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Le costruzioni di navi mercantili nei golfi di Napoli e Salerno nel primo periodo borbonico (1734-1799)

Fig. 1 Frans Vervioet, Veduta di Napoli con lanterna e Vesuvio, XIX secolo, collezione privata.

Frans Vervioet, Veduta di Napoli con lanterna e Vesuvio, XIX secolo, collezione privata

di Maria Sirago 

Introduzione

L’analisi dello sviluppo della marina mercantile meridionale nel Settecento rientra nell’ambito della storia marittima, un settore poco sviluppato nella storia del Mezzogiorno, carenza segnalata da Luigi De Rosa fin dagli anni Settanta del Novecento. Da allora il settore si è ampliato grazie alla proliferazione di convegni e specifiche pubblicazioni (D’Angelo, 2010; Frascani, 2001: X-XII, e 2017). Inoltre, sono state create cattedre universitarie e centri di ricerca, in particolare quelli del CNR di Napoli e Cagliari (Sirago, 2020; Lentini: 2021). L’andamento discontinuo della storia marittima italiana è stato sottolineato da Paolo Frascani (2008) che ha ricordato i fasti genovesi e veneziani in epoca medievale e il prolungato ripiegamento durante l’epoca moderna, seguendo un percorso diverso dagli altri Paesi europei.

Gli studi sulla storia marittima del regno meridionale negli ultimi venti anni sono cresciuti notevolmente, anche per il notevole dinamismo del regno a partire dall’età carolina, quando il meridione ha ottenuto la sua indipendenza (Lepore, 2019: VII ss.). Le monografie più recenti abbracciano vari ambiti, che spaziano dalla diplomazia (Mafrici, 2004) alle infrastrutture portuali (Sirago, 2004,1), alla difesa dagli assalti dei turchi e barbareschi (Mafrici, 1995 e 2007), allo sviluppo della marina mercantile (Passaro: 2019), all’istruzione nautica (Sirago, 2022,2), alla pesca (Pirolo, 2018 e Sirago, 2014 e 2018).

Il mio studio si basa su documenti reperiti nell’Archivio di Stato di Napoli per un periodo compreso tra il 1751 ed il 1761 e sui dati che coprono il periodo tra il 1782 ed il 1799 raccolti nel fondo Ministero delle Finanze presso lo stesso Archivio nella documentazione della “Giunta di navigazione” relativa ai permessi di costruzione e di varo siglati dall’ammiraglio John Acton. In essi sono riportati il nome dell’armatore, per Piano spesso un capitano di mare, il luogo di origine dello stesso, la tipologia dell’imbarcazione e il tonnellaggio in tomoli. Sono documenti preziosi, anche se talvolta per qualche anno incompleti, perché da essi si può ricavare sia la tipologia delle imbarcazioni sia l’evoluzione della marina mercantile.

Feluca sorrentina, primo 800

Feluca sorrentina, primo 800

L’epoca di Carlo (1734-1759)

Carlo di Borbone fin dal suo arrivo, nel 1734 aveva riorganizzato il regno, intraprendendo una attenta politica economica, sulla scia dei progetti di riforma di epoca austriaca, di tipo mercantilistico. L’esigenza di ampliare il commercio favorì la ricostruzione della marina mercantile necessaria, in primo luogo, per i rifornimenti annonari della Capitale (grano e olio) provenienti in massima parte dalla Puglia e dagli Abruzzi su navi sorrentine (Passaro e Trizio, 2019), a cui si aggiungevano i prodotti siciliani (Lentini, 2021).

Poi, per ampliare le attività commerciali, erano stati stipulati trattati di commercio con la Porta Ottomana (1740), dove venne nominato ambasciatore Guglielmo Maurizio Ludolf (Mafrici, 2004),  e Tripoli (1741) per una navigazione sicura in Mediterraneo; inoltre, furono firmati trattati con la Svezia (1742), Danimarca (1748) e l’Olanda (1753) per incrementare il commercio nel Mar del Nord e nel Mar Baltico, da dove provenivano materiali per la flotta (alberi maestri e cannoni) e rifornimenti annonari (stoccafisso e baccalà) (Sirago, 2012).

Tartana napoletana Baugean

Tartana napoletana Baugean

Tra il 1752 ed il 1762 furono costruite 444 imbarcazioni, di diversa tipologia. Le feluche, le tartane e le marticane, di solito procidane, erano della portata di circa 2000 tomoli (25 tomoli corrispondono a 1 tonnellata di stazza lorda, Passaro, 2019: 42) ed erano utilizzate sia per il commercio che per la pesca.

Le polacche e i pinchi, di grosso tonnellaggio (tra i 3000 e i 5000 tomoli) erano costruiti a Castellammare e nella penisola sorrentina, a Vico, nella spiaggia di Equa, a Piano, nel cantiere di Cassano, e a Meta, in quello di Alimuri, dove esisteva una antica tradizione cantieristica. Altre costruzioni si facevano nel golfo di Salerno, soprattutto nel porto di Vietri, ma i committenti erano soprattutto del borgo di Raito mentre quelli di Conca usavano il cantiere di Castellammare (Passaro, 2019; Sirago, 2021,1) utilizzato anche da committenti esteri come i genovesi [1].

Marticana, Museo Florio

Marticana, Museo Florio Palermo

In quel periodo la marina mercantile venne ricostruita, grazie alle franchigie concesse per la costruzione delle imbarcazioni, soprattutto quelle di grosso tonnellaggio, armate con 20-22 cannoni, che cominciavano ad intraprendere nuove rotte, sia nel Levante Ottomano che nel Mar del Nord, nel Mar Baltico e nelle Americhe (Sirago, 2012 e 2019,1).

Tabella 1

Costruzioni di navi mercantili (1752-1762)

Anno Napoli Cmare Procida Ischia Vico Piano Vietri
1752 3 20 2 16  
1753 8 2 12  
1754 1 13 1 18 2  
1755 2 1 2  
1756 2 32 11  
1757 9 42 2 2 14  
1758 2 6 32 1 1 12 2  
1759 8 19 15 1  
1760 1 17 28 16 2  
1761 13 25 - 12 1  
1762 9 13 1  
Totale 4 69 233 3 8 129 8  
 
Fonte: Sirago (2004,1) tabella a p. 86 da Archivio di Stato, Napoli, Ministero delle Finanze, voll. 77-228, 1752-1762 (fino a settembre).

Per contrastare la “guerra di corsa” fu riconfermata la prammatica emanata da Carlo V l’11 giugno 1531 nella quale si permetteva ai regnicoli di “correre i mari” contro gli infedeli con proprie imbarcazioni, per cui le costruzioni vennero incentivate e armarono galeotte regie (Mafrici, 2007: 642).

Ischia e Procida, gouache, fine Settecento

Ischia e Procida, gouache, fine Settecento

In una consulta del 24 novembre 1737 Carlo Danza, prefetto dell’annona, riferiva di aver avuto dall’eletto del popolo l’incarico di soprintendere all’armamento del capitano Geronimo Alfano e di altri mercanti di legna e padroni di tartane e barche, tra cui quelli procidani, che rifornivano la capitale di legna e carbone trasportata dalle spiagge laziali (Di Taranto, 1985: 31-33), armamento con cui dotare le imbarcazioni, organizzato di solito in «tempi sospetti d’invasione, o di Turchi, o de ’nemici», da «mantenersi in futurum per sicurezza del commercio», per cui chiedeva al re di confermargli questo incarico, nomina approvata il primo dicembre (Ciccolella, Clemente, Salvemini, 2021: 524-525, in Archivio di Stato, Napoli, Casa Reale Antica, 767113, dispaccio del 21/11/1737).  In età carolina fu ricostruita la flotta, necessaria sia come scorta per i convogli di navi mercantili sia per la difesa delle coste dagli assalti nemici. Inoltre, nel 1735 fu fondata l’Accademia di Marina, su modello di quella di Cadice, per l’istruzione degli ufficiali (Sirago, 2019,2).

