di Marcello Spampinato
Con il crollo del muro di Berlino nel lontano 1989 e la fine del cosiddetto “socialismo reale” il mondo e la realtà geopolitica tutta hanno assistito a un drastico mutamento di assetto con conseguenze spesso turbolente, nelle quali riconosciamo ancora oggi gli effetti. Ma non sono tanto i venti di guerra e gli scenari conflittuali aperti ad interessare la nostra analisi, ma soprattutto le conseguenze che la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la “fine”, in particolare, della fede comunista hanno causato nelle coscienze, nella dimensione per così dire ideale dell’esistenza, la quale plasma il modo in cui l’individualità si rapporta con la realtà circostante.
Infatti, il tracollo del socialismo reale ha comportato, nel giro di un brevissimo periodo, il progressivo declino del marxismo come scienza e modello analitico della realtà storico-sociale. La dottrina marxiana sarebbe cioè oramai caduta in disuso e mandata in soffitta con una superficialità che non rende giustizia alcuna alla complessità e veridicità delle sue analisi e alla contraddizione storica da essa individuata: cioè, quella tra forze sociali di produzione e rapporti privati di produzione. La latitanza di un pensiero che aveva come fine precipuo quello di liberare e di emancipare l’uomo rende impossibile la realizzazione sostanziale degli ideali della Rivoluzione Francese (libertà, uguaglianza e fratellanza) che costituiscono ancora i riferimenti ideali della nostra epoca. Non è azzardato sostenere che noi occidentali contemporanei ci muoviamo ancora nello spazio culturale aperto dalla Rivoluzione Francese poiché non è intervenuto nessun altro avvenimento storico rilevante a chiudere tale ambito.
I concetti di classe e di lotta di classe sono venuti quindi velocemente meno e con essi qualsiasi autentica ed efficace evocazione del divenire. La realtà esistente finisce così per non essere più messa in discussione e tende a sua volta ad identificarsi con la ragione, con il logos tout court. Questa pietrificazione di ciò che è non informa soltanto lo spirito delle masse, ma anche quello di molti intellettuali che avrebbero la possibilità di smuovere le coscienze e che invece si ritrovano puntualmente a confermare l’esistente non lasciando sostanzialmente più spazio alla trasformazione del reale. La speranza e il desiderio di un radicale mutamento vengono soppressi sul nascere proprio perché l’ideale di una trasformazione storica epocale non è più e non è più contemplato come via percorribile.
La caduta dell’ideale comunista, tendente alla realizzazione di una società più giusta – senza più divisioni di classi o, quanto meno, a distanze sociali radicalmente ridotte – ha finito per delineare i tratti di un vero e proprio ripiegamento nella dimensione privata. In Occidente ciò ha aperto le porte all’affermazione radicale della società dei consumi e di una sorta di nichilismo capitalistico che orienta di fatto l’agire delle masse verso il benessere individuale. La morale privata ha preso il sopravvento su quella pubblica, mentre l’allontanamento considerevole di molti dalla vita politica e civile è stato la fisiologica conseguenza di un sentire intellettuale che fatica a immaginare e a costruire un mondo altro e migliore. Una sorta di paralisi morale collettiva o sonnambulismo intellettuale avrebbe cioè affermato il suo diktat orientato alla conservazione di una forma di vita rappresentata come immutabile.
Dal punto di vista politico, l’affievolimento della tensione ideale verso la trasformazione organica della società ha radicalmente mutato l’assetto partitico soprattutto delle formazioni di sinistra che vivono una profonda crisi identitaria da cui non si riesce a scorgere ancora oggi l’uscita, ormai di fatto forze politiche progressiste che hanno finito per declassare dai loro programmi le tematiche sociali, privilegiando quelle concernenti i diritti individuali (sotto questo aspetto appare rilevante il caso italiano e non solo). Non più battaglie quindi per i diritti sociali, come ad esempio il diritto al lavoro e al reddito garantito, alla casa e alla salute dei ceti popolari, ma battaglie per i diritti personali attinenti sempre e comunque alla sfera del privato e dell’identità individuale sempre più fluida e precaria.
Il disimpegno crescente dalla vita della polis produce, come afferma Zygmunt Bauman, una società sempre più individualizzata e questo sta alla base del sempre più rilevante processo di impoverimento culturale. L’assenza di un grande ideale condiviso impoverisce la cultura e la sua produzione, facendo venire meno i presupposti di un autentico umanesimo civile. L’esistenza individuale si appiattisce nella vita quotidiana impregnata di forme storiche che nessuno più mette in discussione o pensa di superare. Il sostanziale processo di indebolimento culturale produce i suoi nefasti effetti, in quanto vergono meno i fondamentali riferimenti intellettuali e i valori filosofici; come sosteneva Max Horkheimer si afferma cioè una ragione sempre più soggettiva o strumentale che non riflette più sui fini, ma soltanto sui mezzi [1]. Gli individui tendono così ad omologarsi al mondo esistente, imputando sempre più le cause dei loro fallimenti a loro stessi e mai alla società che rimane affrancata da ogni critica o possibilità di mutamento [2].
