La casa dei notabili, della scrittrice tunisina Amira Ghenim è uscito per i tipi della E/O ad inizio 2023. Il romanzo, pubblicato due anni prima col titolo Nazilat dar al-akabir, rappresenta un interessante caso editoriale di successo di pubblico e di critica in Tunisia. Tradotto per la prima volta in italiano a firma dell’arabista Barbara Teresi, è in corso di traduzione anche in altre lingue.
È la sera del 7 dicembre 1935. Piove. Bussano alla dimora degli al-Nayfar, un illustre casato della medina di Tunisi: arriva un fagotto di pane da consegnare alla giovane e colta Zubayda, sposa di un rampollo della famiglia. Ma prima che l’ignara domestica porti a compimento la missione dal fagotto cade un foglio: sembra una lettera di poche righe, ma cosa c’è scritto? E chi l’ha mandata? E perché?
Il fatto fa sospettare una illecita storia d’amore tra i due protagonisti, scatenando una serie di pesanti reazioni ed eventi che segneranno per sempre le sorti di alcuni dei protagonisti. La tempesta che immediatamente si abbatte su Zubayda, e ovviamente sulla famiglia sua e quella del marito, si può comprendere solo se si considera la statura del personaggio che firma quelle righe: al-Tahir al-Ḥaddād (1899-1935), il riformatore più rivoluzionario del XX secolo, in Tunisia e in tutto in mondo arabo. Tra i suoi vari saggi si staglia quello che anticipa di quasi un trentennio la promulgazione del moderno Codice dello statuto della persona di Bourguiba: La nostra donna nella shari’a e nella società (1930). L’opera scatena un terremoto: per lui scatta subito la “scomunica” (takfīr) delle autorità della Zaytūna, la massima istituzione religiosa della Tunisia, in cui tra l’altro egli si era formato. Perde così anche i fondamentali diritti civili e finisce gli ultimi anni della sua breve vita tra lo scherno generale.
Proprio quel maledetto 7 dicembre 1935 i giornali danno l’annuncio della morte di al-Ḥaddād. Quindi che senso avrebbe ricevere una lettera da un morto? Intorno a tali interrogativi Ghenim costruisce un romanzo che avvolge ed avviluppa il lettore in un vortice intrigante e impetuoso. Piega con intelligenza e acume narrativo la materia politica alle esigenze di una fiction vivace ed effervescente. Il suo obiettivo è quello di far comprendere il peso delle prese di posizione di al-Ḥaddād sui diritti delle donne (poligamia, divorzio, eredità), il potere coloniale, i movimenti sindacali e l’identità culturale del Paese.
Il romanzo presenta undici narrazioni affidate ad altrettanti personaggi, in cui si mescolano in maniera organica eventi di microstoria, riguardanti due famiglie di notabili tunisini della capitale ed altri personaggi minori, con quelli della macrostoria, pubblica e nazionale. L’undicesima narrazione, che apre e chiude il romanzo, appartiene al personaggio Hind che è nipote di Zubayda.
Il valore di questo romanzo si deve misurare, oltre che su meri criteri strutturali ed estetici, sulla precisione dell’autrice nella ricostruzione storica di eventi chiavi della Tunisia, in particolare la sistematica campagna di denigrazione contro il personaggio di al-Ḥaddād, affidata a preziosa inserti documentaristici. In 450 pagine esce un vivido affresco tridimensionale che spazia dall’inizio del ventesimo secolo fino al decennio appena trascorso.
Zubayda aveva conosciuto al-Ḥaddād nella dimora paterna, seguendo con passione le sue lezioni di arabo e cultura islamica, nel tentativo di bilanciare la sua cultura che era caratterizzata dal forte impatto del francese, cosa abbastanza comune nelle famiglie dell’alta borghesia tunisina. In tal modo Ghenim fa emergere chiaramente il ruolo di al-Ḥaddād come intellettuale fiero araldo della sua cultura arabofona. Nel 1927 aveva già pubblicato un saggio sulla lotta dei lavoratori, e contribuito alla nascita del primo sindacato arabo con Muhammad ‘Alī al-Ḥāmmī, altro gigante della storia di quegli anni e originario come lui del Sud della Tunisia.
Il romanzo mostra come al-Ḥaddād sia stato sacrificato sull’altare di meschini e opportunistici interessi politici. Hind assume la funzione di raccordo tra il peso degli eventi degli anni trenta e quelli legati alla contemporaneità. Racconta, avendoli vissuti in prima persona, di fatti drammatici che riguardano la sua vita e quella della Tunisia, partendo proprio dai sanguinosi moti del pane del gennaio 1984 fino ad arrivare al post-rivoluzione 2011. Con estremo coraggio denuncia il maschilismo ipocrita della sinistra tunisina che cavalca le rivoluzioni in modo spregiudicato e tuttavia conserva una mentalità sostanzialmente retrograda.
