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Percorsi identitari tra i vicoli di Gangi

Gangi, Panorama

Gangi, Panorama

di Eliana Virga

Poco più di un anno fa intraprendevo il percorso di ricerca che mi avrebbe portata a laurearmi con una tesi incentrata sull’odonomastica del mio paese, Gangi. In quell’occasione avevo cercato di rilevare le possibili variazioni di una lingua all’interno di uno stesso gruppo, sulla base di condizionamenti sociali, economici e culturali, ovvero di comprendere come potesse mutare la forma di un odonimo in base a fattori quali genere, livello di istruzione ed età dei parlanti, e di delineare una socio-odonomastica gangitana, tentando di esaminare attraverso i filtri della socio-onomastica [1] il patrimonio odonomastico del mio paese. Avevo quindi intervistato un campione di venti informatori, attraverso il metodo dell’intervista strutturata a risposta libera o intervista direttiva, basata sull’utilizzo di un questionario per metà iconografico [2] e per metà costituito da domande dirette. 

Dalle inchieste è emerso un ventaglio piuttosto interessante di odonimi popolari, che prospettava numerosissime questioni, non tutte affrontate all’interno della tesi, per via dei limiti imposti dalla natura stessa del lavoro. È risultato, ad esempio, sempre più evidente come alcuni odonimi in particolare vengano caricati dai gangitani di significati identitari.  La questione che mi accingo, quindi, ad affrontare attraverso questo articolo, muovendo le mie considerazioni dalle informazioni raccolte in quell’occasione, è quella dell’identità spaziale veicolata dagli odonimi.

Percepirsi come parte di un gruppo, che si riconosce tale grazie a un insieme di valori condivisi, è un’istanza molto diffusa nei piccoli centri, dove non di rado si riscontra un senso dell’identità comune molto forte, che rende piena e completa la percezione di sè (io stessa, nel confronto scherzoso con colleghi provenienti dalla città, sperimento da anni la dicotomia paesano/cittadino e tendo a marcare con orgoglio la mia condizione di gangitana). Questa identità collettiva può fondarsi su elementi molto eterogenei tra loro; lo spazio (che interseca anche la dimensione temporale) è quello che mi interessa ai fini della mia trattazione.

Un luogo, e il suo nome, possono infatti caricarsi di contenuti identitari, funzionali alla costruzione e al mantenimento di una place identity [3], o identità di luogo, in virtù dell’esperienza che l’uomo fa di uno spazio, e che lo porta ad associare ad esso determinati significati. I luoghi in cui siamo cresciuti, i luoghi dell’incontro/scontro con la novità e quelli della socializzazione (tutti contesti fisici reali), ma anche i ricordi di ciò che in essi è accaduto, si fissano nella nostra memoria e condizionano la nostra identità; in maniera analoga si possono rilevare luoghi collegabili a narrazioni condivise da un gruppo, che di quel gruppo forgiano la memoria, contribuendo a rafforzarne l’identità collettiva. Vorrei spiegare cosa intendo presentando alcuni esempi relativi all’odonomastica gangitana tratti dal mio lavoro di tesi, accompagnati dai grafici che ho utilizzato per effettuare le valutazioni qualitative e quantitative[4] relative ai principali lessotipi emersi dell’inchiesta. 

Gangi (ph. Eliana Virga)

1. Gangi (ph. Eliana Virga)

Ni Anciliḍḍu

Nell’identificare l’edificio della figura n. 1 gli informatori hanno fornito risposte raggruppabili all’interno di due lessotipi ben definiti: per tutti gli informatori con più di sessant’anni quest’area può essere identificata come Ni Anciliḍḍu (da Angilello), dal cognome della famiglia che abitava il palazzo, e che lì aveva anche un negozio di stoffe (l’unico informatore che non ricordava il nome è riuscito a identificare il palazzo proprio in virtù dell’attività commerciale che lì aveva luogo); mostrando la stessa foto a informatori di età compresa fra i venti e i sessant’anni il lessotipo rilevato è stato invece Dalla Castiglia (dalla dottoressa Castiglia). Secondo gli informatori la famiglia Angilello deve aver abitato l’edificio fino ai primi anni Ottanta, successivamente, intorno al Duemila, la dottoressa sopraccitata deve aver acquistato l’edificio per farne il suo studio medico. Attraverso questo esempio risulta evidente come la memoria degli informatori e il loro vissuto in quei luoghi, abbia condizionato la forma di nominazione abbinata a quel particolare referente.

