesaggio in cui si inserisce il culto, i riti che si svolgono/gevano (comparatico, ricerca di contatto con la grotta, dendroforia, pianto rituale, incubatio, ecc.). Si tratta di una di quelle feste che potremmo far rientrare nella nota definizione di Mauss di “fatto sociale totale”, poiché coinvolge svariate sfere sociali, economiche, culturali, spirituali. Molti gli studiosi che si sono interrogati sulla sua complessità e parecchie le ipotesi di ricerca che ancor oggi stimolano l’indagine della stessa festa che è divenuta anche una importante meta per gli escursionisti.

Di seguito mi soffermo però solo sulla Santissima Trinità, in particolare sull’aspetto che definisco memoria di sospensione, e analizzo la vicenda pandemica tutta peculiare della Santissima che mi ha portata a dover fare delle scelte altre rispetto al normale metodo di indagine finora esplorato.

Arrivo della compagnia di Castel San Pietro Romano alla Santissima il 7 settembre 2013 (ph. Angelo Palma)

Arrivo della compagnia di Castel San Pietro Romano alla Santissima il 7 settembre 2013 (ph. Angelo Palma)

La via dei Media per la SS. Trinità di Vallepietra. Note di campo in etnografia dei media

Le iniziali considerazioni del 2020 sul sospeso sono mutate nel corso dei mesi come riflesso di un passaggio di stato, dal sospeso appunto ad una permanenza, una nuova forma organizzativa che si è in qualche modo stabilizzata per due cicli festivi pur mantenendo tutte le sue variabilità locali o meglio riorganizzandosi con modalità adattive, risolutive, a volte anche creative che hanno via via visto allargarsi gli scenari. Ho scelto per la festa della Santissima Trinità di Vallepietra, a differenze delle altre due analizzate, di concentrarmi su un’etnografia dei media, in particolare attraverso alcuni gruppi social precedentemente costituitesi ma che hanno visto nel periodo covid una implementazione di iscritti e una rifunzionalizzazione degli scopi iniziali, non senza una riflessione sul metodo e la metodologia di ricerca adottata cercando di aggirare ma non omettere le mie resistenze iniziali.

«L’antropologo, se non vuole correre il rischio di madornali mistificazioni nella lettura dei fatti, deve porsi di fronte ad essi con due regole che non sono registrate nei classici manuali di metodologia della ricerca. In questi ultimi, come ben si sa, vengono dettate le norme che riguardano la partecipazione/non partecipazione, le forme e modalità del rilievo sul campo, l’approfondimento dei dati ai fini dell’esplicazione e così via, fino ad accedere, soprattutto nella fase gramsciana degli studi di tradizioni popolari, alla segnalazione di sottili giochi di potere che spesso sottostanno alla festa» (Di Nola, Grossi, 1980: 29)

La citazione di cui sopra ci pone dunque questioni metodologiche che si inseriscono proprio in questo binomio di partecipazione/non partecipazione a cui si riferiva Di Nola e che sono proprie di tutte le realtà sospese per cause esterne. In particolare in che termini parliamo di partecipazione sui social per il biennio 2020-2022, considerato l’impoverimento delle pratiche depurate della parte performativa? Come cogliere attraverso gli strumenti tecnologici e digitali le questioni emotive, il vero nocciolo che spinge donne e uomini a mettersi in cammino verso la devozione, i pellegrinaggi, i percorsi di fede, la socialità che accompagna i riti e cerimonie magari anche solo per il bisogno di sentirsi parte di una comunità? Come l’etnografia possa individuare attraverso questo tipo di documenti le sofferenze, le gioie, i dolori, le spinte motivazionali, le crisi esistenziali che generano tanto spostamento emotivo? Questioni aperte che si pongono ciclicamente ma che portano con sé il peso delle riflessioni su come i territori hanno vissuto praticamente questi cambiamenti radicali e quali cambiamenti nei termini di visioni del mondo si siano attivati.

Parliamo di festa della Santissima Trinità precisando però che il termine festa ha a che fare con il significato di festa per le culture pastorali e contadine, quindi non sempre legato al solo momento festivo ma, come indicava Di Nola (1980) proprio riferendosi alla Santissima (con questo appellativo viene spesso chiamata dai fedeli), vi è una costante oscillazione tra la sofferenza e la gioia, che rimane ancora nell’esecuzione della festa attuale pur essendo mutate le ragioni, alcuni temi, le dinamiche della stessa devozione popolare. Le immagini che seguono ben raccontano l’alternanza di momenti del patire umano e di gioia dei pellegrini in occasione della festa della Santissima. Alcune di esse che mostrano tale dicotomia emotiva in “gioco” sono confluite nel catalogo Fede e tradizione a cura di Elisabetta Simeoni del 2006.

L’analisi sulla Santissima Trinità di Vallepietra ha preso le mosse dall’iscrizione ad alcuni gruppi dedicati al culto presso il santuario di Vallepietra. I principali social su cui ho svolto l’osservazione in questi due anni sono la pagina Confraternita S.S. Trinità Vallepietra seguita da 63.331 persone e creata nel 2014 e il gruppo Facebook Fede e tradizione al santuario della Santissima Trinità-Vallepietra nato nel 2018 con ad oggi 7480 membri. Ero stata al santuario della Santissima per la prima volta il 2 luglio del 2017 per una gita di piacere, trascinandomi dietro la famiglia, proprio per visitare il luogo legato al culto della Santissima Trinità di cui avevo letto e sentito parlare svariate volte. La pagina di cui sopra è gestita direttamente dal priore della confraternita dedicata alla Santissima di Vallepietra e dal parroco don Alberto, mentre il gruppo Facebook è amministrato dal signor Filippi Graziosi, testimone ricorrente e collaboratore attivo di molte iniziative che riguardano la Santissima Trinità, tra cui anche il catalogo Fede e tradizione del 2006 a cui il nome del gruppo fb sembra ispirarsi.

