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La bottega trapanese degli argentieri Lotta: tra opere note e nuove “acquisizioni”

Bottega dei Lotta, paliotto architettonico 1739/1768 (ph. Archivio Novara)

Bottega dei Lotta, paliotto architettonico 1739/1768 (ph. Archivio Novara)

di Lina Novara 

Nella storia dell’arte argentaria trapanese del secolo XVIII, un posto di preminenza occupa la bottega dei Lotta, i maestri che marchiavano i loro manufatti con il cognome impresso per intero a lettere maiuscole: un privilegio che nessuna altra bottega ebbe a Trapani, in quanto ogni opera in argento doveva essere riconoscibile attraverso la “bulla” di garanzia con lo stemma semplificato della città: falce (forma urbis), sia con la punta della falce rivolta a sinistra, sia a destra; corona regia (qualifica di città demaniale) a cinque o a tre punte; lettere D.U.I. (Drepanum Urbis Invictissima), qualifica che Ferdinando il Cattolico concesse alla città nel 1478, oltre alle iniziali dell’argentiere autore del manufatto e del console della maestranza, in carica in quell’anno [1].

Dal 1614 e fino al 1826, anno della soppressione delle corporazioni artigiane, tutti gli argenti eseguiti nella città di Trapani vennero marchiati con la suddetta “bulla” di garanzia, alla quale, dal 1630, venne aggiunto il marchio con le iniziali del console che vidimava le opere. Fino al 1671 restano ignoti i nomi degli autori dei manufatti, tranne i pochi casi in cui i documenti d’archivio li tramandano; da questa data, con la presenza anche del marchio recante le iniziali dell’argentiere, si possono quindi attribuire le opere ai maestri.

Il fondatore della rinomata bottega LOTTA, nella quale fu prodotto un gran numero di oggetti rispondenti alle tipologie del tempo, fu quasi certamente Nicola, documentato nella prima metà del secolo XVIII, il cui figlio Francesco proseguì l’attività paterna e divenne molto esperto nella lavorazione delle parti in fusione [2]. L’altro figlio, Vincenzo (1729-1791), fu invece regio architetto e forse autore di disegni per oggetti e arredi sacri da realizzare in bottega.

In un periodo più tardo rispetto alla grande fioritura delle opere di Nicola e Francesco, nella bottega lavorava anche un altro familiare, Lorenzo, forse il più giovane, del quale non si hanno notizie documentarie, ma si conserva una navetta nella cattedrale di Mazara, marchiata LORE [3]. Non mancavano tuttavia collaborazioni con bravi lavoranti ed esperti maestri, la cui opera consentiva ai Lotta di sopperire alle numerose richieste di suppellettili sacre che provenivano da tutta la provincia e in particolar modo dalla Diocesi di Mazara. Le chiese, le confraternite, le comunità religiose furono i maggiori committenti, presso argentieri e orafi, di suppellettile sacra che veniva utilizzata e mostrata soprattutto nelle ricorrenze festive e nelle processioni; talvolta erano anche i fedeli ad offrire alla chiesa, in segno di devozione o per grazia ricevuta, oggetti preziosi che spesso avevano solo la funzione di dono e rimanevano inutilizzati.

Nicola Lotta, documentato tra il 1724 e il 1763, anno della morte, firma nel 1728 una ricevuta per il pagamento di una sfera per Mazara del Vallo; nel 1738 è console della maestranza; nel 1743 imprime le sue iniziali su una “buscioletta” per il viatico della chiesa di San Lorenzo di Xitta (Trapani), sotto il consolato di Giovan Battista Porrello (GPC43), e nel 1745 su un calice della stessa chiesa, al tempo del consolato di Alessandro Porrata (APC45) [4]. Nicola nella sua bottega si serviva anche della collaborazione di architetti per i disegni di opere da eseguire su modulo grandioso, come viene attestato dalle fonti documentarie del 1743 riguardanti il “Monumento d’argento per il S. Sepolcro della Cattedrale di Mazara”, ossia un repositorio, disegnato da Giovanni Biagio Amico [5].

