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Sardegna, quale energia? Il dibattito sul Piano di riconversione energetica

0502919aabdb74855fa0e4a2ce9b22a5il centro in periferia

di Costantino Cossu

C’era una volta il governo Draghi. I fuochi della guerra non si erano ancora accesi, ma c’era la pandemia, con il suo pesante bilancio non soltanto di morti, ma anche di devastazione economica. Per correre ai ripari l’Unione europea ha incentivato la rimodulazione delle politiche economiche dei singoli Stati. In Italia è nato il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e di resilienza), promosso dall’esecutivo Draghi in attuazione del programma “Next Generation”, dotato di un fondo comunitario di 750 miliardi di euro. A Roma sono stati assegnati 191,5 miliardi di cui 70 miliardi (il 36,5%) in sovvenzioni a fondo perduto e 121 miliardi (il 63,5%) in prestiti. Un mare di denaro.

Tra le molteplici finalità del Pnrr c’è la riconversione dell’economia nazionale in chiave di compatibilità ecologica. Per centrare questo bersaglio Roberto Cingolani, il ministro per la transizione ecologica del governo Draghi, nel novembre del 2021 ha firmato un decreto, approvato poi dalle due Camere e tuttora vigente almeno sulla carta, che prevede una serie di misure finalizzate a un forte incremento di produzione di energia da fonti rinnovabili (solare, eolico e idroelettrico) e nello stesso tempo il mantenimento, provvisorio in linea teorica, di una quota di produzione di energia da metano (combustibile fossile e quindi generatore di CO2, il cui utilizzo, nella prospettiva di riconversione green definita nel 2015 con l’Accordo di Parigi, andrebbe progressivamente limitato sino all’azzeramento).  Il progetto elaborato da Cingolani contempla anche l’immediata chiusura delle centrali a carbone, senza alcuna possibile riconversione a metano degli impianti.

Le carte si sono rimescolate quando, pochi mesi dopo l’approvazione del decreto da parte del Parlamento, è scoppiata la guerra in Ucraina. Ridotte sul mercato le quote di gas russo, sulla chiusura delle centrali a carbone Draghi e Cingolani hanno fatto marcia indietro: niente dismissione, impianti ancora attivi a tempo indeterminato. Per quanto riguarda il metano, invece, il problema è diventato il modo di sostituire il gas importato dalla Federazione russa con cospicue quantità di metano acquistate da altri Paesi. Soprattutto, però, è cambiato l’ordine di priorità rispetto a metano da una parte e fonti energetiche rinnovabili dall’altra. Lo sviluppo delle rinnovabili – così è stato giustificato dal governo Draghi il cambio di orientamento – richiede tempi troppo lunghi di fronte a una guerra nel cuore d’Europa che mette a rischio i livelli di produzione di energia. Livelli che invece devono restare, nell’immediato, costanti.

gasdottoA questo scopo i siti di produzione a gas, che esistono già, servono di più di impianti fotovoltaici o eolici tutti ancora da realizzare. E così Draghi (ma le sue decisioni appaiono nella sostanza confermate dall’attuale governo) ha messo sullo sfondo le energie alternative e ha puntato sulla realizzazione, in tempi brevi, dei nuovi impianti a metano previsti dal decreto Cingolani e sul potenziamento dei vecchi. Le priorità sono diventate il reperimento di fonti di approvvigionamento di gas alternative a quella russa, la costruzione di nuovi rigassificatori oltre quelli già attivi e la creazione di un’efficiente rete nazionale di distribuzione del metano. Ci sono però alcune aree del Paese e alcune regioni, la Sardegna in particolare, dove le rinnovabili sono rimaste – tuttora sono – al centro dei progetti di riconversione ecologica.

Per la Sardegna il piano Cingolani prevede uno sviluppo massiccio delle fonti rinnovabili, attraverso la creazione di un vero e proprio hub nazionale diffuso su tutto il territorio regionale per la produzione di energia da fotovoltaico e da eolico. È vero che, nel contempo, il governo ha dato il via libera alla costruzione nell’isola di tre rigassificatori in prossimità degli scali marittimi di Cagliari, di Oristano e di Porto Torres, ma è soprattutto sulle rinnovabili che il decreto Cingolani punta per la Sardegna, molto più che per ogni altra regione italiana.

pannelli-solari-gallerggiantiUna scelta determinata da tre fattori: l’abbondanza delle fonti (vento e sole in quantità); la scarsa densità di popolazione, con vaste aree disabitate dove collocare impianti la cui realizzazione richiede disponibilità ampia di territorio; l’estensione notevole del perimetro delle coste, con diversi siti adatti alla costruzione di impianti eolici off shore. Soltanto per le turbine alimentate dal vento, attualmente le richieste di installazione presentate in Sardegna sono ventuno e prevedono la messa in posa di circa settecento pale eoliche. Secondo un censimento di Terna, la società che gestisce la rete elettrica nazionale, se realizzati i parchi eolici sardi possono produrre energia per un totale di 7.520 Mw. Ma anche le richieste di autorizzazione per la costruzione di impianti fotovoltaici hanno fatto registrare un’impennata e sono in costante aumento.

