di Federico Costanza
Emilio Lussu è una figura a tratti leggendaria e rappresentativa di un percorso di testimonianza e azione che ha condotto alla nascita della Repubblica italiana, concorrendo alla formazione di una coscienza nazionale collettiva. Testimonianza, per aver vissuto in prima persona le drammatiche vicende che hanno portato il Paese ad affrancarsi dall’esperienza del fascismo; azione per l’elemento principale che ha ispirato la sua vita politica e personale.
La figura di Emilio Lussu è stata raccontata da Agostino Bistarelli in Emilio Lussu, la storia in una vita. Il coraggio di una sinistra originale, edito da L’Asino d’oro (2022), in cui l’autore illustra le tappe di una biografia ricca di fascino che evoca “coraggio”, “fedeltà agli ideali”, “senso di appartenenza”. Nelle intenzioni dell’autore, la pubblicazione è indirizzata alle generazioni più giovani, i digitarians della generazione Z, sempre connessi a Internet, «alla ricerca di guide coraggiose in grado di lottare e cambiare lo status quo». Mi sembra molto interessante partire da questa considerazione perché condivisibile.
Si osservi l’attualità politica italiana: l’avvento dell’era post-ideologica, con l’inesorabile sgretolamento dei partiti, ha svuotato di senso l’azione politica e impoverito il significato di “mobilitazione”. Non si discute più di grandi tematiche, non ci si attiva più, la partecipazione è legata alla volontà degli individui di emergere in società sempre più frammentate, in cui si ragiona solo di “leadership” e di questioni economiche o sociali che questi stessi presunti leader spesso non sono capaci di governare realmente.
Ci si stupisce dei dati di partecipazione politica che in Italia hanno raggiunto minimi storici, ci si domanda cosa serve per ridare dignità alla politica. Per rispondere, possiamo cominciare a ricordare figure come quella di Emilio Lussu, capaci di “incarnare” la storia di questo nostro Paese. Il coraggio, l’identità, gli ideali sono elementi attribuibili a un giovane dirigente politico e capaci di smuovere le masse. Quanti e quali fra questi elementi appartengono agli esponenti delle nuove classi dirigenti italiane? Queste stesse classi dirigenti sono capaci di vedere e comprendere i cambiamenti della società?
Emilio Lussu è rimasto fedele fino alla fine, come molti altri “padri della Patria”, agli ideali che hanno ispirato e permeato la sua azione politica. Un percorso originale che non permette al personaggio di indugiare in atteggiamenti trasformistici o di compromesso, rifiutando chiaramente la pratica dell’opportunismo politico comune in Italia. Emilio Lussu, d’altronde, è figura complessa e spesso poco considerata dalla storiografia scolastica, piuttosto, ricordato come scrittore. Gli studenti non conoscono l’epica di una professione politica che lo ha posto fra i personaggi più eminenti della storia contemporanea italiana.
Nasce ad Armungia, fra le colline del Gerrei nella provincia cagliaritana. La piccola comunità sarda di pastori e contadini è quel piccolo mondo antico che servirà a formare il combattente democratico. Si tratta di un microcosmo tradizionale costituito da ranghi diversi in base al ruolo nella società: i cacciatori/pastori, poi i contadini e i piccoli mercanti, «gli ultimi avanzi di una comunità patriarcale, senza classi e senza Stato»[1]. È lì che cresce in una comunità basata su fondamenta rispettate, in cui emergono i primi insegnamenti di rispetto per le cose e il lavoro degli altri. Lui stesso racconta che dopo aver assunto un atteggiamento troppo “padronale” nei confronti di un loro servo, il padre gli impartì già da bambino una «lezione democratica dura»[2], facendolo lavorare alle stesse condizioni e per un certo tempo alle dipendenze della loro servitù, per imparare a capire il senso, il rispetto per la vita degli altri.
In quell’ambiente, l’adolescente era chiamato a dimostrare la propria balentía: nelle battute di caccia, a cavallo, nel ripetersi ordinato dei rituali sociali di formazione. Qui, il giovane Lussu verrà educato a un’idea di comunità solida e solidale; qui, comincerà a nutrire quel fervore interventista, a mordere il freno per andare a combattere per la giusta causa. Si affretterà così a laurearsi con un percorso universitario non sempre lineare, intervallato dalla frequenza della Scuola per allievi ufficiali e partirà per la “Grande Guerra”.
Il fronte sarà un banco di prova durissimo, in cui il giovane ufficiale sardo si distinguerà in numerose operazioni militari, saprà conquistare i propri commilitoni che vi vedranno un capitano coraggioso e intelligente, capace di unire eleganza nel cavalcare, fermezza nelle decisioni e sagacia. Lussu trascorrerà gli anni di guerra all’interno della “Brigata Sassari”, che riunirà gli esperti fanti sardi divenuti famosi fra le truppe austro-ungariche come “Dimonios” (diavoli) per la loro caparbietà in battaglia. Qui si svilupperà sempre più forte quel senso di appartenenza alla sua grande piccola comunità sarda, rafforzando legami atavici, solidarietà e senso del comune destino di una regione sempre più consapevole del proprio ruolo nella storia nazionale.