Polacca Cherini

Polacca Cherini

La “reggenza” di Tanucci

Durante la “Guerra dei sette anni” (1757-1763) i mercanti napoletani, approfittando di una momentanea stasi del commercio inglese, cominciarono ad inserirsi nelle rotte commerciali con le Americhe. Il mercante e armatore messinese Gaspare Marchetti, che risiedeva a Londra, aveva costituito una società con alcuni mercanti, tra cui il leccese Lucio La Marra ed alcuni commercianti napoletani, Nicola Palomba e Gennaro Rossi, interessati al «commercio con l’Oceano»: poi aveva fatto costruire nel porto di Castellammare alcune navi di grossa stazza, a 20 e 22 cannoni, utilizzate per il commercio con la Martinica (Sirago, 2019,3: 512).

L’impresa venne lodata sommamente da Nicola Fortunato nelle sue Riflessioni intorno al commercio (V). Egli aveva dedicato il suo trattato al “Consiglio di reggenza”, istituito da Carlo nel 1759 quando era partito per la Spagna per assumere il trono, lasciando Ferdinando di appena otto anni. Il Consiglio, che doveva gestire il potere durante la minorità del re, era presieduto dal fedele Bernardo Tanucci che nelle sue missive settimanali a Carlo doveva riferire in merito alle questioni di governo, facendo relazioni dettagliate sulle varie questioni. In particolare, doveva occuparsi dello sviluppo delle attività commerciali, fino a quel momento appannaggio degli stranieri. Perciò aveva favorito le attività del Marchetti e dei suoi soci, anche se spesso le navi venivano predate e nel tribunale di Londra si dirimevano lunghe questioni sui beni sequestrati (Sirago, 2019,3).

Porto di Castellammare, Philip Hackert, Reggia di Caserta

Porto di Castellammare, Philip Hackert, Reggia di Caserta

Altri mercanti nel 1759 organizzavano viaggi in Levante: Nicola Palomba aveva chiesto la patente e la bandiera napoletana per due navi noleggiate per caricare in Levante grano destinato alla Capitale. Anche il capitano Scarpati nel 1760 chiedeva una patente «per garantirsi dai Corsari barbareschi». Perciò Tanucci dava ordine all’ambasciatore a Costantinopoli, Guglielmo Ludolf, di provvedere, visto che lo Scarpati avrebbe pagato il prezzo dovuto [2]: ma spesso queste precauzioni non bastavano, perché i corsari attaccavano continuamente le navi, malgrado i trattati di commercio (Sirago, 2019,3).

Dopo la fine della guerra dei sette anni il ministro Tanucci aveva cercato altre vie per lo sviluppo del commercio nelle Americhe: nel 1766 aveva fatto nominare il cognato Giacinto Catanti, ministro plenipotenziario a Copenaghen, in modo da ampliare il raggio di interesse verso il Mar del Nord, il Mar Baltico e le Americhe (Maiorini, 2000: 189ss.). La corte danese era utile per l’acquisto di merci per la flotta, da reperire in Svezia, ma era ancor più utile per il commercio nelle Americhe. Difatti le isole danesi di America San Juan e San Thomas, dette «Indie occidentali danesi», dal 1752 possesso della monarchia, erano state dichiarate porti franchi. Perciò vi potevano commerciare anche i napoletani, in base al trattato di commercio con la Danimarca. Così il La Marra aveva inviato al Catanti una lista di generi che si potevano esportare, un commercio ancora difficile da intraprendere perché non c’erano case commerciali napoletane: l’impresa era pericolosa poiché il profitto non sarebbe andato ai bastimenti napoletani, ma a quelli dei danesi che acquistavano i nostri prodotti, tra cui i vini [3].

Sir John Acton, anonimo, collezione private

Sir John Acton, anonimo, collezione privata

Il primo periodo di Ferdinando (1767-1799) e il “piano di marina” di John Acton

Il ministro Tanucci si adoperò per risolvere la difficile situazione politica ed economica di un regno governato da un “giovane pupillo”, rimanendo in carica anche quando il re raggiunse la maggiore età, a sedici anni, il 12 gennaio 1767. Ma la situazione cambiò dopo il matrimonio di Ferdinando con Maria Carolina, figlia di Maria Teresa d’Austria, celebrato per procura il 7 aprile 1768 e poi solennizzato a Napoli con splendidi festeggiamenti. La regina si diede da fare per estromettere il vecchio ministro, sempre in contatto con Carlo, una manovra che le riuscì dopo la nascita del primo erede maschio, quando entrò nel Consiglio di Stato, secondo le clausole dei capitoli matrimoniali (Mafrici, 2010, 2018, 2020). Il ministro ormai ottantenne a fine ottobre 1776 fu bruscamente messo in pensione e sostituito con il marchese della Sambuca, Giuseppe Beccadelli Bologna (Sirago, 2019,3: 534). Da quel momento la regina Maria Carolina prese saldamente le redini del governo (Ajello, 1991).

Nel «nuovo sistema» inaugurato dopo la caduta di Tanucci – sottolinea Raffaele Ajello (1991: 432ss.) – uno dei punti chiave era quello di «conquistare il corazón della regina … primo impulso per carriere molto rapide», come quella dell’ammiraglio John Acton, di origini franco-scozzesi. Egli era un valente uomo di mare, nominato nel 1776 generale maggiore della marina toscana; perciò, nel 1778 la regina chiese al fratello Pietro Leopoldo, granduca di Toscana, di farlo venire a Napoli per riorganizzare il comparto marittimo, in primis la flotta, necessaria per proteggere le navi mercantili dagli assalti dei corsari barbareschi.  

L’ufficiale, giunto a Napoli nell’agosto del 1778, fu nominato Segretario del Dipartimento della Marina e Direttore supremo delle regie fabbriche navali con uno stipendio di 14.700 ducati annui, aumentati due mesi dopo a 17.000: la nomina era ad interim per non irritare Francia ed Inghilterra mentre il governo borbonico da filospagnolo e filofrancese andava mutando corso, secondo le idee filoaustriache della regina. Pochi mesi dopo la regina lo invitò a rimanere in regno, per cui Acton si dimise dalle cariche toscane accettando l’impiego non più interino (Ajello, 1991: 448, n.110). Il 14 aprile 1779 fu nominato tenente generale e gli furono affidate la Segreteria di Stato e la direzione della Real Marina, a cui si aggiunsero il 4 giugno 1780 la Segreteria di Guerra e nel 1782 la Segreteria di Azienda e di Commercio (Nuzzo, 1960).

 Maria Carolina, ritratto di Anton Raphaël Mengs, 1772 circa, Madrid, Palazzo Reale

Maria Carolina, ritratto di Anton Raphaël Mengs, 1772 circa, Madrid, Palazzo Reale

Acton era esperto nel campo militare e marittimo ma si rendeva conto dei propri limiti in ambito politico; perciò, si circondò dei personaggi più illustri in quel campo, in primis Gaetano Filangieri e Luigi de’ Medici (Ajello, 1991: 441ss.). Aveva inoltre propensioni tecnologiche e naturalistiche di stampo anglosassone che lo portarono a sperimentare nuovi sistemi, anche in ambito nautico, acquistando telescopi per l’Accademia di Marina, da lui riorganizzata, e facendo implementare gli studi matematici, nautici, e astronomici con i testi dell’astronomo francese Jérôme de Lalande.  Dette anche nuovo impulso alle scuole nautiche di Napoli e Sorrento, dove introdusse il “metodo normale”, un nuovo metodo che permetteva di ottenere una più rapida alfabetizzazione (Sirago, 2019,2). Ma il suo primo pensiero fu quello di riorganizzare la flotta con potenti vascelli a 74 cannoni costruiti nel cantiere regio di Castellammare, fondato nel 1783 (Sirago, 2009,1: 2021,2).

