A partire dal Secondo Dopoguerra il sostegno alle persone più fragili avviene in Italia, come nella maggior parte dei Paesi europei, secondo il modello del Welfare State. L’assunto di base è che attraverso l’intervento dello Stato sia possibile ridurre le disuguaglianze sociali garantendo a tutti i cittadini, a prescindere da reddito, appartenenza sociale e collocazione geografica, lo stesso standard di prestazioni. Nella pratica il Welfare State italiano ha portato alla nascita del Servizio Sanitario Nazionale nel 1978, e alla creazione di una rete di servizi alla persona (assistenza economica, integrazione dei disabili, asili nido, cura degli anziani, e via dicendo) in capo agli Enti Locali. Tuttavia, se il welfare italiano al suo principio vedeva il soggetto pubblico come principale erogatore degli interventi alla persona, nel corso dei decenni gli Enti Locali hanno iniziato a orientarsi verso l’esternalizzazione dei servizi a realtà del Terzo Settore. Questo in un’ottica di maggiore ottimizzazione delle risorse non solo economiche ma anche umane. Ormai i Comuni ricorrono abitualmente all’appalto di molte attività nell’ambito dei Servizi Sociali, quali ad esempio i servizi educativi e quelli di cura alla persona svolti da personale OSS, cosa che ha creato nel tempo un rapporto molto stretto nella fattispecie tra Ente Pubblico e cooperative sociali del territorio. L’obiettivo ultimo resta l’offerta di prestazioni di qualità ai propri utenti, attraverso una gestione integrata dei servizi pubblici e privati.
Esiste però una falla importante in questo sistema, che deriva da una fragilità insita nel modello stesso di Welfare State: la sostenibilità finanziaria (Zamagni 2015). Purtroppo l’assistenza e il sostegno alla persona, soprattutto alla persona vulnerabile e in condizione di marginalità socio-economica, ha costi elevati, che sono interamente coperti dalla tassazione ai cittadini. Ne consegue che, sempre più frequentemente, in situazioni di crisi economica la spesa per questa tipologia di attività sia la prima ad essere sacrificata, con ripercussioni a catena sul Terzo Settore che gestisce tali attività per conto dell’Ente Locale. La necessità dei Comuni di far quadrare il bilancio ma di mantenere determinate prestazioni per i propri cittadini va a discapito delle cooperative appaltate, cui viene richiesto di continuare ad offrire i medesimi servizi a costi inferiori. Cooperative che conseguentemente devono operare ribassi al proprio interno, pagando il personale al minimo dei contratti nazionali, tagliando sulla sua formazione, e pretendendo la disponibilità a lavorare in condizioni di estrema precarietà.
Questo discorso vale anche per quei soggetti del Terzo Settore impegnati con richiedenti asilo e rifugiati (RTPI). La rete di accoglienza e integrazione promossa dal Ministero dell’Interno, prima PNL poi SPRAR e ora SAI, nasce e si fonda sulla fondamentale complementarietà tra pubblico e privato. Il sistema governato dal Servizio Centrale prevede infatti il finanziamento di progetti capitanati da Enti Pubblici che lavorano però in stretta sinergia con soggetti del Terzo Settore attraverso specifiche convenzioni. In questo caso si tratta di un’intuizione importante avuta dal legislatore al momento dell’istituzione della rete SAI, in quanto il Terzo Settore poteva e può portare competenze specifiche nella gestione dei migranti e delle persone fragili, costruite in decenni di collaborazione con l’Ente Pubblico, ma anche attraverso proprie attività di assistenza e solidarietà verso le fasce deboli in generale.
Purtroppo, anche nel caso dell’accoglienza RTPI il taglio di risorse si è fatto via via sempre più consistente nel corso degli anni, con un impatto molto forte non tanto sui progetti SAI quanto piuttosto sulla rete delle strutture di accoglienza straordinaria (CAS), gestiti in convenzione diretta con le Prefetture. In questo ambito le scelte politiche dei vari Governi alternatesi negli ultimi anni, in particolare quelle promosse nel 2018 dall’allora Ministro dell’Interno Salvini, hanno tagliato in modo drammatico le risorse per l’integrazione destinate alle strutture di prima accoglienza, portando sia alla drastica riduzione dei servizi prestati, ma anche alla penalizzazione dei lavoratori delle cooperative appaltate, costretti a lavorare in condizioni economiche minime.
