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Rachid Ghannouchi e il compromesso storico tra il turbante e l’elmetto

Ghannuchi

Rachid Ghannouchi

di Enzo Pace 

Introduzione 

Il 18 aprile scorso è stato arrestato Rachid Ghannouchi, il leader del partito Al-Nahda, formazione politica d’ispirazione islamica. Egli è stato accusato di aver diffuso un video in cui paventava il pericolo di una guerra civile come conseguenza alla chiusura del Parlamento da parte dell’attuale Presidente, Qais Saied [1]. Ghannouchi, 81 anni con qualche problema di salute, torna in carcere (adesso, ai domiciliari) dopo esserci stato in passato già due volte, nel 1981-84 e nel 1987-88. Dopo di che, per più di venti anni è stato costretto a vivere fuori del suo Paese, fin quando, nel 1993, la Gran Bretagna gli concederà l’asilo politico.

Rientrerà a Tunisi nel 2011, all’indomani della fine del regime di Ben Ali, messo in fuga dai moti di protesta che dalla Tunisia si propagarono poi in quasi tutti i Paesi arabi. Alle prime elezioni libere per l’Assemblea costituente (218 seggi) dell’ottobre 2011, il partito di Ghannouchi sarà nettamente il primo con quasi un milione e mezzo di voti, pari al 41,7%, conquistando 89 seggi. Staccati il partito del Congresso per la Repubblica (8,7%) e il Forum Democratico (7%). Alle altre dieci formazioni politiche poche briciole; il risultato più deludente sarà quello ottenuto dal Partito democratico progressista (meno del 4%, 160 mila voti).

La faticosa transizione dalla rivoluzione popolare alla democrazia sembra arrestarsi. L’attuale Presidente, Qais Saied, ha evocato a sé i pieni poteri e riscritto il testo costituzionale secondo un modello rigidamente presidenzialista [2]. Il testo è stato approvato da un referendum plebiscitario (92% degli elettori) nel luglio del 2022; in realtà, solo il 27% della popolazione si è recato alle urne. Un segnale di residua fiducia da parte di quei tunisini che avevano riposto in Saied l’ultima speranza per superare la crisi economica e l’impasse politico in cui le forze politiche precedenti avevano portato il Paese. Le speranze sono andate presto deluse, se dopo appena cinque mesi, alle elezioni del dicembre ’22,  solo l’8% della popolazione andrà a votare. Disillusione per le promesse fatte di ordine e ripresa economica; rabbia nel constatare, invece, il ritorno all’antico: un solo uomo al comando, che in modo autoritario avoca a sé i pieni poteri e reprime il dissenso politico. Oltre a Ghannouchi, infatti, il regime di Saied ha fatto arrestare altri oppositori, come il direttore di una radio molto popolare in tutta la Tunisia (Radio Mosaique), Noureddine Boutar ed esponenti altri partiti.

Per capire quale sia la posta in gioco in Tunisia, vale la pena, perciò, leggere la biografia politica di Ghannuchi [3], perché nella sua storia personale si riflettono tutte le contraddizioni non solo del suo Paese, ma anche di tutto il mondo arabo-musulmano dalla fine del colonialismo a oggi e, dunque,  anche dei complessi rapporti che gli Stati della riva nord del Mediterraneo hanno intrattenuto con quelli della riva sud. 

51sqjto3zjl-_sx331_bo1204203200_Da studente di teologia a leader di partito 

La formazione universitaria di Ghannouchi è all’inizio teologica. Si iscrive nel 1959 all’Università al-Zaytuna, una storica istituzione annessa alla Grande moschea della Medina, che risale all’VIII secolo della nostra era. Egli vive direttamente la decisione presa dall’allora Presidente Habib Bourghiba di chiuderla e di trasferirla in altro luogo, facendola diventare una Facoltà di teologia alle dirette dipendenze del Ministero dell’Insegnamento Superiore e della Ricerca. In breve, assistiamo allo scontro aperto tra un’istituzione religiosa di prestigio e il leader che aveva guidato la lotta per l’indipendenza, sognando di poter costruire una nazione moderna e uno Stato secolare. Il suo disegno non era contro l’islam. Pensava, come altri leader arabi del suo tempo, che la gloriosa tradizione religiosa potesse essere riformata, contribuendo alla trasformazione democratica di Paesi che si erano liberati dal dominio coloniale [4]. Bourghiba non accetta, perciò, che il potere di definire quale sia il vero islam continui a essere detenuto dai dotti e dai giurisperiti della Zaytuna.

