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D’inutilità e nobiltà. Di Poesia e Riviste

22644421036di Aldo Gerbino 

Nel mondo esiste «un largo spazio per l’inutile», rispondeva Montale alle logore domande d’una giornalista, affermando inoltre come «uno dei pericoli del nostro tempo» si annidi proprio nella «mercificazione dell’inutile alla quale sono sensibili particolarmente i giovanissimi. In ogni modo io sono qui» – ripeteva – «perché ho scritto poesie, un prodotto assolutamente inutile, ma quasi mai nocivo e questo è uno dei suoi titoli di nobiltà». Quindi: ‘inutilità’ nobilitata, germinativa, però portatrice di un vulnus che alligna nell’inevitabile offrirsi alla mercificazione.

Parto dal principio che la poesia non è di certo un diletto, una vacanza dello spirito (o quando ne ha l’apparenza è possibile che nasconda l’amarezza, la manzoniana amaritudine atta a incastonare nei versi, apparentemente ‘volatili’, l’impronta acre della verità). Ciò va segnalato per l’impatto di essa con l’estenuante catenaria di versificatori riportata con ilarità dalla figura di Petronio nel Quo vadis? di Enrico Sienkiewicz, quando, appunto, l’arbiter elegantiarum si rammaricava di non poter «entrare in una sala di tribunale, in un bagno, in una biblioteca» senza imbattersi in qualche poeta gesticolante «come una scimmia» (Shelley, più drasticamente, declassa i poeti dalla condizione biologica di primati ad uccelli, paragonandoli ai ciarlieri e molesti pappagalli).

I confezionatori di versi, presenti e aggressivi in ogni tempo, esercitano, per loro futile natura, un’influenza corruttiva, distraente sulla poesia e, per soprammercato, ad essi si aggiungono le ferree metastasi di esclusive lobby editoriali, avvolte in un’atmosfera catecumenale, che inibiscono pervicacemente lo svolgersi fisiologico di un’autentica serena emersione, ostacolando l’ingresso delle dinamiche testuali nell’alveo del “necessario” registro poetico.

fig-3Tracima nella mia mente, ancora una volta, quell’irritazione denunciata da Sebastiano Vassalli nel suo lontano, agile, quanto veritiero pamphlet dal titolo Arkadia. Qui si dice delle ‘mafie’ agenti sulla poesia popolata da una non elusiva tassonomia apertamente toccata dalla bizzarria d’un veridico giudizio  che l’avvicina alla realtà dei fatti; i poeti sono ordinati, con cura, in poeti di natura, vale a dire «tutti» gli italiani, e di cultura, cioè alcune centinaia di persone «tormentatrici» di se stesse e degli altri: «sussiegose, altezzose, mafiose, rancorose, studiose, ipocriti e mediocri»; poi vi aggiunge l’inesistente drappello dei «grandi poeti» emarginati e umiliati. Ed ecco, infine, i poeti di struttura, avvinti dal piacere sottile di far poesia, i quali vivono onestamente, fino in fondo, la loro ‘iterazione’ creativa, il loro «chiodo fisso», il loro «disagio», immersi nel flusso delle loro esistenze, tollerando, con la grazia di un airone, gli irritanti confronti con i poeti di ‘cultura’ o l’impatto malthusiano con quelli di ‘natura’.

Insisto sulla poesia avvertita come «scrittura necessaria» in quanto nata sulla spinta di necessità intellettuali e spirituali, ben allignata nel frutto migliore del suo consistere in oggetto poetico, nel suo dissenso volto ad essere (parafrasando un titolo di Wilhelm Dilthey) una ‘poesia come esperienza vissuta’, vale a dire un saper mantenere, assolutamente suo, il rapporto con l’esistenziale, per ritrovare nel lavorio poetico «i problemi della vita storica dell’anima» (Dilthey) e, di certo, non affidandosi alle spire della futile volgarizzazione cui siamo stati troppo spesso spettatori.