Durante gli anni del primo conflitto mondiale Emilio Lussu imparerà però a riconoscere anche gli aspetti più reconditi della guerra, la sua assurdità, le mistificazioni della retorica bellica, l’arroganza dei comandi militari. Questi aspetti verranno poi descritti oltre due decenni dopo, alla vigilia di un altro conflitto mondiale, nelle pagine di Un anno sull’Altipiano, un capolavoro che diverrà il testo più rappresentativo della inutilità della guerra, tradotto in tutto il mondo e antologizzato nelle scuole italiane.
Il fenomeno del reducismo post-bellico caratterizzerà gli anni a venire. I contadini combattenti incoraggiati dalla promessa di redistribuzione delle terre vedranno deluse tali aspettative. Tuttavia, alla delusione si affiancherà la consapevolezza del ruolo avuto dai combattenti sardi e pian piano riemergeranno nell’isola quei sentimenti di rivalsa nei confronti di un’autorità centrale lontana, spesso aliena alle comunità locali.
La nascita del Partito sardo d’Azione nel 1921 rappresenterà il naturale epilogo di quel movimento autonomista che caratterizzò le lotte politiche in Sardegna durante l’Ottocento e che traeva forza ancora prima dalla cacciata dei piemontesi. Stavolta, però, non era più legato a una élite, ma diventava fenomeno ormai di massa.
Rigettando le tesi separatiste, Lussu vedeva nella Regione quella figura che si sostituiva allo Stato nella gestione di certe materie, restituendo centralità democratica alle periferie. Non pensava però semplicemente alla dimensione locale-istituzionale, bensì a “un processo dal basso”, non un’istanza prodotta da un’élite borghese o intellettuale, ma un esito che nasceva dall’impegno delle masse durante la guerra.
Le dimensioni di questa istanza autonomistica potevano essere di tipo sociale, etico o simbolico, pensando alla comunità di contadini, pastori, artigiani o piccoli commercianti che sarebbero stati coinvolti dal processo di trasformazione democratica e al significato delle tradizioni che questa comunità rappresentava.
Nel frattempo, l’attività di Lussu e dei suoi compagni attirava sempre maggiore clamore in Sardegna attorno al PSd’A. Il politico, già noto per le imprese belliche, cominciava a brillare anche nelle vesti di giovane avvocato, attirando così le preoccupazioni del regime fascista che puntava proprio sugli ex combattenti reduci per diffondere le proprie idee nell’isola.
A seguito di un assalto fascista alla propria casa e la conseguente uccisione di uno degli assalitori, Lussu fu dapprima arrestato e poi mandato al confino a Lipari. Inizia così quel lungo esilio che, una volta fuggito dall’isola nel 1929, lo porterà a stabilirsi in Francia, dove contribuirà alla nascita del movimento “Giustizia e Libertà” assieme ai fratelli Rosselli e sarà tra i principali protagonisti delle attività dell’antifascismo clandestino italiano all’estero.
Seguiranno anni molto duri, fra l’intensa attività di diffusione di scritti politici, senza disdegnare l’impegno militare nella guerra civile spagnola, e le pause forzate per i problemi di salute che lo costringono a lunghi ricoveri. Durante gli anni di esilio, Lussu conobbe quella che sarebbe diventata la futura moglie. Joyce Salvadori proveniva da una famiglia di nobili origini marchigiane e anglosassoni, antifascista, fuggita in Svizzera all’avvento del regime di Mussolini. Joyce fu una figura importantissima per Emilio, non solo per la condivisione della militanza politica, in anni di clandestinità e fughe rischiose oltre confine, ma anche in quella funzione di “innesto” della dimensione internazionale movimentista nella tradizione sarda di Emilio.
Sfruttando due felici termini tratti dal libro di racconti sardi L’olivastro e l’innesto (1982), si può affermare con Joyce che lei rappresentò l’innesto attraverso il quale l’olivastro – la tradizione sarda di Emilio – fu contaminato dal profilo internazionale della moglie, ricevendo quella spinta a espandersi oltre i confini dell’isola. Ancor più, l’innesto favorirà il dialogo fra movimenti di lotta in tutto il mondo, con reciproco scambio di esperienze e diffusione di idee.
Saranno anni decisivi per la riflessione politica di Lussu che preparando il rientro in Italia dall’esilio, l’insurrezione contro il regime fascista e la lotta armata nella Resistenza, riuscirà a intavolare colloqui privati con le diplomazie estere, pur senza raggiungere risultati tangibili, ma comunque rappresentando la causa dei movimenti antifascisti fuoriusciti di fronte alle cancellerie europee e americane.
Questo importante ruolo gli fu riconosciuto alla fine della guerra, entrando a far parte della Commissione dei 75 che doveva occuparsi di preparare la bozza della futura Costituzione italiana. Seppure non ebbe successo l’approccio federalista nella nuova concezione dello Stato repubblicano post-bellico, Lussu si batté per affermare il ruolo delle autonomie locali nella carta costituzionale, contribuendo in modo determinante alla stesura dell’art. 5.