Una nota del console Giovan Battista Porrello, datata 24 aprile 1743 e scritta su di un piccolo foglio, allegata al documento, così recita: Io infrascritto, facio fede di aver pesato l’argento del molimento della catredale di Mazara libri trenta novi onzi due trappisi novi e cocci otto dico – - – - – 39 – 2 – 9 – 8- Io Giombattista Purrelli Console.  Seguono, impressi sul foglio, il marchio della maestranza degli argentieri della città di Trapani, corona, falce e lettere D.U.I., e il bollo consolare del Porrello G.P.C.43. L’attestato è controfirmato dal Decano Giovanni Amico. Il peso dell’argento, oggi corrispondente a circa Kg. 12,500, è stato rilevato secondo le “misure di peso alla sottile”, usate anticamente in Sicilia dagli orefici e dai farmacisti.

Dopo avere approntato un primo disegno l’architetto Amico ne elaborò un secondo aggiungendovi “altri lavori e storie”, determinando così l’aumento della somma di denaro da corrispondere al maestro Lotta, come indicato in un successivo atto del 15 aprile 1743 dal quale si evince anche che a quella data l’opera era stata completata [6]. Il prezioso “vaso” sacro, oggi è custodito presso il Museo Diocesano di Mazara.

Che la paternità del disegno del repositorio sia dell’Amico lo attesta anche la concezione complessiva, di chiara matrice architettonica, che riconduce al motivo della cupola a bulbo costolonata, presente nell’architettura barocca siciliana e che l’Amico nel 1736 pone sul campanile della chiesa di San Lorenzo di Trapani, tuttora esistente, e la ripete sui quattro piccoli torrioni del tamburo della cupola della stessa chiesa. L’architetto Amico era, tra l’altro, conosciuto a Mazara fin dal 1736 per aver rifatto la copertura e rimodellato l’interno della cinquecentesca chiesa del Carmine, oltre che per la ricostruzione della chiesa di San Nicolò di Bari. Inoltre nel “Disegno dell’Ornato di Marmi nella cappella della Madonna del Soccorso Nella Chiesa del Monastero della Badia Nuova della Città di Trapani” del 1740, riportato nel secondo volume dell’Architetto Pratico, inserisce a coronamento della cappella una “Corona” sostenuta da quattro puttini alati, mai realizzata [7].

Nella bottega Lotta è stato eseguito anche il prezioso paliotto architettonico per l’altare del Crocefisso della chiesa di San Domenico di Trapani, in lamina d’argento, applicata su legno, ora esposto presso il Museo regionale di Trapani “Agostino Pepoli”, presumibilmente disegnato dallo stesso architetto Amico, alla cui realizzazione collaborarono i maestri Bernardo Zorba e Vincenzo Bonaiuto, in un periodo compreso tra il 1739 e il 1768, anno indicato dalle date incise e dalle fonti documentarie [8] . La marchiatura, più volte ripetuta sull’argento, consiste nella bulla della città di Trapani, nelle sigle degli argentieri BZ e VB, dei consoli OMC, Ottavio Martinez, AMC, e Angelo La Monica, e nel marchio LOTTA.

Vincenzo Bonaiuto, “figlio d’arte”, seguendo gli insegnamenti del padre Nicola si afferma come uno dei più aggiornati maestri, molto apprezzato dalla committenza non solo cittadina, ricevendo incarichi di prestigio quali la collaborazione nella bottega Lotta, o la commissione di un altro pregevole paliotto per la chiesa Madre di Marsala, datato 1766, da parte delle maestranze dei calzolai, fabbri, falegnami, e sarti, nel quale compaiono motivi ornamentali tratti dal repertorio rocaille [9]. Sebbene non esista una documentazione che attesti l’autore del disegno, la concezione generale del paliotto induce a pensare che sia stato l’architetto trapanese Giovanni Biagio Amico ad idearne la scenografia architettonica in quanto essa mostra affinità con il progetto per l’interno del santuario dell’Annunziata di Trapani, dallo stesso pubblicato nel suo trattato L’architetto pratico (1750).

La grande nicchia centrale del paliotto, delimitata da una coppia di colonne, ripete il motivo dell’abside disegnata dall’architetto Amico. L’ordine di colonne addossate alla parete dell’Annunziata ritorna nella fila di colonne del paliotto, con la differenza che le prime sono lisce e con capitelli ionici, le seconde in parte tortili e con capitelli corinzi. L’Amico aveva inserito nel progetto dell’Annunziata, sopra la trabeazione, una serie di telamoni, non realizzati dopo la sua morte: li ritroviamo nella stessa posizione sul paliotto prima della balaustrata di coronamento, elemento decorativo usato dal nostro architetto nelle chiese di Santa Maria della Grotta di Marsala, di San Lorenzo e del Purgatorio di Trapani e nel seminario vescovile di Mazara.

