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Napoli città mediterranea: le infrastrutture portuali e l’organizzazione della difesa tra età spagnola e età borbonica

Tavola Strozzi, Napoli, Museo di San Martino

Tavola Strozzi, Napoli, Museo di San Martino

di Maria Sirago 

Introduzione

Quando Alfonso d’Aragona conquistò il regno di Napoli, nel 1442, esso venne inserito nell’ambito degli scambi commerciali mediterranei della Corona d’Aragona. Il porto napoletano divenne scalo delle navi provenienti da Barcellona e dirette in Oriente insieme agli scali di Gaeta, Castellammare, Salerno (Del Treppo 1972). Il re fece riqualificare l’area marittima proseguendo l’opera di rinnovamento avviata dagli Angioini, per rendere il porto simile a quello di Barcellona. Poi fece riorganizzare le strutture portuali, con ampliamento e fortificazione del molo angioino, fece sistemare la darsena, la dogana regia e la dogana del sale, i magazzini e fece infine ampliare l’arsenale. Quanto alle fortificazioni, l’opera più importante fu il ripristino di Castel Nuovo, danneggiato dalla guerra, trasformato in una reggia turrita (Colletta, 2006, Sirago, 2020: 1010).

Ferrante, successo al padre nel 1458, provvide a riorganizzare le strutture portuali: nel 1465 fece demolire l’arsenale angioino dando ordine di ricostruirne uno nuovo con due grosse navate e a partire dagli anni ’70 provvide ad ampliare il molo grande, per cui furono spesi 200 mila ducati. Infine nel 1487 fu costruita la “lanterna” (faro) per il cui mantenimento impose un diritto “di lanternaggio”. Ma la potenza aragonese cominciava a vacillare. Tra il 1502 ed il 1503 Francia e Spagna decisero la sorte del regno meridionale sul campo di battaglia: il 16 maggio 1503 re Ferdinando il Cattolico occupò il territorio, che assunse lo status di viceregno (Sirago, 2020: 1014ss.).

La prima immagine di Napoli aragonese è quella della Tavola Strozzi, rinvenuta a Firenze nel palazzo Strozzi nel 1901, che probabilmente rappresenta il ritorno trionfale della flotta aragonese dopo la vittoria contro Giovanni d’Angiò, pretendente al trono, avvenuta al largo di Ischia il 7 luglio 1465 (Pane, 1979). Nella tavola si scorgono le fortificazioni del castello e le strutture portuali, dominate dalla lanterna, o torre di San Vincenzo. 

  Fig. 2 Napoli, in Piri Reis, circa 1521


Napoli, in Piri Reis, circa 1521

Il viceregno spagnolo (1503-1707)

Dopo la conquista spagnola il viceregno, proteso nel Mediterraneo, divenne base di appoggio navale per la flotta spagnola impegnata a combattere turchi e barbareschi che attaccavano continuamente il suo territorio (Mafrici, 1995). Perciò fin dai primi anni di governo la monarchia spagnola si preoccupò di fortificare la capitale e il suo golfo, rafforzando le mura e le fortezze (Pessolano, 2005).  Anche il porto e l’arsenale, che avevano subìto pesanti danni durante la guerra di conquista, furono ripristinati (Pessolano, 1993: 71). 

Nel 1521 l’ammiraglio ottomano Piri Reis DI Solimano il Magnifico, uno dei primi cartografi, nel suo “Libro del mare” (Kitab – i – Bahriyyé) descriveva Napoli come la città “più incomparabile”, dotata di un porto in cui confluivano molte sorgenti di acqua potabile utilizzate per il rifornimento delle navi che si ancoravano (Bausani, 1979: 189-190). Le tavole sono molto dettagliate, come quella di Napoli, dove si evidenzia il molo vecchio con la torre di San Vincenzo (la lanterna) e un campanile (Santa Chiara), e mostrano la perizia del cartografo, impegnato nel rappresentare graficamente i punti dei possibili attacchi della flotta (Ventura, 1990, tavola 8). 