Croci votive poste lungo la strada che conduce al santuario della Santissima Trinità,  2017(ph.E. Panajia)

Croci votive poste lungo la strada che conduce al santuario della Santissima Trinità, 2017 (ph. E. Panajia)

Nel corso di questi ultimi due anni i gruppi hanno visto accrescere le loro funzioni e divenire uno dei poli informativi, nonché gestori dei flussi e delle procedure di prenotazione e organizzazione delle visite, insieme al sito del santuario in cui sono riversate le informazioni ufficiali che trovano sistematicamente però anche tra il bacino d’utenza dei social un rimando che ne amplifica la portata. l gruppi danno visibilità a svariate realtà locali documentando attraverso foto e video gli avvenimenti che ruotano attorno al santuario: la posa di una croce da parte di una compagnia, foto storiche del pellegrinaggio, dediche personali alla Santissima per grazia ricevuta, link a video professionali e amatoriali che raccontano della devozione, raduni degli stendardi e delle compagnie, ecc. Le testimonianze sono state facilmente riscontrabili, sia quelle spontanee sul campo che quelle raccolte attraverso il lavoro di documentazione.                           

croci votive  e improvvisate lungo la strada che conduce al santuario della Santissima Trinità, 2017 (ph. E. Panajia)

Croci votive improvvisate lungo la strada che conduce al santuario della Santissima Trinità, 2017 (ph. E. Panajia)

A Vallepietra esiste un museo civico nel quale viene ricostruita la memoria storica del centro urbano e dove è centrale ovviamente il culto della Santissima Trinità, ma anche presso il santuario vi è un museo dedicato proprio alla Santissima con una mostra permanente di tipo storico-descrittivo; in entrambi spiccano gli ex-voto che i fedeli hanno donato per grazia ricevuta. Materia importantissima da cui cogliere tutto il portato umano che genera dall’incontro con la sacralità del culto e che, in questi lunghi 24 mesi, non si è mai arrestato nella produzione anche sulle piattaforme social, dove le suppliche, le richieste di preghiera per qualche ammalato, i ringraziamenti con riferimento ad un possibile miracolo ottenuto, le voci di molti si riferiscono ovviamente anche alla pandemia che è divenuta oggetto di invocazione presente negli ultimi due anni.

Ex voto donati dai fedeli e collocati nella sala del museo del santuario della Santissima Trinità di Vallepietra

Ex voto donati dai fedeli e collocati nella sala del museo del santuario della Santissima Trinità di Vallepietra

Compiendo un percorso a ritroso si comprende immediatamente come i social siano divenuti dei recipienti variegati ma sempre comunque carichi di contenuti fortemente umani, che si intensificano all’occasione di alcuni eventi quali la festa dell’apparizione del 16 febbraio, unico momento in cui il santuario apre in inverno, durante la pausa che lo vede chiuso da ottobre a maggio; la festa della Santissima appunto la domenica successiva alla Pentecoste, dunque dopo Pasqua; la festa di sant’Anna il 26 luglio. La pagina raccoglie nelle sue intenzioni le confraternite, ma anche le compagnie [4] che almeno una volta all’anno si recano al santuario e che hanno subìto il maggiore ridimensionamento, dal momento peggiore, quello appunto della chiusura totale che ha coinciso con il lockdown e oltre, fino al momento attuale in cui i gruppi di pellegrini sono tornati senza restrizioni nello spazio sacro, attraverso un momento transitorio durante il quale si consigliavano le visite per piccoli gruppi e non in pellegrinaggio (quindi limitando di fatto l’arrivo in massa caratteristico del pellegrinaggio in sé) che si è interrotto con l’ultima apertura del santuario il 1° maggio 2022.

Volendo fare una sorta di bilancio dei due anni della pandemia, il primo anno, a detta del priore della Confraternita di Vallepietra il signor Paolo De Santis [5], è stato sicuramente il più duro per i pellegrini e fedeli in genere, poiché dopo la festa dell’apparizione del 2020 partecipatissima, con circa 4000 presenze, il santuario è stato chiuso per un tempo più lungo rispetto all’abituale chiusura invernale che va da ottobre a maggio. Infatti a causa dell’emergenza il sito non ha riaperto per accogliere i visitatori il primo di maggio come avviene ogni anno ma il 15 giugno. La festa della Santissima Trinità sarebbe stata il 31 maggio e dunque per la prima volta nella memoria dei presenti la festa nel 2020 non si è fatta. Parallelamente però si sono messe in campo delle azioni per cercare di mantenere un legame costante tra le varie realtà che ruotano attorno al santuario; dunque come per altre feste le celebrazioni sono state svolte in modalità streaming, le confraternite sono rimaste in contatto su un gruppo WhatsApp che riunisce ancora oggi i gruppi di devoti organizzati (confraternite, compagnie e fratellanze) che si recano in pellegrinaggio alla Santissima, i pellegrini si sono aggiornati e hanno seguito il calendario degli eventi (annullati, posticipati e nuovamente aperti) attraverso tali canali e la pagina ufficiale del santuario appunto.

