Palermo. Vado a zonzo. Vicolo Pirriaturi, via Pietro Fudduni. Nella zona di via della Speranza e discesa dell’Eternità. Una giornata né grigia e nemmeno di sole. Senza rumori. Anche se i mestieri che le lapidi stradali vogliono eternare parlano di rimbombi e scrosci: marmorai, carrettieri e altri rumorosi artefici delle oramai estinte corporazioni.
Mi ritrovo sulle balate di via Gianferrara, davanti al rudere bruciato pochi giorni fa: moglie salva grazie alla fuga, marito morto. C’è ancora qualche segno delle combustioni, e si sente lontana una musica che non è di quelle parti, vaga e francese: un vecchio vinile. Parlez-moi d’amour/ Redites-moi des choses tendres…
Suoni inaspettati e struggenti, appena percepibili che mi fanno fermare davanti ad un vecchio portone resistente come un uomo forte impegnato con le spalle ad arginare un ingresso non voluto.
Ascolto sino alla fine quella canzone degli anni Trenta. Se tradotta in italiano – presumo – avrebbe perduto tutta la suggestione e il fascino che nella sua lingua ha per me. E scopro che sul portone che tiene per miracolo c’è un’opera di Yuri Hopnn.
Che cosa è: murale, street art, graffito oppure qualcosa neonata? Piazza Beati Paoli, il molesto pensiero persiste. Mi dico che non è determinante sapere di cosa si tratti.
Di opere simili a questa di Hopnn – che forse è meglio chiamarlo Romagnoli facendolo uscire dalla foschia russa – in città ce ne sono tante: muri che mostrano forme e colori di artisti oscuri oppure nascosti dietro incomprensibili identità false, nomi di pennello, clandestini, pseudonimi; oggi si dice aka, acronimo di also known as (cioè anche conosciuto come), insomma artisti che non vogliono farsi identificare.
Ma qual è la differenza (se c’è) tra murales, arte di strada e graffiti? «I graffiti – secondo Romagnoli – hanno codici ben definiti, se non stai nei codici fai altro, e da quel confine in poi inizia la street art. Per me l’unica cosa che accomuna street art e graffiti è l’aspetto non autorizzato del gesto. Venendo dai graffiti ho sempre avuto la stessa attitudine, poi se si usa un rullo e un secchio di vernice o una bomboletta cambia poco. I murales sono sempre autorizzati. Un’amica paragonò la scena al mondo animale e disse che i graffitari sono squali e gli street artist delfini. Credo sia un ottimo paragone». Un invito alla riflessione, alla separazione del grano dalla zizzania.
Sin dalle grotte con i graffiti, da civiltà la cui lontananza dalla nostra fa smarrire significati e forme. I più audaci “graffitari” occidentali non ci raccontano molto del resto del mondo, e non solo perché in molte parti l’arte di strada non esiste in quanto respinta come lo era da noi in un recentissimo passato.
Ma vi sono – e vi sono state – nazioni nelle quali i murales appartengono alle arti di stato. Vedi la Corea del Nord, e l’Unione sovietica. Poi ci sono i record, qualcosa a metà fra arte protetta e prova spettacolare: «Un’opera – dice Internet – di dimensioni straordinarie che ha ricevuto anche il riconoscimento dal Guinness World che ha proclamato la Huangjueping Graffiti Street, nell’area di Jiulongpo District in Cina, la via più lunga al mondo coperta da murales».
Come tutte le realtà in movimento l’arte di strada – street art dicono in molti – ha molteplici estrinsecazioni e interpretazioni. E bisogna fare attenzione pure parlando o scrivendo in italiano: perché c’è anche la street foto, lo street food, la street e basta. Oppure, come a Sumatra, le immagini murales con tigri, scimmie e begli alberi diventano carta da parati. Perciò il libro Dissertazioni su street art – ne vogliamo parlare?, a cura di Toti Clemente, aiuta a farsi un’idea di questa “nuova” arte, secondo me evoluzione di quella dotata di gessetti e chiamata dei madonnari. Ecco cosa ne dice nelle ultime pagine del libro Toti Clemente, nome di penna di Salvatore Clemente, nickname con Essec:
«La scelta sulla tematica Street Art ha voluto anche essere un pretesto per facilitare la stesura di testi liberi, su un argomento oggi popolare che non ha ancora consolidato delle basi dottrinali e definito delle solide scuole di pensiero. Ringrazio vivamente, quindi, tutti i coraggiosi che hanno voluto cimentarsi, assecondando la mia idea di scrivere sulla materia e che non si sono creati alcuna inibizione nel manifestare un proprio punto di vista, pur consapevoli del rischio di esporsi a critiche e confronti. A lavoro fatto, la sintesi di tutti i testi scritti, a mio parere, alla fine è riuscita a illustrare un argomento abbastanza ampio attraverso esposizioni variegate di idee e punti di vista liberi, concordati solo sulla indicazione del tema comune che si era chiamati a svolgere. Il risultato della composita operazione può, ad ogni modo, tornare utile sia a chi è intrigato dal fenomeno sia a coloro che non hanno mai osservato con attenzione le tante nuove correnti di pensiero artistico e le varie forme espressive non ancora definite, moderne e – anche per questo – in continua evoluzione»
La caratteristica del volume la sottolineano le centinaia di fotografie – ancorché piccole – che illustrano, soverchiando le parole, l’arte che diciamo di strada e che diversi autori cancellano dai muri quando la cultura ufficiale decide di appropriarsene. E sì, soprattutto nell’arte, più o meno velocemente, le cose cambiano.
Un merito specifico del libro è l’avere aperto un’ampia discussione su un argomento che non trova grandi spazi nell’ufficialità, culturale e no. E di questo bisogna ringraziare oltre che Toti Clemente, anche Pippo Pappalardo, Salvo Cristaudo e la rimanente pattuglia di “interventisti”.
Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023
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Nino Giaramidaro, giornalista prima a L’Ora poi al Giornale di Sicilia – nel quale, per oltre dieci anni, ha fatto il capocronista, ha scritto i corsivi e curato le terze pagine – è anche un attento fotografo documentarista. Ha pubblicato diversi libri fotografici ed è responsabile della Galleria visuale della Libreria del Mare di Palermo. In occasione dell’anniversario del terremoto del 1968 nel Belice, ha esposto una selezione delle sue fotografie scattate allora nei paesi distrutti.
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