Queste due varianti odonimiche mi consentono inoltre di mettere in luce un altro tratto tipico del processo di nominazione degli spazi a Gangi, ovvero il ricorso, molto frequente, ad antropotoponimi, denominazioni di luogo derivate da antroponimi (nomi di persona individuali come prenome e soprannome, o familiari come il cognome). Gli antropotoponimi nascono quando il parlante, per sovvenire ad una carenza relativa alla nominazione di un luogo, ricorre al nome del proprietario di quello spazio per designarlo; viene così a crearsi una sorta di catasto mnemonico condiviso dalla comunità [5], che solitamente si aggiorna col ricambio generazionale. Sono ancora vitali e vividi nella memoria dei parlanti adulti, antropotoponimi come Pinninu di Pateḍḍa, Chianu Scarpiḍḍu, Curva di Famazza, Scinnuta da Squazina, Ni Boscarinu, U funnacu dû surdu (in quest’ultimo caso non è chiaro se il proprietario di questo magazzino fosse veramente sordo o se si trattasse di un soprannome).

Gangi (ph. Eliana Virga)

2. Gangi, Piazzetta Zoppo di Gangi (ph. Eliana Virga)

Alle poste

Per lo spazio rappresentato in foto n. 2, Piazzetta Zoppo di Gangi, è stata proposta quasi all’unanimità la formula Alle poste/Sotto le poste, dovuta alla presenza di un ufficio postale sopra la stessa piazza. In alternativa, oltre all’odonimo ufficiale, gli informatori hanno proposto tre ulteriori denominazioni.

La prima, U mircatu, è stata riferita da informatori con più di cinquant’anni, e ha costituito per me una novità assoluta: grazie all’odonimo è emerso infatti che, fino a circa quarant’anni fa, sotto il porticato della piazza, si teneva un mercato, frequentato soprattutto dalle donne che quotidianamente vi si recavano per fare la spesa. La seconda denominazione, Da Angelo, un antropotoponimo proposto da informatori di età compresa fra i sedici e i cinquantanove anni, prende invece come riferimento il pub ubicato accanto alla piazzetta ed il nome del suo proprietario. La terza, dove vendono il pesce, prende come riferimento la pescheria situata sotto il porticato ed è stata proposta solo da informatori adulti.

In tutti e quattro i casi ci troviamo davanti all’uso di forme deittiche basate sulla crematonimia: l’odonimo non descrive direttamente il designatum o una sua caratteristica, ma si riferisce a degli elementi che consentano di risalire ad esso (nei casi sopra, a delle attività commerciali che insistono nella zona in questione).

Le risposte registrate, inoltre, risultano essere frutto della personale esperienza che gli informatori hanno fatto di questo spazio, anche se la narrazione è decisamente mutata: si passa da una dimensione giornaliera dello spazio (con il mercato, la pescheria e l’ufficio postale) ad una più occasionale, con una piazza che da luogo di “necessità” diventa luogo di svago, vissuto perlopiù nel fine settimana.

Gangi (ph. Eliana Virga)

3. Gangi (ph. Eliana Virga)

U specchiu

Un altro odonimo su cui vorrei fermare la mia attenzione (in questo caso gli informatori hanno fornito una risposta unanime) è U specchiu (Lo specchio, foto 3), che identifica l’area in cui si incrociano le vie Nazionale e Monte Marone. La denominazione è di tipo endogeno, dovuta con molta probabilità alla presenza di uno specchio parabolico all’incrocio, e ha una riconoscibilità talmente forte (lo specchio, oggetto e odonimo, deve far parte della nostra dimensione quotidiana ormai da decenni) da aver ispirato anche un crematonimo: il bar che insiste in quest’area si chiama anch’esso U specchiu.