La crisi internazionale che si era aperta dagli anni Ottanta apriva nuove prospettive anche per il regno meridionale. Ferdinando Galiani dagli anni Settanta aveva cominciato ad intavolare trattative con la zarina Caterina II, concluse nel 1787 con la firma del trattato tra il regno di Napoli e la Russia che apriva la via al commercio col Mar Nero (Sirago, 2016: 304-305; Stapelbroeke, 2020: 15-17).

La Russia dopo la vittoria del 1770 sulla flotta turca stava compiendo i primi passi per assicurarsi basi in Mediterraneo, per cui la zarina ambiva ad ottenere l’appoggio del re Ferdinando per ampliare il suo raggio di azione nei porti dell’Italia meridionale, un appoggio garantito da Acton, interessato a tali questioni, e dalla stessa regina, che ormai propendeva per una politica filoaustriaca, nel tentativo di sottrarsi dalla tutela del suocero Carlo (Ajello, 1991: 433-434). 

Cantiere di Castellammare, varo del vascello Partenope, Philip Hackert, Reggi di Caserta

Cantiere di Castellammare, varo del vascello Partenope, Philip Hackert, Reggia di Caserta

Il valente “marino” al suo arrivo in regno stilò un “piano di marina” per riorganizzare tutto il comparto (Nuzzo, 1980: 461ss.).  Il “piano” di Acton era volto ad incentivare i traffici, che dovevano diventare indipendenti dalle ingerenze straniere grazie alla nuova flotta da lui progettata per combattere i barbareschi. Il piano di costruzione era necessario perché Ferdinando era ancora soggetto alla marineria spagnola. Nel 1781, come per gli anni passati, aveva dovuto chiedere al padre di potersi riprendere la fregata Santa Chiara «quando fosse raddobbata» (sistemata): dal regno erano partiti due convogli, «uno di sessantasette bastimenti e l’altro di dieci col Vascello per i … porti» spagnoli ed i mari meridionali in inverno erano «infestati da grossi legni Algerini, e con un Vascello e tre Fregate non [si poteva] arrivare a guardar le coste e scortare i convogli» mercantili (Knight, 2015: 458-459 n.22, Caserta, 14/5/1781). 

Il piano era già stato proposto dal ministro Tanucci nel 1770, quando aveva scritto a Carlo di voler fare costruire 12 vascelli per contrastare gli inglesi che imperversavano nel Mediterraneo (Sirago, 2019,3: 526). Quello di Acton era molto simile: in una lettera al padre Ferdinando riferiva che Acton voleva costruire «undici Vascelli di Linea, 9 di 74 [cannoni] e due di 64 [cannoni], dieci Fregate di 30 e 36 cannoni, dieci Sciabecchi di 20 cannoni da otto e dodici Galeotte. Delle quali annualmente potranno tenersene armati tre Vascelli, cinque Fregate, sei Sciabecchi e tutte le Galeotte». Egli osservava che «Il risparmio che si farà non tenendo tutta l’armata in piedi servirà per le nuove costruzioni, quali già vanno felicissimamente eseguendosi, per gli armamenti straordinari e collegio di Guardia Marine. E la truppa di marina sarà di duemila uomini composta. Quando prima si mantenevano per sei mesi all’anno in mare sei sciabecchi e quattro galeotte, e fissi in porto due Vascelli e due Fregate, quali uscivano di quando in quando, e mille uomini di truppa» (Knight, 2015: 481- 484, n. 40, Portici 10/9/1782). In realtà Acton creò una flotta inadeguata alle necessità del regno, composta da grossi vascelli a 74 cannoni e poche imbarcazioni utili alla “corsa” e alla difesa del Regno, come gli sciabecchi, definita da Vincenzo Cuoco un «gigante coi piedi di creta» (1998: 269).

L’assunzione di John Acton non piacque a Carlo, che riteneva il figlio succube della moglie. All’inizio cominciò a lanciare velate allusioni sul conto dell’affidabilità di Acton, dichiaratamente inglese, ma il figlio finse di non capire (Knight, 2015: 471-473 n. 33, Napoli 30/7/1782).  Pochi mesi dopo il re tornò sull’argomento, sottolineando che Acton si vedeva continuamente con il ministro inglese Hamilton, di cui Carlo temeva l’ingerenza. Ma Ferdinando ribadiva la sua stima nei confronti di Acton, sottolineando che era «uno che conosce[va] bene il suo mestiere» e con il suo “piano” avrebbe fatto risparmiare molto rispetto al defunto generale Michele Reggio, che aveva sperperato somme ingenti, secondo le accuse di Tanucci (Knight, 2015: 481- 484, n. 40, Portici 10/9/1782). 

Carlo aveva ben capito le mire di Acton e Maria Carolina, che tramavano con Hamilton. Difatti il ministro inglese già nel 1780 aveva avuto notizia dall’ammiraglio del suo “piano”, informando subito la corte inglese: in una lettera spedita al Foreign Office il 17 maggio dava «some particulars relative to His Sicilian Majesty’s present intentionof putting his navy upon a more respectable footing». Egli riferiva che «the new plan is to built no less then ten ships of seventy four guns and thirty frigates» (almeno 10 navi di 64 cannoni e 30 fregate): per queste navi era stato già tagliato il legname, trasportato nel porto di Baia, che si stava riattando per la flotta secondo il piano di Acton (Gazzetta Universale dell’anno 1785: 280, in Knight, 2015: 667-668).

Il ministro aveva dato particolare attenzione al porto di Baia, necessario per la flotta perché dotato di adeguato pescaggio insieme a quello di Castellammare: difatti nei due porti fin dalla fine del Cinquecento si costruivano vascelli (Sirago, 2004,2). In conclusione, Hamilton riteneva che grazie all’esperienza di Acton nella marina toscana il piano si sarebbe completato, poiché in due anni di servizio nel dipartimento di marina aveva risparmiato mezzo milione di ducati (Public Record Office, Foreign Office, 70/1, 87-90, in Knight, 2015: 482, n. 52).

Il re, consapevole delle mire del ministro e della nuora, consigliava il figlio di guardarsi da quell’“inglese”, una “spia” in combutta con l’ambasciatore inglese William Hamilton (Knight, 2015: 481- 484, n. 40, Portici 10/9/17829. Ma il figlio non lo ascoltò per cui negli ultimi anni il sovrano non gli scrisse più, limitandosi a scambiare alcune fredde missive con Maria Carolina (Knight, 2015).

Dopo la sua morte (1788) lo scenario cambiò, come aveva previsto Carlo. Il regno nel 1792 dovette cedere alle pressioni francesi poiché il 16 dicembre la flotta francese comandata dal generale Louis-René-Madeleine Levassor de Latouche-Tréville arrivò nel golfo partenopeo minacciando di bombardare la città se non fosse stata riconosciuta la Repubblica Francese (Forteguerri, 2005). Così l’anno seguente il governo napoletano decise di stipulare una alleanza con l’Inghilterra, una svolta epocale (Mafrici, 2007: 657)

                         Armatori

armatoriDopo la riforma della marina promossa da Acton nel 1782 fu costituito il Supremo Consiglio delle Finanze (Ciccolella: 2015: 233), necessario per «l’Infelice stato degli Affari di Azienda», come riferiva Ferdinando al padre, in cui il consigliere Ferdinando Galiani fu nominato come assessore per tutti i rami del commercio (Knight, 2015: 490-491, n.46, Caserta, 22/10/1782).