Bottega dei Lotta, Ostensorio con IHS, 1744/1750 (ph. Archivio Novara)

Bottega dei Lotta, Ostensorio con IHS, 1744/1750 (ph. Archivio Novara)

Tra la suppellettile liturgica della chiesa cattedrale San Lorenzo di Trapani si ritrovano alcuni oggetti sacri marchiati LOTTA, che documentano la lunga attività della bottega. Si tratta di opere inedite o poco note, tutte di ottima qualità, in buona parte datate o databili tramite i marchi dei consoli [10]. Un ostensorio, di fine fattura, ha come peculiarità la presenza di un globo sovrastato dal Cristogramma IHS accompagnato dai tre chiodi della croce, posto tra il nodo e la sfera, come i tipici elementi figurati, spesso microsculture di santi realizzate a fusione, che adornano numerosi ostensori trapanesi [11]. Altri simboli della Passione compaiono nel piede, all’interno di due scudi sagomati contenenti, rispettivamente, uno la tunica e l’altro la lancia che incrocia l’asta con la spugna; in un terzo scudo si trova il calice con l’ostia, spesso iconograficamente associato al Cristogramma IHS nel contesto eucaristico. Il pregevole manufatto fu eseguito tra il 1744 e il 1750 nella bottega LOTTA, come si evince dal marchio impresso per intero, al tempo di uno dei consolati di Ottavio Martinez che ha apposto la sua sigla OMC [12].

L’ostensorio è testimone del persistere, presso i Lotta, fino alla metà del secolo XVIII, della tradizione decorativa barocca che ne caratterizza quasi tutta la produzione: le plastiche testine di angeli, presenti nel nodo, e le raffinate volute che incorniciano gli scudi, nel piede, sono infatti retaggi seicenteschi e ripropongono il repertorio ornamentale di altre opere della bottega, tra cui due ostensori del museo diocesano di Mazara, uno con la microscultura di San Giuseppe e l’altro di Sant’Ignazio.

Bottega dei Lotta, Calice di San Lorenzo prima metà del secolo XVIII (ph. Archivio Novara)

Bottega dei Lotta, Calice di San Lorenzo prima metà del secolo XVIII (ph. Archivio Novara)

Preziosa opera inedita è il calice di San Lorenzo, in argento sbalzato e cesellato, arricchito da un nodo in cristallo di rocca, sfaccettato. L’argentiere che lo realizzò, dalle iniziali BF, dovette essere un esperto collaboratore dei Lotta [13]; egli utilizza i motivi classici del repertorio decorativo barocco ancora in uso presso le maestranze trapanesi, quali testine di angeli aggettanti, volute, elementi vegetali, in una ricercata composizione che ospita nel piede tre scudi contenenti le insegne di San Lorenzo, la graticola, la stola da diacono, la palma e la corona del martirio.

Allo stato attuale delle ricerche non risulta attivo nel secolo XVIII un argentiere corrispondente alle iniziali BF, mentre un Bernardino Faticato è documentato nell’anno 1662. Lo stesso argentiere fu autore di un piccolo reliquiario di San Giacomo Minore, San Tommaso e Sant’Andrea, databile nella prima metà del secolo XVIII: si compone di un piede in rame e di una teca in argento decorata da motivi a volute che circondano il ricettacolo ovoidale [14].

Bottega dei Lotta, Reliquiario di San Giacomo Minore, San Tommaso e Sant’Andrea, prima metà del secolo XVIII (ph. Archivio Novara)

Bottega dei Lotta, Reliquiario di San Giacomo Minore, San Tommaso e Sant’Andrea, prima metà del secolo XVIII (ph. Archivio Novara)

La maestria dei Lotta si manifesta ancora nella raffinatezza e nell’ottima fattura del reliquiario di San Lorenzo, la cui teca è formata da un tripudio barocco, fitto e minuzioso, di volute, conchiglie, piccoli fiori e frutti, testine e puttini alati che, disposti simmetricamente, fanno da cornice al ricettacolo ovale contenente una reliquia del Santo. In alto, due puttini alati, in posizione araldica, reggono un cuore con tre chiodi. Il confronto con altri reliquari della stessa tipologia, anche prodotti nella bottega Lotta, ci induce a collocare il pregevole manufatto nella prima metà del secolo XVIII, tra il 1726 e il 1754, periodo in cui era in vita Nicola [15]. Il tipo di decorazione e la forma romboidale trovano assonanze in una inedita fibula, recante lo stesso marchio LOTTA, conservata presso il Museo Pepoli.

