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Disagio abitativo, occupazioni ed effetti sull’infanzia a San Paolo nel Brasile e a Roma

Brasile, San Paolo

Brasile, San Paolo

di Marcia Gobbi 

Introduzione 

Il disagio abitativo a San Paolo ha origine dal fatto che la Città dall’inizio del secolo scorso ha conosciuto uno sviluppo tumultuoso anche a seguito di intensi flussi migratori (specialmente dall’Italia) e ciò non poteva non comportare una crescente esigenza di edilizia popolare, alla quale però non è stata data un’adeguata risposta.

La mia formazione nelle scienze sociologiche con particolare riguardo all’infanzia, e la mia appartenenza per discendenza alla comunità italiana, al cui interno molti soffrono il disagio abitativo, non potevano lasciarmi indifferente a questa problematica. Da tempo conduco la mia ricerca a San Paolo sulle reazioni popolari, espresse tramite le occupazioni, alla mancanza di alloggi, concentrando l’attenzione sulla vita e le reazioni dei bambini a queste situazioni.

Per consentire al lettore di avvicinarsi a questi ambienti descrivo un caso verificatosi a San Paolo in questi ultimi anni, tentando anche un confronto comparativo basato su un caso di occupazione abitativa a Roma. Entrambi i casi, seppure qui esposti sommariamente, mi hanno dato gli spunti per evidenziare somiglianze e diversità e porre in risalto le reazioni degli stessi bambini, basandomi naturalmente sulla mia formazione sociologica (cfr, ad esempio, Careri G, 2012 e 2017).

Cerco, infine, di riassumere i messaggi che ho colto nell’infanzia sottoposta a stress alloggiativo, con l’avvertenza al lettore di non comparare il pensiero dei bambini ai programmi dei partiti politici, ai discorsi parlamentari, alle indicazioni dei teorici dell’economia e dello sviluppo. Da tempo Maria Montessori ci ha indicato che merita attenzione anche il modo di pensare dei bambini, anche se meno concettuale di quello degli adulti, in sintonia con gli obiettivi di una società meno sperequata, sia i nell’ambito abitativo che negli altri ambiti. Spero che le mie conclusioni spingano il lettore a rivolgere una maggiore attenzione al problema della casa, riconoscendo i punti in comune tra una enorme metropoli come San Paolo e una grande e storica città come Roma, lontane geograficamente e sotto molti altri aspetti, ma accomunate dal problema alloggiativo, con particolare riferimento agli immigrati. In entrambe le città i bambini meritano una particolare attenzione, quella che ho cecato di esporre e di proporre. 

San Paolo (ph. Marcia Gobbi)

San Paolo (ph. Marcia Gobbi)

Il disagio abitativo in Brasile a San Paolo

Il quartiere, nel quale si è svolta la ricerca, nel passato fu popolato da una massa di migranti, soprattutto italiani, giapponesi e spagnoli, arrivati in Brasile in nave, per poi proseguire in treno e scendere alla stazione di San Paolo alla ricerca di un nuovo lavoro e una vita migliore (Pittau, 2021; Gobbi, Pittau, Ragazzi, Leite, Svaisel, 2023). Nella prima decade del XX secolo San Paolo iniziò a conoscere un veloce e straordinario sviluppo fino a diventare la grande metropoli attuale, la New York dell’America Latina. Sotto l’aspetto urbanistico va segnalato che dal 1950, a seguito dell’intensa produzione dell’industria automobilistica, la città si è adattata con viali e strade costruite per favorire la circolazione, invece si sono registrati forti ritardi per quanto riguarda le esigenze alloggiative dei residenti.

Questo luogo era solo un e piccolo nucleo abitativo fondato da due gesuiti portoghesi, venuti con i colonizzatori nel XVI secolo, dandogli il nome del santo del giorno. Il nucleo iniziale si è trasformato in una grande città a seguito delle migrazioni iniziate già nell’ultima fase del secolo XIX e diventate più intense dall’inizio del secolo successivo fino alla Prima guerra mondiale.

