il centro in periferia
di Settimio Adriani, Claudia Giuliani, Veronica Paris
Sui sempre più brevi affollamenti estivi dei piccoli paesi e i bruschi ritorni alla solitudine autunnale, è particolarmente appropriata e profonda la riflessione di Pietro Clemente, probabilmente maturata durante la sua (purtroppo) breve permanenza in paese per supervisionare e intervenire al convegno «Riabitare Fiamignano», tenuto il 29 agosto 2020, in piena pandemia:
«in una montagna appenninica come quella di Fiamignano il passaggio dai [100] abitanti – di cui molti pendolari – ai [1.000] abitanti dei mesi estivi è una esperienza quasi traumatica. E la fine dell’estate è una esperienza di quasi abbandono per chi resta» [1].
Le partenze sono imprescindibili, anche perché, perlopiù, chi vive in città riesce a stare bene in paese soltanto per brevi periodi, così come è altrettanto probabile che un paesano possa facilmente soffrire la vita frenetica cittadina. D’altra parte, città e paese sono palesemente e sostanzialmente diversi, e i relativi abitanti sono diversamente abituati: «L’umanità si è costituita, fisiologicamente e culturalmente, vivendo in comunità che interagivano con specifiche nicchie ecologiche e sociali» [2].
Il continuare a vivere nelle piccole comunità, piuttosto che il tornarci periodicamente in vacanza, non sono (o non dovrebbero essere) dipendenti dai goffi tentativi di rendervi l’esistenza simile a quella metropolitana.
I paesi non devono (o non dovrebbero) scimmiottare le città. Esigenze, contesti e problematiche sono infatti marcatamente diversi, e diversi dovrebbero essere anche gli approcci e le soluzioni. Eppure, purtroppo, anche dal punto di vista legislativo molti aspetti peculiari e distintivi continuano ad essere accomunati come se fossero rivolti a un’unica realtà. Cosicché, soltanto per fare qualche esempio emblematico, le normative vigenti non distinguono la forza economica e le capacità organizzative dei soggetti che operano nei grandi centri da quelle analoghe ma spicciole e limitate di chi agisce nei borghi [3]. Dal punto di vista ambientale, ad esempio, puntano in modo sacrosanto all’intangibilità senza se e senza ma di ogni essenza arborea, negando però, in mancanza di distinzione, la possibilità di tagliare un albero se fa ombra sull’orto; così come continuano giustamente a stigmatizzare la soppressione di ogni specie animale, senza però tenere conto che il maiale, pur dovendo essere senz’altro allevato con tutti crismi del rispetto e del benessere, è mantenuto e cresciuto esclusivamente per essere macellato; non considerando che se la tutela del silenzio e della quiete è ovunque una grande necessità, nei villaggi, dove è una risorsa di per sé già forzosamente imperante, se esasperata e trasformata in una gabbia dalla quale è impossibile uscire può ritorcersi come un fattore negativo; e molto altro ancora ci sarebbe da rilevare.
Insomma, la fragilità economica e le conseguenti difficoltà organizzative, la buona conduzione dell’orto, l’allevamento degli animali per il consumo familiare, i ritmi lenti e la tranquillità, sono soltanto alcuni dei caratteri salienti del vivere in paese, che dovrebbero avere una specifica e peculiare considerazione nelle normative. Tutto ciò è però auspicato ma non contemplato, cosicché quando città e paese si incontrano (o si scontrano) può accadere l’assurdo [4]. Incongruenze che ovviamente non dipendono soltanto dalla mancata distinzione normativa, ma possono anche scaturire dalla soggettiva diversità d’intendere l’esistenza.
Tale è l’infelice vicenda che si riporta come esempio, accaduta a Fiamignano durante l’estate appena trascorsa e perfettamente tratteggiata nei seguenti versi di Giacomo Leopardi, estrapolati dal Passero solitario e parafrasati all’occorrenza.
[…]
Odi spesso un tonar di ferree canne,
che rimbomba lontan di villa in villa.