Anche dopo la formazione del Consiglio delle Finanze Acton, che aveva l’interinato della Segreteria d’Azienda, raccoglieva capitali da utilizzare per vari scopi, alcuni non ufficiali, secondo gli ordini impartiti dalla regina. Perciò al nuovo organo furono sottratti molti compiti, sia ufficiali che non ufficiali, in primo luogo il bilancio militare marittimo e quello dell’esercito, controllati direttamente da Acton, a cui la regina aveva affidato compiti delicati e segreti (Ajello, 1991: 449).

tipologia-delle-imbarcazioni-costruite-per-conto-degli-armatori2La riforma del sistema finanziario si inseriva nella “politica nuova” intrapresa dalla regina con l’aiuto di Acton (Merola, 2018: 219). Dagli anni Ottanta l’Austria ed altri Stati avevano ottenuto dalla Russia, che aveva vinto la prima guerra contro la Turchia (1768-1774), la libertà di navigazione sul Mar Nero. Nel 1783 Ferdinando Galiani non era riuscito a concludere con la Turchia un accordo per la navigazione sul Mar Nero per i bastimenti mercantili napoletani attraverso i Dardanelli, il che avrebbe permesso lo sviluppo del commercio con i porti della Crimea e la riduzione dei diritti di transito nel commercio con la Russia. Il regno era riuscito anche a stipulare nel 1784 un trattato di amicizia con Tripoli (Mafrici, 2010: 60-61). Ma l’obiettivo era il commercio con la Russia, sia nel Baltico, per i materiali necessari alla flotta (alberi maestri, ferro) che in Mar Nero (per il grano). Lo stesso Galiani fin dagli anni Settanta aveva incominciato ad intavolare trattative con la Russia, anche se il Ministro Tanucci non si mostrava favorevole, per non alterare le relazioni con l’Impero Ottomano (Sirago, 2016: 304-305).

Nel 1776 Galiani aveva ospitato a Napoli Frederich Melchior Grimm, inviato diplomatico della zarina Caterina, conosciuto in Francia durante gli anni in cui aveva esercitato l’ufficio di segretario di ambasciata. Dopo la “caduta” di Tanucci le relazioni tra il regno e la Russia si erano intensificate per cui nel 1777 furono nominarti due plenipotenziari per le due corti, Muzio di Gaeta, duca di san Nicola, a San Pietroburgo, e il conte Razumovsky a Napoli. Dopo lunghi anni di trattative il trattato venne firmato pochi mesi prima della morte di Galiani (Sirago, 2016).

luoghi-di-costruzione2Ma fin dal 1784 la zarina Caterina aveva esteso l’esportazione in Russia dei vini italiani trasportati su navi russe o italiane con le stesse facilitazioni concesse a quelli greci spagnoli e portoghesi (Cavalcanti, 1979: 121). Perciò dopo la stipula del trattato i “capitani coraggiosi” napoletani cominciarono ad incrementare i commerci col Mar del Nord e Mar Baltico e col Mar Nero (Sirago, 2012); inoltre cominciarono ad essere intavolate trattative con gli Stati Uniti, subito dopo la loro costituzione, anche se per Galiani questo nuovo Stato non appariva interessante dal punto di vista commerciale (Sirago, 2019,1).  

Il progetto di espansione era volto anche alla possibilità di commerciare con le colonie spagnole sudamericane. Ferdinando nel 1782 aveva chiesto al padre di poter concedere alle sue navi mercantili di recarsi in quei luoghi. Ma il re non lo aveva permesso visto che aveva proibito questo commercio alle altre nazioni straniere (Knight, 2015: 476-479 n. 37, Napoli 27/8/1782). In una lettera al Foreign Office Hamilton scriveva che il re, per aggirare il divieto paterno di trafficare con le Indie Occidentali, aveva pensato di usare come prestanome un mercante francese, possessore di due fregate ancorati a Castellammare, una di trenta e una di venti cannoni, da pavesare con bandiera napoletana, su cui si sarebbe imbarcata una ciurma napoletana (Public Record Office, Foreign Office, 20/8/1782, lettera di Hamilton a lord Grantham, in Knight, 2015: 476, n. 43).

Tutti questi tentativi di espansione commerciale si basavano sulla necessità di ampliare la flotta mercantile, specie con bastimenti di grossa portata, tra i 5000 e gli 8000 tomoli: la costruzione di simili bastimenti, approvate dalla Giunta di Navigazione, presieduta da Acton, produsse un notevole incremento della flotta mercantile, soprattutto a partire dalla fine degli anni Ottanta.

Fig. 12 P. Antonio Minasi, La veduta della nobile città di Tropea e dell’antico villaggio di Paralia, incisione, 1780.

P. Antonio Minasi, La veduta della nobile città di Tropea e dell’antico villaggio di Paralia, incisione, 1780

Le costruzioni per la marina mercantile

Un primo sviluppo della marina mercantile si era avuto all’epoca di Carlo, quando alcuni “capitani coraggiosi” avevano cominciato a percorrere nuove rotte, fin nella Martinica. Nel secondo Settecento l’apertura di nuove rotte aveva favorito lo sviluppo di una nuova classe, i “Capitains merchands”, capitani imprenditori che facevano costruire la nave, anche in società con più imprenditori, e poi commerciavano in proprio. Spesso essi aprivano delle “case commerciali” nei porti più importanti come Messina o Marsiglia. Nel porto francese si erano stabilite le famiglie Jerocades e Mazzitelli, originarie di Parghelia, un casale di Tropea, in Calabria: qui aveva studiato Andrea Mazzitelli, divenuto poi allievo dell’ammiraglio Francesco Caracciolo, di cui aveva seguito la sorte, giustiziato dopo i moti del 1799 (Sirago, 2009,2).

I paraliori, un caso quasi unico in Calabria, nel corso del Settecento si erano trasformati da appaltatori e pescatori di tonnara a capitani imprenditori, organizzando “viaggi di negozio” e creando fiorenti colonie commerciali in Mediterraneo, soprattutto a Marsiglia, dove esportavano telerie prodotte nel territorio di Tropea e vino. E dalla Francia importavano nella Capitale merci coloniali, zucchero, caffè, cotone ed abbigliamento ed oggetti di lusso. Uno di loro Domenico Jerocades per sfuggire ai creditori si era trasferito sull’isola di Saint Vincent, nelle Piccole Antille, dove aveva creato una società con un francese per creare una piantagione di zucchero, accumulando una cospicua fortuna (Campenni, 2021: 12-14).

Altra famiglia di imprenditori, studiata da Chistopher Denis–Delacour sugli archivi di famiglia, è quella dei Moreu – Lubrano. Il capitano Pasquale Lubrano di Scampamorte di Procida negli anni Ottanta del Settecento si occupava del commercio del legname e del carbone caricati nello Stato Pontificio. Poi altri componenti della famiglia, come il capitano Antonio, avevano intrapreso i traffici in Mediterraneo, e nel 1854 il capitano Michele Arcangelo si era trasferito a Marsiglia dove aveva creato una società commerciale (Denis – Delacour, 2017).

Nel comparto marittimo dei golfi di Napoli e Salerno a partire dagli anni Ottanta del Settecento la marina mercantile, dedita ai “viaggi di negozio” sia nel Mediterraneo che in terre lontane, ebbe un notevole incremento, soprattutto a Procida e nel territorio sorrentino. Nei dati reperiti, che comprendono il periodo tra il 1782 ed il 1799, sono registrati il nome dell’armatore, per Piano spesso un capitano di mare, il luogo di origine dello stesso, la tipologia dell’imbarcazione e il tonnellaggio in tomoli. Questi dati forniscono una nuova visione della consistenza della marina mercantile napoletana nell’ultimo ventennio del Settecento, soprattutto sulle tipologie delle imbarcazioni e sulla stazza, oltre che sul suo aumento, testimoniato genericamente in più fonti. Inoltre, i nomi dei padroni delle imbarcazioni, capitani e armatori, possono fornire un quadro delle famiglie delle “città di mare” del golfo partenopeo che coi loro patrimoni hanno dato vita ad uno sviluppo urbanistico, come si vede ancora oggi a Piano, Meta e Procida.