Alla popolazione afro-americana, inizialmente utilizzata dai discendenti dei coloni sotto forma di lavoro schiavistico nelle grandi piantagioni, si aggiunsero quindi gli immigrati sia in città che nelle aree rurali, e molto numerosi furono gli italiani, dando inizio a una lunga e affollata storia migratoria. A seguito di questo apporto demografico il Brasile, già immenso per il suo territorio, ha visto la popolazione crescere e arrivare agli attuali 220 milioni.

71j2fg0lvl-_ac_uf10001000_ql80_San Paolo, capitale dell’omonimo Stato, conta attualmente 12 milioni di abitanti, di cui si stima che circa il 30% sia di origine italiana. Una città così grande non può essere esente da problemi, che le politiche attuate negli ultimi anni, a livello federale e statale, non sono valse a risolvere o attenuare con gravi sperequazioni. A detta di molti critici, sono state trascurate le esigenze sociali delle fasce più deboli della popolazione, segnatamente sul piano abitativo e ciò, a mio avviso, va a scapito della nostra democrazia, che è già di per sé storicamente fragile.

Quello delle abitazioni è uno dei grandi problemi del Brasile e specialmente di San Paolo. Il 30% della popolazione brasiliana è in stato di povertà o addirittura di miseria, con 17 milioni di persone che vive in alloggi precari, o anche senza alcuna abitazione. Un milione di persone sono state sfrattate dalle loro case tra il 2020 e l’ottobre 2022. Aggiungo che, e questo è positivo, nuove sistemazioni abitative sono previste nel 2023. I dati qui riportati, che è facile procurarsi anche con ulteriori disaggregazioni, aiutano a rendersi conto della delicatezza del problema della casa in una città così grande e protesa a produrre ricchezza senza il contrappeso degli equilibri sociali.

San Paolo mi pare un’adeguata espressione della “forza del danaro” che «costruisce e distrugge le cose belle», come ha descritto con la sua grande sensibilità il compositore brasiliano Caetano Veloso. Nell’evoluzione della città è prevalsa una cultura non equilibrata del progresso, che ha ostacolato la crescita sociale.  Qui la memoria delle scelte inopportune e dei disagi creati nel passato è considerata senza importanza, quasi un impedimento al progresso, anche se l’incremento del sistema produttivo non deve avere come unico motore l’interesse economico personale a prescindere dalla dimensione sociale e personale

Non è conosciuto il numero esatto delle occupazioni abitative in atto in città, ma è risaputo che esse sono numerose e riguardano edifici situati nella zona centrale, dove i proprietari tengono gli appartamenti vuoti in attesa della loro richiesta da parte del mercato immobiliare. Secondo i dati IBGE (Instituto Brasileiro de Geografia e statistica) nel 2010 erano 330 mila gli immobili vuoti nella città di San Paolo. Sicuramente, nel frattempo (sono trascorsi ben 12 anni), è intervenuto un aumento significativo sia a seguito della pandemia da Covid-19, sia, soprattutto, per il problema della fame, essendo tante persone al di sotto della linea della povertà, complice la mancanza di posti di lavoro.  Non sono disponibili dati aggiornati su questa materia perché l’IBGE non ha ricevuto dalle autorità l’autorizzazione a farsene carico.

Le occupazioni, mentre da molti sono considerate meramente un’invasione e un’appropriazione indebita, per i protagonisti che le attuano si tratta di una protesta giustificata dalle condizioni precarie alle quali si intende sfuggire. Nel corso delle mie ricerche sul campo ho potuto constatare che queste persone lottano per sottrarsi a condizioni di estremo disagio e che si sforzano anche di avere cura di quello che è collettivo, per quanto possibile nella loro situazione. Il messaggio più profondo delle occupazioni è il desiderio di avere una vita meno stentata.

Sono molti quelli che si spostano all’interno della città (spesso anche da altri quartieri) in cerca di un luogo dove stabilirsi, dopo avere abbandonato caseggiati e altre occupazioni o addirittura la vita di strada. Sono le donne a rompere per prime gli indugi e a occupare gli edifici, mentre durante l’occupazione sono quelle più vicine ai bambini, ma su alcuni di questi aspetti ritornerò.