Ciò che emerge però come preoccupazione è la scomparsa di alcuni gruppi di pellegrini che non hanno trovato nelle modalità alternative un modo per riorganizzarsi. L’ipotesi avanzata dal priore è stata che molto probabilmente si sarebbe tornati alla situazione precedente, ma in maniera graduale. L’ultima festa dell’apparizione, quella del 16 febbraio 2022 aveva già evidenziato ciò con le 800 presenze, si poteva dunque ipotizzare una ripresa completa per la prossima apertura di maggio, ma alcuni cambiamenti, alcuni processi visibili e invisibili si sono già avviati e hanno investito la sfera emotiva e psico-sociale di molti individui e gruppi. La migrazione sui social effettivamente è stata abbastanza agile per la Santissima poiché esisteva già un gruppo consolidato, ma certamente l’emotività, il livello di coinvolgimento, il “grado” di devozione che lega i singoli e i gruppi al culto ha avuto un certo peso nel determinare chi nell’attesa ha colto la pur minima opportunità per ritornarci quanto prima e chi invece rimane ancora in attesa, sospeso per una partecipazione più ampia proprio perché investito da molti dubbi. Gli interrogativi che si ponevano non erano solo spirituali ma anche concreti: è possibile svolgere il cammino a piedi in gruppo, condividere lo stesso spazio prossimo con gli altri spesso gli amici con cui lo si è “sempre” fatto, come si può consumare un pasto collettivo, se condividere momenti di preghiera coincide spesso con l’alimentare anche la sfera del sociale? D’altra parte la Santissima è proprio un anello di congiunzione, un luogo relazionale forte per tutti i paesi che vi gravitano attorno. Secondo F. Faeta proprio nel rituale del comparatico presente durante il pellegrinaggio o durante altri momenti della festa è possibile cogliere forte questa dimensione del sociale.

«Molti degli studiosi che offrono descrizione etnografica del pellegrinaggio ricordano il particolare del comparatico, più o meno serio, più o meno giocoso, che nella sua occasione si contrae. Questo tratto ci introduce a una scoperta valenza sociale del pellegrinaggio stesso. Se, con Victor Turner, le communitates peregrinanti rappresentano un momento di magmatica e utopistica rifondazione dell’ordine, espressa su base opzionale e sull’onda di tensioni di ordine etico e religioso, cosa vuol dire farsi compari, o comari, dentro un momento eccezionale della vita individuale e collettiva? […] Quanto, insomma, è lecito pensare che strategie sociali orientino, in modo determinante, e improntino, anche un momento di apparente sospensione dell’ordine sociale stesso?» (Faeta, 2006: 100).

51jesqw71wl-_sx441_bo1204203200_Memorie di sospensione e narrazioni della festa

La dimensione sociale è fortemente presente nelle organizzazioni delle compagnie e delle confraternite, ma anche nella rete escursionistica dei visitatori che attraversano il santuario per scopi altri (oltre quello religioso) nonché nella abituale connessione del culto con la scampagnata, essendo occasione per condividere un pasto su un prato o per ascoltare musica tradizionale suonata dal vivo. Nel tempo della pandemia, dunque, la “migrazione” della festa sui social rimane una feconda provocazione, poiché comunque la festa e i suoi attori hanno vissuto con trepidazione l’attesa della presenza, il poter performare di nuovo la festa dal vivo. L’apparente sospensione ha prodotto essa stessa le ragioni del superamento di trasformazioni in atto già due anni fa e che possiamo identificare come irreversibili per i cambiamenti riguardanti la cultura di massa degli anni Settanta del Novecento e che da qui, da ora, dal presente continuano con altra linfa a muoversi verso sviluppi futuri.

L’analisi sul culto della Santissima Trinità rimane parziale pur se selezioniamo una peculiare tematica proprio per la complessità del culto e perché segue il percorso di tutti i beni del patrimonio culturale immateriale, e cioè la variabilità nel tempo che dipende dal fatto di essere beni vivi, definiti “volatili” da A. M. Cirese, e performati dall’uomo. Importante è però sottolineare un fatto, e cioè che una delle grosse mutazioni che riguardano la festa della Santissima riguarda i cambiamenti profondi dei pellegrinaggi. Studiato come fenomeno da Victor Turner che lo interpretò come un vero e proprio rituale nel quale era possibile rintracciarvi delle fasi, tre in particolare la separazione, la peregrinazione e l’aggregazione, nel pellegrinaggio sono fondamentali l’abbandono della società, potremmo specificare oggi della quotidianità, e la fase del ritorno come persone nuove, diverse. Ma in questo mettersi in cammino, l’aspetto forse più importante è la formazione di una nuova comunità, con dei rapporti nuovi e peculiari, appunto la communitas. Importante quindi diviene una questione, che è stata comune con la pandemia, dal momento che mettersi in cammino per un pellegrinaggio significa entrare in uno spazio e tempo altro. Ma, mentre quando la meta della sacralità è visibile, anche se a volte non del tutto netta, si ritorna appagati alla quotidianità, ci si rimette nella vita di tutti i giorni con un senso di compiuto, nel caso della pandemia la percezione va in tutta altra direzione, verso un indefinito, un non visibile, un interrogativo permanente che non rischiara le ombre dell’incertezza e dell’insicurezza.