La qualità e la tutela del lavoro vengono progressivamente a mancare, il proletariato smarrisce la sua identità di forza rivoluzionaria, aspira ad integrarsi pienamente nella società capitalistica dei consumi avanzata, tende a perdere il suo specifico carattere di classe a cui sarebbe affidata l’emancipazione dell’umanità tutta. Il lavoro inteso come fonte di alienazione tende ad essere giustificato e accettato come unica via possibile, mentre diventa sempre più precario e liquido e il malessere sociale sempre più diffuso anche se non viene più decifrato come tale; il presente cioè non ha superamento e l’emancipazione dell’uomo viene concepita come qualcosa di impossibile da realizzare. Mai come oggi appaiono calzanti le considerazioni di Herbert Marcuse che sottolineavano lo schiacciamento dell’uomo moderno in una realtà unidimensionale di pensiero e di comportamento deprivata da qualsiasi istanza di opposizione sociale [3].
Il disfacimento dell’ideale comunista ha prodotto poi e produce ancora oggi una crisi sempre più marcata delle nostre democrazie occidentali, le quali appaiono fondamentalmente irrigidite nelle loro procedure formali, senza più preoccuparsi della dimensione sostanziale a cui dovrebbero tendere. Le formazioni partitiche cioè tendono ad assomigliarsi nei contenuti e nei programmi e il dibattito politico appare diventato un artificio relativistico in cui la sostanza, la struttura economica e sociale, i rapporti di potere non vengono più messe in discussione. È come se fossimo diventati liberi ma a metà, liberi di dire la nostra senza però intaccare i cardini del sistema, le fondamenta del mondo in cui ci muoviamo. Ogni tentativo di riaffermare una tensione ideale, capace di trasformare radicalmente la società, è drasticamente escluso ed è considerato insulso in quanto incapace di piegarsi alla logica del pensiero unico.
Anche il mondo accademico risente di questa situazione di sostanziale paralisi morale e intellettuale. Il pensiero critico tramonta e prevalgono orientamenti interpretativi chiusi e autoreferenziali nei confronti della trasformazione sociale e propugnatori di un sostanziale atteggiamento anti-politico. L’assenza di un grande ideale sociale a cui tendere colpisce poi, in maniera inesorabile, le nuove generazioni che soffrono vistosamente l’assenza di ampie prospettive. Infatti, una parte considerevole di questi giovani ha accantonato la speranza circa la possibilità di edificare una società più libera e giusta; concezione questa derivante da un’interpretazione lineare e progressiva della storia umana. La perdita dell’ideale comunista ha dunque finito per rappresentare per l’uomo contemporaneo l’irruzione di quel vuoto valoriale, morale, politico e interpretativo in cui egli si dibatte senza domandarsi più neanche il perché.
L’unica cosa veramente proficua da fare rimane allora quella di un approfondimento critico dei contenuti salienti del marxismo e dei sui sviluppi al fine di confrontare quest’ultimo con la realtà storica. Interrogarsi per esempio in che senso il marxismo si differenzia dal socialismo reale, dal momento che molti contenuti di tale pensiero non sono mai stati attuati, che il comunismo storico ha tradito l’ideale comunista di emancipazione umana allontanandosi dalla dottrina marxiana ortodossa. Bisogna cioè ripensare il comunismo a partire da Karl Marx, recependo le istanze del pensiero liberale che ha storicamente sottolineato la centralità dell’individuo e dei suoi diritti, nella consapevolezza che la questione posta da Marx nel XIX secolo risulta irrisolta e ancora oggi di grande attualità.
La realtà post-moderna tende a nascondere i conflitti sociali che però rimangono intatti e persistenti, l’opposizione capitale-lavoro e la proletarizzazione di massa sono delle realtà che non si possono assolutamente continuare a celare, anche se oggi il grande capitale diventa evanescente a motivo della diffusione e della affermazione sempre più evidente e prepotente della finanza. Il capitalismo con le sue contraddizioni interne continua a generare e moltiplicare criticità che solo un’adeguata interpretazione può esplicitare al fine di pensare il superamento dell’esistente: il rilancio quindi dell’ideale comunista contro il dilagare della mancanza di senso, dell’anti-politica e la rassegnazione morale e culturale che attanaglia, ormai da troppo tempo, le nostre società.
Dialoghi Mediterranei, n. 62, luglio 2023
Note
[1] Max Horkheimer, Eclisse della ragione, Einaudi, Torino, 2000.
[2] Zygmunt Bauman, La società individualizzata, Il Mulino, Bologna,2010.
[3] Herbert Marcuse, L’uomo a una dimensione, Einaudi, Torino, 1999.
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Marcello Spampinato, laureato in Scienze politiche (indirizzo sociologico), è cultore di filosofia e teologia. Nel 2021 ha pubblicato il volume Esistenzialismo trascendentale e dialettico (Paguro editore). È membro dell’associazione culturale Nuova Acropoli di Ragusa impegnata nella promozione della filosofia attiva. L’analisi filosofica e delle scienze umane, insieme ai loro rapporti con l’arte e la letteratura, è parte integrante del suo campo di indagine e di ricerca volta verso una sempre maggiore unità della conoscenza e di una mentalità universale.
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