Fig. 13 Napoli, veduta dalla Marinella, anonimo, gouache, inizi Ottocento

Napoli, veduta dalla Marinella, anonimo, gouache, inizi Ottocento

Ulteriore incremento si evince a partire degli anni Novanta: anche se il regno mostrava segni di crisi, si ampliavano le rotte commerciali, specie quelle del Mar Nero, per cui si costruivano sempre più spesso bastimenti tra i 5000 e gli 8000 tomoli, soprattutto a Castellammare e nei cantieri della costa sorrentina. E a Castellammare si costruivano anche imbarcazioni per il territorio sorrentino, per Conca e per alcuni armatori siciliani [4]A Napoli si effettuavano costruzioni di imbarcazioni di medio tonnellaggio (3000-4000 tomoli) al Mandracchio, il porto commerciale, vicino alla Chiesa del Carmine, alla marina del Carmine e alla marina del Piliero.

Qualche martigana era costruita anche a Procida o Gaeta. Ma le imbarcazioni di grossa stazza erano realizzate a Castellammare o a Cassano (Piano). Il negoziante don Francesco Farina il 27 gennaio 1783 ottenne il permesso di costruire a Castellammare un grosso bastimento a coffa di 13000 tomoli (il più grande tra quelli censiti), varato il 18 agosto 1784 [5].  Probabilmente il bastimento serviva per il trasporto di grano pugliese prodotto nelle masserie di famiglia (Macry, 1974: 95).

Un altro mercante Claudio Roques de Gerardo, che aveva creato una società con alcuni “pubblici negozianti”, il 13 maggio 1797 acquistò da Nicola Cammarota di Procida una polacca con cui si doveva effettuare un viaggio nelle Indie Orientali, che venne rifornita di viveri nei mesi seguenti [6].

Napoli, Mandracchio o porto mercantile

Napoli, Mandracchio o porto mercantile

L’attività marinara della capitale era fiorente ma venivano usate imbarcazioni di piccola stazza dedite al cabotaggio e alla pesca, attività esercitate soprattutto dagli abitanti di Santa Lucia (i luciani), di Chiaia e da quelli della zona del Carmine. In una Consulta del 2 novembre 1738 [7] ad istanza «dell’Università degli huomini, terrazzani e pescatori del Ponte della Maddalena» si discusse sulla loro richiesta di non essere soggetti alla giurisdizione del «grande Almirante» poiché ritenevano di non fare del mare «il di loro continuo mestiere», chiedendo che si facesse un registro di coloro che vivevano “coll’arte marittima”. La richiesta era stata presentata da un centinaio di persone che abitavano «nel borgo dello reto col titolo di Marinai, e mastri della Chiesa di S. Maria Maddalena dell’Università de’ pescatori, padroni di barche e sciabache» che spesso subivano soprusi dagli ufficiali della Gran Corte della Vicaria, poiché in estate si dedicavano alla pesca con la canna o con altri sistemi ma nel corso dell’anno lavoravano in altri settori. Perciò chiedevano di essere esenti dalla giurisdizione della Vicaria, come lo erano quelli che «fabricavano e accomodavano vascelli o altro attinente alla fabrica de’ medesimi»,«una giurisdizione che doveva riguardare solo quelli che vivevano coll’industria e arte del mare, … i Padroni di barche, guzzi ed altre simili navi, e […] i pescatori   che ten[eva]no reti» ad esclusione di quelli che facevano i marinai o pescatori in modo saltuario (Ciccolella, Clemente, Salvemini: 538-540, doc. 153).

Napoli, porto, Philip Hackert, 1771, Reggia di Caserta

Napoli, porto, Philip Hackert, 1771, Reggia di Caserta

L’attività della popolazione marinara napoletana è testimoniata dalla fondazione dei numerosi “monti” o confraternite, istituzioni benefiche che si occupavano dei confratelli e delle loro famiglie in caso di morte o di cattura da parte dei corsari o per costituire la dote delle figlie previo pagamento di un canone ricavato dal proprio lavoro (Di Taranto, 1999; Sirago, 2022,1).

 Gli addetti al commercio avevano fondato il «Monte degli Assientisti di mare e terra», quello degli armatori, dei “proprietari di bastimenti”; vi erano poi quello dei “Costruttori impresari di bastimento”, il “Monte dei Mastri d’ascia di mare” (falegnami) e quello dei “remolari” (costruttori di remi), a San Nicola alla Dogana, i “Mastri calafati di navi” nella cappella dell’Immacolata Concezione a Santa Brigida. Vi erano anche i monti dei «padroni di barca e marinai e fellucari» (marinai delle feluche) nelle chiese di Santa Maria delle Grazie, di Santa Maria al Borgo di Loreto, nella parrocchia di Santa Maria di Portosalvo, di San Giacomo degli Italiani, al Molo, alla “porta della calce”, al Molo, alla “Marina del vino”, al Piliero, a Santa Maria della Catena a Santa Lucia, alla parrocchia di Santa Maria della Neve a Chiaia (dove fu poi ubicata la scuola nautica fondata nel 1770), e numerosi monti dei pescatori  al Borgo di Loreto, al Santa Lucia e Chiaia (Sirago, 2022,1).

Napoli, Santa Maria di Portosalvo, maiolica che raffigura una feluca

Napoli, Santa Maria di Portosalvo, maiolica che raffigura una feluca

Nella marina di Gaeta si costruivano martigane, imbarcazioni tipiche dell’isola di Procida, dal fondo piatto, adatte per caricare legname e carbone nella costa laziale, e barche da pesca. In epoca austriaca secondo la statistica del 1727, conservata nell’Archivio di Vienna pubblicata da Antonio Di Vittorio (1973: 401-403), si contavano 183 padroni di barca e 799 marinai.

L’attività peschereccia era molto fiorente fin dall’epoca medievale, testimoniata da un monte «di fellucari o martingane da pesca» (Sirago, 2022,1). Un tipo di pesca particolare era quello detto “alla gaetana” con una rete a strascico trainata da due paranzelli (se ne contavano 22 coppie ai primi dell’Ottocento) (Sirago, 2018: 40-42). Qualche gaetano praticava anche il commercio: nel 1784 Andrea d’Aragona aveva fatto costruire a Castellammare un pinco a un albero di 3000 tomoli. Le martigane e le tartanelle da pesca si costruivano nella marina o nei borghi di Mola e Castellone (Formia), alcune per gli armatori napoletani. I mastri d’ascia e calafati gaetani si erano specializzati in queste costruzioni al punto che alcuni di loro avevano fondato a Roma una società di costruzioni navali fuori Porta Portese, non lontano dall’approdo di Ripa Grande, dove realizzavano tartane e “navicelli di fiume’’. Ed alcuni capitani si erano dati al commercio per il rifornimento di Roma, dove trasportavano derrate alimentari (Denis-Delacour, 2012: 53-54). L’attività commerciale è testimoniata anche dalla presenza dei consoli inglese, francese, austriaco e dello Stato della Chiesa (Sirago, 2004: 87).    

