di Ada Boffa
Baya Mehieddine (1931-1998) è stata la prima donna algerina ad affermarsi nel panorama artistico internazionale durante il periodo della colonizzazione [1]. Il 24 novembre 1947 a Parigi in piazza Monceau, nella galleria d’arte aperta dieci anni prima da Aimé Maeght, si teneva la prima esposizione di una giovane artista algerina, dell’età di 16 anni, sino ad allora sconosciuta: Baya. Tra le personalità di spicco che presero parte all’evento vi erano: la moglie dell’allora presidente della Repubblica, Mme Vincent Auriol, Yves Chataigneau, il governatore generale dell’Algeria, Kaddour Ben Ghabrit, responsabile della moschea di Parigi e lo scrittore Albert Camus. L’evento fu largamente seguito dalla stampa e si conservano ancora oggi dei filmati.
Nel febbraio del 1948, l’edizione francese di Vogue le consacrò un articolo, accompagnato da una foto a colori della giovane artista immortalata al centro delle sue opere d’arte. Anche in questo articolo, Baya fu descritta come un’artista orfana analfabeta, fedele ad una dialettica orientalista e di stampo coloniale.
L’infanzia dell’artista fu drammatica. Rimase orfana all’età di cinque anni e andò a vivere dalla nonna ma per vicissitudini economiche cominciò a lavorare da giovanissima come domestica [2]. Baya non fu un caso isolato. Tra gli artisti di origine maghrebina, gli autodidatti, nati in contesti modesti e senza aver ricevuto un’istruzione artistica formale, erano molto numerosi. Le loro opere erano apprezzate per la loro espressività e furono catalogate come arte naif, arte spontanea o arte moderna.
In Marocco, molti furono riconosciuti pubblicamente come artisti: Moulay Ahmed Drissi (1924-1972), Moulay Ali Alaoui (1924-2011), Ahmed Louardiri (1928-1974), Ahmed Yacoubi (1928-1985), Mohamed Ben Allal (1928-1995), Mohamed Hamri (1932-2000) e molte donne tra cui Radia Bent Lhoucine (1912-1994) e soprattutto Chaïbia Talal (1929-2004) furono le più famose. In Tunisia, Ammar Ferhat (1911-1988), Brahim Dahhak (1931-2011) e più tardi Ahmed Hajeri (nato nel 1947) artista autodidatta. In Algeria, Hacène Benaboura (1898-1960) e Baya, nome di nascita Fatma Haddad (1931-1998). Quest’ultima, grazie alla florida e nota attività artistica, aprì una riflessione in campo artistico sulla questione coloniale e sulle controversie politiche ed identitarie circa l’indipendenza dei popoli colonizzati.
L’arte naif degli artisti autodidatti ebbe grande successo in Europa in quanto espressione di genuinità e spontaneità, lontana dalle logiche del mercato dell’arte ma pur sempre apprezzata attraverso lo sguardo orientalista dell’èlite egemone.
La grande presenza di autodidatti tra gli artisti di origine maghrebina non era un dato sorprendente poiché era rapportato all’elevato tasso di analfabetismo e mancanza di scolarizzazione. Si stima che il tasso di scolarizzazione primaria nel 1956 era pari al 15% del totale in Marocco e circa del 20% in Algeria. Parallelamente, in Europa e negli Stati Uniti, soprattutto a seguito della Seconda guerra mondiale, il mondo dell’arte era alla ricerca di nuova linfa artistica, estranea ai codici accademici.
Fu in questo periodo artistico culturale che si inserì l’arte di Baya, alla quale André Breton, nel 1947, in onore della sua esposizione, dedicò un discorso di incoraggiamento dell’arte cosiddetta “primitiva”, simbolo di autenticità, lontana dalla barbarie del mondo considerato civilizzato che aveva prodotto il concetto di razza.
La scoperta di artisti autodidatti riconoscibili come esponenti dell’arte naif, in stile con la nuova consapevolezza dell’arte come luogo di contatto tra popoli, fu ad opera di intermediari, come artisti, galleristi o collezionisti e appassionati d’arte. La stessa Baya fu notata ad Algeri da Marguerite Caminat (1903-1987), una nobile donna francese residente nel protettorato di Algeri e sposata con un artista e collezionista britannico interessato alla didattica dell’arte, Frank McEwen (1907-1994). Baya lavorava come domestica presso la loro dimora e fu Mme Caminat che si accorse del suo talento e lo condivise con il proprio entourage, tanto da suscitare l’attenzione di artisti ed infine di Monsieur Aimé Maeght, il più noto mecenate francese dell’epoca.
Nel 1947 le opere di Baya furono presentate con queste parole nel numero della rivista artistica edita dalla galleria Maeght, Derrière le miroir
«Baya toute droite, Baya indéchiffrable, Baya silencieuse, Baya digne et grave, Baya au visage farouche, aux yeux baissés sur son propre mystère. Baya hermétique et craintive. Baya indifférente, enfant au cœur gonflé de larmes, détourne la tête pour se détendre et se moquer de notre admiration» [3].
L’opera di Baya apparve come un’urgenza espressiva priva della consapevolezza dell’aver prodotto un’opera d’arte. Questo concetto fu alla base di quella che venne definita nel 1945 come “arte spontanea” da Jean Debuffet, artista alla costante ricerca di stimoli e di viaggi d’avventura che lo condussero in Algeria e nel Sahara.