Le due possibili denominazioni ufficiali sono state fornite da pochi informatori, dal momento che in questo caso l’odonimo popolare, fondato su un elemento altamente riconoscibile e condiviso dalla comunità, esercita una funzione portante ai fini dell’orientamento cittadino, fagocitante si potrebbe dire, rispetto agli odonimi ufficiali, che risultano invece quasi superflui e insufficienti a svolgere la loro funzione comunicativa.  

Gangi (ph. Eliana Virga)

4. Gangi, Piazza del Popolo (ph. Eliana Virga)

Ho registrato un’ulteriore denominazione per quest’area per la quale vale un discorso diverso: A màchina ranni. A màchina ranni era un mulino ubicato nella zona, ma oggi non esiste più: con la scomparsa del designatum anche l’odonimo deve essersi perso, la sua vitalità, infatti, si avvicina sempre più allo zero. Ho registrato questa forma grazie alla testimonianza di un parlante con più di sessant’anni, che ancora conserva il ricordo della màchina.

La piazza e U passiaturi 

Rappresentati in foto 4 e  5, troviamo due spazi, adiacenti fra loro, situati nel cuore del centro storico del paese: Piazza del Popolo e Piazzetta Vittime della mafia.

Nessun informatore ha faticato a riconoscerli, sono da sempre i luoghi dell’incontro e della socialità, e, in quanto tali, devono necessariamente aver avuto una posizione di primo piano nella storia della comunità, ma sul piano odonomastico hanno prodotto esiti molto diversi.

5. Gangi,  (ph. Eliana Virga)

5. Gangi, Piazzetta Vittime della mafia (ph. Eliana Virga)

Riguardo al primo, tutte le risposte raccolte sono confluite nell’unico tipo la piazza (con le varianti a chiazza e Piazza del popolo). Mi pare interessante sottolineare, in questo caso, la predominanza della formula antonomastica la piazza rispetto all’odonimo ufficiale (e in effetti difficilmente due giovani gangitani si daranno appuntamento in Piazza del Popolo, è più plausibile invece che si incontrino in piazza), risultato della tendenza ad omettere o accorciare parole in contesti comunicativi informali, tipica del linguaggio giovanile.

Da una ricerca svolta più recentemente è emerso poi un odonimo popolare, a sinsalìa a chiazza, che mi pare interessantissimo per via di un’antica pratica sociale (oggi scomparsa) ad esso collegata: a sinsalìa, ovvero l’opera di mediazione svolta da una figura, detta sinsàli, tra iurnatàru (lavoratore a giornata) e datore di lavoro.

Secondo l’informatore [6]:

[a Sinsalìa] era un angolo della piazza adibito ai cosiddetti braccianti agricoli, all’epoca si chiamavano iurnatàri, e prestavano il loro servizio alla gente che ne aveva di bisogno, e si alternavano durante l’anno per i vari periodi. C’erano i mietitori, venivano nel mese di luglio e venivano per mietere… c’erano quelli che pulivano gli alberi, venivano per la potatura e venivano da Gioiosa Marea. Questa gente si metteva in quell’angolo che si chiamava sinsalìa… picchì si chiamava sinsalìa? Perché in tempi remoti in quell’angolo si ci mettevano pure i sinsàla. I sinsàla erano quelli che poi facevano lavorare questa gente. Poi questa gente doveva dare un indennizzo a queste persone e chiḍḍa era a sinsalìà. […] Che poi negli anni Cinquanta/Sessanta poi non esisteva più ṣta sinsalìa, però il luogo è rimasto cumu a sinsalìa.   

Possiamo localizzare questo punto nello spazio delimitato dalla ringhiera che si affaccia su Salita Madrice, tra la fine del corso principale del paese e l’inizio di Piazza del Popolo. L’informatore non è riuscito a stabilire con esattezza a quali anni risalisse questa pratica: negli anni Sessanta la figura del sensale doveva già essere scomparsa, ma i lavoratori continuavano a raccogliersi in quell’area che è rimasta nota come sinsalìa.

