di Anna Fici
Abbiamo dimenticato. Abbiamo perso ogni appartenenza. Non desideriamo più essere aggregati ad altro che alla mailing list di un brand o ad un gruppo social. Pensiamo che la comunità sia una rete, una trappola. Ed accettiamo solo quelle forme “comunitarie” che si possono spegnere o silenziare a piacimento, apparentemente senza troppe implicazioni. Gli “amici” che possiamo bloccare.
La modernità ha scoperto ed esploso l’individuo. Io voglio! Io credo, anzi io so! Io posso!… Ma, ogni tanto, si affaccia in tutti noi la nostalgia per il ragù della nonna, con tutta la famiglia intorno alla tavola. E il ricordo di essere stati figli, generi, fratelli, familiari… Insomma, membri. Di avere parlato, agito, sorriso entro i binari di un ruolo definito dalla comunità.
Sappiamo tuttavia che oggi ci sarebbe intollerabile la condizione di “membro” se protratta oltre la durata di un pranzo. Non dubitiamo abbastanza della nostra libertà. Non ci assale il sospetto di essere noi oggi, troppo spesso, ancor meno che membri: gregari.
Così, quando ci troviamo di fronte ad un residuo di vera comunità, ad una comunità senza bisogno di aggettivi, quando ci troviamo di fronte a questa alternativa possibilità di vita, sentiamo di dovercene difendere definendola arretrata, incivile, forse violenta o chissà che altro.
Genericamente Rom. Più spesso, “zingari”. Sono questi gli appellativi, pronunciati quasi sempre come parola d’offesa.
L’aggettivo che segue, nella migliore delle ipotesi, è “nomadi”, quindi infidi. Come se il nomadismo che perlopiù si sono da tempo lasciati alle spalle, fosse una instabilità di cuore, una propensione al tradimento. Di cosa? Di uno stile di vita a cui in realtà non li lega alcuna promessa?
Ignoranza, etichettamento, semplificazione, sono le facili tentazioni del nostro tempo. Tentazioni a cui, ogni tanto, sempre più raramente, qualcuno oppone un sonoro NO!
Il NO di Marina Galici è un NO festoso che ha saputo raccogliere sorridenti “fiori di campo”, raccontando i piedi scalzi non come degrado ma come libertà. L’infanzia che ci mostra non è stata depredata dal mercato, dai media… e la presunta arretratezza di questi “fiori” non li ha posti in ostaggio del nostro benessere.
Di fronte ai volti, ora festosi e ora fieri, che lo sguardo attento e partecipe di Marina Galici ha colto, con ben otto anni di frequentazione del campo, i veri nomadi e traditori siamo noi. Siamo noi che abbiamo abdicato all’identità, lasciandoci condizionare dai brand globali.
Siamo noi che abbiamo lasciato che si perdesse ogni differenza e ogni tradizione, a favore di nuove abitudini indotte da esigenze commerciali: San Valentino non si distingue dal Black Friday. Ma questa cosa non la chiamiamo “violenza” sol perché l’abbiamo permessa.
Tuttavia, quale delle nostre “feste” ci vede così autenticamente liberi e contenti? Quale dei nostri bambini ha questo sorriso con un nuovo giocattolo in mano, al centro commerciale?
La fotografia può avere senso e forza solo dove la vita è in rilievo; dove la luce è vera luce e l’ombra è profonda. Marina lo sa.
Come i migliori fotografi, quando è chiamata a dire due parole sul proprio lavoro, non parla di sè, né delle fotografie. Ma della realtà che l’ha emozionata. In verità, le sue fotografie ci parlano di lei più di quanto lei sappia. Ci danno accesso alla sua indipendenza.
Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023
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Anna Fici, docente di Sociologia dei processi culturali e comunicativi per i Corsi di Laurea di Scienze della Comunicazione presso l’Università di Palermo, ha coltivato parallelamente alla carriera accademica la pratica fotografica, che l’ha portata a vincere nel 2002 l’Internazionale di Fotografia di Solighetto (Tv), con il lavoro «Facce di Ballarò». A partire da quell’anno ha ricevuto numerosi riconoscimenti e ha svolto diverse mostre personali, prevalentemente nell’ambito dei Festival della Fotografia italiani. Oggi coordina dei laboratori di Fotogiornalismo per i corsi di Scienze della Comunicazione. È inoltre Direttore artistico di Collettivof – http://collettivof.com – un collettivo di fotografi di recente costituzione. Tra le sue pubblicazioni più recenti: Nella giostra della Social Photography, Mondadori (2018); La linea spezzata. Una ricostruzione critica dell’attuale deficit di coerenza, Libreriauniversitaria.it Editrice (2021).
Marina Galici, nata a Palermo, ha trascorso ad Agrigento la prima parte della sua vita. All’età di vent’anni ha scoperto nella fotografia uno straordinario strumento per la ricerca del proprio sé. Palermo caotica, complessa, così ricca di contrasti, rappresenta il panorama urbanistico e sociale che più ha raccontato. La fotografia di strada, la fotografia politica e di denuncia, sono ciò che più la interessa. Il bianco e nero è la sua scelta espressiva. Vi ritrova, infatti, quell’essenzialità che è necessaria ad una fotografia che ambisca ad arrivare fin dentro al cuore delle storie narrate. Negli anni più recenti, tra il 2021 e il 2022, ha partecipato a diverse collettive a cura del Centro Internazionale di Fotografia di Palermo, diretto da Letizia Battaglia. Ha inoltre esposto presso il Loggiato San Bartolomeo di Palermo, durante l’undicesima edizione della “Settimana delle Culture”. Tra l’agosto e il settembre 2022 è stata presente a Berlino all’interno di una collettiva per il progetto fotografico “Giro Mancato – Reportage on Sicily’s secrets”, a cura di Street Photography Palermo e Berlinecore Street Photography Berlin presso il vecchio Arminiusmarkthalle Markthalle Moabit e CISpace di Moabit.
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