FAlfonso Di Nola [1] nel 1976 segue un pellegrinaggio verso la Santissima Trinità

Alfonso Di Nola nel 1976 segue un pellegrinaggio verso la Santissima Trinità

Le strade interpretative sono svariate, si tratta evidentemente di scelte, che rimangono abbastanza aperte allo stato attuale proprio perché la complessità della festa rimane costante nei decenni, nonostante le grandi trasformazioni che hanno attraversato il Ventesimo secolo e che sono ancora in essere. Potremmo avanzare l’ipotesi che nonostante l’impoverimento simbolico, la crisi del mondo contadino, la cultura di massa, l’epoca consumistica, la Santissima non è ancora un culto “impoverito”, ma al contrario si mostra particolarmente ricco di spunti di riflessione, poiché rimane un centro di riferimento per tantissimi paesi marginali che gravitano attorno, soprattutto per le aree di confine dell’Abruzzo, Lazio e Molise. Mi pare interessante come questo luogo di culto, periferico, liminale, di confine tra due o più territori, si sia configurato invece come un polo centrale per altri luoghi margine, termine inteso nel senso di lontani spazialmente da centri nevralgici dell’economia, della cultura, degli scambi comunicativi, e sia divenuto, moltiplicando anche le occasioni di luogo/tempo, eccezionale per una miriade di comunità lontane e meno, virtuali e reali.

La narrazione del culto della Santissima non si esaurisce nelle azioni festive (ancor di più nei due anni di sospensione), seppur nell’azione si compie come atto pieno, ma nuovamente nelle storie testimoniate attraverso parole e immagini nei social è possibile cogliere la separazione tra l’orizzonte di dolore e il rimando al momento di gioia e spensieratezza che il ricordo della festa comporta riportandoci nuovamente alla costante oscillazione tra sofferenza e gioia di cui parlava Di Nola [6] con riferimento alla Santissima. La festa mancata o la festa ridimensionata, di nuovo, è stata occasione per far emergere la condizione politico-sociale dei suoi attori, come avveniva nelle famose foto di Morpurgo, ancora oggi i documenti visuali (esteticamente meno rilevanti certo di quelle del grande fotografo) gridano comunque umanità e mostrano come questo microcosmo che è la Santissima si faccia portatore di istanze trasversali alla devozione, accogliendo anche la dimensione sociale e culturale. 

Le tematiche cambiano continuamente, la stessa narrazione della festa si può collocare su un versante differente, i racconti sono agiti direttamente dai protagonisti e le fonti vanno interpretate in questa dialettica costante tra osservatore e osservato (per riprendere il rapporto sbilanciato tanto caro agli antropologi). Sarebbe molto interessante ricostruire anche questo aspetto, e cioè quali cambiamenti ha subìto la festa della Santissima Trinità di Vallepietra, così tanto enfatizzata, nelle stesse rappresentazioni che si sono sedimentare nei decenni ad opera di studiosi, cultori locali, protagonisti, devoti, ecc. La memoria storica da me ripresa è stata quella delle fonti scritte e mediate da altri che prima di me sono stati sul campo e hanno indagato in tempi ben diversi la Santissima, coloro che hanno avuto ancora la possibilità di ascoltare le vive voci della materia narrativa di un mondo contadino che trovava nel pellegrinaggio l’esito di un percorso ciclico di congiunzione tra la sacralità e la dura realtà, e ovviamente alcune fonti orali che hanno soprattutto narrato le dinamiche del presente in riferimento anche a quelle fonti scritte che sono state restituite in vario modo al territorio.

otogramma del documentario "Il pianto delle zitelle" di Giacomo Pozzi bellini del 1939, in particolare si tratta di una invocazione di grazia alla Santissima, presso la chiesa di Vallepietra

Preghiera presso la chiesa di Vallepietra, i fedeli  intonano l’inno delle Tre Persone sull’altipiano delle Croci (ph. Luciano Morpurgo) tra il 1920 e il 1923

La potenza dei testi (in qualsiasi forma io li abbia consultati) risulta di immediata lettura per la Santissima anche se alimenta dubbi, interrogativi umani a cui probabilmente non vi è una sola risposta. L’operazione avvenuta presso la Santissima nell’ultimo secolo da parte degli esperti ha consentito l’“oggettivazione” di tutto un materiale umano che ne consente per fortuna la trasmissione, trasformando la complessità di un culto, la soggettività del molteplice a una connotazione oggettuale che ha visto fiorire rilevamenti, campagne fotografiche, schede di catalogo, destinati a rendere fruibile e oggetto di comparazione la festa di oggi e quella di ieri.                   

Le risposte trovate sul campo della festa alla pandemia rendono interessante anche le strategie messe in moto per affrontare l’emergenza, da quelle organizzate a quelle più resistenti. Alcune reazioni sono arrivate subito, per esempio il 15 marzo del 2020 nel momento più buio per tutti, quando l’Italia stessa si chiedeva quali fossero stati gli errori fatti dalla politica per ritrovarci con il peso di tutte quelle morti per Covid, è stato organizzato un flashmob personalizzato a Vallepietra: il Canto di fede alla S.S. Trinità è stato cantato dai vallepietrani affacciati ai balconi con una esplicitata motivazione di richiesta di pace, serenità e protezione rinvenibile in un video sulla pagina dedicata alla Confraternita. Un gesto di solidale partecipazione rivolto a chi soffriva in quel momento per la perdita di una persona cara e soprattutto un sostegno verso i medici e gli infermieri che lavoravano incessantemente per salvare delle vite. Mentre tutta Italia cantava l’inno di Mameli, a Vallepietra si cantava l’inno alla Santissima a dimostrazione di una prospettiva di speranza, di una comunità tutta rivolta alla richiesta di un miracolo. Ovviamente da quel momento in poi è avvenuta una vera e propria implementazione delle cerimonie trasmesse attraverso i nuovi media.