Fig. 17, Mola di Gaeta, Philip Hackert, Reggia di Caserta

Mola di Gaeta, Philip Hackert, Reggia di Caserta

L’isola di Procida, al contrario della Capitale, era un fiorente centro di costruzioni navali, martigane e tartane, spesso perfezionate e definite alla “francese”. Nella generale riorganizzazione del regno anche la cantieristica procidana aveva avuto un notevole sviluppo. Erano state varate martigane di grosse dimensioni (tra i 3000 e i 5000 tomoli) con diverse caratteristiche di navigabilità, bordi rialzati, pescaggio più profondo, un ponte e attrezzatura velica quasi quadra, che permetteva una maggiore propulsione col vento in poppa rispetto alla vela latina, adatta alla navigazione sotto costa (Di Taranto, 1985: 31). In quest’isola, che nel 1767 contava circa 13.000 abitanti, nel 1617 era stato fondato un Pio Monte dei marinai sotto il titolo di Santa Maria della Pietà (Parascandolo, 1982; Zazzera, 1999: 19).

Nel 1732 i padroni di tartane associati al Pio Monte dei marinai elessero quattro consoli per trattare con i mercanti napoletani le modalità e i noli per il trasporto di legna e carbone dalla costa laziale, loro principale attività, ma persero la facoltà di stabilire i noli  (Di Taranto, 1985: 31). Perciò si dedicarono ad altri commerci, ampliando il loro raggio di azione grazie alle migliorie apportate alle loro imbarcazioni, aumentate notevolmente in quegli anni (tra il 1752 e il 1762 se ne costruirono 233 (tabella 1). Nella primavera del 1759 una imbarcazione procidana si diresse in Martinica per conto del mercante Lucio La Marra e qui scaricò acquavite, frutta secca, marmo e vino (Di Taranto, 1985: 36).

Dagli anni Ottanta i procidani cominciarono a navigare in Mar Nero, dove esportavano olio, vino e agrumi e caricavano grano, ferro, pece grazie alle concessioni della zarina Caterina. Ma il loro principale commercio estero era quello dell’olio trasportato a Marsiglia usato per i saponifici insieme a quello del legname da costruzione a Tolone. Il commercio procidano era però soprattutto volto all’approvvigionamento annonario per la Capitale, in particolare l’olio e il grano dalla Puglia (Di Taranto, 1985: 36-42).

Procida del Monte della Pietà, 1699

Procida del Monte della Pietà, 1699

L’aumento del volume di affari determinò un mutamento nell’ufficio di dogana, con la “Deputazione della Salute”, che fino ad allora dipendeva dalla Dogana Collegiata di Pozzuoli, visto che nell’isola si contavano «più di 120 legni di traffico». La richiesta di creare una “Dogana collegiata” a Procida era stata formulata dai «padroni di bastimenti commercianti» che ottennero la concessione:  dal 10 agosto 1786 la Dogana di Procida fu dichiarata collegiata e fu nominato un Luogotenente coadiuvato da alcuni  ufficiali che doveva esigere i diritti di ancoraggio, falangaggio (approdo con le falanghe o bitte) e quelli per i manifesti dei responsali, per le fedi di immissione, di traini, di transiti, cartelli di spedizioni, ecc. esatti dalla dogana collegiata. Inoltre, la feluca posta a guardia per evitare i contrabbandi destinata a Pozzuoli doveva essere usata anche a Procida con aggiunta di due marinai (in totale 8) con un capitano in luogo del sostituto pagato 80 ducati mensili [8].

Tre anni dopo, nel 1790, si contavano 160 tartane e martigane e 200 barche da pesca (Zazzera, 1999: 25).  La maggior parte delle tartane e martigane era costruita alla marina, tranne tre a Castellammare e due alla foce del fiume Garigliano; inoltre, una martigana fu fabbricata per una vedova napoletana. In totale tra il 1782 ed il 1799 si costruirono 221 imbarcazioni, tra tartane e martigane, anche alla “francese”, a cui dagli anni Novanta si aggiunsero anche bastimenti di circa 5000 tomoli. Spesso gli armatori ne costruivano almeno una all’anno, talvolta due o tre: ad esempio Pasquale Schiano ne costruì 21 e Onofrio Parascandalo altrettante (tra cui 5 bastimenti). Ma molte di esse andarono perdute nel 1798 nella battaglia di Abukir (Di Taranto, 1985: 42).

Negli ultimi venti anni del Settecento si assiste al passaggio da una marineria di impostazione familiare ad una vera e propria imprenditoria formata da alcuni armatori che avevano accumulato notevoli fortune negli anni precedenti, costituendo la nuova classe borghese. Questi armatori hanno poi edificato tutti i palazzotti borghesi che ancora fanno bella mostra di sé accanto ad una architettura tipica delle marinerie mediterranee (Barba, Di Liello, Rossi, 1994).   

La vivacità del ceto dei ricchi padroni dei bastimenti e armatori procidani si evidenzia con la proposta di aprire nel 1788 una scuola nautica a loro spese su modello di quella delle scuole sorrentine, col nuovo «metodo normale, che permetteva una più rapida alfabetizzazione, progetto approvato dal ministro della marina John Acton» (Sirago, 20192).  

Golfo di Pozzuoli, Pietro Fabris, 1771

Golfo di Pozzuoli, Pietro Fabris, 1771

Le costruzioni effettuate nel porto di Castellammare e nella costiera sorrentina erano di tipologia diversa rispetto a quelle di Procida: si costruivano grosse imbarcazioni, bastimenti a due o tre alberi, tutti a vela latina, molti fino a 5000 tomoli; poi dagli anni Novanta se ne fabbricarono di più grandi, tra i 6000 e gli 8000 tomoli, pinchi e polacche, di solito a tre alberi, qualche brigantino, poche tartane a tre alberi (Sirago, 2021).

Il porto di Castellammare, possesso feudale dei Farnese, poi “bene allodiale” (o personale) dei sovrani, era stato usato fin dalla fine del Cinquecento per la costruzione dei vascelli insieme a quello di Baia, unici «capaci di armate». Fin dal 1580 era stata costituita dal numeroso ceto marinaro una “Confraternita” di «Marinai Pescatori Padroni di Bastimenti a Santa Maria di Portosalvo». Nel 1727, in epoca austriaca, nella statistica pubblicata da Antonio Di Vittorio si contavano 30 padroni di barca, 150 marinai e 30 imbarcazioni, molte da pesca, perché gli stabiesi erano dediti sia al commercio che alla pesca, mestieri esercitati sulle feluche che potevano essere “di traffico” o da pesca. Lo sviluppo commerciale del porto è testimoniato dalla presenza dei consoli spagnolo, francese e genovese (Sirago, 2004,1:87).

Castellammare, Cassiano Da Silva, inizi Settecento (Amirante, Pessolano: 2005)

Castellammare, Cassiano Da Silva, inizi Settecento (Amirante, Pessolano: 2005)

A metà Settecento, secondo i dati del Catasto Onciario su circa 10.000 abitanti si contavano 4 padroni di barca, 511 marinai e 5 gozzi da pesca (ma bisogna notare che le barche non erano denunciate) [9].   Tra il 1752 ed il 1762 furono costruite 69 imbarcazioni anche di grossa stazza. Perciò John Acton, fidandosi della maestria costruttiva degli stabiesi, nel 1783 aveva deciso di fondare il cantiere regio a Castellammare nel luogo del cantiere mercantile, che fu spostato verso il molo (Sirago, 2021,2).

L’attività mercantile ebbe un netto sviluppo tra il 1782 e il 1799, quando vennero costruite 140 imbarcazioni di grossa stazza, polacche, pinchi, brigantini, bastimenti a tre alberi, anche per armatori di Piano, di Conca e di Vico. Un bastimento a coffa di 13000 tomoli fu costruito per un mercante napoletano. Il distretto “marinaro” e armatoriale della penisola sorrentina era il più fiorente di tutto il regno meridionale. Nel 1759, quando Carlo partì per la Spagna, fu scortato dalla flotta e da sette imbarcazioni, tra cui sei sorrentine per i bagagli, le uniche affidabili per lunghi viaggi (Passaro, 2019: 38).

