«Fino a quando continueremo a ritenere che lo scorrere inevitabile verso Occidente sia l’unico moto possibile del giorno e che il Mediterraneo sia solo un mare del passato, avremo puntato gli occhi nella direzione sbagliata» (Cassano 2003: 49)
Quella dei “nodi del vento” è un’immagine particolarmente suggestiva. Non mi riferisco all’uso del solcometro, con cui in passato si misurava la velocità dei vascelli a vela, bensì a una pratica decisamente più leggendaria, ossia la “vendita del vento”. In alcune regioni del Nord Europa ai marinai veniva consegnato un fazzoletto o una corda con tre nodi: sciolto il primo si alzava una leggera brezza, al secondo giungeva un forte vento favorevole, ma sciolto il terzo, immancabilmente cominciava una bufera.
Come non rievocare l’episodio omerico, quando i compagni di Ulisse aprirono incautamente l’otre donato da Eolo, scatenando i venti intrappolati? Le suggestioni di questa immagine non si limitano, però, solo all’epica o alle leggende del passato: mai come in questi decenni sembra che i venti ci siano scappati di mano; le emissioni climalteranti stanno gradualmente cambiando le correnti atmosferiche, rimodellando il clima globale. Un esempio è l’aumento di intensità, frequenza e distruttività dei cicloni che, negli ultimi trent’anni, hanno attraversato l’Europa. Questi eccessi di vento – tra le tante manifestazioni del cambiamento climatico – sono anche espressioni di società che, come i marinai di quelle leggende, hanno sciolto un nodo di troppo.
Scegliere di fermarsi al secondo nodo, oggi, non significa solo il rifiuto di una crescita smisurata ma riguarda anche le nostre modalità di confronto e dialogo. Consiste nel praticare una moderazione nelle relazioni umane che non ha nulla di timoroso, artefatto o ignavo ma segue invece quella via media raccomandata – per tornare a uno dei tanti centri del nostro Mediterraneo – dallo stesso oracolo delfico: quel “niente di troppo” (μηδὲν ἄγαν) inteso proprio come ammonimento a non eccedere. E penso che la moderazione sia proprio uno dei fili rossi che attraversano questi primi dieci anni di Dialoghi Mediterranei. Al di là dei temi affrontati e dell’abilità nel coinvolgere la comunità scientifica nel suo senso più ampio, questa rivista si è dimostrata capace di esercitare un senso della misura affatto scontato, e che condivide una specifica forza e integrità con quel pensiero meridiano sognato da Camus, trait d’union tra i popoli delle sponde mediterranee.
Non è senza motivo che uso l’immagine del nodo; Dialoghi Mediterranei mette costantemente in pratica l’invito di Giovambattista Vico a osservare i nodi che stringono fra loro fenomeni apparentemente lontanissimi, rendendo visibili questi intrecci. E proprio i nodi, con le parole del direttore Antonino Cusumano, «sono quelli su cui la rivista si è impegnata a promuovere e favorire ragionamenti e sconfinamenti, contaminazioni e dialoghi tra autori e studiosi di scienze e posture intellettuali diverse».
Con questo numero cade anche una ricorrenza decisamente minore e più personale, ossia i cinque anni della mia collaborazione con la rivista. Qui ho un debito di gratitudine nei confronti di Stefano Montes; fu lui che, dopo un convegno a Palermo nel 2018, mi suggerì di proporre il mio intervento a Dialoghi Mediterranei e al suo direttore. Non immaginavo che quella prima, timida, presentazione avrebbe inaugurato un percorso che continua tuttora, e che spero sinceramente di mantenere a lungo. Come ebbi già modo di scrivere nell’introduzione al secondo volume dei Quaderni, questi anni di collaborazione sono stati una continua opportunità per scrivere di antropologia in un ambiente stimolante come pochi. In un contesto accademico dove spesso l’inter-disciplinarietà è tanto lodata quanto – informalmente – sconsigliata, dove i meccanismi editoriali e di peer review intorpidiscono il piacere di scrivere, e dove occuparsi di questioni d’attualità è considerato con sospetto, Dialoghi Mediterranei rappresenta una preziosa eccezione.
Non c’è dubbio che dedicarsi alla contemporaneità sia un compito difficile. Come occuparsi dell’oggi senza fare giornalismo, o senza scadere nella mera cronaca, in un commento estemporaneo dell’attualità? Tanto più per l’antropologia, che è per eccellenza un sapere della contemporaneità in costante dialogo con le tante sfaccettature culturali del quotidiano ma che ancora stenta ad assumere una dimensione pubblica.
Potrei descrivere la mia esperienza con Dialoghi Mediterranei come un continuo tentativo di leggere la filigrana del quotidiano, “quotidiano” inteso come dimensione acritica, scontata e banale. Riprendendo l’invito di Francesco Remotti, occorre portare delle considerazioni inattuali che, proprio per lo scarto rispetto all’attualità, per i leggeri deragliamenti che provocano nella nostra visione e interpretazione della realtà, permettono una lettura in controluce dei fenomeni culturali. Penso che una scelta simile permetta non solo di proporre analisi valide, ma anche di restituire un certo fascino alle cose. Un incanto, a suo modo, come quello dei nodi del vento. Non posso che augurare a Dialoghi Mediterranei, al suo direttore e a tutti coloro che vi collaborano di continuare su questa rotta, spinti da un forte vento, risoluti nel mantenersi al secondo nodo. Non come limite, mai come scappatoia, ma come impegno costante.
Dialoghi Mediterranei, n. 60, marzo 2023
Riferimenti bibliografici
Cassano, Franco, 2003, Il pensiero meridiano, Bari: Laterza.
Remotti, Francesco, 2014, Per un’antropologia inattuale, Milano: Elèuthera
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Nicola Martellozzo, dottorando presso la Scuola di Scienze Umane e Sociali (Università di Torino), negli ultimi due anni ha partecipato come relatore ai principali convegni nazionali di settore (SIAM 2018; SIAC 2018, 2019; SIAA-ANPIA 2018). Con l’associazione Officina Mentis conduce un ciclo di seminari su Ernesto de Martino in collaborazione con l’Università di Bologna. Ha condotto periodi di ricerca etnografica nel Sud e Centro Italia, e continua tuttora una ricerca pluriennale sulle “Corse a vuoto” di Ronciglione (VT). Ha pubblicato recentemente la monografia Traduzioni del potere, Quaderni di “Dialoghi Mediterranei” n. 2, Cisu editore (2022).
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