Assordante è l’assenza di voce di al-Ḥaddād, che attraverso i discorsi degli altri personaggi, amici e nemici, esce da questo romanzo come unico e sincero patriota, in mezzo ad una classe intellettuale e dirigenziale che manca di visione politica ed è intenta a difendere i propri privilegi. Da notare che il riformista era originario di una delle regioni diseredate del Sud della Tunisia, che sono poi quelle che hanno innescato la miccia della rivoluzione del 2011.
Nel dibattito politico democratico che è seguito a tale evento di portata storica per la Tunisia, il tema dell’identità è stato alla ribalta, soprattutto nell’elaborazione della nuova Costituzione. Sui possibili modelli culturali e istituzionali da seguire (secolarizzazione e affrancamento dall’arabizzazione vs. islamizzazione) incombeva l’influenza del forte partito al-Nahda e quella di gruppi estremisti che propugnano una visione retrograda e letteralista dei testi islamici. Costoro ritengono ancora valida la “scomunica” di al-Ḥaddād di un secolo fa, vedendo ancora in lui il nemico della nazione islamica. In quest’ottica si può leggere il recente attacco contro la statua di al-Ḥaddād nel suo villaggio natio.
Ghenim sente anche l’esigenza di volersi riappropriare della memoria storica collettiva e di valorizzare il patrimonio culturale nazionale, fatto di tante componenti, policromo e polifonico, come la struttura del romanzo.
Ho posto alla traduttrice Barbara Teresi, che ha magistralmente tradotto La casa dei notabili, alcune domande:
Dopo l’esperienza della traduzione de L’italiano, del tunisino Shukri al-Mabkhout, come ti è sembrato questo romanzo? Ti ha entusiasmato? Affaticato?
Considero un autentico privilegio il fatto di aver avuto l’opportunità di lavorare alla traduzione di questi due fondamentali testi di narrativa tunisina contemporanea. Tra i Paesi che si affacciano sulle sponde del Mediterraneo, la Tunisia è il più vicino a noi, eppure ne abbiamo una conoscenza piuttosto superficiale e spesso ne ignoriamo la storia e la cultura, per non parlare poi della letteratura. Sono felice di aver contribuito a colmare in parte questo vuoto, grazie alla casa editrice E/O, traducendo L’Italiano di Shukri al-Mabkhout e La casa dei notabili, di Amira Ghenim. Dal punto di vista della traduzione, si è trattato di due esperienze molto diverse, perché diversi sono lo stile, il registro, le ambientazioni e naturalmente gli intenti degli autori, anche se le due opere hanno in comune l’ambizione di restituire, attraverso la fiction, una lettura della storia recente della Tunisia. Entrambe le esperienze sono state importanti nel mio percorso da lettrice e da traduttrice ma, per una questione di inclinazioni personali, lavorare alla traduzione dello splendido romanzo di Amira Ghenim è stato particolarmente coinvolgente.
Un lavoro appassionante, che mi ha entusiasmata e al contempo è stato molto impegnativo, probabilmente il più impegnativo di tutta la mia carriera, e proprio per questo il più stimolante in termini di sfide da affrontare. Dentro ci sono tutti gli elementi che di solito fanno tremare i polsi a noi traduttori: variabili culturospecifiche, realia, proverbi, frasi idiomatiche, citazioni, ivi comprese quelle di testi poetici o di brani di canzoni, espressioni di derivazione religiosa, parole, battute di dialogo o proverbi in arabo colloquiale tunisino, un’infinità di riferimenti storici, culturali e antropologici che hanno richiesto ricerche e approfondimenti. Per me, che amo le sfide, è stata un’esperienza unica, un viaggio affascinante lungo un secolo di storia della Tunisia e l’occasione preziosa di dar voce a personaggi scaturiti dalla penna di una grande autrice che ammiro e di cui condivido pienamente gli intenti. Amira Ghenim è una mia coetanea e, oltre alla passione per la letteratura, ci lega l’interesse per la causa femminista. In La casa dei notabili ho particolarmente apprezzato la volontà dell’autrice di rendere omaggio al grande rivoluzionario Taher al-Haddad, scelta che fa emergere in modo lampante il suo punto di vista rispetto alla questione femminile: il femminismo non è affatto, come forse si tende generalmente a pensare, qualcosa che riguarda solo le donne. Se davvero vogliamo vivere in società più eque ed evolute, è necessario che tutti, uomini e donne, ci sbarazziamo della mentalità maschilista e patriarcale che in ogni parte del mondo danneggia tanto le donne quanto gli uomini. Come osservavi giustamente, Taher al-Haddad è una figura emblematica che ha influenzato e ancora oggi influenza il dibattito pubblico tunisino in materia di diritti delle donne, ma che si è battuto anche contro il potere coloniale e in favore dei diritti dei lavoratori e delle classi sociali più svantaggiate. Tre fenomeni che in genere tendiamo a percepire come disgiunti l’uno dall’altro ma che in realtà sono solo tre facce di uno stesso prisma: una forma di sfruttamento da parte di chi detiene un potere legittimato dalla cultura patriarcale nei confronti di soggetti o categorie di persone private dei propri diritti perché considerati in qualche modo subalterni. L’analogia tra strutture sociali patriarcali e colonialismo verrà ripresa in seguito da tanti altri, a partire da Frantz Fanon passando per Carla Lonzi, e in Marocco da Fatima Mernissi. Ma è sorprendente che Taher al-Haddad, già un secolo fa, facesse di questo genere di considerazioni la sua prassi di vita e di lotta, ed è straordinario come Amira Ghenim in questo romanzo sia riuscita, con un talento narrativo veramente degno di nota, a far emergere in tutta la sua potenza la figura di Taher al-Haddad e a far sentire tutta la forza del suo messaggio, ancora oggi così attuale.