Penso all’evolversi delle affascinanti pagine legate all’esistenzialismo, in cui spesso, ai ‘fatti’ strutturali, agli accadimenti insiti al dipanarsi della vita e ai drammatici momenti folgorati dalle dinamiche coscienziali, viene anteposta – facendo uso delle parole di Nicola Abbagnano captate dalla sua “Introduzione all’esistenzialismo” – «la banalità della sensibilità primitiva» per quell’aggrumarsi, da eteroclite condizioni d’esistenza, delle irritanti pieghe dei comportamenti che son proprie d’una socialità effimera atta a disorientare, a screditare i valori fondativi del cammino ideale, della stessa storicità.

2560338121078_0_0_536_0_75Non v’è dubbio che la circuitazione della poesia ha un suo primo approccio dinamico attraverso l’affacciarsi alla finestra delle Riviste letterarie, le quali hanno storicamente esercitato un ruolo centrale nell’offerta di materiali creativi (considero pungolo fondativo la parabola che va da «La Voce» di Papini e Prezzolini del primo Novecento a «Paragone» istituita, nel 1950 da Roberto Longhi e Anna Banti) e che, di per sé, rappresentano e moltiplicano il monolite dell’umano pensiero. Il flettersi delle presenze periodiche, mostrato sin dagli inizi del secondo Novecento, mette in risalto dal piatto della conoscenza critica riviste fondanti la cultura e in cui la poesia riveste ruolo non marginale, anzi ne costituisce una linfa ampiamente diffusa sull’intero progetto editoriale.

La bimestrale rivista «Galleria», edita sin dal 1949 da Salvatore Sciascia (molto apprezzata da Elio Vittorini) e successivamente diretta da Leonardo Sciascia, assume l’impegno di un manifesto interesse per la scrittura poetica, accrescendone la sensibilità con il supporto dei Quaderni di Galleria amplificatori delle voci dei poeti. Un esempio, tra i tanti numeri (Anno V, 1, 2, Gennaio-Aprile 1955), è quello in cui si dedica attenzione monografica alla letteratura spagnola; vi ritroviamo scritti di Dámaso Alonso sulla “Generazione poetica del 1920-1936”, di Carlo Bo e il suo “L’ultimo Aleixandre”, di Francesco Tentori e “L’antologia del surrealismo spagnolo”, di Carlos Bousoño, esponente della “poesia pura”, con “Tre poesie sulla morte” nella traduzione di Vittorio Bodini. E, tra le tante cure dei Quaderni: le Poesie per l’amatore di stampe di Roberto Roversi, l’Isla del Recuerdo di Gonzalo Alvarez, I Santi dietro le porte di Compagnone, Cefalù e altre poesie di Luciana Frezza, e ancora, Pier Paolo Pasolini con Dal Diario, Biagia Marniti, o, di Stefano Vilardo, I primi fuochi, Il frutto più vero, Gli astratti furori, e gli ampi manipoli di scrittori, critici, storici: da Mario Praz a Emilio Cecchi, da Ferruccio Ulivi a Tobino, a Enrico Falqui, da Roberto Longhi a Carlo Ludovico Ragghianti e ancora da Cesare Brandi ad Argan a Zeri. Su tale tappeto, nel 1967, Aldo Marcovecchio cura (n. 3/6 del maggio-dicembre) la raccolta delle poesie inedite di Carlo Levi, accompagnate da prose e disegni. Le direttive, dunque, son chiare; dalle pagine introduttive della Rivista, un avviso ai lettori informa: 

«Galleria inizia con questo numero dedicato alla letteratura spagnola l’annata 1955. Numeri come questo, e come quelli dedicati alla poesia dialettale e alla letteratura americana, inutile diciamo ai lettori quale sforzo economico e redazionale rappresentino. Basta semplicemente considerare che la rivista esce in Sicilia, dove sempre tentativi simili, per difficoltà ambientali, per la mancanza di veri centri di cultura, sono sistematicamente finiti in espressioni di vieto provincialismo e di oleografia accademica. Il nostro sforzo è stato ed è quello di fare una rivista siciliana viva, presente nella vita culturale della nazione, che raccolga non solo gli scrittori più noti d’Italia, ma anche le giovani forze della cultura siciliana» (V, 1-2, 1955). 

