di Linda Armano
Questo contributo prende le mosse da alcune riflessioni emerse dal documentario di Alex Williams The Pass System uscito nel 2015 (http://thepasssystem.ca/home-2/) che, attingendo alle testimonianze di elder indigeni canadesi, racconta i sistemi di attuazione delle conseguenze del pass system a discapito delle First Nations incluse nel distretto del Trattato 4 vigente nel Canada occidentale. In generale, i trattati costituiscono una raccolta di regolamenti che gestiscono le riserve e lo sfruttamento delle risorse naturali presenti nei territori nativi (Armano 2022). In aggiunta ai trattati, il pass system, implementato dal Department of Indian Affairs nel 1885, era un sistema di controllo amministrativo che richiedeva alle comunità indigene sottoposte ai Trattati 4, 6 e 7 di ottenere il permesso da parte del personale dal Department of Indian Affairs prima di recarsi al di fuori dalla riserva. Williams si sofferma sul fatto che tale sistema sia stato applicato indiscriminatamente, impedendo non solo la libera circolazione delle persone indigene, ma anche la gestione delle loro pratiche di autogoverno.
Il documentario descrive come, a seguito della Northwest Resistance del 1885, tre funzionari canadesi avanzarono una proposta razziale al loro Primo Ministro, Sir John A. Macdonald, il quale approvò con entusiasmo un sistema di segregazione applicato ai nativi. Da quel momento in poi, e per oltre sessant’anni, i permessi per uscire dalle riserve venivano rilasciati da un agente del Department of Indian Affairs. Come è scritto nel sito-web del documentario: «The Pass System illuminates Canada’s hidden history of racial segregation. For over 60 years, the Canadian government denied many Indigenous peoples the basic freedom to leave their reserves without the pass» (http://thepasssystem.ca/home-2/).
Nel documentario Williams descrive come il sistema del lasciapassare impedisse ai genitori indigeni di andare a trovare i loro figli nelle residential schools, di visitare i parenti, di accedere ai paesi limitrofi e di andare nei centri città e di godere, in generale, delle fondamentali libertà di mobilità che ogni canadese di origine europea invece aveva.
Il documentario The Pass System è il risultato di un lavoro quinquennale basato su un’approfondita ricerca d’archivio e sulle testimonianze orali di anziani nativi delle comunità Nehiyaw, Saulteaux, Dene, Ojibwe e Niitsitapi che rientrano nelle aree dei Trattati 4, 6 e 7 e che coincidono con le attuali regioni di Saskatchewan e Alberta. Al lavoro del regista parteciparono anche storici di spicco come Winona Wheeler, Sarah Carter, JR Miller, Brian Titley e Shauneen Pete. I contenuti del documentario sono invece narrati dall’attrice e attivista Tantoo Cardinal.
Dopo la sua uscita, il filmato fece molto discutere. Un articolo di giornale online canadese, pubblicato a novembre 2015, riporta il titolo “The pass system: another dark secret in Canadian history. Social Sharing” (https://www.cbc.ca/radio/unreserved/exploring-the-past-present-and-future-of-life-in-indigenous-canada-1.3336594/the-pass-system-nother-dark-secret-in-canadian-history-1.3338520). In questo scritto si solleva da un lato la maggiore consapevolezza, rispetto al passato, dei canadesi di origine europea sui crimini effettuati nelle residential school, ma dall’altro si evidenzia come ancora molti non sono a conoscenza dell’attuazione di sistemi di segregazione tramite pass per gli indigeni. L’articolo spiega come tale sistema illegale fosse considerato una “misura di sicurezza” temporanea, che durò però sessant’anni, dopo gli eventi del 1885. Chiarisce inoltre che gli agenti del Department of Indian Affairs erano dei giudici addetti alla sorveglianza dei nativi e i membri delle First Nations non erano ritenuti cittadini del Canada fino al 1960. A tal proposito forme di protesta ufficiale da parte loro venivano neutralizzate immediatamente.
Il presente contributo, partendo da queste premesse che mettono in luce pratiche di segregazione degli indigeni, intende riflettere su tre tipi principali di regimi di gestione dei territori delle First Nations canadesi: da un lato la gestione tramite l’Indian Act; dall’altro la gestione del territorio da parte delle First Nations; ed infine la gestione delle terre sulla base dell’autogoverno indigeno.