Brasile, San Paolo

Brasile, San Paolo

L’esperienza nell’occupazione “Mauà” a San Paolo (2016-2023)

Ho svolto diverse ricerche sulla vita vissuta dai bambini nel corso delle occupazioni abitative, una delle quali è stata quella di Mauà, che ha previsto un complemento comparativo tramite l’osservazione di un’occupazione a Roma. Questa ricerca, iniziata nel 2016, e in fase di conclusione nel 2023, reca la seguente denominazione ufficiale: “mora dia e luta em regie centrais e periféricas da cicade a partir de representações imagéticas criadas por crianças”, La metodologia da me seguita, oltre ai veri e propri laboratori con i bambini, ha incluso l’utilizzo di disegni e fotografie (eseguiti dagli stessi bambini), di dialoghi, come anche delle note per registrare con immediatezza le osservazioni fatte sul campo. Sono previste, nella mia metodologia, anche le passeggiate nel quartiere, per conoscere l’ambiente, le persone che vi abitano o lo frequentano. È fondamentale riuscire a osservare il vissuto quotidiano dei bambini durante le loro azioni, mentre studiano, disegnano, chiacchierano tra di loro o si rivolgono agli adulti.

L’occupazione Mauà è stata effettuata in un edificio (ora sotto sfratto) che si trova in un quartiere situato di fronte alla stazione ferroviaria di Luz. Qui c’era un ostello costruito per commemorare i 400 anni di San Paulo. Il centro storico ha conosciuto un’ampia ristrutturazione architettonica, è stato abbellito con giardini ed è stata “ripulito” con l’allontanamento delle persone che non avevano lavoro e vagavano per le strade alle prese con i loro problemi. In questo quartiere attualmente convivono testimonianze culturali di diversi periodi storici: rispetto a un grande orologio del secolo XIX contrasta un moderno museo per la lingua e la letteratura portoghese.

La mia ricerca si è proposta di individuare i modi originali che i bambini hanno in una situazione di occupazione. Sono diversi gli aspetti dinamici che si possono cogliere perché i piccoli, pur esprimendosi a modo loro, riescono a individuare dimensioni sostanziali della realtà circostante. Un giorno, durante la ricerca, una bambina fece un disegno in cui è possibile vedere, a suo modo, dove abitano le famiglie. Il disegno raffigura un corridoio grande con tante porte in forma circolare, con le pareti rosse.

Le donne qui incontrate sono lavoratrici informali: venditrici ambulanti che svolgono attività molto instabili, ampliando il precariato urbano senza alcun diritto lavorativo che le tuteli. I bambini, soprattutto le bambine, spesso collaborano a questo processo, segnatamente occupandosi delle pulizie domestiche e prendendosi cura dei fratelli e degli altri bambini più piccoli, quando non escono insieme per lavorare in strada. Queste donne hanno formato una comunità allargata al di là dei legami di sangue, occupandosi non solo dei loro figli ma anche degli altri bambini. «Perché abbiamo bisogno che sia così!», questa è stata la risposta ai chiarimenti da me richiesti sul loro modo di fare.

Disegnp di Kauan

Disegnp di Kauan

Quando le donne si assentano, per andare a lavorare o a sbrigare altre faccende, i bambini più grandi si prendono cura di quelli più piccoli per quanto riguarda il loro abbigliamento, le pulizie e l’accompagnamento a scuola, tenuto conto che i percorsi scolastici prevedono l’attraversamento della cosiddetta “regione di Cracolândia” come viene chiamata in senso peggiorativo, per il grande flusso di persone che vi vivono e che si dedicano anche (ma non solo) allo spaccio del crack.

I bambini, nel corso dell’occupazione, riflettono e si esprimono a modo loro. Mi piace riferire le parole di uno dei tanti bambini da ne conosciuti nel corso della ricerca nel 2018. Questo bambino, di 5 anni, definì così San Paolo: La città tanta. E cercò di disegnarne l’immensità con una certa frenesia, mentre continuava a chiacchierare con Lilith Neiman, una tesista che mi assisteva in questa ricerca. Egli utilizzò prima un solo colore e poi tanti altri mescolandoli su un foglio di carta (Neuman L., 2019).

