All’indomani dei risultati delle elezioni politiche italiane del 25 settembre 2022, la struttura socio-economica del Paese ha nuovamente evidenziato la decisiva affermazione e il rafforzamento nella capacità di influenzare la collettività di un certo blocco sociale che negli ultimi decenni si è progressivamente e fortemente imposto come gruppo dominante e dirigente, e quindi idoneo a esercitare la direzione intellettuale e morale.
Una parte della borghesia italiana (piccoli e medi imprenditori del Settentrione, commerciati, artigiani e lavoratori autonomi) hanno nel corso del tempo consolidato il loro potere economico e influito, in maniera decisiva, in quella che marxianamente è identificabile come la sovrastruttura sociale e ideologica. Questo articolato e complesso raggruppamento sociale esercita attualmente quello che Antonio Gramsci etichettava terminologicamente come egemonia culturale [1]. L’intellettuale sardo utilizzò questo concetto nel secolo scorso al fine di spiegare il motivo delle mancate rivoluzioni proletarie nei Paesi industriali avanzati, cercando di dimostrare che questo fallimento fu causato dall’incontrastata preponderanza della cultura borghese su quella proletaria. Le classi subalterne cioè sarebbero rimaste avviluppate nell’ideologia borghese e nelle strettoie della falsa coscienza, la quale avrebbe finito per ottundere le loro istanze rivoluzionarie.
L’esercizio dell’egemonia culturale di questi nuovi ceti produttivi che si sono sempre più affermati nel tessuto economico e sociale del nostro Paese ha promosso, nel tempo, un significativo mutamento del contenuto delle forme della coscienza sociale. Si pensi, ad esempio, ai cambiamenti avvenuti nell’ambito della giurisdizione lavoristica (dove abbiamo assistito sin dagli anni Novanta a interventi volti a rendere maggiormente precario e fluido il lavoro umano) oppure la diffusione di concezioni del mondo in cui l’uomo diviene sostanzialmente schiacciato nella dimensione produttiva e lavorativa, dove tutti cioè sono chiamati a essere e a farsi imprenditori e imprese. Il culto della performance si afferma vigorosamente in tutti gli ambiti e il principio di prestazione domina le coscienze individuali orientandole verso la repressione del piacere e la negazione di ogni realizzazione collocata al di fuori delle norme e delle forme tipicamente borghesi [2].
Uno degli aspetti che caratterizza l’odierna ideologia borghese dominante è quello di fomentare la sostanziale estromissione dall’esistenza umana dell’elaborazione culturale e dell’istinto conoscitivo corrispondente. Ogni inclinazione e realizzazione intellettuale viene etichettata come fondamentalmente inutile in quanto priva di un fecondo legame con la realtà pratica e produttiva della vita umana. La metafisica della materia (da non confondere in nessun modo con il materialismo storico) propugnata dalla borghesia italiana contemporanea genera quello che sarebbe possibile definire come una sorta di economicismo, in forza del quale a regnare incontrastato è l’homo economicus, il quale assume come termine di riferimento pregnante il fatto economico in quanto tale. La dimensione dello spirito viene così relegata dalla coscienza culturale odierna nel dimenticatoio e sbeffeggiata, ridicolizzata poiché incapace di cogliere l’importanza della vera realtà, dei veri motivi dell’esistenza umana che sono poi quasi tutti da individuare nella sfera dell’agire economico sic et simpliciter.
Questo esplicito rifiuto dell’elaborazione spirituale e culturale che caratterizza l’ascesa della nuova borghesia in Italia si esprime anche, in modo radicale, nel tentativo di sopprimere qualsiasi germe di pensiero critico capace di opporsi all’ideologia dominante. Alla povertà intellettuale diffusa e fomentata si aggiunge la reificazione culturale che presenta la realtà esistente come l’unica possibile in un processo di naturalizzazione dell’esistente proiettato all’infinito. La ragione oggettiva (quella dei grandi sistemi filosofici, per intenderci) cade in disuso e viene spesso derisa in quanto considerata come inutile alla vita in sé, mentre la ragione strumentale trionfa vigorosamente e l’opinione individuale e collettiva – il senso comune – al servizio del pensiero dominante prende decisamente il sopravvento su qualsiasi conoscenza epistemica.
L’industria culturale [3] promuove costantemente le idee e i valori di questi gruppi sociali dominanti estendendo e imponendo la loro definizione della realtà e i loro interessi a tutti. Compaiono cioè nei mass-media programmi, film e fiction in cui vengono esaltate le abilità produttive di piccoli e medi imprenditori, viene osannata la cultura del fare, del sacrificio lavorativo nonché l’iniziativa e la bravura del singolo artigiano. L’ideologia di questa borghesia viene così interiorizzata dai più e la possibilità di una realtà “altra” viene progressivamente rimossa, offuscata e ridotta a sogno di futili e sfaccendati intellettuali privilegiati e avulsi dalla vera vita e dalle sue inevitabili asprezze. La concreta realtà, recita il verbo attale e dominante, non tollera in alcun modo astrazioni e sussulti dello spirito che tutt’al più rimangono di esclusiva competenza dei burocrati della conoscenza, cioè dei professionisti dell’Accademia, i quali, a loro volta, frammentano il sapere e rinunciano alla visione organica del reale per dedicarsi all’angusto ambito di una ricerca sempre più ristretta, parcellizzata, smembrata in mille e amene specializzazioni.