 Pellegrini consumano un pasto seduti sul piazzale del santuario, foto di Luciano Morpurgo scattata tra il 1917 e il 1923

Pellegrini consumano un pasto seduti sul piazzale del santuario (ph. Luciano Morpurgo) scattata tra il 1917 e il 1923

Sempre nel 2020 in occasione della Settimana santa, non avendo potuto inscenare La Lauda Sacra “Il Pianto delle Zitelle” dal vivo, lo stesso venne fatto ascoltare attraverso la filodiffusione a Vallepietra, ciò avveniva il 10 aprile. Per un paese, per tutte le comunità che hanno la festa della Santissima come appuntamento ben preciso del loro ciclo annuale abituale, non compiere quella festa, quei riti sociali o religiosi che siano, ha significato l’ingresso in un orizzonte di smarrimento a cui per ben due anni, all’avvicinarsi della stagione estiva, sembrava si potesse porre fine, uno smarrimento non solo spirituale ma anche di tipo più materiale, che ha determinato una crisi anche nell’economia locale. Per Vallepietra con i suoi circa 247 abitanti la Santissima costituisce, infatti, anche il principale motore dell’organizzazione lavorativa. Basti pensare che per questa piccolissima comunità esistono circa 60/70 attività commerciali che ruotano attorno al santuario e 6/7 ristoranti che accolgono in tempi “normali” i pellegrini.

L’attesa ha dunque significato anche alimentare una certa speranza, affinché questo anno finalmente si sarebbe compiuto il ritorno alla festa di prima, anche se la festa lo sappiamo non è mai la stessa dell’anno precedente e anche se apparentemente la si è fatta come prima, ha mantenuto dentro tutta la carica emotiva di questi tempi di pandemia appena alle spalle. Le tracce di memoria raccolte nei due anni di pandemia si dichiarano esplicitamente come sospese anche se guardano oltre e già in ciò producono un orizzonte nuovo da cui rimettersi in cammino. Certamente il rapporto con lo spazio sacro del santuario è mancato tantissimo e il ripraticarlo ha inevitabilmente rimesso in movimento anche ciò che la sospensione aveva assopito ma mai fermato. Anche nel periodo più triste della pandemia quando vi era il coprifuoco, dai sentieri alla spicciolata, qualcuno è arrivato ugualmente alla Santissima, dei ragazzi si sono accampati in tenda e lì hanno trascorso la notte, per poi essere anche multati, a riprova della resistenza di questo movimento che certo si è placato ma che ha spinto affinché si potesse tornare alla “normalità” e infatti si è rianimato al minimo segnale la scorsa primavera. Lo scopo dei pellegrini, fedeli, confratelli e consorelle, viaggiatori è stato raggiunto ritornando ad un’ampia partecipazione nell’ultima festa del 12 giugno. Accedere nuovamente alla valle santa, ritornare nello spazio sacro su cui ciclicamente gravitano le comunità è apparso come un dono per molti dopo oltre due anni di confino. Eppure mi pare si inserisca il tutto nello stesso contesto di accelerazione che abbiamo vissuto nell’ingresso in questo tempo ‘altro’, allo stesso modo la smania di riprendere l’interrotto cavalca sopra la riconquista di spazi più lenti, il ritorno ai piaceri della condivisione degli spazi domestici, l’acquisizione di poter coltivare vecchie passioni relegate in un angolo che nonostante la pandemia si erano individuate come note positive inserite nell’ottica di una riconquista di memoria.

pupazza foto di M. Moltoni, 2021

Pupazza, 2021 (ph. M. Moltoni)

Conclusioni parziali

Forse questo tempo sospeso ci ha fornito l’opportunità di “utilizzare” le memorie in maniera sovversiva, come scriveva Corrado Alvaro, ci permetterà di rintracciare un barlume nel cammino in questa direzione: questa era la mia aspettativa e ipotesi di partenza. Se ho colto delle costanti nell’indagine molti interrogativi rimangono proprio perché la sospensione, la percezione comunicata dagli attori coinvolti nella ricerca e documentata attraverso le testimonianze sul campo e a distanza, non sembra finita, messa completamente da parte, nonostante un apparente ritorno al prima.

Certamente le forme culturali di devozione popolare si sono trasformate e reinventate là dove hanno in una qualche forma resistito e trovato delle scappatoie per poter sopravvivere in modalità sostitutive ma non per questo definitive. Qui potremmo parafrasare Michel de Certeau quando parla di “invenzione del quotidiano” riferendosi a tutti quegli atti creativi nascosti che hanno permesso di capovolgere le situazioni imposte dall’alto, nel nostro caso dalle istituzioni pubbliche, dallo stato d’emergenza, dallo sguardo e dalla postura difensiva verso il nostro vicino. Sono state effettivamente messe in campo delle strategie per sottrarsi alla realtà in maniera discreta, senza clamore, modalità che hanno permesso di mantenere un filo con ciò che la festa rappresentava nella tradizione più vicina nel tempo e l’innovazione che avanza e dentro la quale la pandemia ha già lasciato la sua impronta. Riattualizzare un evento sacro attraverso un tempo straordinario, quello della festa, è però una pratica su cui gli uomini hanno sperimentato per secoli la propria dimensione umana, per cui la ripresa di un tempo “normale” scandisce nuovamente l’alternanza con il tempo della festa, lo abbiamo già visto in maniera timida per molte ricorrenze prima dell’estate e in modalità dirompente durante la stessa. Per «il Tempo sacro, che ha l’aspetto paradossale di un Tempo circolare, reversibile e recuperabile, una specie di eterno presente mitico reintegrato periodicamente attraverso i riti» (Eliade, 2006: 48) è facile recuperare lo spazio della festa laddove il rito venga nuovamente performato, le comunità nel ripristino del rito torneranno ad essere contemporanei del loro santo patrono Biagio, del mistero della Santissima o delle pene della santa martire Anatolia. Per il mondo dei beni immateriali che è soprattutto partecipazione, quanto questo pesa e peserà nella ripresa di tali processi dopo questa “sospensione” non è dato misurarlo oggi, rimaniamo in attesa dei prossimi sviluppi.