Felipe /ph. Marcia Gobbi)

Felipe /ph. Marcia Gobbi)

La definizione data, tramite il disegno e l’aggettivo di commento, mi sembra molto adatta a questa metropoli, che ingloba, seppure problematicamente, ricchezze umane così variegate. Il bambino aveva una sua concezione di questo grande agglomerato urbano, dove è palese la disuguaglianza di una grande parte dei residenti, ma è anche possibile, nel quartiere, trovare una certa gentilezza e attenzione per le persone che arrivano.

Durante l’occupazione i bambini esprimono la loro posizione su quanto li riguarda (il loro spazio, i loro giochi, le loro attività, la scuola). Nonostante frequentino le scuole, a partire dall’asilo nido, non si muovono così liberamente nella città in cui vivono e nel quartiere in cui abitano. Molti di questi luoghi sono loro proibiti proprio perché sono bambini che vivono in edifici occupati, con tutto il carico di pregiudizio che in questa connotazione è inclusa.

Felipe (ph. Marcia Gobbi)

Felipe (ph. Marcia Gobbi)

Ho conservato una foto di Felipe, all’epoca un bambino di quattro anni e pochi mesi. Era un mercoledì sera e mi trovavo nell’occupazione di Mauà. Dopo che i bambini avevano disegnato e dipinto, stavamo mettendo via i materiali e i disegni fatti. Sempre, ma di nascosto, Felipe prendeva tutti i lavori fatti in giornata. Quel giorno volli osservarlo con maggiore attenzione e lo seguii nel suo lento precorso. Il piccolo salì sulle sedie in disuso, tra biciclette e scatole lasciate dagli ambulanti che arrivavano dai loro lavori in strada, mise foglio per foglio quanto era stato fatto dai suoi amici, che in quel momento erano già andati via per rientrare nelle loro case occupate.

Questa scena mi colpì profondamente. Nelle frequenti discussioni sulla partecipazione infantile sono perciò portata a sottolineare il modo non convenzionale al quale i bambini ricorrono per esprimere la propria posizione. I disegni sono la loro maniera di proporre relazioni diverse in una città, dai modi di vita spesso così brutali. Felipe, col suo modo di fare, intendeva comunicare qualcosa d’importante, come egli stesso ebbe poi modo di precisare dopo aver sistemato i lavori della giornata nel luogo prescelto: «Questi sono per le persone, domani. Possono vedere questi bei disegni ed essere contenti di andare al lavoro». A modo suo Felipe produsse condivisione e gioia. pur vivendo in un contesto quanto mai problematico. Quello fu un gesto semplice, e nello stesso tempo raffinato, che reinventava e trasfigurava la situazione seppure in maniera effimera. Questo è il coraggio di essere radicalmente vivi, come ci chiamava ad essere lo scrittore brasiliano Ailton Krenak, del popolo Krenak, in Brasile.

de-finis-save-metropoliz-piattoL’osservazione comparativa a Metropoliz a Roma

Come prima accennato, la ricerca condotta a Mauà ha avuto un’appendice a Roma (dicembre 2022-maggio 2023), dove mi sono occupata dei bambini immigrati, nella loro maggioranza originari dei Paesi del continente africano e sudamericano. La mia indagine è stata finalizzata a porre in evidenza come si svolge la vita quotidiana in una struttura occupata nella capitale d’Italia., segnatamente a Metropoliz.

Questa occupazione, conosciuta anche al di fuori dell’Italia, è stata realizzata in un ex salumificio dismesso nella via Casilina, una delle antiche vie consolari dei romani. Qui 200 persone hanno tentato in maniera continuativa di provvedere alla loro provvidenza, quasi a volersi riparare con uno scudo artistico da un sempre possibile rischio di estromissione, realizzando anche un museo. Il loro tentativo ha suscitato interesse e oltre 50 autori hanno scritto alle autorità per dichiarare che Roma senza Metropoliz non sarebbe la loro città. Queste testimonianze stono state raccolte in un libro di De Finis G., Di Noto I. (a cura), Metropoli, Roma, 2020.