Tutta vestita a festa
la gioventù del loco
lascia le case, e per le vie si spande;
e mira ed è mirata, e in cor s’allegra […]
Ecco la premessa e i fatti. Arriva agosto, il paese si riempie di villeggianti e, finalmente, dopo undici mesi di forzosa e assoluta quiete, «Tutta vestita a festa / la gioventù del loco / lascia le case, e per le vie si spande; / e mira ed è mirata, e in cor s’allegra» nell’affannosa ricerca di un po’ del desiderato caos. Ma è proprio allora che in quelle stesse «case» dalla città è arrivato chi, dopo undici mesi di forzoso caos, s’affanna a ricercare gli altrettanto anelati silenzio e quiete. Ed è così che gli opposti quiete e caos diventano il pomo della discordia.
Chi vive in paese sa bene quanto sia breve agosto e, come ha rilevato Pietro Clemente, sa altrettanto bene che al suo tramontare le case dei villeggianti si svuoteranno rapidamente, sa che presto arriverà l’autunno e con esso torneranno il lungo silenzio, la durevole solitudine e la quiete assoluta. Occorre quindi darsi subito da fare, non si può perdere tempo, perché «la gioventù del loco» vuole finalmente vestirsi a festa, «lascia[re] le case» e spandersi nelle strade.
Per quanto e per quel poco possibile a Fiamignano c’è la Pro Loco ad appoggiare il tentativo di appagare quello spasmodico desiderio. A tal fine, insieme alla «gioventù del loco», quest’anno ha ideato i “convivi rionali”; nulla di trascendentale, semplici ma accanite sfide aggregativo/culinarie tra i diversi vicinati (dalle nostre parti così si chiamano i rioni). In tali occasioni, basate sulla spontaneità, ogni vicinato aderente organizza nei propri vicoli una cena gratuita e aperta a tutti; con menù, annessi e connessi a sorpresa. Le spese vive, fatte obbligatoriamente nel piccolo alimentari e nel bar del paese, anche a discapito del risparmio, sono totalmente a carico dell’Associazione, che in tal modo punta a favorire le occasioni di socializzazione e a dare una boccata d’ossigeno agli unici e sofferenti esercizi commerciali ancora esistenti.
Non sono previsti giuria, né esperti di settore, né (finalmente!) chef stellati valutatori. Il giudizio, assolutamente informale e solo apparentemente insignificante, è lasciato alla gente; non sono previsti verdetti formali né graduatorie, non ci sono premi né riconoscimenti. Ma, al pari di ogni altro evento che capiti localmente, si parlerà a lungo di chi ha fatto bene e chi male, di chi ha fatto troppo e chi poco, di chi ha avuto inventiva e di chi è stato prevedibile; dando spazio alle opinioni concordi e contrastanti, alle contraddizioni, alla faziosità, agli sberleffi, alle gelosie e alle ripicche.
Così, intanto, si creano le condizioni per vitalizzare la piazza, che per undici mesi è rimasta deserta, o quasi. È stato sufficiente solleticare ad arte le piccole rivalità interne e la non sempre celata voglia di mettersi in mostra di alcuni compaesani, per raccogliere in un attimo l’adesione un po’ brancaleonica di quattro vicinati: Piedi la terra, Arentino, Fonte e Casini. Nel volgere di pochissimo tempo si sono spontaneamente e informalmente materializzati altrettanti gruppi, sparuti ma sufficientemente accaniti, che hanno allestito i siti prescelti e offerto i loro convivi nell’ordine elencato. Ognuno ha cercato di fare più di chi li ha preceduti, fino all’esagerazione: luminarie fatte in casa, farro e lenticchie, ciufelìtti sfrittu e càciu, formaggi col miele, fritture e pizze rentòrte, vino e dolci, tutto ad libitum.