Altro elemento individuato è la riqualificazione personale degli spazi periferici, marginali, decentrati dei paesi come luoghi privilegiati in cui vivere durante questa triste parentesi del Covid. I testimoni hanno vissuto la residenza in piccoli paesi come un rifugio, una consolazione per la possibilità di avere accesso ad uno spazio verde, più di chi vive in posti densamente abitati come le città. Questo è un punto forte della retorica costruita sul bel paese dove tornare, in cui proiettare un possibile sviluppo futuro, ma ovviamente funziona per alcuni e in alcune condizioni, meno per altri a cui per età, per limiti oggettivi di istruzione, di possibilità di muoversi, limita lo spazio di azione nella pratica di tutti i giorni: la distanza da un presidio sanitario, l’assenza di servizi di prima necessità, l’isolamento, ecc. Importante rimane anche l’attuazione della cosiddetta iatrogenesi culturale di Illich in questo panorama di sofferenza, dolore concatenato alla escalation degli eventi a cui tutti abbiamo assistito.

La salute come responsabilità collettiva ci ha portati a modificare le nostre vite, e ciò potrebbe essere stata forse un’occasione per recuperare l’attenzione per il prossimo e la cura anche di sé stessi, spesso farsi carico delle esigenze personali rimane impegno inascoltato a causa della accelerazione delle nostre vite. Ho cercato dunque di cogliere un dato parziale e temporaneo di ciò che è avvenuto, con l’auspicio che possa ancora essere utile per porsi in ascolto e per riflettere, senza la pretesa di trovare risposte.

Un’immagine per qualche mese mi ha accompagnata a rafforzare l’idea della resistenza creativa, a volte anche irriverente, che ci dice molto sul come il ritornare comunque ad agire durante una fase ancora di restrizioni che però guardava con speranza al ritorno delle feste. È quella della pupazza (fantoccio rituale) realizzata a Roviano nel cuore della Valle dell’Aniene per la festa della Madonna del Rosario del 2021, la quale ostenta dei seni che riproducono l’immagine del virus. La prospera signora è stata definita la pupazza anti-Covid ed è stata soggetta allo stesso destino delle pupazze precedenti: essere tastata tra l’ilarità generale della piazza mentre balla e a fine serata essere bruciata.