Tutto bene, dunque? Non proprio. Mentre sul piano nazionale le maggiori associazioni ambientaliste (da Legambiente al Wwf, dal Fai a Green Peace) criticano la scelta di Cingolani di costruire nuovi rigassificatori ma appoggiano in pieno il progetto di fare della Sardegna una grande piattaforma per la produzione di energia da fonti rinnovabili, nell’isola si è formato un fronte ampio di forze che si oppongono alle pale eoliche e ai pannelli fotovoltaici. Un fronte variegato che va dalla giunta regionale di centrodestra (Lega, Fratelli d’Italia, Partito sardo d’azione) ad alcune associazioni ambientaliste locali (Italia Nostra Sardegna e Gruppo di intervento giuridico) sino a porzioni consistenti del movimento indipendentista, in Sardegna sempre vivo. E se l’obiettivo è comune (“no” agli impianti eolici e solari), le motivazioni (e gli interessi) sono diversi.

colonia-energetica-2Le associazioni ecologiste denunciano i rischi di devastazione ambientale legati all’installazione dei pannelli solari e delle pale eoliche in porzioni vastissime del territorio regionale. Ma sottolineano anche altri aspetti. Secondo gli ambientalisti la Sardegna, che è già esportatrice di energia, non ha alcun bisogno di altro potenziale produttivo. Il piano Cingolani servirebbe soltanto – dicono gli ecologisti sardi – al trasferimento di un massiccio surplus energetico verso la Penisola, che avverrebbe attraverso il Thyrrenian Link, il nuovo doppio cavo sottomarino di Terna che avrà, quando sarà completato, una portata 1000 MW e 950 chilometri di lunghezza, e si snoderà da Torre Tuscia Magazzeno (a Battipaglia in provincia di Salerno) a Termini Imerese in Sicilia, per poi proseguire sino alla costa meridionale sarda.  Dovrebbe esser pronto nel 2027-2028, insieme con il cosiddetto SA.CO.I. 3, potenziamento del link sottomarino fra Sardegna, Corsica e Penisola (portata 400 MW) che rientra fra progetti d’interesse europeo finanziati dal Pnrr.

Insomma, secondo gli ecologisti sardi la Sardegna metterebbe il suo territorio e i suoi mari al servizio di un progetto che per l’isola, in termini di approvvigionamento energetico, non avrebbe alcuna utilità e che sarebbe funzionale soltanto alle strategie industriali di Terna e dell’Enel. Terna ed Enel hanno già in fase esecutiva un progetto per costruire in Sardegna siti di stoccaggio, tramite accumulo in batterie, dell’energia prodotta dai parchi eolici e dai pannelli fotovoltaici previsti dal decreto Cingolani. In alternativa al metano e coerentemente al proprio core business, in questo momento l’Enel, sotto la guida di Francesco Starace, spinge per una riconversione fondata sulla produzione di energia elettrica da rinnovabili, in contrasto con l’Eni, che, invece, nel processo di passaggio verso il green vorrebbe conservare un ruolo centrale al metano. È dall’Eni che, che a suo tempo, sono venute le maggiori pressioni sul governo Draghi per ottenere la realizzazione dei tre nuovi rigassificatori di Cagliari, di Oristano e di Porto Torres. Un confronto tra colossi dell’energia, Enel ed Eni, in cui la Sardegna sarebbe soltanto, secondo gli ambientalisti, territorio da occupare per strategie aziendali tra loro contrastanti, con nessun riguardo per le esigenze e gli interessi dell’isola, che da tutta la partita riceverebbe unicamente scempio e devastazione ambientale.