Ghannouchi terminerà i suoi studi di teologia nella Facoltà di Stato e, come egli stesso racconta [5], questo conflitto segnerà il suo vissuto religioso e politico. Conseguita la laurea in teologia, nel 1964 si reca dapprima a Damasco per studiare filosofia e, quattro anni dopo, per perfezionarli, a Parigi. Qui si avvicina al movimento al-Tabligh, fondato nel 1920 in Pakistan da Muhammad Ilyas Kandhlari (1855-1944), puritano e tradizionalista, apolitico, animato da una forte vocazione missionaria: riconquistare le anime perse alla fede autentica dell’islam. Un movimento per alcuni aspetti simile a quello che fonderà qualche anno più tardi (1929) in Egitto Hasan al-Banna – la Fratellanza Musulmana –, con la differenza che quest’ultimo coniugherà il tema del ritorno all’islam delle origini con la lotta anti-coloniale e l’opposizione all’ideologia dello Stato secolare. Ghannouchi, dunque, diventa un militante Tabligh. Lo troviamo in veste di imam in una piccola musallayat di un quartiere operaio della capitale francese. Rientrato a Tunisi agli inizi degli anni Settanta, egli darà vita assieme ad altri intellettuali tunisini al movimento della Preservazione del Corano. Nel 1981 fonderà assieme a Abdelfattah Morou il Movimento della Tendenza Islamica (MTI) [6], che più avanti prenderà il nome di Al-Nahda (la rinascita).

Era l’anno in cui Habib Bourghiba si acconciava all’idea del riconoscimento dei partiti politici; sentiva che il suo carisma si appannava e che le richieste di democratizzazione che provenivano da associazioni, sindacati e gruppi di opinione della società civile non potevano più essere ignorate. La legalizzazione ufficiale avverrà solo nel 1986, un anno o poco meno prima che egli non fosse destituito a seguito del colpo di stato sanitario, come venne chiamato, perché ritenuto ormai incapace di gestire il potere per manifesta infermità. A guidarlo fu Ben Ali. Questi, non appena preso il potere, arresterà Ghannouchi; condannato a morte, riceverà la grazia l’anno dopo, ma sarà costretto all’esilio. Il partito al-Nahda sarà sciolto e sino al 2011 la società tunisina vivrà sotto sorveglianza vigilata, in nome dello sradicamento [7] di ogni forma di fondamentalismo religioso-politico, in una sorta di grande “caserma”, come amavano dire colleghi e amici a quel tempo. 

51gckaqw2flGli anni dell’esilio 

Nei 22 anni di esilio trascorsi a Londra, Ghannouchi ha modo e tempo per riflettere non solo sullo scacco personale subìto, ma anche sugli effetti perversi della scelta della lotta armata intesa come necessaria e unica alternativa politica possibile per i veri credenti, scelta compiuta da frazioni staccatesi dai principali movimenti islamisti alla fine degli anni Settanta. Nati come gruppi di lotta a livello nazionale finiranno per ricomporsi come movimento di guerriglia internazionale, prima attorno alle bandiere di Al-Qaida e, poi sotto quelle di Daesh. Da Londra, Ghannouchi osserva il moltiplicarsi degli attentati in Europa dopo l’attacco alla Torre Gemelli (dall’Inghilterra alla Spagna e alla Francia) con crescente preoccupazione, per le conseguenze che tutto ciò avrebbe potuto avere sul progetto politico che, assieme a Morou, aveva coltivato sin da 1981.

La prima constatazione che Ghannouchi è indotto a fare deriva dagli eventi che si susseguono con un crescendo di violenze in Egitto – il 1981 è l’anno dello spettacolare attentato che uccide il presidente Anwar al-Sadat – e nella vicina Algeria, dove dal 1992, un colpo di stato militare cancella con la forza la vittoria elettorale del Fronte di Salvezza islamica, facendo piombare il vicino Paese maghrebino in una guerra civile. Ghannouchi ripeterà spesso che la violenza ha l’effetto di rafforzare i regimi al potere e di danneggiare chi vuole opporvisi democraticamente. Egli comprenderà presto come la lotta armata in nome dell’islam facesse passare l’idea dell’intrinseca vocazione di questa religione all’intolleranza e alla violenza. Tutto ciò avrebbe finito per screditare non solo i sostenitori dell’islam politico, ma anche l’idea stessa della conciliabilità dell’islam con la democrazia e  la moderna cultura dei diritti, compresa la parità uomo-donna.