Fig. 3 F. de Hollanda, Il Castello Novo de Napoles (1540), Biblioteca dell’Escorial

F. de Hollanda, Il Castello Novo de Napoles (1540), Biblioteca dell’Escorial

Durante i suoi circa venti anni di governo, don Pedro de Toledo, definito il viceré urbanista, attuò una politica volta alla fortificazione della capitale, con l’idea di realizzare la “città degli spagnoli”, una cittadella del potere politico-militare separata e opposta alla “città dei napoletani”, una città ideale ispirata ai trattati cinquecenteschi sulle fortificazioni, in cui erano compresi la nuova arteria, via Toledo, aperta per collegare la città antica alle nuove costruzioni, e i quartieri spagnoli, dove dovevano essere alloggiati i numerosi soldati necessari alla difesa cittadina e difesa da Castel Sant’Elmo, in collina, e da Castelnuovo, potentemente fortificati (Pessolano, 1998). 

La difesa “alla moderna”, che doveva essere attuata anche a Napoli, scaturiva dai numerosi studi in merito alle fortificazioni effettuati nel corso del Cinquecento in seguito ai cambiamenti nell’arte della guerra. Difatti si discuteva su come attuare la difesa, con le fortificazioni, create in epoca toledana, in primis il Castel Sant’Elmo costruito sul colle di San Martino (Pessolano, 2005) o con la creazione di potenti flotte per contrastare quelle nemiche (Sirago, 2005).  Nel piano toledano si inserivano anche il ripristino di Castelnuovo, un luogo simbolico non tanto per la difesa ma soprattutto per il suo ruolo rappresentativo nel cuore della “città degli spagnoli” e del Castel dell’Ovo, simbolo delle antiche strutture fortificate che con l’avvento delle armi da fuoco aveva mostrato tutta la sua debolezza (Amirante, 2005). 

Fig. 4 Pianta di Napoli, 1572, Braun Hogenberg, Universitätsbibliothek Heidelberg

Pianta di Napoli, 1572, Braun Hogenberg, Universitätsbibliothek Heidelberg

Dalla seconda metà del Cinquecento, mentre i turchi incrementavano la loro potenza navale e divampava la guerra in Mediterraneo, si cominciarono ad elaborare degli studi per il ripristino del porto e il potenziamento dell’antico arsenale aragonese (Pessolano, 1993), che doveva essere ampliato per aumentare le costruzioni. Dieci anni dopo i turchi assediarono Malta ma furono sbaragliati dalla potente flotta spagnola comandata dal generale Garcia de Toledo, figlio di don Pedro (Sirago, 2018). Si capì allora che non vi era più scampo: si doveva allestire una potente flotta per distruggere i turchi. In quegli anni nell’arsenale napoletano si lavorava a pieno ritmo per costruire quante più galere possibili. Il 20 maggio 1571 furono firmati a Roma in presenza del papa e dei rappresentanti della monarchia spagnola e della Repubblica di Venezia i capitoli della “Sacra Lega”, una alleanza cristiana contro il turco. In pochi mesi fu allestita una grossa armata di circa duecento navi, tra cui 30 galere costruite nell’arsenale napoletano, poste al comando di don Giovanni d’Austria, fratellastro di Filippo II, a cui si aggiunsero tre grosse galeazze veneziane, che il 7 ottobre a Lepanto sbaragliarono la flotta turca (Sirago, 2021a). 

 Fig. 5 La darsena, F. Cassiano da Silva, inizi Settecento. in Amirante Pessolano (2005)


La darsena, F. Cassiano da Silva, inizi Settecento. in Amirante Pessolano (2005)

Dopo la vittoria di Lepanto apparve chiaro che bisognava stare all’erta perché i turchi avevano ricostruito rapidamente la flotta distrutta. In questi anni si ripresero le discussioni sulla necessità di rendere il porto napoletano più sicuro e agibile e di un arsenale capace di costruire più galere. Il primo gennaio 1578 fu posta infatti la prima pietra per la costruzione di un nuovo arsenale in un luogo diverso da quello dove era ubicato il precedente, tra la torre di San Vincenzo (la lanterna) e il Castel dell’Ovo, ben difeso da due castelli, nel quartiere spagnolo. Il progetto di frà Vincenzo Casali, assunto l’anno seguente per dirigere i lavori, prevedeva ben venti arcate più grandi e due minori (Pessolano, 1993: 117-123). Poi a partire dal 1598 vennero redatti numerosi progetti per il ripristino del bacino portuale, in ottemperanza agli ordini di Filippo III, che voleva far costruire un nuovo molo. La supervisione fu affidata a Domenico Fontana, ingegnere papalino, che propose un progetto ritenuto troppo costoso. Iniziarono così solo lavori di ripristino, distrutti da una tempesta nel 1601. Da quel momento la monarchia spagnola, attanagliata da una crisi economica che divampava in tutta Europa, provvide solo alle riparazioni di ordinaria amministrazione (ibidem). Unico lavoro ex novo fu la creazione della darsena, nel 1666, su progetto dell’architetto Bonaventura Presti (idem: 92ss.), necessaria per le riparazioni degli otto vascelli che componevano la Armata dell’Oceano napoletana, formata dal 1623 per ordine di Filippo III (Sirago, 2022). 