pale-eoliche-off-shoreSull’asservimento della Sardegna a interessi esterni insiste il movimento indipendentista. Comune a tutte le svariate anime dell’indipendentismo isolano è il rilievo secondo il quale – in una logica di disparità coloniale – la Sardegna sarebbe utilizzata come “zona di sacrificio” per l’attuazione di un progetto le cui finalità sarebbero tutte esterne all’isola. Niente in contrario, in linea di principio, alle energie non fossili e, anzi, pieno appoggio alla riconversione green. Ma una riconversione green che non sia imposta, dall’alto, da un potere esterno e prevaricante che tratta l’isola, in continuità con una lunga prassi storica, come una “colonia di sfruttamento”. Per sfuggire a questa logica la via maestra sarebbe affidare la svolta verde alle comunità locali, in un quadro generale che più che agli investimenti nelle fonti alternative di gruppi multinazionali che operano secondo logiche di mercato, punti a una programmazione dal basso. Cosa che, del resto, in Sardegna avviene già. Comunità energetiche di base esistono a Ussaramanna, a Villanovaforru, a Serrenti, a Berchidda e a Benetutti, Comuni energeticamente autosufficienti grazie alla realizzazione, nei loro territori, di impianti che utilizzano energie rinnovabili.

adesInfine il fronte strettamente politico. La Regione Sardegna, guidata dal sardista Christian Solinas, capo di una giunta di centrodestra, ha presentato ricorso al Tar del Lazio contro il decreto Cingolani, che – ha dichiarato il presidente della giunta regionale – «non tutela il diritto dei sardi ad avere una soluzione definitiva e strutturale al problema energetico, tale da poter garantire un futuro adeguato al territorio e al sistema produttivo». «Questo decreto – ha aggiunto Solinas – mortifica la nostra autonomia energetica e condanna la Sardegna a sopportare nuovi handicap oltre a quelli subiti fino a oggi, che hanno determinato per noi un costo dell’energia più alto, mediamente del 30%, rispetto al resto del Paese». «Avevo anticipato al Governo – ha spiegato Solinas – la nostra posizione e atteso invano un correttivo che non è arrivato. È venuto meno, da parte del Governo, il rispetto di una prassi consolidata di leale collaborazione ed è stato violato il principio di insularità, di recente inserito in Costituzione con una modifica della Carta sancita dal voto del Parlamento. Di qui la decisione di opporci in ogni sede». Il ricorso della Regione Sardegna è stato respinto dal Tar con una sentenza del 26 settembre dell’anno passato, contro la quale Solinas si è appellato alla Corte dei conti, che, a novembre, ha bocciato per vizi di forma il pronunciamento dei magistrati laziali e, soprattutto, ha sospeso tutti gli effetti del decreto Cingolani in Sardegna, fissando per il prossimo 23 febbraio l’udienza per la discussione dell’appello nel merito.

prs-articolo-1Oltre a quelle dichiarate, però, la maggioranza di centrodestra che governa la Sardegna ha altre motivazioni, mai esplicitate ma evidenti. Ripetutamente la Confindustria isolana si è espressa sui contenuti del decreto Cingolani. Secondo gli industriali sardi il modo migliore per rispondere alle esigenze produttive locali sarebbe privilegiare, tra le fonti energetiche, il metano. La Confindustria, quindi, non soltanto è favorevole a quella parte del decreto Cingolani che prevede la realizzazione di tre nuovi rigassificatori, ma chiede anche la costruzione di un grande gasdotto che attraversi tutta l’isola, da Cagliari a Sassari, e che consenta la distribuzione capillare del gas in ogni angolo della regione. La realizzazione del gasdotto garantirebbe alle imprese edili sarde (il presidente di Confindustria Sardegna è un imprenditore edile) sostanziose commesse pubbliche. Solinas parla di «violazione da parte del Governo del principio di leale collaborazione», ma non è un mistero per nessuno che nella sua giunta siano in molti a essere sensibili alle argomentazioni e agli interessi di Confindustria.

Dialoghi Mediterranei, n. 60, marzo 2023
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Costantino Cossu, laureato presso l’università “Carlo Bo” di Urbino (facoltà di Sociologia e Scuola di giornalismo), è giornalista professionista dal 1985, cura le pagine di Cultura del quotidiano la Nuova Sardegna. Collabora con il quotidiano Il manifesto e con la rivista “Gli Asini”. Ha scritto i libri: Sardegna, la fine dell’innocenza (Cuec, 2001), Gramsci serve ancora? (Edizioni dell’Asino, 2009). Ha curato il volume di autori vari La Sardegna al bivio (Edizioni dell’Asino, 2010) e il testo di Salvatore Mannuzzu, Giobbe (Edizioni della Torre, 2007).

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