Forme di gestione di territori indigeni
Le varie forme di gestione del territorio forniscono la base per la governance e programmi di sviluppo (Appiah-Adu, Bawumia 2016). Uno dei fattori chiave nell’avanzamento socioeconomico è un sistema formale di proprietà fondiaria in cui la parcellizzazione ben definita dei territori è un attrattore di forme di investimento (Aragón 2015). Nonostante l’esistenza di diversi sistemi di proprietà fondiaria, formali e informali, c’è ancora poca consapevolezza degli eterogenei profili di governance applicati in Canada. Il motivo è essenzialmente dovuto alla presenza dei territori nativi (Fligg, Robinson 2020).
Le origini di molti sistemi di gestione delle terre indigene in tutto il mondo vengono fatti risalire alle colonizzazioni e alle conquiste europee (Strelein, Tran 2013). Tuttavia, negli ultimi anni i diritti delle popolazioni indigene (ovvero i diritti preesistenti che le First Nations avevano prima dell’insediamento degli europei nelle loro terre) sono stati temi dibattuti nell’ambito della Dichiarazione delle Nazioni Unite in relazione ai diritti delle popolazioni native (Pentassuglia 2011). Da questi dibattiti è stata estrapolata ufficialmente l’importanza del riconoscimento dei diritti delle popolazioni indigene in relazione alla governance delle loro terre.
Il Canada ha aderito alla Dichiarazione delle Nazioni Unite nel 2016 in riferimento ai diritti delle comunità indigene, sia dei Métis che degli Inuit (Fligg, Robinson 2020). Quasi tutte le First Nations canadesi erano inizialmente governate dalla legislazione federale chiamata Indian Act, che limitava, e limita tutt’ora, la gestione delle terre da parte degli indigeni (Warkentin 2014). Negli ultimi due decenni le comunità native si sono però trovate di fronte ad una duplice alternativa: da un lato rinunciare alle sezioni dell’Indian Act relativa alla gestione dei loro territori ai sensi del First Nations Land Management Act, Statuto del Canada del 1999, e dall’altro governare la propria terra attraverso rivendicazioni fondiarie, riformulando nuovi contenuti nei Trattati e sviluppando accordi di autogoverno con i governi provinciali, territoriale e federale (Fligg, Robinson 2020; Warkentin 2014). Scrivono, a tal proposito, Fligg e Robinson (2020): «As of July 15, 2019, approximately 84% of First Nations managed their lands under the Indian Act, 12% under the First Nations Land Management (FNLM) Act, and 4% under a form of self-governance».
Panoramica storica
Il Royal Proclamation del 1763 fu il primo documento ufficiale, in aggiunta al titolo aborigeno sulla terra, in cui vennero proclamati i diritti delle First Nations canadesi (Slattery 1763). Il documento garantiva che i territori delle comunità native non potessero essere confiscate deliberatamente dal governo. Per cinquantun anni, dopo l’ufficializzazione del Royal Proclamation, l’esercito britannico fece affidamento sulle First Nations canadesi fino al 1812, anno in cui venne sancita la fine della guerra che oppose la Gran Bretagna e gli Stati Uniti. Dopo il conflitto questo rapporto si incrinò e le comunità indigene, da alleate militari, cominciarono ad essere sottoposte a forme di controllo sotto la tutela dello Stato (Makarenko 2008a). Anche se l’espansione territoriale era necessaria per consolidare gli insediamenti dei colonizzatori, gli inglesi si resero conto della violazione di proprietà che stavano effettuando a danno dei nativi (Woroniak, Camfield 2013). Ciò che seguì, a partire dal 1839, fu quindi una legislazione paternalistica che disciplinava gli affari degli aborigeni e le loro terre attraverso il cosiddetto Crown Lands Protection Act che autorizzava il governo ad essere il custode, in nome della Corona Britannica, delle terre delle First Nations (Fligg, Robinson 2020).
Nel tentativo di assimilare le popolazioni native all’interno di uno stile di vita britannico, il Gradual Civilization Act del 1857 incoraggiò gli indigeni alfabetizzati a rinunciare ai loro sistemi nativi tradizionali, allo status di indiano e impose loro di vivere secondo gli usi e costumi dei colonizzatori. I governi locali presero quindi il controllo delle terre delle First Nations ai sensi del Management of Indian Land and Property Act emanato nel 1860 e, con l’approvazione del Constitution Act nel 1867, le comunità indigene caddero sotto l’assoluto controllo del governo federale del Canada.
A seguito dell’approvazione della Costituzione canadese, i nativi furono spinti a diventare cittadini del Canada e a concedere, ai sensi del Gradual Enfranchisement of Indians Act del 1869, i loro appezzamenti di terra al di fuori della regolamentazione a cui erano sottoposte le riserve (Brinkhurst 2013). Con il Regime Indian Act Land Management venne in seguito implementato un sistema di possesso per convertire le terre indigene da un sistema di proprietà comunale ad un sistema più individuale basato sui diritti di possesso (Fligg, Robinson 2020).