Dialoghi Mediterranei, n. 58, novembre 2022 
Note
[1] Il testo è un estratto della tesi di laurea dal titolo “Feste sospese e ripensamenti in tempo di pandemia. Tre casi nella Valle dell’Aniene” discussa l’8 aprile 2022 presso l’Università di Perugia nel Dipartimento di Filosofia, Scienze sociali, Umane e della Formazione con relatore il prof.re Giovanni Pizza.
[2] Mi riferisco a quanto velocemente si sia passati da un sentimento di prudenza e attenzione alle piccole riconquiste festive, alle performance piene compiute spesso con enfasi, come è giusto che sia, ma che rimandano immediatamente dalla sospensione delle feste alla sospensione della riflessione.
[3] Si tratta di un evento itinerante nato dall’iniziativa di P. Nardi e regia di F. de Melis, OpenLab Company, condiviso con il Ministero dei beni culturali sulla base di un progetto legato ai bandi della L.77/2006 di cui il Comune di Sassari è stato soggetto amministrativo capofila. L’evento trasmesso in streaming, dato che la fruizione rimaneva limitata e controllata secondo le normative vigenti. Inoltre concepito come un grandissimo set, l’evento è stato a sua volta filmato con droni e alte tecnologie: il risultato complessivo confluirà in un’opera cinematografica sull’esperienza delle feste in absentia, con l’obiettivo di rappresentare all’UNESCO quella che certamente si può definire una buona pratica di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio in tempi di crisi.
[4] Per approfondire l’argomento riferibile alla storia delle confraternite, compagnie, fratellanze nella valle dell’Aniene si rimanda a Simeoni, 1991.
[5] La testimonianza è stata raccolta in modalità a distanza a causa dell’impossibilità di recarsi sul posto per le condizioni della pandemia prima e avverse per il meteo successivamente poiché la conclusione dei rilevamenti è avvenuta appunto nella stagione invernale 2022.
[6] La presenza di Di Nola a Vallepietra mi è stata segnalata dal prof. re Giovanni Pizza, relatore della tesi, attraverso l’invio del documento fotografico soprariportato contenuto nei Quaderni de “La Rivista Abruzzese” 50 del 2004 a cura di I. Bellotta e E. Giancristoforo. 
Riferimenti bibliografici
Aa.Vv., Enciclopedia dei Santi, Biblioteca Sanctorum, Istituto Giovanni XXIII nella Pontificia Università Lateranense, Roma, 1961
Addessi G., “Alcuni aspetti della festa di S. Anatolia a Gerano”, in Bernardini F.F., Simeoni P.E. (a cura di), Ricerca e territorio. Lavoro, storia, religiosità nella valle dell’Aniene, Leonardo-De Luca editori, Roma, 1991
Addessi G., “La storia di S. Anatolia fra tradizione orale e documentazione scritta”, in Bernardini F.F., Simeoni P.E. (a cura di), Ricerca e territorio. Lavoro, storia, religiosità nella valle dell’Aniene, Leonardo-De Luca editori, Roma, 1991
Agamben G., Contagio, Quodlibet, 11 marzo 2020,
Bellotta I. I Santi patroni d’Italia, Newton & Compton, Roma 2001
Berger P.L., Il brusio degli angeli. Il sacro nella società contemporanea, Il Mulino, Bologna, 1995
Bernardini F.F., Simeoni P.E. (a cura di), Ricerca e territorio. Lavoro, storia, religiosità nella valle dell’Aniene, Leonardo-De Luca editori, Roma, 1991
Bernardini F.F., “Fiere e mercati nella media ed alta valle dell’Aniene nel XIX secolo” in Bernardini F.F., Simeoni P.E. (a cura di), Ricerca e territorio. Lavoro, storia, religiosità nella valle dell’Aniene, Leonardo-De Luca editori, Roma, 1991: 141-146
Bloch M., I re taumaturghi, Einaudi, Torino, 2013
Brelich A., Un culto preistorico vivente nell’Italia centrale in “Studi e Materiali di Storia delle religioni”, Vol XXIV-XXV 1953-1954, Zanichelli Bologna, 1955:36-59
Broccolini A., “Festaroli: norme e creatività in un “sistema” festivo di area” in Santi, Pantasime e Signori. Feste della Bassa Sabina, Espera, Roma, 2013
Brown P., Il culto dei santi. L’origine e la diffusione di una nuova religiosità, Einaudi, Torino, 2002
Cannada Bartoli V., Il santo in casa. Retorica dell’alternanza in un rito, Aracne editrice, Roma, 2005
Castaldo M., La nuova vita dei lavatoi e delle terrazze condominiali, 28 aprile 2020, in “Etnografie di quartiere”, 2 ANPIA
Censi G., Sant’Anatolia a Gerano, Graphiser, Roma, 1993
Cignitti B., Santa Anatolia, in Bibliotheca Sanctorum, Roma 1961: 1074-1079
Crocetti G., Settimi G., Vittoria e Anatolia. Vergini romane-Martiri in Sabina. La “Passio”, le reliquie, il culto, Edizione La Rapida, Fermo, 1973
D’Achille A.M., “Gli affreschi del santuario della Santissima Trinità sul monte Autore presso Vallepietra”, in Fede e tradizione alla Santissima Trinità di Vallepietra 1981-2006, Artemide edizioni, 2006, Roma
De Certeau M., L’invenzione del quotidiano, Edizioni lavoro, Roma, 2012
Dei F., L’antropologia e il contagio da coronavirus-spunti per un dibattito, 15 marzo 2020, in FARE ANTROPOLOGIA, portale di Antropologia culturale
De Martino E., Sud e magia, Feltrinelli, Milano, 2001.
De Rossi A. (a cura di), Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste, Donzelli, 2018
Di Nola A., Gli aspetti magico-religiosi di una cultura subalterna italiana, Boringhieri, Torino, 1976
Di Nola A. M., Grossi Q., Memorie di una festa, Quasar, Roma, 1980  
Eliade M., Il sacro e il profano, Boringhieri, Torino, 2006
Faeta F., “Un pellegrinaggio e le sue rappresentazioni” in Simeoni P. E. (a cura di), Fede e tradizione alla Santissima Trinità di Vallepietra 1981-2006, Artemide edizioni, Roma, 2006
Gallini C., Il miracolo e la sua prova. Un etnologo a Lourdes, Liguori editore, 2002
Hobsbawm E. J., Ranger T., L’invenzione della tradizione, Einaudi, Torino, 2002
Illich I., Nemesi medica. L’espropriazione della salute, Boroli editore, Milano, 2005
Lanternari V., Festa, carisma, apocalisse, Sellerio, Palermo, 1983
Lombardozzi A., “Feste e religiosità nella media e alta valle dell’Aniene” in Bernardini F.F., Simeoni P.E. (a cura di), Ricerca e territorio. Lavoro, storia, religiosità nella valle dell’Aniene, Leonardo-De Luca editori, Roma, 1991: 247-256
Migliorini E. (a cura di), Il Centro di documentazione “Valle dell’Aniene”, edizioni Efesto, Roma, 2019
Martini A., Origini e sviluppo delle confraternite in “La Ricerca Folklorica”, 52, ottobre 2005: 514
Mauss M., Saggio sul dono. Forme e motivo dello scambio nelle società arcaiche, Einaudi, Torino, 2002
Migliorini E. (a cura di), Il Centro di Documentazione “Valle dell’Aniene”. Catalogo dei materiali, Edizioni Efesto, Roma, 2019
Niola M., I santi patroni, Il Mulino, Bologna, 2007
Palumbo B., Storie virali. L’inappagato bisogno di società, 10 maggio 2020, in Magazine TRECCANI
Panajia E., “Compagni invisibili. I santi patroni fondatori di località” in Broccolini A., Migliorini E., (a cura di) Santi Pantasime e signori. Feste della Bassa Sabina, Espera, Roma, 2013
Paschini P., Pizzardo G., Enciclopedia Cattolica, II ARN-BRA, Sansoni, Firenze, 1949.
Pizza G., Storie virali. Sul contagio di Agamben e la storia della mosca di Wittenstein, 25 marzo 2020 in Magazine TRECCANI
Simeoni P.E., “Confraternite e fratellanze nell’alta valle dell’Aniene” in Bernardini F.F., Simeoni P.E. (a cura di), Ricerca e territorio. Lavoro, storia, religiosità nella valle dell’Aniene, Leonardo-De Luca editori, Roma, 1991
Simeoni P. E. (a cura di), Fede e tradizione alla Santissima Trinità di Vallepietra 1981-2006, Artemide edizioni, Roma, 2006
Simeoni P. E. (a cura di), Essere donna essere uomo nella Valle dell’Aniene, EdiLazio, 2006
Teti V., Prevedere l’imprevedibile. Presente, passato e futuro in tempo di coronavirus, Donzelli, Roma, 2020
TOMEI 1983: M.A. Tomei, Sopravvivenza di un culto preromano nell’Alta Valle dell’Aniene: considerazioni in margine alle Triadi italiche, «AttiMemTivoli» 56, 1983: 7-19
Turner V., Turner E., Il pellegrinaggio, Argo, Lecce, 1997
Zanotti Bianco U., Tra la perduta gente, ILISSO Rubbettino, 2006
Sitografia
https://agcult.it/a/23961/2020-09-03/il-patrimonio-immateriale-in-tempo-di-pandemia-al-via-il-progetto-le-feste-sospese
http://www.santuaricristiani.iccd.beniculturali.it
https://www.museimedaniene.it/musei-medaniene/museo-di-roviano/la-pupazza/
https://www.treccani.it/magazine/atlante/speciali/Storie_virali/Storie_virali.html
http://anpia.it/etnografie-di-quartiere-2/
https://osservatoriolagiustadistanza.blogspot.com/2020/06/etnografie-dellisolamento-e-del-nostro.html?m=1
http://fareantropologia.cfs.unipi.it/notizie/2020/03/1421/
https://www.quodlibet.it/giorgio-agamben-contagio
https://www.treccani.it/magazine/atlante/cultura/Storie_Virali_Sul_contagio_di_Agamben.html
https://www.ilbenecomune.it/2020/04/13/laculturanonsiferma-quarantena-di-parole-note-dal-taccuino-nero-di-letizia-bindi/
http://www.santuaricristiani.iccd.beniculturali.it/AreaPubblica.htm
https://santanatolia.it/contributi/cartella-files/caponi_pietro notizie_storiche_di_s_anatolia_vergine_e.pdf
https://www.casaledicarinola.net/2016/01/24/paolo-di-tarso-morsi-velenosi-tarantismo-e-altre-curiosita/
https://ilmanifesto.it/alfonso-maria-di-nola-uno-sguardo-sul-razzismo/
https://www.facebook.com/ConfraternitasstVallepietra/videos/3895780307099584
http://www.storiaetradizioni.it/links/9-saggi/13-il-pellegrinaggio-a-vallepietra-nelle-corrispondenze-di-cesare-pascarella-giornalista-viaggiatore-e-fotografo.html?limitstart=0 