Sembra di risolvere molti rebus moderni nel rileggere Emilio Lussu ai giorni nostri. I fatti internazionali non sono mai come sembrano, sosteneva. Le ragioni per spiegare un conflitto necessitano di elementi non sempre conosciuti ai più. Allo stesso tempo, però, il politico non può arrendersi all’inazione. «L’azione dunque, anche a costo d’essere più crudamente sopraffatti. È innanzi tutto, un problema morale, prima d’essere un problema politico. [...] Ma è anche, soprattutto, un problema politico», sosteneva nel libro La catena, scritto dopo la fuga dal confino di Lipari nel 1930.
Ripartendo dall’esempio di Lussu, un’azione politica moderna avrebbe il dovere di pensare alla nazione contemporanea, a un concetto di società aperta e inclusiva, provando a guidare questo cambiamento e riproponendo al centro della scena politica le comunità e la loro energia poietica. Si può comprendere l’attualità del pensiero autonomista di Emilio Lussu riferendosi a iniziative come la progettualità partecipata delle comunità locali, esperienze per riattivare le comunità “dal basso”.
Un esempio in tal senso è stato il tentativo recente del nipote del politico sardo, Tommaso Lussu, di raccogliere l’eredità del nonno. Assieme alla moglie hanno realizzato un progetto di recupero della tradizione artigianale tessile della comunità di Armungia. Accanto al recupero e alla valorizzazione della produzione con telai tradizionali, attraverso elementi innovativi, con lo scopo di rendere viva la tradizione stessa, tutta la comunità si è messa a disposizione del progetto, partecipando attivamente con l’ideazione di percorsi storici, culturali, creativi, turistici, puntando sullo sviluppo lento e consapevole di un territorio e delle sue tradizioni, nella speranza di contrastare il suo spopolamento.
Se pensiamo all’attuale composizione della popolazione italiana, così frammentata nelle sue identità locali, nelle sue nuove presenze di origine straniera, nei suoi accenti, nei suoi innumerevoli localismi, possiamo cogliere la ricchezza di questi territori e il valore delle differenze. Le tesi autonomiste del Partito sardo d’Azione del primo dopoguerra, in fondo, vedevano politicamente i sardi come protagonisti di una nazione “mancata”. Nell’interpretazione di Lussu sarebbero però stati parte di una nazione “contemporanea”.
Provando a rispondere alle domande che ci siamo posti all’inizio, si può quindi sostenere che Emilio Lussu sia stato un uomo di sinistra attivo, che però ha saputo cogliere anche l’evoluzione della società, cercando di trovare il modo per guidarla, sfidando il pensiero prevalente e rifiutando la retorica. Come scriveva lo storico Mario Isnenghi riferendosi al politico sardo: «una cosa è chiara, che siamo alla presenza di un carattere. L’antica, rara sintesi tra azione e prassi torna a incarnarsi e ad esigere [...]. Quest’uomo ferocemente rivolto all’azione e poi così sereno nel lucidamente contemplare» [3]. Un carattere che spesso manca nelle nuove classi dirigenti, preoccupate di dover “piacere”, di dare un’immagine accattivante piuttosto che concretamente attiva e politicamente significativa.
D’altronde, era la mancanza di carattere che Lussu rimproverava agli italiani, come quando criticava i governi liberali giolittiani, la palude in cui si era generato l’embrione del movimento fascista. Sempre nel già citato volume La catena (1930) a proposito del fascismo scrisse: «una banda non cede la preda senza combattere. Ma il diritto di chi si batte per riacquistare i propri beni rubati, infonde animo più che non la pretesa di quanti difendono una rapina compiuta», incitando perciò a perpetrare la lotta.
In queste parole si scorge il senso della sua azione politica, l’idea di un socialismo motore di una rivoluzione anche nel carattere di un popolo, un concetto che si potrebbe definire “glocale”, che partendo dalla storia del movimentismo sardo possa essere di ispirazione al mondo per una trasformazione vera dello status quo.
Dialoghi Mediterranei, n. 58, novembre 2022
Note
[1] E. Lussu, Il cinghiale del diavolo e altri scritti sulla Sardegna, (a cura di S. Salvestroni), Torino Einaudi, 1976:10.
[2] E. Lussu, Nascita di uomini democratici, in “Belfagor”, 7, 5, 30 settembre 1952.
[3] M. Isnenghi, Ritratti critici di contemporanei. Emilio Lussu, in “Belfagor”, 21, 3, maggio 1966: 302 e 307.
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Federico Costanza, si occupa di progettazione e management strategico culturale, con un’attenzione specifica all’area euro-mediterranea e alle società islamiche. Ha diretto per diversi anni la sede della Fondazione Orestiadi di Gibellina in Tunisia, promuovendo numerose iniziative e sostenendo le avanguardie artistiche tunisine attraverso il centro culturale di Dar Bach Hamba, nella Medina di Tunisi.
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