Un testo di godibilissima lettura, di notevole divulgazione scientifica e di novità etimologiche pure per gli specialisti, opera di un provetto dialettologo con sensibilità teorica, è il volume di Alfio Lanaia La Sicilia dei cento dialetti. Le parole raccontano (Nero su bianco ed., Biancavilla 2022), con una brillante presentazione di Iride Valenti, dedicato al dialetto siciliano e al suo lessico, con riverberi sull’italiano regionale letterario di Sicilia, ammiccante nel titolo alle Cento Sicilie. Testimonianze per un ritratto di Gesualdo Bufalino- Nunzio Zago (Bompiani 2008).
Come tutti i testi scientifici è corredato da una bibliografia istituzionale e da un elenco dei testi letterari citati (circa 60 scrittori siciliani italografi e dialettografi, contemporanei e non solo), e un indice delle voci dialettali (circa 3000 parole, non i suffissi come -uca), ma stranamente privo dei regionalismi letterari (p.e. pigliare la via dell’aceto in S. D’Arrigo 1976 e nel solito A. Camilleri 2008, crigno ‘membro virile’ dal lat. *crinium, < crinis in S. D’Arrigo 1976, sgrillare detto degli occhi, ecc., nonché quelli sotto ricordati). Ci si augura che in una riedizione il testo si arricchisca anche di un indice dei tecnicismi (etimi sincronici e diacronici, omonimia diacronica e sincronica, iconimo, nome noa o tabuismo, deonomastico, deonimo/deonimia. reduplicazione / raddoppiamento, parasintetici, ecc.), senza escludere pur selettivamente i nomi di studiosi, autori e scrittori citati.
Il testo è organizzato in 80 ricchi “pacchetti lessicali” strutturati onomasiologicamente, distribuiti tematicamente in 16 capitoli relativi a cibo e bevande, uomo e piante, tipi umani, affezioni del corpo e dell’anima, santi, movimento, latino e cultismi, pseudo-etimi greco-latini, il Natale, natura e territorio, nomi e soprannomi, toponimi, giochi e passatempi, americanismi, strumenti, ricorrenze, ognuno dei quali passibile di lettura autonoma, a piacere del lettore. L’approccio è descrittivo, attentissimo sul piano geografico ai vari dialetti siciliani, non meno che storico e comparativo con altri dialetti italiani, ed etimologico con, come accennato, varie nuove proposte etimologiche.
A questo punto c’è solo l’imbarazzo della scelta nella esemplificazione delle agguerrite analisi dell’Autore. Per quanto riguarda p.e. il termine allacatalla, trasmigrato in più romanzi di S. La Spina (1995): «allora sì che sarà il vero inferno, la vera allakatalla», chiarito dal vicino sinonimo, Lanaia fa piazza pulita dell’etimo attribuito ora all’arabo (da I. Fulci 1855 e da A. Moroldo on line) ora al greco. La presenza di diverse varianti dialettali gli consente di proporre un prestito dell’italiano ant. e lett. ‘dalle dalle’, dalli dalli’, cfr. romanesco dajje!
L’espressione cchi nnicchi nnacchi ‘neanche per idea’, passata nell’italiano letterario di G. Schilirò (2014): «ma che ‘nicchi-nacchi», di S. D’Arrigo (1976): «E che nicchinnacchi» (4 volte); di A. Camilleri (2006): «Che nicche e nacche?»; di T. Ranno (2019) e L. Cappello Grimaldi (2019): «ma chi nicchi e nacchi», è ricondotta non al latino (come nec hic nec hoc) ma è spiegata invece come “formazione fonosimbolica”, «formata sull’alternanza di due sillabe toniche nnic-/nnac».