Nonostante le obiezioni delle First Nations alla legislazione che controllava i loro affari e governava la loro terra (Coates 2008), passarono settantacinque anni prima che venissero apportate modifiche significative all’Indian Act. Nel 1951 alcune sezioni della legge furono abrogate, in particolare quella che vietava la raccolta di fondi a sostegno delle rivendicazioni fondiarie e l’eliminazione dell’agente del Department of Indian Affairs, ovvero un incaricato del governo ai sensi della legge indiana per sovrintendere al governo della prima nazione (AANDC, 2013d). Nel 1982, il riconoscimento dei diritti delle Prime Nazioni venne riaffermato nella sezione 35 del Constitution Act (Allegato B al Canada Act 1982 (UK), 1982, c 11.) in cui si afferma:
«35. (1) The existing aboriginal and treaty rights of the aboriginal peoples of Canada are hereby recognized and affirmed.
(2) In this Act, “aboriginal peoples of Canada” includes the Indian, Inuit and Métis peoples of Canada.
(3) For greater certainty, in subsection (1) “treaty rights” includes rights that now exist by way of land claims agreements or may be so acquired.
(4) Notwithstanding any other provision of this Act, the aboriginal and treaty rights referred to in subsection (1) are guaranteed equally to male and female persons» (Fligg, Robinson 2020).
Nel 1985, l’Indian Act abrogò le sezioni sull’emancipazione e incluse disposizioni per la delega di responsabilità e controllo sulla gestione del territorio alle Firts Nations (Coates 2008). Nonostante questi cambiamenti, l’Indian Act contiene ancora dichiarazioni riguardanti l’autorità e le approvazioni richieste dal Ministro degli Affari Indiani e del Northern Development Canada relativamente a transazioni fondiarie, regolamenti e statuti (ad esempio, Indian Act RSC, 1985, c. I-5, paragrafi 20, 24, 54 e 83; cfr. Coates 2008). Sebbene il graduale trasferimento del controllo possa essere visto come un passo in avanti positivo, alcune First Nations sono passate a regimi alternativi che offrono maggiore controllo e autorità sulla loro terra al di fuori dell’Indian Act (Fligg, Robinson 2020).
Regimi di gestione del territorio e diritti di proprietà
Le terre della First Nation in Canada risiedono in uno dei tre seguenti regimi di gestione del territorio: regime Indian Act Land Management; il regime First Nations Land Management; e vari quadri di gestione autonoma del territorio. Questi regimi differiscono in termini di governance, possesso della terra e sviluppo socio-economico (Brinkhurst 2013).
Il regime di gestione del territorio tramite l’Indian Act
L’Indian Act è una legislazione (federale) che sancisce il regime di gestione del territorio più utilizzato dalle First Nations. Il Ministro dei servizi indigeni del Canada e il Ministro delle relazioni corona-indigene e degli affari del nord è il responsabile della amministrazione dell’Indian Act (Fligg, Robinson 2020). Circa un terzo dell’Indian Act (43 sezioni di 122) riguarda la gestione del territorio, le risorse e l’ambiente (Armano 2022). I restanti due terzi non sono specifici per la gestione del suolo, delle risorse o dell’ambiente. È stato dimostrato che il sistema di proprietà fondiaria sotto questo tipo di legislazione ha un impatto negativo sullo sviluppo socio-economico (Flanagan et al. 2010). Tuttavia, la portata di tale impatto rimane tutt’oggi non del tutto compreso.
Ai sensi dell’Indian Act, la Corona può concedere alle comunità indigene un titolo di possesso sulla terra chiamato certificato di possesso. Facendo parte di un sistema formale di diritti di proprietà, la prova del titolo è registrata in un registro fondiario legalmente riconosciuto sanzionato ai sensi dell’Indian Act. Mentre le terre incluse nei certificati di possesso sono ereditabili e possono essere sfruttate da un consiglio di banda della First Nation (Alcantara 2007), i territori non possono essere sfruttati come terre semplici a pagamento per prestiti commerciali, il che limita in tutta evidenza le opportunità di sviluppo economico del territorio.