Un altro personaggio di spicco, Émile Dermenghem, responsabile degli archivi e della biblioteca di Stato algerina, parlò di Baya come di un’artista capace di racchiudere nelle sue opere sia la cultura araba che quella berbera, due facce dell’identità algerina, rappresentative di un Nord Africa crocevia di Oriente e Occidente: «Dans l’âme de Baya s’affrontent de même, se rencontrent, se marient, se complètent ou se déchirent, sous les yeux d’Occident, l’âme berbère et l’âme arabe» [4].
Le opere di Baya ottennero il consenso anche da parte della comunità islamica di Algeri ad opera del qadi-giudice Benhoura, permettendo all’artista di esporre le proprie opere senza rischiare di essere accusata di cattiva condotta morale. Tuttavia, le opere di Baya furono esposte ad Algeri nel museo “Des Beaux1- Arts” solo nel 1962. Questa scelta dipese principalmente dalla volontà del direttore del museo, Jean Alazard, che rimase lontano dalla vivacità della corrente surrealista e dell’arte spontanea, preferendo artisti di stampo accademico.
Benché l’arte di Baya fosse spontanea, l’artista non perdeva occasione per sviluppare la propria formazione artistica, anche attraverso lo studio della ceramica, potendo contare su personalità di spicco del proprio entourage artistico che la portarono a fare la conoscenza di Pablo Picasso.
La vita privata di Baya in Algeria dal 1953 al 1962 fu segnata dal matrimonio con un musicista arabo-andaluso El Hadj Mahfoud Mahieddine (1903-1979), dal quale ebbe sei figli. Visse a Blida e si dedicò all’accudimento della propria famiglia.
La sua immagine pubblica fu oggetto di attenzione durante il periodo della guerra d’indipendenza sia da parte della fazione francese come simbolo di una donna emancipata coltivata dalla madre Francia, sia da parte del partito popolare che ne rivendicava l’appartenenza identitaria, sostenendo che la sua storia fosse stata fonte d’ispirazione per una delle poesie manifesto del nazionalismo algerino di Jean Senac, Matinale de mon peuple, datata 1950.
La produzione artistica di Baya ritornò in vita dopo l’indipendenza e non cessò fino alla sua morte. Nel 1963 il nuovo responsabile del Museo nazionale di Algeri organizzò una mostra sui pittori algerini e decise di esporre alcune opere di Baya facendola riemergere dall’oblio. Da quel momento Baya ritornò ad esporre regolarmente sia a Parigi che ad Algeri con alcune delle sue opere più famose come Femme jouant avec un paon del 1946 e Paysage et Femmes en bleu sous deux arbres 1963.
Nel 1971 e nel 1989 le poste algerine utilizzarono un’opera di Baya come immagine di un timbro postale dedicato alla giornata internazionale dell’infanzia e nel 2008 la commemorarono riportando una sua foto accanto alle sue opere.
L’immagine pubblica di Baya è stata percepita in maniera controversa e conflittuale, spesso manipolata nell’ambiguo dibattito dualista tra identità arabo-islamica e berbera laica, sebbene lei avesse scelto di condurre una vita semplice e modesta dedita all’arte, alla famiglia e all’osservanza di valori intimi ed individuali, lontani dalla strumentalizzazione politica.
La storia di Baya è stata un simbolo di riscatto identitario e di genere all’interno di un mondo elitario così come era il panorama artistico del primo Novecento. Negli ultimi anni la figura di Baya sta nuovamente ritornando alla ribalta grazie all’allestimento di mostre ed esposizioni, come quella presentata alla Biennale di Venezia nel 2022 o all’Istituto del Mondo Arabo di Parigi ancora in corso fino al 26 marzo 2023, permettendo al grande e al giovane pubblico di venire a conoscenza di una voce femminile, memoria storica e artistica di creatività e di unione tra popoli, artista che ha ispirato l’avanguardia surrealista parigina di Picasso e Breton.
Dialoghi Mediterranei, n. 60, marzo 2023
Note
[1] Bouayed A., Une femme pionnière dans le monde des arts, Baya (1931-1998). Eléments de contextualisation, Revue des sciences humaines et sociales ـ n° 47 – Juin 2017: 223-243.
[2] Morgan Corriou, M’hamed Oualdi, Une histoire sociale et culturelle du politique en Algèrie, Études offertes à Omar Carlier: 277-294.
[3] Derrière le miroir [Paris, Galerie Maeght], n° 6, novembre 1947: 2.
[4] Estratto dall’articolo del 17 décembre 1947 in Alger Soir, cité par A. Bouayed.
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Ada Boffa, attualmente animatrice socio-culturale ed esperta d’italiano L2 per adulti e minori con background migratorio, nel comune di Napoli. Esperta di Studi Berberi, ha conseguito il titolo di Laurea Magistrale in Scienze delle Lingue, Storie e Culture del Mediterraneo e dei Paesi islamici, presso l’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, discutendo una tesi in Lingua e Letteratura Berbera: “Temi e motivi della letteratura orale berbera: racconti tuareg dell’Aïr”, svolta in collaborazione con tutor esterno presso l’Università di Parigi, INALCO. Ha partecipato al convegno ASAI, Africa in movimento (Macerata 2014), presentando un paper sulla favolistica tuareg.
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