Davanti a precise manovre politiche finalizzate a smembrare un modello di accoglienza ed integrazione che fino a pochi decenni fa molti in Europa portavano come esempio virtuoso, resta quindi come baluardo per la difesa dei migranti proprio il mondo dell’associazionismo e della cooperazione. Queste realtà, diffuse capillarmente sul territorio ed espressione della vocazione solidaristica di molte comunità locali, davanti al taglio di finanziamenti pubblici spesso scelgono di continuare a praticare servizi dignitosi attraverso risorse proprie. Ma non solo. Il Terzo Settore svolge un’importante funzione di documentazione, denuncia, sensibilizzazione e pressione sulle istituzioni affinché la voce dei migranti (e di tutte le persone più fragili) non resti inascoltata, e i loro diritti siano tutelati. Per fare un esempio direttamente preso dal territorio in cui vivo, a Milano da anni l’associazione NAGA garantisce in modo completamente gratuito ascolto, cura e tutela ai cittadini stranieri, a prescindere dall’essere o meno regolari, ma si batte anche a livello politico in modo che venga non solo riconosciuto il diritto universale alla salute, ma che questo diritto possa essere effettivamente esercitato e goduto all’interno delle strutture sanitarie territoriali.
Questa lotta oserei dire politica del Terzo Settore non passa solo attraverso vere e proprie campagne di sensibilizzazione e scontri nell’arena pubblica con gli amministratori locali, ma molto spesso avviene nel lavoro ordinario di tutti quegli operatori sociali che si scontrano quotidianamente con le prassi farraginose delle istituzioni, con la burocrazia degli uffici pubblici, se non addirittura con atteggiamenti manifestatamente discriminatori. Attraverso l’impegno per difendere il diritto dei tutti, anche degli stranieri, ad una vita dignitosa, queste persone svolgono una fondamentale azione di advocacy. Sembra quasi che quello che una volta era il ruolo dei partiti politici della Sinistra, venga ora esercitato da volontari e operatori sociali, capaci ancora di denunciare le discriminazioni personali e istituzionali che i migranti incontrano, lottare per il riconoscimento dei diritti di base per tutti, e a volte fare anche pressione politica per cambiare norme ingiuste e discriminatorie.
Per concludere, torniamo al modello di Welfare State da cui eravamo partiti, e proviamo a rispondere alla domanda: in che modo oggi nel nostro Paese è possibile garantire cura e sostegno a tutti i cittadini, specialmente alle categorie più fragili? Il commento di Paolo Marelli all’economista Stefano Zamagni (Marelli 2017), offre a mio parere uno spunto di riflessione interessante. Nelle nostre società ormai post-moderne, dove lo scollamento tra cittadini e istituzioni si fa sempre più ampio, soltanto ancorarci all’idea del bene comune può rispondere all’enorme bisogno di welfare che oggi tutti lamentano.
Il bene comune non è né il bene del singolo individuo, né il bene pubblico, ma è qualcosa che appartiene alla collettività e di cui la collettività si impegna ad avere cura. La cittadinanza attiva, in cui sono le reti di cittadini a condividere dal basso esperienze di solidarietà e partecipazione, sono probabilmente ancora qualcosa di nicchia nello scenario italiano. Ma forse, in un mondo sempre più divisivo e individualistico, la cittadinanza attiva può essere la strada per ricostruire il senso di appartenenza al territorio in cui tutti noi viviamo, e aiutarci a ripartire da relazioni in cui la reciprocità diventa la fonte di sostegno primario. In questo l’esperienza di molte realtà del Terzo Settore traccia una possibile strada di impegno anche politico, che aiuta tutti noi a superare il vuoto valoriale in cui le nostre istituzioni sono tristemente cadute, e a recuperare una possibilità di ben-essere reale, che forse vuole essere il senso più profondo di qualunque idea di welfare.
Dialoghi Mediterranei, n. 60, marzo 2023
Riferimenti bibliografici
2015. Zamagni S. (a cura di), L’evoluzione dell’idea di welfare: verso il welfare civile, FrancoAngeli, Milano.
2017. Marelli P., Welfare: alle radici del nuovo modello pubblico, privato e civile, Risorsa online http://www.volontariato.lazio.it/retisolidali/
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Chiara Dallavalle, già Assistant Lecturer presso la National University of Ireland di Maynooth, dove ha conseguito il dottorato di ricerca in Antropologia Culturale, collabora con il settore Welfare e Salute della Fondazione Ismu di Milano. Si interessa agli aspetti sociali e antropologici dei processi migratori ed è autrice di saggi e studi pubblicati su riviste e volumi di atti di seminari e convegni.
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