Dall’introduzione dell’Indian Act nel 1876 fino al 1951, furono utilizzate due forme di prova del titolo denominate ‘location ticket’ (Flanagan et al. 2010) e ‘cardex system’ (Fligg, Robinson 2020). Queste forme di prova non erano ben circoscritte e l’ubicazione dei diritti di proprietà all’interno di una riserva si basava su una localizzazione approssimativa (Brinkhurst 2013). Nel 1951, il certificato di possesso sostituì i precedenti titoli di proprietà fornendo una maggiore sicurezza del titolo e dell’ubicazione di un appezzamento di terreno sulla base di informazioni rilevate (Ballantyne 2010).
La mancanza di sicurezza del possesso della terra sulle riserve è stata indicata dagli studiosi come un potenziale svantaggio per lo sviluppo economico (Flamagan et al. 2010). Attualmente, nonostante la formalità della proprietà terriera offerta attraverso i certificati di possesso, il 50% delle First Nations non li utilizzano (Brinkhurst 2013). Al contrario le popolazioni native usano un sistema informale di diritti di proprietà denominato ‘assegnazioni consuete’, che possono essere registrate localmente dalla First Nation, nonostante tali diritti di proprietà non siano sanciti dall’Indian Act (Flanagan et al. 2010). All’interno di questo sistema, le singole proprietà terriere sono gestite internamente e sono soggette al rischio di essere utilizzate dal consiglio di banda o dal governo per scopi comunitari (Alcantara 2007). Un sistema informale manca di sicurezza del titolo (Flanagan et al. 2010) a causa della scarsa documentazione e delle proprietà fondiarie spesso non rilevate (Alcantara 2007). La mancanza di sicurezza del possesso rende queste terre meno desiderabili per gli investitori esterni fuori riserva, con conseguente minore sviluppo economico locale.
Nel 2009, Aboriginal Affairs and Northern Development Canada ha implementato un programma ai sensi dell’Indian Act chiamato Reserve Land and Environment Management Program il cui obiettivo è di consentire alle First Nations di sviluppare attività economiche nella loro terra e di gestire le risorse naturali (Fligg, Robinson 2020). Questo programma offre due distinti livelli di gestione del territorio, “operativo” e “delegato”, che sostituiscono i precedenti programmi del Dipartimento denominati Programma Amministrativo Territoriale Regionale e Programma Delegato 53/60 (Alcantara 2007). Sotto il livello “operativo” le comunità native hanno un maggiore controllo sulla loro terra e collaborano con il Dipartimento su transazioni, pianificazione dell’uso del suolo e del controllo delle risorse naturali ma le transazioni fondiarie richiedono ancora l’approvazione ministeriale. Invece, sotto il livello “delegato”, le First Nations hanno la capacità di approvare le transazioni fondiarie (Flanagan et al. 2010).
Regime di First Nations Land Management
Nel 1994, alcuni capi indigeni presentarono un accordo quadro all’Indian and Northern Affairs Canada per gestire le loro terre al di fuori dell’Indian Act. L’accordo quadro fu firmato nel 1996 e specificava che il codice fondiario di una First Nation stabilisce i diritti e poteri sulla loro terra, ma non costituisce un trattato ai sensi della sezione 35 del Constitution Act del 1982 (Fligg, Robinson 2020). L’Accordo Quadro fu ratificato nel 1999. Con esso, mentre le First Nations hanno più autorità e controllo sulla loro terra rispetto all’Indian Act, il terreno rimane in stato di riserva ai sensi dell’Indian Act, in base al quale la Corona federale detiene il titolo di riserva (Flanagan et al. 2010). Mentre l’obbligo fiduciario della Corona diminuisce man mano che le Prime Nazioni implementano le responsabilità ai sensi del loro codice fondiario, la Corona ha un obbligo fiduciario per le sezioni dell’Indian Act che ancora si applicano, ad esempio, sulla sicurezza sociale e sui benefici sanitari e assistenziali (Alcantara 2007).
Sebbene le First Nations sotto il regime di gestione del territorio siano ancora governate da circa due terzi dall’Indian Act, ci sono molti potenziali vantaggi derivanti dalla rinuncia ad alcune sezioni dell’Indian Act. In particolare, alcuni vantaggi includono una maggiore protezione ambientale, nessuna espropriazione provinciale o municipale di terra, un esproprio federale limitato di terreni e una capacità di aumentare la sicurezza del possesso fondiario e la possibilità di sfruttare le proprietà (Flanagan et al. 2010). Ciononostante, mentre questi benefici aumentano il potenziale di sviluppo socio-economico che non è possibile ai sensi dell’Indian Act (Alcantara 2007), essi dipendono dalla capacità della comunità nativa di esercitare i benefici previsti dal codice fondiario.