Come è stato scritto (Lisandra Ogg Gomes e Franco Pittau, 2022), è possibile trovare varie somiglianze (e anche) differenze) tra Brasile e Italia sul tema dell’educazione dell’infanzia e lo stesso avviene per quanto riguarda anche le lotte per l’abitazione. Tra i due Paesi, vi sono certo anche notevoli differenze. Innanzitutto, bisogna far cenno al divario demografico, perché il Brasile ha una quota percentuale di minori molto rilevante, mentre in Italia i residenti che hanno compiuto 65 anni sono quasi il doppio rispetto ai minori fino a 15 anni: ciò aiuta a capire perché gli italiani sono da diversi anni in lenta ma continua decrescita. Diverse sono anche, per molti aspetti, la storia, l’economia, l’evoluzione socio-culturale, l’andamento politico, la prospettiva del futuro. Ma non mancano tuttavia le somiglianze, innanzi tutto perché da oltre un secolo e mezzo in Brasile vi è stato uno straordinario innesto di italianità che si è ripercorso a livello economico, culturale, artistico e religioso (Gobbi, Pittau, Ragazzi Leite, Swaisel, 2023). La presenza immigrata si è ripercossa anche sul fabbisogno abitativo nei due Paesi, specialmente nelle grandi città che costituiscono un forte polo di attrazione.

Disegno di Anally

Disegno di Anally

Ho completato la ricerca svolta a San Paolo interessandomi, a Roma, dell’occupazione abitativa a Metropoliz, in via Prenestina, dove ho seguito un gruppo di bambini nel doposcuola in collegamento con l’Associazione Popika, Ho constatato che tanti di essi escono per giocare dalla struttura occupata. Osservandoli, ho voluto verificare le coincidenze con gli aspetti salienti emersi a San Paolo, traendone alcuni orientamenti che esporrò nelle conclusioni. Anche a Roma ho visto che i bambini, gracili fisicamente, hanno forti capacità (riferita naturalmente alla loro età) a livello culturale e linguistico, unendo il lascito dei genitori a quanto appreso sul posto, tra l’altro non senza una certa originalità. La lingua dei bambini è diversa e innovativa, una lingua differente e non meno divertente, creativa, come da alcuni studiosi è stato posto in evidenza (De Fin, G., Di Noto I., 2022). I bambini osservati a Roma non dicono esattamente le stesse cose dei bambini brasiliani, perché l‘infanzia non è unica e si differenzia a seconda dei contesti. Ho però constatato, anche a Roma, da parte dei bambini immigrati e abitanti nella struttura, la percezione della dimensione immensa di Roma, anch’essa una città “tanta” per riprendere l’espressione del bambino brasiliano: una città “grande”, “complessa”,“meticcia”, con tante relazioni possibili, al di dentro e al di fuori della struttura occupata.

Anche a Roma le donne immigrate sono caratterizzate da una maggiore precarietà.  I figli sono nati in Italia e parlano l’italiano e anche la lingua di origine. Come ha detto una madre da me incontrata, questa è la situazione linguistica tra di loro: «Parliamo tutto, non parliamo niente, ma parliamo tutti insieme e ci capiamo a tutti». La sua espressione in lingua italiana è zoppicante, ma il senso è chiaro. Una simile constatazione è veramente importante, e attesta la possibilità di relazioni non convenzionali ma comunque positive.

51kxth8uzll-_ac_uf10001000_ql80_Dalla riflessione sui “bambini al margine” a nuove prospettive d’impegno

Spero di avere attenuato l’avversione radicale alle occupazioni abitative, che in molti spontaneamente si generanno di fronte alle iniziative intraprese dalle persone senza casa, invitando a riflettere sulle cause strutturali che le determinano: sostanzialmente si tratta di un’azione derivante dal desiderio di avere una vita meno precaria. L’antropologa Veena Das (2020), ben consapevole delle implicazioni del problema, ha invitato a riflettere sulle persone al margine, evitando di considerarle invisibili o quasi, cercando di immedesimarsi con loro, senza limitarsi al proprio punto di vista, che non deve essere considerato l’unico valido. Si impara così a dare spazio alle rivendicazioni per la casa e ad altre richieste avanzate da persone segnate dal disagio sociale. Dobbiamo capire che non si può trascurare quanto accade, abita e vive ai margini delle città e che tutto questo, al contrario, va accuratamente approfondito per capire la società nel suo complesso e improntare di conseguenza le relazioni sociali. I margini sono una realtà complessa da conoscere: a volte si è contemporaneamente dentro e fuori in modo intrecciato. Alla conoscenza del margine deve seguire non la sua l’accettazione bensì l’impegno per il suo superamento.