Nella terra di Vico, unica infeudata della zona, i Caracciolo esigevano i diritti di pesca ed i Folliero quelli di dogana e falangaggio (approdo con le “falanghe” o bitte) (Sirago, 2004). Ma l’attività primaria era quella mercantile associata con le costruzioni navali alla marina di Equa e in quella del Pezzolo. Secondo i dati del Catasto Onciario redatto nel 1754 tra i 6600 abitanti si contavano 5 padroni di barche, 10 pescatori, 291 marinai e 8 gozzi da pesca [10]. Tra il 1752 ed il 1762 furono costruite 8 imbarcazioni, numero notevolmente aumentato a fine Settecento, quando si contavano 29 imbarcazioni, pinchi, polacche, bastimenti anche di 6000 tomoli. Alcuni armatori come Pietro Savarese, il capitano di mare Carmine di Ruggiero, in società con Catello Volpe, e il capitano di mare Giuseppe Antonio Guida facevano costruire a Castellammare imbarcazioni della stessa tipologia.

Il distretto di Sorrento era fiorente per i suoi commerci già in epoca austriaca: nel 1727, secondo la statistica pubblicata da Antonio Di Vittorio (1973), a Sorrento e nel suo territorio si contavano 60 marinai e 30 imbarcazioni. Un notevole sviluppo si ebbe dopo l’arrivo di Carlo, quando i sorrentini diventarono i principali vettori per il rifornimento annonario della Capitale. A metà Settecento a Sorrento tra i 4100 abitanti si contavano 10 padroni di barche, 64 pescatori 113 marinai e 17 gozzi [11]. Nello stesso periodo in città vi erano i consoli inglese e francese, segno che le attività commerciali si erano notevolmente sviluppate (Sirago, 2004,1).

Una delle attività più fiorenti era quella peschereccia, praticata anche con la tonnara di Diomella concessa alla città nel 1520 da Carlo V: tale attività era testimoniata dalla «Congregazione di marinai e padroni di barca e pescatori di palamiti», da quella dei «pescatori di canna lenza volantini esca bianca», di «pescatori della tonnara» e di quella di San Giovanni in Fontibus di marinai e pescatori «della marina e marina piccola» (Sirago, 20221). Molti sorrentini erano dediti all’agricoltura e all’allevamento, i cui prodotti erano trasportati a Napoli con le feluche e i gozzi “da traffico” (Sirago, 2004,1).

Fig. 21 Marina piccola di Sorrento, Philip Hakert, 1794, Reggia di Caserta

Marina piccola di Sorrento, Philip Hakert, 1794, Reggia di Caserta

Il ricco ceto mercantile, formato anche da alcuni napoletani trasferitisi in città, era dedito ai commerci e faceva costruire imbarcazioni di grossa stazza nei Cantieri di Cassano ed Alimuri (tra il 1782 ed il 1799 se ne costruirono 9 a Cassano 8 ad Alimuri).

Nel territorio sorrentino erano compresi i terzieri di Piano e Meta, due “città marinare”, dove si era sviluppato un fiorente ceto mercantile e armatoriale: nel 1754 secondo i dati del Catasto Onciario si contavano circa 10.000 abitanti di cui 1223 marinai, 4 pescatori e 1 guardiano della tonnara di Sorrento ed erano censiti 5 gozzi da pesca [12].

I terzieri insieme a quello di Sant’Agnello fino ai primi dell’Ottocento erano sotto la giurisdizione di Sorrento per cui sorgevano continui contenziosi. Solo nel 1808 Giuseppe Bonaparte proclamò Piano comune autonomo, e nel 1819 Meta ottenne la separazione da Piano (Passaro, 2020). Questa situazione giuridica non inficiò lo sviluppo armatoriale dei due terzieri, dove nel 1784 si contavano circa 200 bastimenti mercantili anche di grossa stazza, costruiti nei cantieri di Alimuri (Meta) e Cassano (Piano) utilizzate soprattutto per il trasporto delle dettate alimentari (in primis grano e olio) dalle Puglie e dagli Abruzzi nella Capitale. Nel 1712 l’agiato ceto mercantile aveva fondato un “Monte dei Marinai” nella marina di Cassano, diviso nel 1731 tra i padroni del “terziere” di Carotto e quello di Sant’Agnello. Lo stesso 1712 era stato fondato il «Monte dei Padroni e marinai di feluche di Meta» (Sirago, 2022,1). Proprio per le fiorenti attività marinare nei territori del Piano e di Meta, nel 1770 fu fondata la scuola nautica con lo stesso decreto che istituiva quella napoletana (Sirago, 2019,2). Nei due cantieri tra il 1752 ed il 1762 furono costruite 129 imbarcazioni di grossa stazza. E all’epoca di Acton se ne costruirono 263, 150 ad Alimuri e 113 a Cassano, moltissime di grossa stazza, alcune fino ad 8000 tomoli.

Biagio Passaro dall’esame dei dati degli arrivi nel porto di Napoli ricavati dai “Giornali del porto di Napoli”, conservati nella Sezione Militare dell’Archivio di Stato Napoli, ha potuto confermare il rafforzamento dalla seconda metà del Settecento delle marinerie sorrentine e procidane nella navigazione lungo le coste del regno, dove le navi caricavano i prodotti agricoli necessari per la Capitale. L’incremento dei bastimenti sorrentini, a cui si aggiungevano quelli procidani, è dovuto all’inserimento stabile della marineria napoletana in tutte le rotte mediterranee e talvolta oltre lo stretto di Gibilterra. La diversificazione dei carichi fa supporre che gli armatori e i “capitani di mare” fossero collegati alla rete di commissionari e case commerciali internazionali esistenti nei principali porti mediterranei.

I procidani con martigane, tartane e bastimenti si erano specializzati nel trasporto di olio dai porti pugliesi e legna da ardere dai porti dello Stato della Chiesa. Invece i sorrentini, con polacche, pinchi e bastimenti a tre alberi, meglio equipaggiati e di maggiori dimensioni, avevano incrementato il commercio non solo in regno ma anche nei porti esteri. Gli equipaggi sorrentini, come quelli procidani, dotati di alcune centinaia di imbarcazioni abilitate alla navigazione di gran cabotaggio, erano in grado di navigare in mare aperto grazie alla qualità del naviglio e alla loro capacità di condurlo (Passaro, 2019: 12-14), acquisita a partire dagli anni Settanta anche nelle aule delle scuole nautiche napoletana e sorrentina, dove imparavano le nuove tecnologie della navigazione strumentale (Sirago, 2019,2 e 2022,2).

Una certa attività armatoriale nel corso del Settecento si era sviluppata anche nella costa di Amalfi, a Conca e Vietri. Il territorio amalfitano, che in epoca medievale aveva conosciuto un notevole sviluppo, in epoca moderna aveva ridotto il suo ambito alla navigazione di cabotaggio utilizzata per il trasporto nella Capitale di varie merci prodotte in loco, “maccaroni o pasta lavorata”, tessuti di lana grezza o “saiette”, carta prodotta nelle numerose cartiere e “centrelle” (chiodini per scarpe) prodotti nella ferriera di Amalfi; inoltre vi era una attività peschereccia in tutta la costa, specie a Praiano, e nelle tonnare di Conca e Amalfi (Sirago, 1988: 96-107).  