Gangi (ph. Eliana Virga)

6. Gangi (ph. Eliana Virga)

Vanno menzionate anche A cruci a chiazza, ovvero l’area in cui la piazza incrocia le vie Francesco Paolo Polizzano e Giuseppe Fedele Vitale e L’assittaturi du liuni, la fontana del leone, su cui tutti i gangitani devono essersi seduti almeno una volta.

Anche nel secondo caso la risposta al questionario è stata unanime: tutti hanno fatto ricorso alla forma popolare U passiaturi. Un solo informatore ha fornito l’odonimo ufficiale, e addirittura, dal questionario semasiologico è emerso che solo il 43% degli informatori lo conosce. L’odonimo ufficiale ha una vita tutto sommato breve (è stato approvato con Delibera CC n.65 del 14/10/1997), che potrebbe spiegare in parte questo vuoto di conoscenza dei parlanti; resta il fatto che l’uso della forma popolare è talmente radicato da aver generato una situazione di dualismo, per cui quest’ultima viene riconosciuta tramite insegne contenenti una doppia intitolazione (figura 6), sebbene la strada figuri nella documentazione ufficiale col solo nuovo nome. 

Odonomastica celebrativa 

Una particolare modalità di nominazione, sulla quale vorrei soffermarmi, vede l’intitolazione di aree di circolazione a personalità di punta della storia locale: donne e uomini, nati o vissuti in paese, che si sono distinti nei campi dell’arte, della scienza, in battaglia, nella politica, nella fede, ecc. guadagnandosi un posto nella memoria collettiva, e divenendo modelli positivi dell’identità gangitana. Dal 1935 ad oggi sono stati attribuiti ben trentuno di questi odonimi celebrativi (venti solo in quell’anno), ricordiamo tra gli altri: Via Francesco Alaimo, Via Francesco Paolo Polizzano, Corso Giuseppe Fedele Vitale, Via Giuseppe Salerno e Via Ing. Santi Centineo, la più recente (Delibera G.M. n.14 del 29/01/2016). 

È stata intitolata una via anche a Beato Egidio da Mola [7] (con Delibera n.153 del 07/12/1935), un monaco che nel Seicento liberò Gangi dalla peste, a proposito del quale un’informatrice riferisce:  

Un’altra cosa che mi hanno raccontato di Beato Egidio… c’è tutta una leggenda su questa cosa… Beato Egidio, che era un monaco che era vissuto tra il Cinquecento e il Seicento, poi era morto e l’hanno seppellito in contrada Celle (contrada Celle è prima di arrivare o Chianu Spitali, i Ceḍḍe chiamato… a Santo Pietro, lì vicino…) e lì era stato sepolto nella nuda terra lì. Poi che cos’è successo… che a Gangi è arrivata la peste, e un fraticello, Volo di cognome, il nome mi sfugge in questo momento, era morto anche lui… i suoi confrati lo stavano sistemando per seppellirlo diciamo… ha ripreso vita per qualche momento e con un filo di voce ha detto ai suoi confrati «il signore per intercessione del beato Egidio farà terminare la pestilenza, purchè lo andate a prendere dalla nuda terra lì in contrada Celle e lo andate a seppellire in Chiesa Madre», e subito dopo dette queste parole spirò, e quindi l’hanno sepolto regolarmente. Si è verificato questo discorso: la peste si è conclusa, cioè finì quest’epidemia subito dopo che le spoglie del Beato Egidio furono sepolte alla chiesa Madre. 
Gangi (ph. Eliana Virga)

7. Gangi (ph. Eliana Virga)

La leggenda riportata sopra, deve essersi tramandata di generazione in generazione, divenendo una tappa fondamentale nella storia condivisa della comunità, al punto da ispirare il nome di una via. 