Regime di gestione del territorio tramite l’autogoverno
Le prime First Nations autogovernate coinvolsero nove comunità Cree First Nation e una Naskapi First Nation (nella provincia del Quebec) a seguito dell’affermazione dei diritti delle First Nations sulle terre tradizionali durante il progetto James Bay Hydro avviato nel 1973 (Fligg, Robinson 2020). Nel 1975 si giunse ad un accordo tra Cree First Nation, Governi di Canada e Quebec, James Bay Development Corporation, James Bay Energy Corporation e Hydro Quebec, seguito da un successivo accordo, nel 1978, che includeva il Naskapi First Nation (Brinkhurst 2013).
In seguito all’accordo Cree-Naskapi, l’autogoverno divenne un’opzione praticabile per gli indigeni nel 1985, quando il governo federale approvò la cosiddetta Politica dei Diritti Intrinseci (Alcantara 2007). Quest’ultima era il risultato del rapporto Penner del 1983 che esprimeva la richiesta degli indigeni di una maggiore autorità sulla loro terra e precedeva la prima legislazione sull’autogoverno nel 1984 (Warkentin 2014). Da allora furono approvati numerosi atti federali per attuare quadri di autogoverno con circa 22 accordi stipulati dagli indigeni e firmati con il governo federale (Brinkhurst 2013).
Sostengono Fligg e Robinson (2020) che un quadro di gestione autonoma del territorio può essere raggiunto attraverso uno dei seguenti due approcci. Il primo è un processo globale di rivendicazione della terra, denominato “trattati moderni” (Coates 2008). Questo approccio prevede che le First Nations stipulino accordi sia con i governi del Canada che con la provincia o il territorio in cui si trovano (Warkentin 2014). Il secondo approccio, che si applica solo alle riserve, prevede la transizione dall’Indian Act e dal First Nations Land Management ad un quadro di autogoverno (Fligg, Robinson 2020). A differenza dei codici fondiari utilizzati nella gestione del territorio delle comunità native, la maggior parte delle First Nations autonome prepara una Costituzione che stabilisce regole aggiuntive alla loro legislazione. Poiché ogni quadro per l’autogoverno è distinto per ciascuna comunità indigena, è stata intrapresa una varietà di percorsi all’interno di questi due approcci generali (Brinkhurst 2013).
Conclusioni
In Canada esiste una relazione tra i vari livelli di governo (ad esempio, i governi federale, provinciale e locale) denominata federalismo (Armano 2022) o federalismo fiscale (Coates 2008) a cui si sottopone la regolamentazione, per esempio, dei servizi relativi alla salute e all’istruzione (Warkentin 2014).
Tuttavia, le First Nations non sono state incluse in questa relazione (Alcantara 2007). Ciononostante, negli ultimi tre o quattro decenni alcune comunità native hanno adottato misure per acquisire maggiore autorità e controllo sulla loro terra all’interno o all’esterno dell’Indian Act. Sebbene il regime dell’Indian Act Land Management offra il livello più basso di autorità (Warkentin 2014) le modifiche all’Indian Act hanno fornito un aumento del potenziale per le First Nations per autogovernarsi e gestire le proprie terre (Fligg, Robinson 2020).
Negli ultimi quaranta anni sono emerse due alternative al regime dell’Indian Act Land Management che riguardano il First Nations Land Management e la gestione del territorio tramite l’autogoverno. Sebbene questi ultimi offrano livelli di autorità più elevati rispetto all’Indian Act Land Management, l’autogoverno stabilisce il più alto potenziale per l’autorità indigena finora raggiunto.
Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2023
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Linda Armano, ricercatrice in antropologia, ha frequentato il dottorato in cotutela tra l’Università di Lione e l’Università di Venezia occupandosi di Anthropology of Mining, di etnografia della tecnologia e in generale di etnografia degli oggetti. Attualmente collabora in progetti di ricerca interdisciplinari applicando le metodologie antropologiche a vari ambiti. Tra gli ultimi progetti realizzati c’è il “marketing antropologico”, applicato soprattutto allo studio antropologico delle esperienze d’acquisto, che rientra in un più vasto progetto di lavoro aziendale in cui collaborano e dialogano antropologia, economia, neuroscienze, marketing strategico e digital marketing. Si pone l’obiettivo di diffondere l’antropologia anche al di fuori del mondo accademico applicando la metodologia scientifica alla risoluzione di problemi reali. Ha pubblicato recentemente la monografia Esplorare valore e comprendere i limiti, Quaderni di “Dialoghi Mediterranei” n. 3, Cisu editore (2022).
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