In un clima di caotica festosità, si sono visti «lascia[re] le case, e [spandersi] per le vie» anche coloro che non sono soliti farlo, perché di spirito solitario o fisicamente impossibilitati, e questo inorgoglisce più di ogni altra cosa. In ogni vicinato residenti e villeggianti si sono coalizzati in sgangherate fazioni attente a scrutarsi vicendevolmente, cercando di cogliere le fragilità organizzative e i difetti delle portate degli altri, per poterli poi surclassare proprio lì, in una sorta di premeditato e giocoso girare il coltello nelle piaghe altrui.
Tutti hanno fatto del loro meglio, ma i Casini hanno voluto strafare, e per dare il colpo di grazia agli altri vicinati alla fine della serata hanno inscenato i fuochi d’artificio. Non certo quelli che si è soliti vedere in TV dalle grandi città di ogni dove, né quelli delle inaugurazioni olimpiche o dei capodanno esotici, e neanche quelli più modesti che nei giorni di festa dei santi patroni di ogni paese tutti gli anni «rimbomba[no] lontan di villa in villa»; hanno dato fuoco a una di quelle innocue scatole di libera vendita con una ottantina di botti che chiunque può acquistare e innescare autonomamente, senza autorizzazioni di sorta e in assenza dell’artificiere. Tanto per chiarire, quelle solitamente usate nei compleanni e nelle festicciole familiari, assolutamente non pericolose ma di sicuro effetto che si fanno brillare tranquillamente anche nei balconi di casa.
Esploso l’ultimo colpo, l’assembramento si è sciolto apparentemente in modo ordinario e sereno, con qualche applauso di compiacimento, le solite critiche e l’ironica sfida di rivincita per l’anno successivo. Nulla lasciava presagire che stesse incubando una questione seria. Soltanto la mattina successiva, infatti, si è venuto a sapere che un villeggiante era sollecitamente andato nella locale caserma dei carabinieri per denunciare, furiosamente, che il «tuonar di ferree canne» aveva spaventato il suo cagnolino. Il presunto danneggiato riteneva l’accaduto totalmente ingiustificato e intollerabile, tanto che minacciava di chiamare in giudizio «la gioventù del loco», per essersi macchiata dell’aver organizzato (il misero) evento pirotecnico senza tenere d’occhio tutti gli (inesistenti) iter autorizzativi e a discapito delle esigenze della sua povera bestiola, che, a suo dire, avrebbe dovuto avere la precedenza sui desideri dell’intera seppur piccola comunità. Questa reazione, inattesa, è però risultata irritante e intollerabile anche per quella «gioventù del loco» che «Tutta vestita a festa» in queste effimere occasioni estive «lascia le case, e per le vie si spande; / e mira ed è mirata, e in cor s’allegra» nel ricercato caos.
Onestamente, non si possono ritenere illegittime neanche le ragioni del villeggiante, che dopo undici mesi di stress e caos ha portato sé stesso e il suo cagnolino a ricercare un mese di silenzio e quiete. Per la verità, tale controversa situazione è risultata meno strana ai più attempati, coloro che hanno vissuto un evento simile alcuni decenni addietro, all’epoca in cui loro stessi erano «la gioventù del loco» che «Tutta vestita a festa» in agosto ‘lasciava le case, per spandersi nelle vie’ e proprio mentre ‘mirava ed era mirata, e in cor s’allegrava’, sulla stessa piazza vide spirare l’amatissima, ambita e sempre acclamata pantàsima [5]. Accadde infatti, come avveniva ininterrottamente da secoli, che in assenza di rischi reali e dovendo fare come sempre i conti con la limitata disponibilità economica, il fantoccio era stato fatto brillare e ballare in barba a tutti i lacci e i lacciuoli posti dalla folle normativa vigente in materia di sicurezza per quelle specifiche occasioni. Il tutto col doppio fine di favorire il ricercato caos e nel contempo mantenere viva la tradizione.
Allora fu però sufficiente che una scintilla bucasse la maglietta di un villeggiante, avvicinatosi impropriamente e incautamente alla sagoma scoppiettante, che lo stesso presunto danneggiato facesse emergere, ahimè a ragione, le manchevolezze di sempre. A carico della «gioventù del loco», organizzatrice della festa, fu avanzata formale denuncia per l’accaduto, e quella fu l’ultima pantàsima.