Secondo te, quali sono i punti di forza del romanzo, che, a mio avviso, si legge tutto d’un fiato?
Il potente messaggio di speranza per il futuro è solo uno dei punti di forza di questo libro straordinario. Sono d’accordo con te: si legge tutto d’un fiato, basta leggerne qualche riga per ritrovarsi coinvolti e incapaci di staccare gli occhi dalla pagina. È il tipo di libro che in editoria viene definito un page-turner, e ciò si deve all’uso sapiente di una serie di tecniche narrative che Ghenim maneggia con cura e abilità: la narrazione, con focalizzazione interna, è affidata a undici personaggi in momenti storici diversi. Ne viene fuori una struttura narrativa che è un’architettura complessa e multiforme in cui, tra flashback e flashforward, il lettore, mosso dalla curiosità di scoprire cosa sia successo alla giovane e affascinante Zubaida, è chiamato a ricostruire la storia tassello per tassello, ma per ricomporre tutti i fili della trama dovrà arrivare alla fine del libro. La scrittura di Ghenim è un incantesimo, un sortilegio che ci tiene incollati alla pagina.
Altro punto di forza del romanzo, secondo me, è la caratterizzazione dei personaggi: perfetta, magistrale. Ghenim tratteggia i suoi personaggi con così tanta cura e profondità, grazie anche a un’acuta introspezione psicologica, da renderli ai nostri occhi più che credibili, quasi vivi, persone in carne e ossa. Ci sembra di conoscerli, ci immedesimiamo in loro oppure li biasimiamo, ma di certo non ci lasciano indifferenti.
All’architettura narrativa perfetta e all’impeccabile caratterizzazione dei personaggi si somma infine la scrittura raffinata, elegante, immensamente ricca di sfaccettature, impregnata di odori, sapori, colori, musicalità diverse. Amira Ghenim è indubbiamente una scrittrice dal talento enorme e mi auguro di avere ancora, in futuro, il privilegio di lavorare alle sue parole cercando di maneggiarle con la cura che meritano.
Nel romanzo ogni tanto si avverte una vena umoristica. Questo elemento, calato in una pur dominante atmosfera drammatica, non guasta, a mio avviso. Che ne pensi?
Sono assolutamente d’accordo e, anzi, ritengo che questa capacità di muoversi con grazia attraverso tutto lo spettro delle emozioni umane, di suscitare in noi sentimenti di dolore o rabbia, ma anche di strapparci un sorriso, sia un’ulteriore prova della grandezza dell’autrice. In certe scene, la tensione drammatica è sapientemente smorzata da momenti quasi esilaranti.
Cosa ci dici della presenza italiana (personaggi, oggetti, abitudini) in questo romanzo?
Al di fuori del mondo accademico e delle pubblicazioni di tipo specialistico, sulle comunità italiane emigrate nel Nordafrica già ai tempi della Grande Emigrazione generalmente non si sa molto, o per lo meno non se ne ha un immaginario condiviso come invece accade per i nostri connazionali emigrati in altre parti del mondo, sicché per me è stato interessante conoscere uno spaccato di vita quotidiana degli italiani di Tunisia alla fine del 1800, ma anche dovermi confrontare, per esempio, con la presenza di prestiti lessicali dalla nostra lingua all’arabo tunisino. Tra l’altro, ho ritrovato nell’arabo tunisino parole del dialetto siciliano che mi hanno riportata alla mia infanzia. Per chi, come noi, si occupa di traduzione, e cioè vive di parole, queste piccole epifanie sono doni inattesi.