 Fig. 6 Il molo grande, F. Cassiano da Silva, inizi Settecento. in Amirante Pessolano (2005)

Il molo grande, F. Cassiano da Silva, inizi Settecento. in Amirante Pessolano (2005)

Il viceregno austriaco (1707-1734) 

Durante il viceregno austriaco, in primo luogo si provvide a ricostruire la flotta, necessaria per la difesa dagli attacchi nemici (Sirago, 2016).  Il 3 maggio 1710 fu istituita una Giunta di Commercio per riorganizzare il settore mercantile e fu data attenzione ai porti, molti dei quali in epoca spagnola erano stati interdetti per limitare il contrabbando. Per quello della Capitale l’ingegnere Giuseppe Stendardo propose di prolungare il molo fino alla Torre di San Vincenzo, con una spesa prevista di 350 mila ducati: il lavoro, troppo oneroso, non fu però effettuato (Sirago, 2004: 31).  

  Fig. 7 Castel Nuovo (Maschio Angioino), F. Cassiano da Silva, inizi Settecento. in Amirante Pessolano (2005)

Castel Nuovo (Maschio Angioino), F. Cassiano da Silva, inizi Settecento. in Amirante Pessolano (2005)

Perciò nel 1733 si provvide solo ad un “nettamento” ordinario e ad una riparazione della banchina (Pessolano, 1993: 107). In quel periodo si passò dalla difesa “passiva” di epoca spagnola, con fortificazioni di castelli e torri, a quella “attiva”, di nuova concezione, con una flotta ben armata, un sistema portuale ben organizzato e un potenziamento del commercio con i porti franchi di Messina e di quelli adriatici di Trieste e Fiume, mentre venivano dismesse le torri costruite in epoca spagnola.

Inoltre l’imperatore Carlo VI per ampliare il commercio con il Levante nel 1718 stipulò un trattato di commercio con la Porta Ottomana (Sirago, 2008: 240 e 2016: 89). Ma non fu tralasciato un dettagliato piano di difesa, con il potenziamento delle antiche fortificazioni e il controllo dei cinque forti costruiti nel 1703 dal marchese di Villena, Juan Manuel Fernández Pacheco, a protezione del golfo di Napoli a San Giovanni a Teduccio (Vigliena), al Granatello (Portici), alla torre di Resina, allo scoglio di Rovigliano e a Castellammare (Amirante, 2008: 52). Il piano di difesa è riportato nelle carte conservate nell’Archivio di Stato di Napoli, le “Carte Montemar”, raccolte da José Carrillo de Albornoz, duca di Motemar, capitano generale dell’esercito spagnolo, quando organizzò la conquista del regno come inviato di Carlo di Borbone (Colletta, 1981, cap. II).

  Fig. 8, Veduta di Napoli con il Castel dell’Ovo e il Vesuvio, inizi del Settecento, Gaspar van Wittel

Veduta di Napoli con il Castel dell’Ovo e il Vesuvio, inizi del Settecento, Gaspar van Wittel

Il primo periodo borbonico (1734-1806)

Con la conquista di Carlo di Borbone, nel 1734, il regno riebbe la sua indipendenza. Fin dall’inizio del suo governo i ministri che lo attorniavano, in primis Bernardo Tanucci, cercarono di attuare un nuovo sistema amministrativo per far progredire la vita economica e civile del Regno. In parte si continuò a seguire la politica mercantilistica introdotta durante il viceregno austriaco. Ma ben presto ci si rese conto che bisognava riorganizzare le strutture politiche ed economiche del nuovo regno: nel 1735 fu creata una “Giunta di commercio”, sostituita nel 1739 dal “Supremo magistrato di Commercio”. Il primo obiettivo era quello di ripristinare i principali porti del regno per far sviluppare i commerci: fu perciò creata una “Soprintendenza dei porti e moli del Regno”, diretta da Giovanni Bompiede, capitano del porto di Napoli (Pezone, 2006), che doveva redigere i progetti per i nuovi porti (Sirago, 2004: 33ss.). I primi lavori iniziarono a Napoli nel 1739 e si conclusero verso il 1743: si prevedeva di ripristinare l’antica struttura e di continuare il braccio foraneo fino all’altezza del molo di mezzo, per ampliare le zone di attracco, di restaurare la “banchetta del molo” e riorganizzare le attrezzature di servizio, migliorando anche la darsena e l’arsenale.