Così ancora il sic. musìa a CT “donna di rara bellezza ed eleganza”, è collegato con «musi(v)a (opera), dal latino imperiale musīvum (opus), cioè ‘mosaico’», arte musiva, e non già al greco mouseîon ‘tempio delle muse’. Al riguardo ci piace ricordare l’opposto musaico ‘musico musicale’ dell’ “arte musaica” nel Convivio dantesco, rivendicato da Pirandello (1907, 1908): «musaico vale semplicemente musicale», dal lat. musaicus ‘musicale’ (cfr. S.C. Sgroi, E Galeotto fu il Dizionario. Tommaseo lo compilò e Pirandello lo compulsava. Ovvero musaico ‘poetico’ o’ musico/musicale’? Neoformazione o prestito?, in Studi in onore di Nicolò Mineo, promossi da G. Alfieri, E. Iachello, P. Manganaro, M.D. Spadaro, coordinati da S.C. Sgroi e S.C. Trovato, in “Siculorum Gymnasium” voll. LVIII-LXI, 2005-2008, vol. IV: 1723-43).
Il sic. abbeniaggi, es. abbeniaggi cci vai? ‘bada bene di non andarci’; o in N. Martoglio (1918) ‘puta caso’: «Chi ci pari, abbeniaggi ca era òpira ‘e pupi?», vale letteralmente ‘bene abbia’, congiuntivo di aggia ‘abbia’ di aviri < lat. bene habeat.
La pasta alla norma, ovvero al pomodoro con le melanzane e la ricotta salata, non ha niente a che vedere con la norma di G. Bellini, ma vale ‘pasta con la paga’, con riferimento al salario degli operai che la domenica poteva prevedere «un piatto di pasta cc’a norma, con l’aggiunta cioè di un po’ di ricotta salata grattugiata o [...] di una fetta di melanzana».
Il sintagma cugni di vecchja ‘spugnola (tipo di fungo ascomiceto)’ (1696, 1865), assente nel pur grande Vocabolario siciliano di G. Piccitto- G. Tropea-S. C. Trovato (1977-2002, 5 voll.), non vale letteralmente ‘zigomi di vecchia’ ma piuttosto ‘conno, vulva di vecchia’.
Il sic. matèlicu, adattato nell’it. regionale matèlico ‘antipatico’, es. è un tipo matelico, proprio di Catania, anziché deonomastico da Matelica, prov. di Macerata, è spiegato come «derivato per aferesi della sillaba iniziale di crimatèricu dall’it. climaterico [1608], dal fr. climatérique [1554], dal lat. climaterĭcus, dal gr. κλιμακτηρικός» ‘del climaterio’.
L’agg. streusu ‘strambo’ adattato nell’it. regionale come streuso in S. La Spina (2001) “comportamento streuso”, “libri streusi”, L. Romano (2001) “nomi streusi”, è fatto derivare per via del dittongo /eu/ > lat. /ū/ dal calabrese strèuzu ‘strambo’, dal lat. abstrusus ‘difficile’ pp. di abstrudere, da cui anche l’it. astruso.
Il sic. gianfùttiri ‘farabutto’ per es. in N. Martoglio (1918): «è un gianfuttiri cui pari un galantomu», presente come gianfottere ne I Vicerè di De Roberto (1894): «Questo gianfottere non è poi tanto minchione quanto pare…», in S. Strati (1979), ma anche in C. Dossi (1912), e fatto risalire al fr. jean-foutre (1792), è ora retrodatato da Lanaia dal 1792 al 1661. L’Autore rimanda anche a un testo del 1723 di Grundlig: «Chan futre quod perperam nunc scribunt Jean foutre est Germanorum Hundsfut. Olim enim pro chien dicebant Galli chean». Il che rimette così in discussione l’etimo fr.
Per gli occhi che fanno pùpipùpi, pupi pupi con le palpebre cioè che si aprono e chiudono (in S. Grasso 2005 e Camilleri 1980, 2003) l’Autore rimanda non ai pupi siciliani, ma all’espressione fonosimbolica con alternanza sillabica pu/pi.
Per il (senza) fare musione ‘(senza) fare movimenti’ (in D’Arrigo 1976, Camilleri 1995), “una musione di danza” (D. Curtò 1976), “musione di sguardo” (D’Arrigo 1976), lungi dal derivare dall’ingl. motion come suggerito da Camilleri, considerata l’attestazione del sic. musiòni nel 1645-53, Lanaia ha proposto il fr. motion ‘movimento’ e ancor meglio lo sp. mociόn.