fig-2-1È indicativo, in modo particolare, quel rivolgersi alle “giovani forze” (in verità non soltanto siciliane); una presenza che ha registrato, soprattutto con la direzione di Leonardo Sciascia, un consistente incremento sia sul versante degli autori storicizzati sia per le emersioni di più giovani intellettuali. Una esemplificazione ci è data dal numero 1-2, anno XVII del Gennaio-Aprile del 1967, in cui, tra i tanti contributi, figurano le poesie di un giovane (poco più che trentenne) Vincenzo Guarna di Caisole di Cherso (1934-2005), uno studioso di Montale (ne fa fede un saggio apparso sulla rivista «Misure critiche») e poeta di valore sancito dalla testimonianza critica di Antonio Barbuto. Nel n. 6 (Anno XXI, 1971) della rassegna Guarna è presente con l’intenso poemetto Elegia al padre. Le parole di Barbuto che accompagnano il componimento riferiscono in che modo il testo, covato dal poeta per molti anni, costituisca «l’ultima tessera, in ordine di tempo, di quel mosaico d’histoire iniziato fin dagli anni dell’università e che sarebbe ora raccogliere in volume. Ma Guarna si rifiuta al volume».

Ciò sottolinea come il poeta – e non è un caso isolato – si affidi spesso, e a volte unicamente, alla rivista ora per la sua rapida fruibilità, ora per preservare una ‘frammentarietà’ che ne consolida spazio e tempo o la non peregrina atmosfera effusa dalla cronologia, elementi questi che fanno parte dell’esigenza estetica, del suo accadimento crono-spaziale, in quel loro svolgere un ruolo più che legittimo e non dispersivo prima che, eventualmente, si possa sfociare nella raccolta in volume.

Apprezzo la grande considerazione che Filippo La Porta esterna per la rivista «Tempo presente» (1956-1968), esempio non effimero della cultura italiana del secondo dopoguerra assieme al «Mondo» di Pannunzio. Fondatori e direttori i nomi pregnanti di Nicola Chiaromonte e Ignazio Silone, pubblicazione «della cosiddetta terza forza schiacciata – avverte La Porta – parafrasando Manzoni, come un vaso di coccio tra i vasi di ferro, dove i vasi di ferro sono la DC e il Partito comunista, come espressione di un orientamento liberal socialista, che non ha mai avuto una vera rappresentanza politica».

“La Balza futurista”, n. 3, Messina, 12 maggio 1915, Guglielmo Jannelli, Verginità, parole in libertà; Vann’Antò, «Automobile + asinA» Natura morta cinematografica

“La Balza futurista”, n. 3, Messina, 12 maggio 1915, Guglielmo Jannelli, Verginità, parole in libertà; Vann’Antò, «Automobile + asinA» Natura morta cinematografica

Di certo, in quel torno di anni, non dimenticate rimangono, sul piano del dibattito politico e varia umanità, «Cronache Meridionali» di Amendola, De Martino e Alicata, «Belfagor» di Luigi Russo, «Il Ponte» di Pietro Calamandrei, «Il Contemporaneo» di Bilenchi, Salinari e Trombadori, e l’ancora presente «Nuovi Argomenti». La pedana intellettuale di «Tempo presente» varia, oltre agli scritti di Silone e Chiaramonte, agli interventi che oscillano da Camus alla Arendt, da Zolla a Citati a Manganelli, da Herling a Vivaldi, da Quinzio a Spatola, dalla Ombres a Bloch-Michel. Un continuo sottolineare il vastissimo panorama interagente tra i linguaggi della prosa, della saggistica, della politica, della filosofia, della poesia.

Considerando il tempo di esistenza delle riviste, che s’impegnano per diversi decenni o altre, per pochissimi numeri, il valore ponderale, comunque, non guarda soltanto il parametro ‘tempo’. Si pensi ai tre numeri (spesso citati) della siciliana «Balza futurista»: ed ecco che l’azione poetica diventa momento scenico; in tal modo, nel n.3, tra le firme di Buzzi, Marinetti, Prampolini, agiscono in copertina le parole in libertà di Guglielmo Jannelli con il testo Verginità e, a p. 22, la folgorante poesia del poeta Vann’Antò (docente di Tradizioni popolari nell’Ateneo messinese) dal titolo «automobile + asinA».