U Spiritusantiḍḍu 

Un’altra leggenda è all’origine della costruzione dell’edicola votiva rappresentata nella figura 7 (situata in Via Monte Marone), che dà alla zona il nome di Spiritusantiḍḍu, riconosciuto da quasi tutti gli informatori. L’odonimo è quindi legato alla presenza in quell’area di un’edicola votiva dedicata allo Spirito Santo, protettore del paese, a cui la comunità gangitana è particolarmente devota. Durante le inchieste un’informatrice ha riferito una leggenda circa le motivazioni dietro la sua costruzione: 

Si narra che questa edicoletta è stata costruita… che quando c’erano quelli che trasportavano il carbone, con i muli e tutti i carri, il vento se li stava portando via, si sono visti persi e si sono raccomandati allo Spirito Santo. E da quella volta che sono stati miracolati hanno poi costruito. 

L’edicola sarebbe stata edificata, quindi, dalla famiglia Di Pietro, come ringraziamento allo Spirito Santo per la grazia ricevuta.

Gangi, Corso principale

Gangi, Corso Umberto

Divisioni dello spazio e religiosità

Come si può evincere dalle questioni illustrate sopra, Gangi ha una forte tradizione religiosa, e questo ha importanti conseguenze sull’identità collettiva della popolazione. Coltivare una particolare devozione verso un santo, ad esempio, implica una partecipazione attiva all’interno di una micro-comunità (pensiamo alle confraternite o ai comitati di organizzazione delle feste), o di una comunità intera, che si riunisce, socializza e agisce per un medesimo scopo e che, ovviamente, condivide una serie di valori.

Le processioni percorrono uno o più quartieri [8] del paese, svolgendo una fra le due seguenti tipologie di itinerario: menza terra o tutta a terra. A menza terra prevede un percorso che si snoda lungo la metà superiore o inferiore del paese (può infatti essere di ‘ncapu/susu e di sutta/iusu), posto come riferimento il corso principale del paese (Corso Umberto I). Tutta a terra comprende entrambe le metà e si sviluppa tra la Via Grande Sant’Antonino e la Via Castello.

Menza terra di iusu: partendo dalla Chiesa Madre scende per il Salvatore (quindi dalla discesa di Piazza San Paolo), il Salvatore, Via Grande Sant’Antonino, Via Francesco Paolo Termini, Corso Giuseppe Fedele Vitale e ritorna di nuovo il santo alla Chiesa Madre. Chista è a menza terra di iusu. Menza terra di susu invece se parte dalla Chiesa Madre, va per Via Castello, Via Catena […], arriva a San Cataldo, poi imbocca Via Giuseppe Fedele Vitale e quindi direttamente di nuovo alla Chiesa Madre in piazza. C’è quando alcune processioni fanno tutta a terra: significa che fanno tutto questo percorso completo.

Come già accennato parlando dello Spiritusantiḍḍu, la devozione verso lo Spirito Santo è molto forte a Gangi: ad esso è dedicato un santuario, situato nella parte bassa del paese. Il giorno della festa, circa quaranta statue, provenienti dalle varie chiese del paese, percorrono in processione tutta a terra per recarsi al santuario, trasportate a spalla dei fedeli. Finita la processione, le statue vengono caricate su camion e riportate alle chiese d’appartenenza, ad eccezione della statua di San Cataldo: il patrono del paese viene riportato alla sua chiesa, situata nella parte alta del paese, nuovamente a spalla (si dice infatti che, ogniqualvolta qualcuno abbia provato a trasportare la statua su una vettura, questa non sia riuscita a partire, per un guasto o perché bloccata).

Gli odonimi possono, quindi, veicolare significati identitari secondo due diverse modalità: una più personale e legata al vissuto e a narrazioni diverse dello spazio, per la quale si riscontra l’uso di una determinata denominazione a livello generazionale; e una legata ad un fatto culturale, di memoria collettiva, che coinvolge l’intera popolazione del paese. 