Istruttivo è l’esempio di omonimia sincronica e a un tempo diacronica (e non già di polisemia, data la distanza semantica tra i due significati) del sic.“Cassariarisi 1” a CT ‘confondersi’, denominale di cassara ‘perdita’ dall’ar. hasāra ‘perdita’, vs “cassariarisi 2” a PA ‘pavoneggiasi’, denominale da càssaru ‘corso strada principale’ dall’ar. qasr ‘castello’ dal lat. castrum ‘fortezza’. Sicché cassariarsi nell’es. «si cassariava per i cumplimenti che tutti gli facivano» (Camilleri 2003) risulta diversamente interpretabile secondo che il lettore sia catanese (‘si confondeva’) o palermitano (‘si pavoneggiava’).
Da cassaro Lanaia ricorda anche il suffissato “cassariamento di travagli” nel calabrese G. Occhiato 2007 e cassariota ‘prostituta’ (lett. ‘abitante del cassaro’ con suffisso greco -ota ‘abitante’) in V. Consolo 1987 e – aggiungiamo – ancor prima in L. Sciascia Il consiglio d’Egitto 1963: «Hanno sentimento le ‘cassariote’, i cornuti, gli sbirri, il boia, il marchese di Santa Croce e i ladri di passo» (cfr. S. Sgroi Un trittico sciasciano con ‘giallo’. Quaquaraquaà, mafia, pizzo, Utet 2021: 50).
Non meno intrigante è l’analisi del sintagma scialare intorno ‘girare intorno’ in un racconto del 1949 di L. Sciascia Paese con figure: «tutti i giovani del paese gli scialavano intorno, lo stuzzicavano, si fingevano come lui increduli e indignati» derivante dal sic. scialari ‘ballare, *girare intorno’, attestato a Bompensiere (CL).
Lanaia si sofferma anche sul derivato schiticchiata (dal sic. schiticchiata) a) ‘bisboccia’, b) ‘scampagnata’, c) ‘divertimento tra amici’, con vari usi letterari, spesso chiarito dall’accostamento a traducenti italiani: «una schiticchiata rimasta storica, una gran mangiata e bevuta» (A. Camilleri 1984); «andare a fare una schiticchiata (mangiata in compagnia)» (V. Piazza 1997); «gli piacevano le schiticchiate a base di carne arrosto e vino» (P. Di Cara 2005); «andare in campagna per fare una schiticchiata – salsiccia alla brace, costatine di castrato, vino rosso…» (G. Savatteri 2008).
E ricorda anche il sin. schiticchio ‘mangiata succulenta tra amici’ (dal sic. schitìcchiu, deverbale di schiticchiari dal lat. volg. *ex-queticulare dal lat. tardo quetus, lat. class. quietus, quietare ‘dare riposo a qn.’), anch’esso adottato nell’italiano letterario della Sicilia: «finisce a schiticchio, nella taverna di Catena, una gran mangiata con i soldi di Vito» (Camilleri 1978); «Si varavano le barche e via per lo schiticchio nella baia» (D. Cacopardo 2005); «e poi finisce sempre a schiticchio: una bella mangiata» (G. Savatteri 2018); «Magari sarà stata invitata allo schiticchio di Ferragosto da qualche parente» (G. Torregrossa 2018). A cui è da aggiungere l’es. di L. Sciascia (1976): «Dal momento in cui Orazio Mattania stabilisce con Cipri un rapporto di confidenza, entriamo come in un vortice di nomi, di incontri, di ‘schiticchi’ (cioè di quelle mangiate improvvisate e stuzzicanti al vino), di gite fuori porta e nei paesi vicini, di appuntamenti spesso rimandati o, per il Mattania, di inutile attesa» (I pugnalatori) (cfr. S. C. Sgroi Un trittico sciasciano con ‘giallo’, su cit: 55).
Lanaia menziona per l’agrigentino “col significato di ‘mulo’, ma anche con quello di asino” il sic. bburduni dal lat. imperiale burdone(m) ‘mulo’. Il derivato vurdunaru era stato invece adoperato — aggiungiamo — da L. Sciascia ne Le parrocchie di Regalpetra (1956, rist. 1975 4) non meno di tre volte: «continuamente gli asini dei vurdunari (approssimativamente: mulattieri) attraversavano il paese»; «Non ci sono più i vurdunari con il pettorale di cuoio e il bastone lungo»; «qui si dice asino di vurdunaru per indicare un simbolo di straziata pazienza» (cfr. S. C. Sgroi, Un trittico sciasciano ‘con giallo’, su cit.: 40).