________________________________________________________ 

Emanuela Panajia ricercatrice in ambito antropologico e docente di scienze umane, ha effettuato ricerche sulle migrazioni, antropologia medica, tradizioni popolari. È impegnata in una prolungata attività di rilevamento e di studio su diversi aspetti delle culture immateriali soprattutto nel Lazio e in Calabria. Collabora come socio e ricercatrice con l’Associazione Eolo-Etnolaboratorio per il patrimonio culturale immateriale dal 2010 con esperienza nell’ambito della ricerca sul terreno, sia sulla catalogazione dei beni demoetnoantropologici materiali e immateriali, sia nell’utilizzo di mezzi tecnici per l’acquisizione di documentazione in ambito catalografico. Ha maturato alcune collaborazioni con Musei territoriali soprattutto del Lazio (Roviano, Gavignano, Pontecorvo), con università e archivi di documentazione. Ha pubblicato Compagni invisibili. I Santi patroni fondatori di località, in Santi, Pantasime e Signori. Le feste della Bassa Sabina, a cura di Broccolini A., Migliorini E. (2013; Giochi di memoria Etnografia in un centro Alzheimer, in Gioco e giocattolo a cura di Valentina Rossi, 2015; Alimentare la fede. Pratiche di consumo e preghiera per la festa di Sant’Antimo a Nazzano in Il Cibo e la Festa. Pratiche alimentari nelle aree appenniniche del Lazio a cura di Migliorini E. (2017), nonché Storie di gelsi e bozzoli. La cura del baco, il seme d’accudire, una economia domestica tutta al femminile e Storie di donne e tabacco, tra pannocchie e filari. Le tabacchine di Magliano e il loro ruolo di risorse economico sociale in I segni del lavoro. I siti produttivi in Bassa Sabina tra agricoltura e industria dal XVIII al XX secolo a cura di Fondazione Nenni e Associazione Eolo di cui ha coordinato la ricerca antropologica.

______________________________________________________________

 

 

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Società. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>