revolution-et-compromisEgli continuerà a pensare alla politica come un’arena libera in cui competere in quanto democratici musulmani, rispettosi delle regole della democrazia e senza alcuna velleità d’imporre con la forza del potere un modello integrale di società e stato islamici. Nell’esilio londinese, Ghannouchi si  persuaderà che in democrazia vale la regola della mediazione tra culture diverse. La sua critica nei confronti di chi aveva scelto la via della lotta armata per conquistare il potere e instaurare il regime della verità, diverrà un punto di riferimento per quanti fuori e dentro la Tunisia guarderanno con sgomento ai risultati conseguiti dai movimenti jihadisti: un cimitero di vittime, frutto di stragi e di  attentati-suicidi che, invece di destabilizzare le élite arabe al potere e i loro alleati occidentali, avevano finito per rafforzarle; invece di conquistare il consenso delle masse alla causa della nuova jihad armata, le azioni compiute da Al-Qaʽida e altri movimenti simili costringevano continuamente le persone di fede musulmana a doversi quasi giustificare per smarcarsi da quanto di terribile era stato fatto. Nel momento culminante della guerra rivoluzionaria condotta da Daesh nelle terre del Levante, ci sono stati giovani uomini e donne che hanno deciso di arruolarsi, ma, a conti fatti, si è trattato di piccole percentuali di persone rispetto alla grande massa di fedeli sparsi in tutto il mondo [8].

Ghannouchi, quando rientra a Tunisi dopo il crollo del sistema di potere di Ben Ali nel 2011, ha compreso che le masse scendevano in piazza non per invocare l’instaurazione dello Stato islamico, ma per chiedere dignità e libertà e la fine di regimi corrotti e autoritari. Sa di poter contare su due risorse che altri partiti tunisini dimostreranno di non avere: una leadership morale e politica autorevole e una rete organizzativa che al-Nahda aveva creato negli anni Ottanta. Tale rete, pur nella clandestinità, aveva conservato una discreta elasticità, se è vero che, in occasione delle prime elezioni, l’unico partito capace di raccogliere un ampio consenso è stato proprio al-Nahda. Ghannouchi viene votato, infatti, non solo da chi continua a credere che l’islam abbia una sua coerente dottrina sociale e che possa ispirare l’azione politica, ma anche da quanti vedono in lui una persona che ha pagato di persona l’opposizione a Ben Ali, apprezzandone la sincera volontà di cercare una mediazione con le altre forze politiche in campo.

Ghannouchi, insomma, si accredita non come l’islamista intransigente che vuole cancellare le conquiste civili che la Tunisia, sotto la guida di Bourghiba, può vantare rispetto a molti altri Stati arabo-musulmani, ma come un democratico d’ispirazione musulmana. Egli stesso, negli ultimi anni, si è definito un moderato, un aggettivo che noi italiani conosciamo bene, sinonimo di un pensare e agire in politica orientato al centro: conservatore in campo morale, avverso a tutte le forme di estremismo, convinto della relativa autonomia della sfera politica dalla religione. Ghannouchi dimostra dal ritorno in Tunisia sino all’arresto dell’aprile 2023 di esser diventato l’uomo del compromesso, più che l’esponente di quel vasto e articolato (e contraddittorio) movimento dei movimenti dell’islam politico. Un post-islamista, lo si potrebbe definire [9]. 

9788843094561Fine del compromesso storico? 

Quando dico che Ghannouchi è stato sinora l’uomo del compromesso, non ricorro a una espressione generalmente ritenuta riduttiva, se non peggiorativa del profilo ideologico e morale di una persona. Tra il 2015 e il 2017 [10], ricordo di essere stato invitato da colleghi tunisini a partecipare a due convegni che avevano per tema: il compromesso storico in Tunisia come via di transizione democratica. Chi mi invitava, tutte e due le volte, mi chiedeva di raccontare cosa fosse stato il compromesso storico in Italia. Non era un riferimento estemporaneo: i ricercatori che incontravo riflettevano sulla complessa vicenda del loro Paese, gettando uno sguardo alla vicina Italia. Il compromesso storico era riletto alla tunisina: una strategia politica per uscire dalla guerra di religione che opponeva ideologicamente e furiosamente i secolaristi agli islamisti. La redazione della nuova Costituzione del 2014 è stata frutto di un compromesso tra le diverse componenti dello schieramento politico. Sino alla crisi attuale, la Tunisia ha immaginato di poter superare le contrapposizioni laceranti e imboccare una via democratica, in cui le diverse tendenze, compresa quella d’ispirazione islamica, potessero reciprocamente riconoscersi [11].