Altra opera proveniente dalla bottega è una navetta d’incenso, dalle linee molto semplici e dalla superficie per lo più liscia tranne che nel sottocoppa, ornato da un motivo ovoidale, e nelle due valve del coperchio per la presenza della graticola, chiaro riferimento al Santo titolare della cattedrale di Trapani. La sacra suppellettile risponde alla tipologia dei contenitori d’incenso a piccola nave, verosimilmente alludente alla Chiesa che, come una nave, conduce alla salvezza.

Bottega dei Lotta, Reliquiario di San Lorenzo, prima metà del secolo XVIII (ph. Archivio Novara)

Bottega dei Lotta, Reliquiario di San Lorenzo, prima metà del secolo XVIII (ph. Archivio Novara)

La marchiatura LOTTA DUI APC rimanda agli anni compresi tra il 1726 e il 1745, periodo nel quale Alessandro Porrata, cui si riferisce la sigla, rivestì più volte la carica di console o consigliere [16]. La semplicità di linee e l’essenzialità della decorazione denotano il persistere di un repertorio decorativo ancora tardo-manierista nella prima metà del secolo XVIII, come attestano altri manufatti dell’epoca [17].

Sempre ai Lotta si ascrive la pisside eseguita durante uno dei consolati di Vincenzo Lo Iacono tra il 1712 e il 1746 [18]. Le caratteristiche tecniche e stilistiche dei Lotta ancora si riscontrano nell’ostensorio della chiesa di San Francesco d’Assisi di Trapani che, sotto la base della sfera, presenta una microscultura raffigurante San Francesco. L’opera, eseguita nel 1746, come indica la data impressa, è una delle ultime opere del maestro Nicolò Bonaiuto sr., padre del più noto Vincenzo [19].

Bottega dei Lotta Navetta d’incenso, 1726/1745 (ph. Archivio Novara)

Bottega dei Lotta, Navetta d’incenso, 1726/1745 (ph. Archivio Novara)

Simboli della passione, i cosiddetti arma Christi, ossia potenti armi contro il peccato, sapientemente scolpiti a sbalzo e cesello, si inseriscono fra gli elementi decorativi del reliquiario ericino, realizzato al tempo di uno dei consolati di Carlo Caraffa, tra il 1749 e il 1777 [20]. Montato su una base circolare in rame, tardo cinquecentesca, presenta al di sopra del ricettacolo ovoidale, la Madonna del Soccorso, raffigurata a sbalzo, mentre al di sotto si trova lo stemma della famiglia Luppino. Completano la composizione una croce apicale raggiata e quattro rose applicate. L’opera ripropone la tipologia ad ostensorio del “Reliquiario della Santa Croce”, conservato nella Chiesa Madre di Naro, precedentemente eseguito nella stessa bottega Lotta, al tempo di uno dei consolati di Giacomo De Oro nel secondo ventennio del XVIII secolo.

Piccolo ma raffinato oggetto da riferire alla bottega è infine la teca eucaristica del santuario di San Vito lo Capo, che reca sul coperchio la statuina a fusione di San Vito, nella classica iconografia con i due cani ai lati, e la croce in mano; sul globo che sostiene il Santo una palma sormontata da una corona fa riferimento allo stemma della famiglia Palma [21].

Sono state qui indicate solo alcune tra le opere già note mentre quelle inedite vengono ora inserite nel catalogo dei manufatti LOTTA: un catalogo in continua evoluzione per via degli innumerevoli manufatti della operosa e straordinaria bottega. 

Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2023 
Note
[1] Per la storia della maestranza trapanese e per i marchi si veda: Argenti e ori trapanesi nel museo e nel territorio, a cura di AM. Precopi Lombardo e L. Novara, Trapani 2010; inoltre AM. Precopi Lombardo, L. Novara, Argenti in processione. I Misteri di Trapani, Marsala 1992. 
[2] Per le biografie e le sigle degli argentieri si vedano: Profili di argentieri e orafi trapanesi, a cura di AM. Precopi Lombardo, in Argenti e ori, cit., R.III, ad voces; Marchi di Argentieri e consoli della Maestranza di Trapani, a cura di L. Novara, in Argenti e ori, cit., R.II, alle sigle.
[3] Cfr. M.C. Di Natale, Il Tesoro dei Vescovi nel Museo Diocesano di Mazara del Vallo, Marsala 1993: 308.
[4] A. Buscaino, Xitta. Storia e cronaca di un borgo attorno alla sua torre, Paceco 1993, s.p.
[5] L. Novara, Monumento d’argento per il S. Sepolcro della Cattedrale di Mazara, in Argenti e ori, cit.: 60-61. La foto del repositorio, tratta da Argenti e ori, cit.: 61, è stata pubblicata per concessione del Museo Diocesano di Mazara del Vallo.
[6] A. Mazzamuto, Giovanni Biagio Amico architetto e trattatista del Settecento, Palermo 2003: 105.
[7] G.B. Amico, L’Architetto prattico, Palermo 1750, vol. II, fig. 36.
[8] L. Novara, Paliotto d’altare con veduta architettonica in Ori e Argenti di Sicilia dal Quattrocento al Settecento, a cura di M. C. Di Natale, Catalogo della mostra, Trapani Museo Regionale Pepoli, luglio-ottobre 1989, Milano 1989, Scheda II 172; D. Scandariato, Scheda n.7 in Architetture barocche in argento e corallo, a cura di S. Rizzo, Palermo 2008.
[9] Vd. nota 2.
[10] L. Novara, Gli argenti, in La Cattedrale di San Lorenzo in Trapani: storia del monumento e percorsi pastorali, in c.s.
[11] Per l’ostensorio si veda: L. Novara, L’Arte argentaria trapanese dal XVII al XIX secolo in Argenti e ori trapanesi, cit.: 33, fig. 10.
[12] Ottavio Martinez fu console nel 1744, 1748, 1750. Per i consoli della maestranza trapanese vd: Cariche sociali degli orafi e degli argentieri trapanesi (1612-1826), a cura di AM. Precopi Lombardo, in Argenti e ori, cit., R.I.: 61-77.
[13] I marchi impressi sul manufatto inedito sono: bulla della citta di Trapani, DUI, LOTTA, BF. Il nome di Bernardino Faticato è documentato nell’anno 1662: vd. S. Accardi, Consoli e maestri orafi ed argentieri dal 1662 al 1765, www.trapaniinvittissima.it.
[14] I marchi impressi sul manufatto inedito sono: bulla della citta di Trapani, DUI, e le sigle BF e ARE (non identificabile).
[15] Sull’opera non si rilevano altri marchi oltre quelli della città di Trapani e della bottega LOTTA.
[16] Identiche sigle si ritrovano su un calice del Museo Diocesano di Mazara del Vallo, datato 1745: P. Allegra, Calice, scheda n. 48, in M. C. Di Natale, Il Tesoro dei Vescovi, cit.: 112. Alessandro Porrata, fu console o consigliere negli anni 1726, 1728, 1732, 1735, 1745, e morì il 23 marzo 1780 (vd. nota 2).
[17] Tra i manufatti si segnala un secchiello per l’acqua benedetta del tesoro del santuario dell’Annunziata di Trapani: M. Vitella, Secchiello per acqua benedetta, in Il tesoro nascosto. Gioie e Argenti per la Madonna di Trapani, catalogo della mostra a cura di M.C. Di Natale e V. Abbate, Trapani, Museo Regionale Pepoli, 2 dicembre 1995 – 3 marzo 1996, Palermo 1995, scheda II.27: 228-229.
[18] Inedita. Vd. nota 2.
[19] Marchi di Argentieri, cit., a cura di L. Novara, in Argenti e ori, cit., R.II, alle sigle LOTTA e NB. Vd. nota 2.
[20] L. Novara, L’Arte argentaria, cit.: 33-34, fig. 11.
[21] Ibidem:34, fig. 12

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Lina Novara, laureata in Lettere Classiche, già docente di Storia dell’Arte, si è sempre dedicata all’attività di studio e di ricerca sul patrimonio artistico e culturale siciliano, impegnandosi nell’opera di divulgazione, promozione e salvaguardia. È autrice di volumi, saggi e articoli riguardanti la Storia dell’arte e il collezionismo in Sicilia; ha curato il coordinamento scientifico di pubblicazioni e mostre ed è intervenuta con relazioni e comunicazioni in numerosi seminari e convegni. Ha collaborato con la Provincia Regionale di Trapani, come esperto esterno, per la stesura di testi e la promozione delle risorse culturali e turistiche del territorio. Dal 2009 presiede l’Associazione Amici del Museo Pepoli della quale è socio fondatore.

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