2560888040164_0_0_424_0_75Sta di fatto che il percorso delle riviste e la posizione assunta nei confronti della poesia restano molto travagliati; l’amico scomparso, il poeta Sebastiano Addamo, mi confessava di non trovare più alcuna ragione d’invio alle riviste letterarie né di poesie, né di racconti, vista la lunga, lunghissima, gestazione d’accoglienza, spesso malamente filtrata in ambito redazionale dagli umori modaioli del momento. È indubbio che ogni parola possieda un suo peso specifico; bisogna ricordare che la veicolazione di essa incontra notevole difficoltà a farsi spazio nell’angusta dimensione cartacea, nella quale concresce un’irritante proliferazione di vaghe entità editoriali rivolte ad ingenuità giovanili, non di rado senili, con richieste di inopportuni se non ricattatorie richieste in danaro.

Direi che la stessa leggibilità/auscultazione della poesia viene saggiata dalle indicazioni di Franco Fortini proprio sul come leggerla: dal silenzio ai diversi toni di voce; una poesia, almeno per i giovanissimi, sollecitata nel processo quotidiano da calchi abnormi di modelli ‘rapping’ in un produrre segnali ‘altri’ troppo lontani dallo specifico riflessivo insito nella poesia e che non hanno nulla a che fare con la ‘poesia estemporanea’ o con la ‘slam poetry’ di Marc Kelly Smith, né tanto meno con gli esercizi tiptologici e i Poemi Fonetici di Mimmo Rotella.

md30287381419Ripellino lamentava altresì la perdita dell’esercizio declamatorio, ormai atrofizzato, se non altro per la restituzione di sonorità che scuota la greve boscaglia del panorama contemporaneo su cui si sono aperti nel web molteplici segnali di attenzioni: blog, portali di e sulla poesia. Ciò in parte conforta, e dico in parte in quanto bisogna guardare in rete alla qualità scientifica del progetto comunicativo che, mi pare, sia attraversato da cumuli di inezie e di destruenti insipidezze. C’è anche da osservare che proprio in questi ultimi anni si assiste all’incremento di un consistente drappello di riviste e blog aggiornati e qualificati (anche di produzione accademica), e con favore investiti da un rigore che i curatori praticano come fondamentale chiavistello per il riscontro di credibilità culturale. Se la poesia deve rispettare la sua impreteribile vocazione alla “necessità”, sarà proprio tale urgenza intima ad essere probante motore ad alleviare (da qualsivoglia pedana provenga) l’esilio quanto meno della poesia di ‘struttura’.

fig-2-2Nella condivisione del pensiero espresso dall’antropologo Fabio Dei (in «Dialoghi Mediterranei», n. 61, 2023), in cui si critica «il sistema di valutazione che trasforma i lavori intellettuali in prodotti» (un accumulo di titoli selezionati per gerarchie di Scuola, di ruoli, espressioni di territori che fanno leva su egemonie dei saperi, allestendo modelli d’espressione e ricerca secondo format preordinati da verticismi piramidali, di cui l’area delle scienze appare, da tale retorica,  particolarmente affetta e infetta), ci ritroviamo in un ‘vertice’ che ricorda, nel lemma, il saggio di De Carlo sui fatti del Sessantotto in cui la produzione delle idee viene, ancora ad oggi e per altre vie, mortificata e, con sempre maggiore frequenza, non riconoscibile in quanto non inquadrabile (sic!) dalle discutibili coordinate dei settori scientifici disciplinari, dal complice sussiego dei troppi revisori.

le-cose-ultime-140821Ma sul destino delle parole (questo è ciò che, in particolare, suscita interesse per i poeti) e della loro ormai fisiologica estensione in rete a fronte di una deplezione delle riviste, è consentito, malgré tout, coltivare pur labili speranze di riscatto, ma, al contempo, è d’obbligo sorvegliare e avere consapevolezza di temibili sedizioni che possono raggiungerci da pieghe improvvise della tecnologia le quali possono trasformarsi in piaghe: sembra peraltro che aleggi – ricordando un appello di un mio collega estetologo – un’ombra di Banco la quale, come mostro bicefalo, porta i nomi tatuati sulla pelle di ‘algoritmo’ e, aggiungo, di ‘AI’ (intelligenza artificiale), mettendo in luce la preoccupante incontrollabilità di molti degli esiti legati a tali procedimenti e sistemi informatici.