Inoltre, vennero effettuate opere difensive sulla punta del molo grande e furono rettificati i bastioni di Castelnuovo, furono costruiti il palazzo della Deputazione della Salute all’Immacolatella dall’ingegnere Domenico Antonio Vaccaro e gli altri edifici per la conservazione della farina al molo piccolo (Mandracchio). Con queste costruzioni si voleva attuare una migliore specializzazione funzionale dei diversi scali cittadini, potenziando l’area doganale senza spostarla dai luoghi antichi articolandola su una grande arteria creata attorno al molo piccolo (l’attuale via Marina) (Pessolano, 1993: 109ss.).  Ma tutto ciò si realizzò in seguito alla demolizione di sezioni della cinta muraria e di alcune porte, una demolizione necessaria sotto la spinta dell’urbanizzazione della popolosa capitale, circa 350 mila abitanti, seconda solo a Parigi (Pessolano, 2008: 38ss.).

Ma un nuovo corso si apriva per il regno meridionale: il 6 ottobre 1758 Carlo di Borbone, divenuto re di Spagna, cedette al terzogenito Ferdinando gli “Stati e Dominj italiani” (regni di Napoli e Sicilia, Stato dei Presidi di Toscana, beni allodiali, o personali, farnesiani e medicei) dove aveva regnato per 25 anni, istituendo un Consiglio di Reggenza per amministrare i regni durante la minore età del giovane re presieduto dal segretario di Stato, Bernardo Tanucci, che da quel momento cominciò a scrivere una missiva settimanale a Carlo per informarlo della situazione del regno (Sirago, 2019: 512).

Uno dei primi problemi da risolvere era quello delle fortificazioni delle città di mare (Sirago, 2008), necessarie per la difesa dagli attacchi nemici (Mafrici, 2007: 647ss.). Inoltre, vi era l’inquietudine suscitata dalla guerra tra Francia e Inghilterra, la guerra dei sette anni, terminata nel 1763 (Füssel, 2013), in cui furono coinvolte le principali potenze dell’epoca, che creava difficoltà     per il commercio, L’arroganza degli inglesi, presenti con la flotta nel Mediterraneo dopo lo scoppio della guerra con la Spagna nel gennaio del 1762, arrivò al culmine in febbraio, quando cannoneggiarono Siracusa con 8 navi e fregate. Questo continuo stato di incertezza della politica estera aveva creato forti preoccupazioni tra i ministri della Reggenza che temevano un bombardamento anche sulla Capitale. Perciò fu dato ordine al principe di Jaci, Stefano    Gravina, capitano generale delle forze di terra, membro del Consiglio di reggenza, di organizzare la costruzione di una serie di batterie in tutto il golfo con potenti cannoni acquistati in Svezia iin modo da difendere la Capitale e il Golfo, in primis a quella posta alla punta di Posillipo.

Tornata la pace si continuò a incrementare la costruzione della flotta, necessaria per la protezione delle navi mercantili. Un’altra capillare revisione delle batterie del Golfo Napoletano fu fatta nel 1766: i punti più nevralgici, dove furono posti potenti cannoni, erano il molo con i suoi magazzini, la fonderia, i mulini, il Castel nuovo, i castelli del Carmine, di Sant’Elmo e dell’Ovo, la punta di Posillipo, l’Accademia di Marina (fondata nel 1735) e il porto del Granatello, prospiciente la reggia di Portici, usato dal re per pescare (Sirago, 2019: 520ss.).

Fig. 9  Partenza di Carlo III per la Spagna, 1760 circa, Antonio Joli, Museo del Prado

Partenza di Carlo III per la Spagna, 1760 circa, Antonio Joli, Museo del Prado

Raggiunta la maggiore età, il 12 gennaio 1767, al compimento del sedicesimo anno, il re iniziò il suo governo, sia pure con l’ausilio dei ministri dell’abolita reggenza, in primis il Tanucci. Ma dal 1768, dopo il matrimonio di Ferdinando con Maria Carolina, figlia di Maria Teresa d’Austria, lo scenario politico cambiò. Nel 1776 la regina ottenne che fosse “giubilato” (messo in pensione), non sopportando i continui scambi epistolari col suocero Carlo che continuava a volersi ingerire nel governo del regno napoletano (Sirago, 2019: 534).

