“Sacra è la poesia, ma solo quando è ladra, quando ruba un poco di miseria al mondo”.
Vorrei chiedere al poeta Franco Arminio, il perché intimo e profondo della scelta del titolo Sacro Minore al suo ultimo libro. Potrei farlo ma se fosse lui a svelarlo ad una poetessa che ha incontrato tra versi e sguardi di giorni di splendore in Sicilia, forse oggi avrei poco da scrivere sulla sua ultima silloge. Resisto e mi fermo sulla soglia. Mi invia il Pdf. Lo assaporo. Lo leggo tutto d’un fiato. Dormo con le pagine appena stampate sotto le coperte. È il mio rito. Lascio che siano le parole a svelarmi il loro segreto.
Il libro di Franco Arminio è una preghiera laica. Mi addentro in questa sacralità del quotidiano, ove tutto, una pianta che resiste in mezzo ai sassi dei binari sui quali passa monotono e solerte un treno, un anziano che cammina per le vie desolate del suo paese, suo padre che dorme sul tavolo piuttosto che nel suo caldo letto, un vitellino che nasce come un bimbo che piange di vita, è sacro. Ma questa sacralità del vivere quotidiano non è in relazione di senso o in conflittualità verticale con una sacralità maggiore, quella religiosa, ufficiale, quella fatta dalla Madre Chiesa e dal suo Dio.
Non è un Sacro Minore dunque perché ne esiste uno maggiore. Non vi è una scala di valori, né una ideologia del potere che soggiace al titolo. È piuttosto una amara e provocatoria domanda ribaltata in asserzione che il poeta rivolge tacitamente a tutti noi lettori. Avete dimenticato quanto sia sacra la vita? Sacra in tutte le sue imperfezioni, fragilità, paure, mancanze, baratri, precipizi. Uomo del mio tempo hai desacralizzato il tuo vivere perché sei alla ricerca del Sacro che si occulta nel potere, nel successo, nell’ego ipertrofico, nella sopraffazione dell’altro? Quanto ti credi onnipotente ed invece sei cieco. Cieco di vedere che perfino una formica è sacra, che il silenzio tra le dita dei piedi è sacro, che il sapore dei baci è sacro, che la salute è sacra, che donarsi e concedersi alla bellezza è sacro.
“Sacro è che siamo tutti appesi a un filo e il filo non è appeso a niente”. Cercare il sacro dunque nella maniera più semplice e genuina, mescolandosi tra la gente che racconta storie, ascoltando morti che non ci sono più eppure non vanno via, visitando gli ammalati, costruendo stanze per i profughi. “Sacro è scrivere la frase che Dio non ha scritto”. Ecco svelato il senso profondo del titolo. È la poesia che completa l’opera di Dio. È la poesia che salva dalla distruzione, dalla ferocia di perdere la memoria. Siamo stati creati per aiutare Dio a rendere questa umana esistenza migliore, più sopportabile, più docile, meno spietata e crudele. È l’uomo che si eleva verso Dio e gli tende una mano.
“Sacro è quando ti senti così ricco che chiedi a Dio se gli serve qualcosa”. Nessuna presunzione, nessuno orgoglio. Sacro Minore è l’uomo stesso che dialoga con Dio. L’uomo tocca, abbraccia, guarda, accoglie, ascolta, ama nel suo amplesso profondo con l’altra creatura. E nel suo toccare rende sacro perfino il respiro, la voce, il fischio di un pastore, la foschia, il volo di una rondine, il sapore dei baci, la neve, il silenzio, i giorni della lotta e quelli della disfatta. Ogni sentimento, ogni emozione, ogni moto d’anima, ogni ferita, tutto è benedetto e reso sacro dalla mano del poeta che congiunge ogni geografia umana, fisica, naturale, esistenziale nella galassia sconfinata dell’umano esistere.
“Sacro è sapere che il mondo si regge sulla tua gioia più che sulle tue lacrime”. Sacro è gioire con gli altri, per gli altri, in una catena di fraterna solidarietà, senza alcun confine, limite spazio-temporale, recinto, cupola, torre, etnia di appartenenza. Sacro Minore dunque è un viaggio di ascesa verso il cielo proprio quando ti allontani da esso e sprofondi nella miseria umana. Più sei consapevole di essere povero, fragile, sperduto, confuso, imperfetto, più scopri quanto la tua anima sia un grammo di infinito, un grammo di cielo.