Nel primo caso si registra l’uso di forme deittiche basate sulla crematonimia, e in parte sull’antroponimia, per cui al variare dell’età dell’informatore corrisponde una variazione dell’esperienza che esso fa di quel luogo (il caso mircatu/poste/Angelo è emblematico) e della conseguente forma di nominazione. Nel secondo caso, ci troviamo di fronte a denominazioni dalla forte carica identitaria; l’esperienza in questo caso è la medesima per tutti: chiunque sia nato a Gangi, e sia entrato a contatto con il suo sistema di valori, a prescindere dall’età, non può non conoscere un determinato luogo, e non può non conoscerlo con quello specifico odonimo di forma popolare.

Questo lavoro che non ha la pretesa di esaurire l’argomento, ha lo scopo di fornire spunti di riflessione che possano ispirare lavori e ricerche future, con la consapevolezza che fissare il nostro patrimonio odonomastico, prima che vada inesorabilmente perso insieme a chi ancora ne porta testimonianza, sia diventato una priorità e un impegno non più prorogabile.

Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023 
Note
[1] Sul sito web https://www.nordicsocioonomastics.org/about-socio-onomastics/ la socio-onomastica viene definita come: «the sociolinguistic study of names. It examines the use and variety of names through methods that demonstrate the social, cultural, and situational conditions in name usage. It focuses on name use in human interaction, i.e. topics such as variation in name use, why some names are avoided, which consequences a name can cause for the name bearer, how the name users themselves perceive their own name use, as well as attitudes toward names and name use».
[2] Avviare l’inchiesta mediante un questionario iconografico mi ha permesso di mantenermi quanto più possibile neutrale nel ruolo di intervistatrice e di evitare di influenzare l’informatore introducendo, mediante una domanda diretta, un modello di lingua o qualsiasi altro tipo di condizionamento culturale.
[3] La place identity indica l’identità collettiva di un gruppo, basata su un sistema condiviso di credenze, valori, comportamenti, immagini, ecc. che costituiscono tratti identitari comuni. Cfr. H.M.Proshansky, et alii, 1983, Place identity: physical world and socialization of the self, in «Journal of Environmental Psychology», III, 1983: 57-83.
[4] Il questionario è stato somministrato ad un totale di 20 persone, di età, genere e titolo di studio differenti. È possibile effettuare una prima scansione del gruppo distinguendo un gruppo di giovani di età compresa tra i 16 e i 29 anni (di cui 3 uomini e 3 donne), uno di adulti di età compresa tra i 30 e i 59 anni (3 uomini e 3 donne) ed uno di adulti con un’età compresa fra i 60 e i 90 anni (4 uomini e 4 donne).
[5] Cfr. C. Marcato, Nomi di persona, nomi di luogo. Introduzione all’onomastica italiana, il Mulino, Bologna, 2009: 168-169.
[6] L’informatore in questione ha circa settant’anni, e da bambino frequentava spesso il bar della piazza (di proprietà del padre) che si trovava proprio di fronte alla sinsalìa
[7] Cfr. al link: https://salvatorefarinella.jimdofree.com/personaggi-e-famiglie/frate-egidio-2/
[8] La disposizione delle chiese sul territorio determina la divisione del paese in quartieri che ne portano i nomi (San Nicolò, San Cataldo, Salvatore, Santa Maria, …). Non sono state rilevate forme microblasonatorie collegabili a questi nomi, così come manca una vera e propria rivalità fra gli abitanti (secondo il modello delle guerre fra santi ricorrenti presso numerose comunità siciliane. Cfr. M. Castiglione, M. Burgio, “Auto ed eterorappresentazioni antroponimiche dei contesti urbani: alcuni casi in Sicilia”, in VisibileInvisibile: percepire la città tra descrizioni e omissioni, VI Congresso AISU, (a cura di) S. Adorno, G. Cristina, A. Rotondo, Catania, 12-14 settembre 2013: 841-842).

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Eliana Virga, nata a Petralia Sottana, si è laureata presso l’Università degli Studi di Palermo in Lettere-curriculum moderno nel 2019 e in Italianistica nel 2022, con una tesi sulla variabilità storica e sociale dei sistemi odonimici del paese in cui vive, Gangi. Attualmente insegna discipline letterarie presso un istituto di istruzione secondaria di II grado.

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