A Conca, dove risiedevano molti armatori, la situazione era simile a quella delle città della costa sorrentina: nella statistica del 1727 riportata da Antonio di Vittorio si contavano 94 marinai e 32 imbarcazioni, 10 “da traffico” e 22 da pesca. Nel 1742, secondo i dati del Catasto Onciario, su circa 500 abitanti si contavano 165 marinai [13]. Tra il 1782 e il 1799 vennero commissionati dagli armatori di Conca 27 bastimenti, polacche e pinchi tra i 3000 e i 5000 tomoli, tra cui un bastimento/goletta, costruiti tutti a Castellammare, tranne uno nella marina di Amalfi.

Il territorio della città di Cava in demanio regio, contava circa 25.000 abitanti: qui gli abitanti erano dediti a svariate attività protoindustriali, produzione di faienze (ceramiche), di carta, di tessuti, anche per le vele dei bastimenti, ecc. Vi erano anche alcuni casali marini, il porto di Vietri, quello Fuonti, i villaggi di Cetara (dove si esercitava una notevole attività di pesca), Dragonea, Benincasa, Passiano e quello di Raito, dove dimoravano gli armatori (Sirago, 1988: 96-98).

Nel 1741 fu redatto il Catasto Onciario: per Vietri ne vennero redatti due, uno per il paese e uno per la Marina, che nel corso del Settecento aveva avuto un notevole sviluppo grazie alle attività cantieristiche per le costruzioni di tartane, come quella costruita nella marina di Salerno, a Porto Salvo tra il 1742 e il 1743 (Sofia, 1983). Tra la popolazione si registravano 90 marinai a Raito, 87 a Cetara, 23 a Dragonea, 8 a Vietri e 122 pescatori a Cetara, dove vi erano anche due “negozianti di salsume” (pesce salato). Vi erano 9 barche per “il negozio marittimo” di Raito e 60 barche da pesca, di cui 42 di Cetara I dieci “padroni di tartane” di Raito, tra cui molti negozianti, possedevano le imbarcazioni in toto o in parte con altri armatori e le noleggiavano ai capitani e impiegavano cospicui capitali (tra i 2000 e i 4000 ducati) nel commercio, anche quello del “salsume” prodotto a Cetara [14].  Il casale di Vietri marittima nel corso del Settecento ebbe un notevole sviluppo per le sue attività cantieristiche: tra il 1752 ed il 1762 furono costruite 8 imbarcazioni; e tra il 1782 ed il 1799 si costruirono 20 bastimenti, tra cui una polacca, della portata di 5000 -6000 tomoli. Un bastimento a tre alberi fu costruito per un armatore palermitano e altri 3 furono costruiti nel porto di Castellammare per armatori vietresi.

Fig. 22 Marina di Amalfi, Giovanni Serritelli, secondo Ottocento

Marina di Amalfi, Giovanni Serritelli, secondo Ottocento

Conclusioni  

Nel primo periodo borbonico, durante la fertile stagione di riforme avviata da Carlo e dai suoi ministri, in primis Bernardo Tanucci, si realizzò un nuovo contesto economico volto allo sviluppo delle attività commerciali. Il “nuovo corso” si realizzò grazie alla riacquistata autonomia del regno che permise di riformare o ricostruire procedure amministrative o organi istituzionali come il Supremo Magistrato di Commercio o il sistema consolare delle “Nazioni” estere che commerciavano con il Regno ed avevano sedi in Napoli e nei principali porti del regno (Zaugg, 2011).  

L’obiettivo perseguito era quello di potenziare i nuovi sistemi di produzione e distribuzione delle merci, configurare nuove condizioni di libertà civile e riorganizzare la società per modernizzare il regno (Imbruglia, 2000: 1-2). Anche il ministro Tanucci durante la “Reggenza” continuò ad incentivare questo “nuovo corso”, facendo buon uso delle suggestioni di Antonio Genovesi e Ferdinando Galiani per pianificare una crescita economica del regno: inoltre, nominò lo stesso Galiani segretario d’ambasciata a Parigi perché studiasse i modi per incrementare i commerci del regno, utilizzando anche il sistema dei trattati commerciali, come quello della Russia, per poter aprire nuove rotte commerciali (Stapelbroek, 2006).

Grazie alle riforme introdotte nel settore marittimo dalla seconda metà del Settecento si ebbe un incremento in vari campi, tra cui quelli dell’economia e dei traffici marittimi, delle tecniche di costruzioni navali, dell’istruzione nautica, dovuta in primis agli armatori e ai capitani, per lo più sorrentini e procidani, che cominciarono a realizzare costruzioni navali atte a solcare le nuove rotte del Baltico, del Mar Nero e delle Americhe.

Ma una vera svolta si ebbe con l’arrivo di John Acton, nominato ministro della marina per volere della regina Maria Carolina. L’ammiraglio riorganizzò tutto il comparto marittimo, riformando l’accademia di marina e le scuole nautiche, e promuovendo la ricostruzione della flotta e della marina mercantile. I dati raccolti per il periodo tra il 1782 ed il 1799 confermano quanto è emerso da altre fonti: la marineria napoletana a fine Settecento era cresciuta di quasi sei volte e rappresentava la settima flotta europea per tonnellaggio e l’ottava per numero di velieri, a ridosso delle potenze navali dell’epoca, come si evince dagli studi di Biagio Passero (2019).

Questi dati danno ulteriori elementi sull’impegno degli armatori che grazie alla costruzione di numerose imbarcazioni di grossa stazza avevano incrementato il commercio accumulando notevoli fortune negli ultimi venti anni del Settecento, costituendo la nuova classe borghese che riorganizzò il tessuto urbano dei fiorenti centri marittimi del golfo partenopeo, Procida, Castellammare, Vico, Meta, Piano e quelli salernitani di Conca e Vietri.

Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023 
Note
[1] Archivio di Stato, Napoli, d’ora in poi ASN, Farnesiano, 1523, 6/8/1761.
[2]Ibidem, 1517, ff. 12 ss., 29/11/1759 e 1520, ff. 14 ss., 15/8/1760.
[3] ASN, Esteri, 261, Copenaghen, 19/10/1767, Catanti a Tanucci.
[4] ASN, Ministero delle Finanze, fasci 1355-1420 (1782-1799).
[5] ASN, Ministero delle Finanze, 1356 I e 1357, 27/1/1783 e 18/8/1784.
[6] ASN, Ministero delle Finanze, 1411, 13/5/1797, acquisto e 1412, 8/7/1787, acquisto di viveri per il viaggio.
[7] ASN, Casa Reale Antica, 767, Gran Corte della Vicaria, 2/11/1738.
[8] ASN, Ministero delle Finanze 1370, 8/10/1787.
[9] ASN, Catasto Onciario, 123, 1753.
[10] ASN, Catasto Onciario, 231, 1754.
[11] ASN, Catasto Onciario, 209,3°, 1754.
[12] ASN, Catasto Onciario, 208, 1754.
[13] ASN, Catasto Onciario, 3626, 1742.
[14] ASN, Catasto Onciario, 3672, Vietri marina, Cetara, Dragonea, Benincasa, Raito, 3673, Passiano, 3681, casale di Vietri, tutti del 1741. 
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Maria Sirago, dal 1988 è stata insegnante di italiano e latino presso il Liceo Classico Sannazaro di  Napoli, ora in pensione. Partecipa al NAV Lab (Laboratorio di Storia Navale di Genova). Ha pubblicato numerosi saggi di storia marittima sul sistema portuale meridionale, sulla flotta meridionale, sulle imbarcazioni mercantili, sulle scuole nautiche, sullo sviluppo del turismo ed alcune monografie: La scoperta del mare. La nascita e lo sviluppo della balneazione a Napoli e nel suo golfo tra ‘800 e ‘900, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2013; Gente di mare. Storia della pesca sulle coste campane, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2014, La flotta napoletana nel contesto mediterraneo (1503 -1707), Licosia ed. Napoli 2018.

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