Lo scorso agosto stava per ripetersi un fatto simile. Chissà se andando avanti di questo passo, continuando a privilegiare le legittime ragioni dei cani rispetto a quelle altrettanto legittime degli uomini; continuando a dare spazio all’ottusità di alcune regole restrittive a discapito della reale, semplice e innocua fattibilità delle cose; continuando follemente a chiedere alle piccole comunità e alle minuscole associazioni ciò che sicuramente non potranno mai garantire; la nostra sempre più improbabile futura «gioventù del loco» avrà ancora l’occasione di mettersi «Tutta vestita a festa» per «lascia[r] le case», spandersi «per le vie» e mentre «mira ed è mirata, e in cor s’allegra», avrà ancora la possibilità di udire di anno in anno «[…] un tonar di ferree canne / che rimbomba lontan di villa in villa».
Dialoghi Mediterranei, n. 58, novembre 2022
Riferimenti bibliografici
[1] Pietro Clemente, Piccoli paesi nell’ondata del virus. Resistenza, democrazia, comunità, «Scienze del territorio», Special issue “Abitare il territorio al tempo del Covid”, 2020: 50. DOI: 10.13128/sdt-12331
[2] Stefano Boni, Homo comfort, Milano, Elèuthera, 2019: 113.
[3] È plausibile che gli esercizi commerciali e gli artigiani di un paese di 100 anime (meno di quante ne vivono in un palazzo cittadino di medie dimensioni) siano sottoposti alle stesse aliquote di tasse e imposte applicate nelle grandi città? È giusto che nelle adesioni ai bandi pubblici le associazioni del terzo settore delle grandi città e dei piccoli centri siano soggette agli stessi criteri di valutazione?
[4] http://www.unplilazio.it/mio-contenuto/uploads/2020/12/classifica-provvisoria.pdf
[5] Alessandra Broccolini, Pupe, pupazze e altri fantocci rituali. Creatività, marginalità e resistenza tra Lazio e Abruzzo, in Emiliano Migliorini (a cura di), Il ballo della pupazza. Fantocci e giganti rituali nelle feste dell’Italia centrale, Roma, Efesto, 2017: 13-40.
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Settimio Adriani, laureato in Scienze Naturali e Scienze Forestali, si è specializzato in Ecologia e ha completato la formazione con un Dottorato di ricerca sulla Gestione delle risorse faunistiche, disciplina che ha insegnato a contratto presso le Università degli Studi della Tuscia di Viterbo (facoltà di Scienze della Montagna, sede di Rieti), di Roma “La Sapienza” (facoltà di Architettura Valle Giulia) e dell’Aquila (Dipartimento MESVA). Per passione studia la cultura del Cicolano, sulla quale ha pubblicato numerosi saggi.
Claudia Giuliani, laureata nel corso triennale in Tutela e Benessere Animale dell’Università degli Studi di Teramo, presso lo stesso ateneo è attualmente iscritta al corso di laurea magistrale in Scienze delle Produzioni Animali Sostenibili. Ha maturato esperienze formative a Teramo presso l’Ospedale veterinario dell’Università e a Rieti presso l’Ambulatorio veterinario Reate. Da sempre impegnata nella promozione culturale del Cicolano, collabora attivamente con la Pro Loco di Fiamignano.
Veronica Paris, laureata nel corso triennale in Scienze della formazione (Educatore nei servizi per l’infanzia) presso l’Università degli Studi dell’Aquila, nello stesso ateneo è iscritta al corso di laurea in Scienze della formazione primaria. Avendo conseguito un master in Disturbi specifici dell’apprendimento, ha maturato esperienze formative in Istituti scolastici di Rieti, Roma e l’Aquila. Impegnata nella promozione culturale del Cicolano, collabora attivamente con la Pro Loco di Fiamignano.
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