Dopo l’allontanamento del Tanucci la regina prese saldamente in mano le redini del governo. Per ripristinare la flotta nel 1778 chiese aiuto al fratello Pietro Leopoldo, granduca di Toscana, che permise a John Acton, suo generale della Marina, di recarsi a Napoli. Qui, dopo essere stato assunto dalla regina, che lo nominò direttore della Real Marina, Acton stilò un “piano per la Marina” in cui prevedeva di costruire una potente flotta con vascelli a 24 cannoni nel nuovo Real Cantiere costruito a Castellammare nel 1783. Ma nel 1798, quando il re fuggì a Palermo mentre a Napoli arrivavano i francesi dette ordine di bruciare la flotta costruita da Acton (Sirago, 2021b).

Dal decennio francese (1806-1815) all’Unità (1861) 

Appena insediato re Giuseppe, per ordine del fratello Napoleone, dette ordine al generale Campedon di studiare le possibili difese per la capitale ripristinando le batterie del molo,  di Castel dell’Ovo e del litorale marittimo per impedire un attacco dal mare (Pessolano, 2008: 39; Amirante, 2008). Fu poi potenziato l’arsenale di Castellammare, dove dovevano essere costruiti i nuovi vascelli a 80 cannoni, e furono ripristinati i principali porti, i cui progetti vennero stilati dagli ingegneri della “Scuola di ponti e strade” istituita da Gioacchino Murat nel 1808. Dopo la Restaurazione (1815) furono ripresi i progetti redatti in epoca francese, in primis per il porto e l’arsenale di Napoli e il cantiere di Castellammare, adeguato poi anche per le navi a vapore, costruite a partire dal 1818 (Sirago, 2015). Ma le antiche mura, con l’incremento della popolazione, vennero man mano inglobate dagli edifici per attuare una riqualificazione urbanistica e architettonica. Come simbolo delle antiche fortificazioni sono rimasti solo Castelnuovo, Castel dell’Ovo e Castel sant’Elmo, divenuti contenitori multifunzionali di attività diverse (Pessolano, 2008: 45-46). 

Fig. 10 Il porto di Napoli agli inizi del Novecento

Il porto di Napoli agli inizi del Novecento

Conclusioni 

La capitale meridionale, che in età spagnola doveva assolvere la funzione di “cittadella fortificata”, nel corso del Settecento ha subìto una totale trasformazione urbanistica, soprattutto a partire dall’epoca di Carlo di Borbone, quando il regno ha ritrovato la sua indipendenza e la Capitale è stata adeguata al suo nuovo ruolo. Si è continuato per tutto il Settecento a temere l’attacco dei nemici ma la difesa è stata affidata alle batterie costiere a difesa del golfo. Intanto Napoli assumeva l’aspetto di una “città di loisir”, visitata da numerosi “grandturisti”, soprattutto stranieri, che descrivevano con meraviglia la Villa Reale, fatta costruire da re Ferdinando a fine Settecento, seconda solo ai giardini parigini delle Tuileries. Dall’Ottocento si cominciò a sviluppare anche la balneazione, sia termale che marina, per cui la città divenne sempre più “a la page”, assumendo il volto di una città turistica (Sirago, 2013). Dopo l’Unità Napoli perse lo status di capitale, per cui i traffici portuali diminuirono. Ma dal 1880 si fecero importanti lavori per ampliare il porto, divenuto in breve il porto per l’imbarco degli emigranti (De Majo, 2011).

 Dialoghi Mediterranei, n. 62, luglio 2023  
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Maria Sirago, dal 1988 è stata insegnante di italiano e latino presso il Liceo Classico Sannazaro di  Napoli, ora in pensione. Partecipa al NAV Lab (Laboratorio di Storia Navale di Genova). Ha pubblicato numerosi saggi di storia marittima sul sistema portuale meridionale, sulla flotta meridionale, sulle imbarcazioni mercantili, sulle scuole nautiche, sullo sviluppo del turismo ed alcune monografie: La scoperta del mare. La nascita e lo sviluppo della balneazione a Napoli e nel suo golfo tra ‘800 e ‘900, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2013; Gente di mare. Storia della pesca sulle coste campane, Edizioni Intra Moenia, Napoli 2014, La flotta napoletana nel contesto mediterraneo (1503 -1707), Licosia ed. Napoli 2018.

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