Pertanto, guardando i bambini e i modi in cui hanno vissuto e sviluppato la propria vita, a destare preoccupazione sono le decisioni politiche e le strategie economiche che generanno le espulsioni e costringono i bambini a vivere ai margini con i loro genitori. L’osservazione della vita dei bambini in abitazioni occupate è densa di insegnamenti e aiuta a capire che le situazioni attuali non sono da assolutizzare, bensì da rivedere criticamente. Solo così si può evitare che i bambini restino senza sogni e senza diritti, anche quando questi sono formalmente assicurati.

4-1A questo riguardo è bene precisare che il Brasile è abbastanza avanti nella legislazione riguardante l’infanzia, perché, in applicazione della Convenzione internazionale sull’infanzia di New York (1989), ha approvato lo Statuto del fanciullo e dell’adolescente (ECA). Tuttavia, nel Paese sono molto diffusi i casi d’infanzia al margine, come qui ho cercato di evidenziare.

Anche in Italia, la cui impostazione sull’educazione dell’infanzia è nota e apprezzata, unitamente alla funzionalità delle strutture sperimentate per la sua applicazione, resta da chiedersi se il livello di copertura è ottimale per tutti i bambini in tutte le parti d’Italia e specialmente, come personalmente ho costatato, se tale copertura si estenda a tutti i bambini immigrati, anche a quelli che non si trovano in situazione di regolarità per quanto riguarda il soggiorno

Lo studio del disagio dell’infanzia in chiave bilaterale, confrontando le situazioni brasiliane e italiane, è quanto mai utile e il mio auspicio che esso venga incrementato, non solo per l’interesse che hanno le grandi città a riflettere sulle loro esperienze ma anche perché a San Paolo è fortissima la presenza italiana. Una volta la mia attenzione fu richiamata da un quadro di scarso valore, forse trovato per strada, che recava questa didascalia: “Il centro è quando siamo insieme”. Sicuramente, se acquisiamo questa convinzione, saremo in grado di migliorare le cose.

Dialoghi Mediterranei, n. 62, luglio 2023
Riferimenti bibliografici 
Carreri F., Walkscapes: O caminhar como prática estética, São Paul, Gustavo Gilli, 2013.
Carreri F.,. Caminhar e parar. Barcelona, Gustavo Gili, 2017.
DAS, V., Vida i, palavras: a violência e sua descida ao ordinári,São Pau, Unifesp, 2020.
De Finis G. Di Noto I, Senza Metropoliz, non è la mia città, Roma, Bordeauxedixioni, 2020.
Federici S,, O patriarcado e o salário, São Paulo: Boitempo, 2020.
Gobbi M., Pittau F, Ragazzi R., Stello Leite M. C, e Waisel S., “San Paolo, la più grande città italiana: sguardi incrociati”, in Dialoghi Mediterranei, n. 60, maggio 2023.
Jorio F., Pittau F., Waisel S., “Brasile: trenta milioni di oriundi italiani nel Paese del meticciato”, in Dialoghi Mediterranei, n, 48, marzo 2021.
Neiman L., Caminhar, fotografar, desenhar: experiências com crianças na Praça da República (SP). São Paulo: Dissertação de Mestrado apresentado à Faculdade de Educação da USP, 2019.
Ogg Gomes L., Pittau F., £L’infanzia e l’educazione partecipativa in Brasile e in Italia: ordinamenti giuridici, teorie ed esperienze”, in Dialoghi Mediterranei, n. 57, settembre 2022. 

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Marcia Gobbi, esperta in scienze sociali, area sociologica, cultura ed educazione, è professoressa presso l’Università di San Paolo. Si occupa dell’ampio tema dell’infanzia e della città, con particolare riferimento all’educazione e anche alla lotta per la casa portata avanti dalle donne e dai bambini: su questo specifico aspetto, nell’ambito di un ampio progetto del Consiglio federale brasiliano delle ricerche, ha condotto a Roma un’indagine sulla vita dei bambini immigrati in una struttura occupata. Interpreta la vita dell’infanzia anche attraverso le immagini ritenendole importante fonte documentale. 

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