Il personaggio di Laura, che nel romanzo incarna la presenza italiana, è un simbolo di emancipazione femminile oltre gli stereotipi e i pregiudizi, nonché un simbolo dell’arricchimento reciproco che scaturisce dall’incontro tra diverse culture.
Ti confesso che il titolo “La casa dei notabili” mi è sembrato un po’ banale. Ma è sempre migliore di quello originale, ad esser sinceri…Tu come lo avresti intitolato?
Può apparire banale, mi rendo conto, ma in realtà è un titolo dal profondo significato simbolico, e ancor più nella versione originale, che suonerebbe più o meno come “La sventura della casa dei notabili”. Come Amira Ghenim ha avuto modo di dichiarare in qualche intervista, infatti, la “casa dei notabili” in questione non è semplicemente la casa degli en-Neifer o di altre famiglie dell’alta borghesia tunisina. È, simbolicamente, anche la moschea e università Zaytuna, centro del potere religioso che controlla la vita politica e sociale del Paese. Di più, la “casa dei notabili” a cui il titolo si riferisce è il potere patriarcale – religioso, politico, coloniale – che opprime i più deboli, i subalterni, e quindi le donne, ma non solo, e li priva dei propri diritti. E la “sventura” del titolo originale è proprio Taher al-Haddad, che con i suoi scritti e il suo attivismo in favore degli oppressi ha messo in crisi quel sistema facendo vacillare l’ordine costituito, cosa che porterà, anni dopo, alla nascita della Repubblica di Tunisia, uno Stato indipendente nonché uno dei Paesi del Mediterraneo più all’avanguardia dal punto di vista dei diritti delle donne. Difficile condensare tutto questo in un titolo, ma direi che Amira Ghenim ci è riuscita appieno. A un lettore tunisino, che presumibilmente conosce già il grande intellettuale Taher al-Haddad, a un certo punto della lettura il senso del titolo si svela quasi automaticamente. Così non sarebbe stato, invece, per i lettori italiani, che per lo più sconoscono la figura di al-Haddad, perciò la redazione ha optato per un titolo che fosse rispettoso dell’originale e allo stesso tempo evocativo e adeguato al nostro mercato editoriale.
Credi che il pubblico italiano si possa facilmente appassionare all’impossibile storia d’amore tra Zubaida e Taher?
Assolutamente sì, come a qualsiasi bella storia d’amore. La forza del romanzo consiste anche in questo, nel prestarsi a diversi livelli di lettura: è un avvincente romanzo storico che racconta di un amore impossibile e di intrighi familiari, ma su un piano più metaforico potremmo dire che la vera protagonista del libro è la stessa Tunisia, e il personaggio di Zubaida ne è la sua incarnazione, la sua rappresentazione simbolica, è una sorta di personificazione letteraria della Tunisia: vorrebbe sposare Taher (ovvero vorrebbe abbracciarne il pensiero) ma non può perché un antico e spietato retaggio culturale glielo impedisce. Vorrei dire di più su Zubaida e sulla simbologia nel romanzo, ma rischierei di rivelare troppo… Piuttosto vi invito a leggere La casa dei notabili: garantisco che ne sarete ammaliati.
Delle dieci narrazioni di cui si compone il romanzo quale ti è piaciuta di più?
Ho amato molto il personaggio di Luiza, la domestica di Zubaida che in realtà è per lei come una sorella e che le resterà accanto fino alla fine dei suoi giorni. È soprattutto attraverso lo sguardo di Luiza che nel mio immaginario ho costruito la figura di Zubaida. Affascinanti i suoi racconti dell’infanzia in casa ar-Rassa‛. Luiza è un personaggio straordinario, in grado di divertire e commuovere, e porta in sé la Tunisia più autentica, le credenze e le tradizioni popolari, i valori, i buoni sentimenti.
Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023
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Aldo Nicosia, ricercatore di Lingua e Letteratura Araba all’Università di Bari, è autore de Il cinema arabo (Carocci, 2007) e Il romanzo arabo al cinema (Carocci, 2014). Oltre che sulla settima arte, ha pubblicato articoli su autori della letteratura araba contemporanea (Haydar Haydar, Abulqasim al-Shabbi, Béchir Khraief), sociolinguistica e dialettologia (traduzioni de Le petit prince in arabo algerino, tunisino e marocchino), dinamiche socio-politiche nella Tunisia, Libia ed Egitto pre e post 2011. Nel 2018 ha tradotto per Edizioni Q il romanzo Il concorso di Salwa Bakr, curandone anche la postfazione. Ha curato per Progedit la raccolta Kòshari. Racconti arabi e maltesi (2021).
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