A proposito del toponimo Pedata di san Placido, l’etimo è individuato nel lat. prata (pl. di pratum) > sic. pirata, interpretato come ‘pedata’, ‘orma del piede’, alla base della leggenda dell’impronta miracolosa lasciata da San Placido a Biancavilla.
Se a proposito di Mongibello è noto l’etimo del composto tautologico “lat. mons ‘monte + arabo ğabal ‘monte”, invece Linguaglossa non è formato da “lat. lingua + greco glossa ‘lingua’”, come ancora ripetuto da un noto archeologo, ma dal sic. Linguarossa ovvero “lingua grossa” di lava, legata all’eruzione dell’Etna.
Assai istruttivo è l’etimo del microtoponimo Pistacchio in quel di Biancavilla, ricca di pistacchi (in sic. fastuca), ma nel sic. del luogo denominato Distaccu, Ristaccu, che trova una spiegazione nel termine u distaccu/i distacca indicante ‘piccoli poderi frazionati, fuori dal centro abitato, venduti o dati in affitto o mantenuti dal proprietario’.
Chiudiamo col riferimento al termine liotru l’elefante di pietra lavica che troneggia nella piazza Duomo di Catania, simbolo della città, derivante dal nome Eliòdoros leggendario negromante. Al liotru era collegata cinquant’anni fa la consuetudine, durante la festa delle matricole universitarie, di costringere una matricola ad arrampicarsi sulla statua dell’elefante per detergere con una retina “le palle” della statua, se non di baciargli “il culo”, ovvero in sic. vasari u culu ô liotru, insomma un esempio di nonnismo. Lanaia collega questo rituale goliardico, ormai tramontato, con tradizioni di altre città dove c’era l’usanza, per es. a Firenze di far baciare “ai nemici sconfitti in battaglia” il sedere del leone che sosteneva lo scudo gigliato di rosso, e analogamente a Lucca con riferimento alla pantera; ma altrove la stessa usanza aveva valore apotropaico, così in Catalogna si diceva: «Chi bacia il culo della ‘leona’ ritorna a Girona», la Leona essendo una scultura neogotica del XII sec.
Per i lettori non sazi della lettura di questo testo rimandiamo ad altri due volumi dell’Autore: Parole nella storia (Centro di Studi filologici e linguistici siciliani 2020), e ‘Di cu ti dìciunu?’ Dizionario dei soprannomi a Biancavilla (2017), ricco di circa 1200 ‘inciurie’, presso lo stesso editore Nero su Bianco.
Dialoghi Mediterranei, n. 58, novembre 2022
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Salvatore Claudio Sgroi, già ordinario di Linguistica generale nel Dipartimento di Scienze umanistiche dell’Università di Catania, si è occupato in chiave teorica, storica e descrittiva, di storia della terminologia linguistica, di storia della grammatica, di sintassi, della formazione del lessico, della lingua italiana nelle sue varietà, di educazione linguistica, di divulgazione scientifica in varie sedi, da ultimo nel blog di Fausto Raso (<https://faustoraso.blogspot.com/>). È autore di circa 600 pubblicazioni, tra cui Per una Grammatica ‘laica’. Esercizi di analisi linguistica dalla parte del parlante (Utet 2010), Scrivere per gli Italiani nell’Italia post-unitaria (Cesati 2013), Dove va il congiuntivo? (Utet 2013), Il linguaggio di Papa Francesco [e la lingua degli Italiani] (Libreria Editrice Vaticana, LEV 2016), Maestri della linguistica italiana (2017), Maestri della linguistica otto-novecentesca (2017), Saggi di grammatica laica (2018), (As)saggi di grammatica laica (2018), tutti editi dalle Edizioni dell’Orso, Gli Errori ovvero le Verità nascoste, Centro di studi filologici e linguistici siciliani 2019), Dal coronavirus al covid-19. Storia di un lessico virale (Edizioni dell’Orso 2020); Trittico sciasciano con “giallo”. Quaquaraquà, mafia, pizzo (UTET Università, De Agostini 2021).
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