Insistendo sul destino delle parole Romano Guardini affermava, nel consegnare loro la giusta densità semantica, come la «perdita di una parola sia molto più grave dell’incomprensione che può nascere durante una conversazione. Si perde una di quelle forme in cui l’uomo esiste. Si oscura uno di quegli indicatori che gli consentono di procedere rettamente. Si spegne una luce, e il suo giorno spirituale si offusca». 

Dialoghi Mediterranei, n. 62, luglio 2023 
Segnali di Lettura
Sebastiano Vassalli, Arkadia: carriere, caratteri, confraternite degli impoeti d’Italia, El Bagatt (“Pamphlet” n. 1), Bergamo1983; Elisabetta Mondello, Gli anni delle riviste, Milella Edizioni, Lecce 1985; Aldo Gerbino, Sicilia, poesia dei mille anni. Inventario dal «pozzo dorico» (n. 58 della Collana Aretusa diretta da Mario Petrucciani), Salvatore Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma 2001; Id., La poesia, le consorterie, l’editoria, (Intervento al Parlamento Europeo, “Table Ronde Est/Ouest”, L’avvenire dello scrittore in Europa, Lussemburgo, 11-12 novembre 1991, poi in «Rivista italiana di letteratura dialettale», II, 4, Palermo, gennaio-marzo, 1993: 4-7; Id. (a cura di), Sciascia, L’«avvento» della poesia, il fascino delle arti, Istituto Italiano di Cultura di Barcellona, Area di Filologia Italiana, Università Autonoma di Barcellona, Università di: Barcellona, Girona e Valencia, «Quaderns d’ItaliÀ», 27, 2022; Filippo La Porta “parla della rivista Tempo presente e dei suoi fondatori gli scrittori Nicola Chiaromonte e Ignazio Silone”, Raicultura 2021/07; Franco Fortini, La poesia ad alta voce, (a cura di Carlo Fini), Taccuini di Barbablù, n. 6, Siena 1986. [Discorso tenuto da Franco Fortini all’inaugurazione dell’anno accademico 1981-82 dell’Università degli Studi di Siena]; Angelo Maria Ripellino, [Lettera sulla cultura fonica] in Id. Oltreslavia. Scritti italiani e ispanici (1941-1976), a cura di Antonio Pane e nota introduttiva di Antonino Cusumano, Istituto Euro Arabo di Studi Superiori, Mazara del Vallo 2007: 103; Marc Kelly Smith, The Complete Idiot’s Guide to Slam Poetry, Alpha Books, 2004; Giancarlo De Carlo, La piramide rovesciata, De Donato Editore, Bari 1968; Romano Guardini, Le cose ultime, 1940; Vita e Pensiero, Milano 1997.

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Aldo Gerbino, morfologo, è stato ordinario di Istologia ed Embriologia nella Università di Palermo ed è cultore di Antropologia culturale. Critico d’arte e di letteratura sin dagli anni ’70, esordisce in poesia con Sei poesie d’occasione (Sintesi, 1977); altre pubblicazioni: Le ore delle nubi (Euroeditor, 1989); L’Arciere (Ediprint, 1994); Il coleottero di Jünger (Novecento, 1995; Premio Marsa Siklah); Ingannando l’attesa (ivi, 1997; Premio Latina ‘il Tascabile’); Non farà rumore (Spirali, 1998); Gessi (Sciascia-Scheiwiller, 1999); Sull’asina, non sui cherubini (Spirali, 1999); Il nuotatore incerto (Sciascia, 2002); Attraversare il Gobi (Spirali, 2006); Il collettore di acari (Libro italiano, 2008); Alla lettera erre in: Almanacco dello Specchio 2010-2011 (Mondadori, 2011). Di saggistica: La corruzione e l’ombra (Sciascia, 1990); Del sole della luna dello sguardo (Novecento, 1994); Presepi di Sicilia (Scheiwiller, 1998); L’Isola dipinta (Palombi, 1998; Premio Fregene); Sicilia, poesia dei mille anni (Sciascia, 2001); Benvenuto Cellini e Michail K. Anikushin (Spirali, 2006); Quei dolori ideali (Sciascia, 2014); Fiori gettati al fuoco (Plumelia, 2014); Cammei (Pungitopo, 2015); Non è tutto. Diciotto testi per un catalogo (Il Club di Milano – Spirali, 2018).

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