Entri nei versi di Franco Arminio in religioso silenzio come si fa quando entri in una chiesa scordata ai margini di un paese lontano. Entri e piuttosto che ammantarti di riti purificatori che ti salvano e ti assolvono, ti senti nudo. La poesia di Franco Arminio ti spoglia, ti denuda da ogni eccesso di superbia e ti suggella in una dimensione eterna di sacralità che ti raggela e scalda la carne allo stesso tempo. Comprendi che hai bestemmiato la vita non toccandola con gentilezza, che non hai amato abbastanza il vicino, il compagno, il concittadino, il passante, lo sconosciuto. Non hai amato e hai perduto il senso del sacro. Poesia etica e laica quella di Arminio. Poesia che restituisce l’uomo del terzo millennio che si illude di dominare, possedere e controllare tutto, al nulla della sua piccolezza e paradossalmente in questa consapevolezza del suo esser nulla, l’uomo si riscatta perché si riappropria della sua ineludibile e misera umanità.
“Sacro è rimanere innocenti grazie alla paura”. Una paura che ci rende non più i dominatori e gli artefici del nostro destino ma innocenti perché fratelli di sventura. Nello sguardo dell’altro troviamo i nostri occhi, nei suoi desideri e nei suoi respiri, i nostri. Siamo innocenti perché poveri di ogni smania perversa di onnipotenza, perché la nostra vita conta quanto quella di un filo d’erba. Siamo innocenti perché non affondiamo il coltello nella ferita dell’altro ma la curiamo.
“Sacro è curare qualcuno guardandolo”. Siamo sacri quando guardiamo, quando accarezziamo, quando perdoniamo, quando diamo infinite possibilità alla vita di sorprenderci, quando mettiamo il nostro cuore nelle mani degli altri, certi che potrà essere l’ennesimo errore, fallimento, tradimento, rinnegamento ma lo facciamo lo stesso. Siamo sacri quando siamo non presunti dèi ma fragili uomini.
“Sacro è che tu mi scriva, sacro aspettare le tue parole”. Le parole sono l’unica salvezza, l’unica benedizione. Sono la misura del nostro limite e l’orizzonte sconfinato del nostro essere misteri unici, insondabili, irripetibili, terre di steppa e di martirii ma terre di inaudita bellezza. Le parole non vogliono, non possono morire, questo l’anelito ultimo del poeta, il suo commiato dolce dai suoi lettori. Perché la poesia smentisce la morte, la sovverte, la inchioda all’eternità. E se i poeti non potranno guardare più con i loro occhi allora l’unica speranza è che continuino a guardare le loro parole.
“Spero che le mie parole guardino ancora, guardino al posto mio”. Il saluto benevolo di un poeta a tutti noi. Un poeta che non si erige mai a profeta, ma solo a sentinella vigile e custode di bellezza. Un poeta che sa che non vi sono altre vie possibili per sentire e possedere il sacro se non scegliere ogni giorno di essere perdutamente uomini.
Dialoghi Mediterranei, n. 60, marzo 2023
[*] Il libro di Franco Arminio, Sacro Minore, sarà in libreria il 7 marzo 2023, edito da Einaudi. Ne abbiamo letto in anteprima il contenuto.
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Bia Cusumano, di Castelvetrano, dove vive e lavora. Si laurea in Lettere Moderne all’Università di Palermo con una tesi su Alda Merini. Oggi docente di Lettere Italiane e Latine presso il Polo Liceale della sua città, ha pubblicato due sillogi poetiche: De Sideribus nel 2010; Come la Voce al Canto nel 2021. Nel 2023 è stato pubblicato, scritto a quattro mani con il filosofo e antropologo Fabio Gabrielli il libro Sulla Soglia del Filo Spinato, edito da Libridine edizioni. Cura diverse rubriche letterarie ed è direttore culturale del Festival di Arte e Letteratura PalmosaFest da lei creato. È in uscita il suo ultimo libro di racconti con nota critica di Gaetano Savatteri e prefazione di Giusy Sciacca.
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