La coscienza sociale borghese, in particolare della borghesia nostrana incentrata sulla cosiddetta economia reale, ha sempre affermato il culto del lavoro storicamente scaturito dell’etica protestante di matrice calvinista e puritana da cui si è generato lo spirito del capitalismo moderno. Secondo l’analisi marxiana della società, il lavoro umano costituisce la vera fonte del profitto del capitalista in quanto genera il cosiddetto plusvalore che rimane saldamente nelle sue tasche. Questo aspetto peculiare dell’ordine economico borghese fomenta, come sopra affermato, nell’ambito della sovrastruttura, la divulgazione filosofica e morale del lavoro come attività suprema e decisiva per la vita umana in sé e per sé in opposizione ad ogni forma di otium e di emancipazione dalla costrizione economica e dall’alienazione.
L’egemonia dei nuovi ceti produttivi borghesi italiani ha ormai da anni generato una sorta di livellamento culturale e sociale per cui è sostanzialmente bandita la possibilità di ogni scostamento dalla concezione antropologica dominante. Le relazioni umane e interpersonali si irrigidiscono in un piatto conformismo, la coscienza critica capace di rappresentare e rivendicare l’alterità è annullata o umiliata, e perfino la trasgressione viene integrata nel sistema produttivo e di consumo finendo per confermare anch’essa l’ordine esistente. Alcuni aspetti di questi processi caratterizzano la società globale occidentale, mentre altri appaiono più tipici della situazione italiana; a riguardo infatti ogni realtà nazionale presenta le sue specificità sulla base del tipo di borghesia esistente. Non vi è dubbio poi che l’Occidente negli ultimi decenni abbia conosciuto una marcia trionfale della borghesia e del capitalismo senza precedenti e che questo abbia determinato delle conseguenze sul piano della coscienza sia collettiva che individuale e sul modo di stare nel mondo e di intenderlo.
Il modello e la cultura dell’impresa economica condizionano, nell’attuale assetto culturale italiano, i modi di definire il reale di un sempre maggior numero di persone. Gli individui stessi sono imprese o sognano di diventare imprese. Anche coloro che si trovano nelle più lontane condizioni economiche e culturali rispetto a certi modelli culturalmente imposti aspirano a farsi impresa e imprenditori rincorrendo il mito importato del self made man o dell’uomo che punta orgogliosamente su sé stesso. Questa nuova ideologia regnante (concentrata soprattutto nel Nord della penisola) propugna e diffonde lo storico antimeridionalismo settentrionale volto a rappresentare il Meridione d’Italia come luogo di parassitismo sociale e cristallizzato assistenzialismo, senza curarsi di indagare sui motivi storici della diversità o del ritardo economico del Sud. Prova lampante è il progetto dell’Autonomia differenziata, approvato anche con referendum dalle regioni più ricche del Nord, denominazione occulta che si prefigge di mantenere in loco gran parte dei proventi della tassazione a discapito delle regioni meridionali, in evidente contraddizione con il dettato costituzionale.
Qualsiasi alterità viene quindi negata, un pensiero unico regna incontrastato e la falsa coscienza dilaga assolvendo così alla sua funzione di conservare l’esistente inalterato unitamente ai rapporti di produzione e di potere economico storicamente stabiliti.
L’unica possibilità capace di garantire un cambiamento di rotta, e idonea a costruire le condizioni di un effettivo superamento dell’esistente realtà, sarebbe quella di una rinascita del pensiero libero e autonomo, volto cioè a rappresentare le istanze delle classi, dei gruppi e degli individui marginali e subalterni, facendo anche riscoprire gli elementi di verità e di giustizia presenti in epoche e fasi storiche premoderne e preborghesi. L’emancipazione umana passa attraverso la negazione dei principi cardini della realtà storica e culturale presente e il ruolo degli intellettuali liberi diventa fondamentale ai fini di promuovere l’egemonia degli oppressi in opposizione agli oppressori. Questa sorta di nuovo illuminismo o di nuovo umanesimo dovrebbe aprire la strada al mutamento radicale dei rapporti sociali e di produzione istituiti come eternamente afferenti alla vita naturale; è quanto mai auspicabile che ciò accada anche in un Paese come il nostro, a lungo patria del sapere e del pensiero umano, ma ormai tiranneggiato, da troppo tempo, dall’estromissione dal dibattito pubblico di ogni ragione propriamente filosofica e autenticamente oggettiva.
Dialoghi Mediterranei, n. 58, novembre 2022
Note
[1] Antonio Gramsci, L’egemonia culturale, Historica Edizioni, Cesena 2022.
[2] Riferimento a Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino 1999 e Eros e civiltà, Einaudi, Torino 2001.
[3] Fondamentale concetto elaborato dagli autori della cosiddetta Scuola di Francoforte.
______________________________________________________________________________
Marcello Spampinato, laureato in Scienze politiche (indirizzo sociologico), è cultore di filosofia e teologia. Nel 2021 ha pubblicato il volume Esistenzialismo trascendentale e dialettico (Paguro editore). È membro dell’associazione culturale Nuova Acropoli di Ragusa impegnata nella promozione della filosofia attiva. L’analisi filosofica e delle scienze umane, insieme ai loro rapporti con l’arte e la letteratura, è parte integrante del suo campo di indagine e di ricerca volta verso una sempre maggiore unità della conoscenza e di una mentalità universale.
______________________________________________________________