Coerentemente con l’habitus di uomo del compromesso, Ghannouchi, dopo la non brillante e non breve (circa dieci anni) performance governativa del suo partito, riesce nel 2016 a mettere in un angolo le correnti più oltranziste, provocando un primo smottamento interno. Più tardi, quando emerge la figura di Saied, egli si sforza di trovare un accordo con lui, con la persona che ordinerà più avanti il suo arresto. L’apertura di credito nei confronti di Qais Saied non è piaciuta a quanti nel partito rappresentano l’ala più intransigente dell’islam politico, di quanti credono che le fonti della legge di uno Stato siano le stesse della shariʽa e che, dunque, non si accontentano di una generica dichiarazione di principio nella Costituzione che l’islam sia la religione del popolo tunisino.

revolution-tunisienne11Un altro centinaio di dirigenti, perciò, sono usciti, accusando Ghannouchi di aver isolato e indebolito il partito (che nel 2021, quando Saied è al massimo della popolarità, era sceso al 16% nei sondaggi, con una perdita di quindici punti percentuali), cercando un impossibile compromesso con Saied. Il leader di al-Nahda gli ha teso la mano per due motivi. Egli ha apprezzato, in primo luogo, la retorica cui Saied ricorre quando afferma di non essere legato all’establishment e di avere, perciò, le mani libere per lottare contro la corruzione (uno dei motivi della rivoluzione del 2011) e, in secondo luogo, la volontà di riaffermare l’identità arabo-musulmana del popolo tunisino [12].

La presa dei pieni poteri nel 2022 da parte di Qais Said pone la parola fine alla transizione democratica che dal 2011 la società civile tunisina aveva avviato. Il compromesso storico non ha retto. La biografia politica di Rachid Ghannuchi che ho brevemente raccontato illustra, più di tanti discorsi astratti, la ripetizione di un dramma rituale che affligge da troppo tempo le giovani nazioni arabe, uscite dal cono d’ombra del colonialismo. 

12Il dramma rituale 

La storia personale di Ghannouchi ci mostra come tra il turbante e l’elmetto una terza via sia possibile o, per lo meno, un obiettivo desiderato da movimenti della società civile che ciclicamente mostrano di impegnarsi attivamente per raggiungerlo. Allo stesso tempo, però, quanto più il sogno di una forma di governo democratico sembra a portata di mano grazie all’apparizione ricorrente di tali movimenti collettivi, spesso nati per moto spontaneo, senza programmi politici definiti, senza leader né maestri [13], tanto più la ricerca di un compromesso tra le diverse forze politicamente organizzate si sfalda. Quando ciò si verifica, il dilemma, che accompagna, come un basso, la storia contemporanea degli Stati nazionali arabi si ripropone: pur di non dare spazio ai partiti e alle organizzazioni politiche che si ispirano all’islam, una parte della popolazione ripone la sua fiducia nei pieni poteri di un solo uomo al comando, meglio ancora se formato nelle accademie militari o negli apparati di sicurezza statale (l’elmetto); oppure, pur di contrastare qualsiasi forma di governo che relativizza il peso della religione nella vita politica, si guarda con favore a chi afferma che l’islam (il turbante) sia la soluzione di tutti i mali della società  moderna, intossicata dall’Occidente.

Chi si proclama un democratico musulmano finisce per essere accusato, d’altro canto, dagli intransigenti della fede come colui che rinuncia a proclamare il primato della legge di Dio su quella degli uomini. Per loro la democrazia è l’anticamera dell’anarchia, una polpetta avvelenata dell’Occidente. Quanto è avvenuto in Tunisia, del resto, si era già verificato nel 2013 in Egitto, quando dopo nemmeno un anno il partito legato alla Fratellanza Musulmana, che aveva vinto le elezioni del 2012, è stato destituito da un colpo di stato militare che ha portato al potere il generale Abd al-Fattah al-Sissi. Le due vicende non sono simili così come altra cosa è stata la guerra civile algerina. La biografia stessa di Ghannouchi ci ha mostrato come in Tunisia ci sia stata una sincera ricerca di un compromesso democratico tra forze politiche di diversa tendenza ideologica. L’esperimento è durato più a lungo di quello brevissimo cairota.

515msajisblIn un discorso pronunciato il 13 giugno del 2016, in un momento delicato della vita interna del partito al-Nahda, Ghannouchi così diceva: «Bisogna distinguere tra le istituzioni politiche e la religione. Le moschee non devono essere un’arena dove si confrontano diversi orientamenti politici. Le moschee devono unire la comunità musulmana, non dividerla. Noi dobbiamo evitare ogni forma di propaganda nei luoghi di culto. La politica è il luogo dove le persone si battono per migliorare la vita sociale, economica e civile di un popolo, senza trascinare su questo terreno direttamente la religione» [14]. Ghannouchi si illudeva allora oppure si tratta solo di una momentanea sconfitta? I movimenti collettivi non spariscono, anche quando sembrano in rotta; entrano semmai in una fase di latenza, come ci ha insegnato un grande sociologo come Alain Touraine, scomparso in questi giorni. Non è detta l’ultima parola, dunque, per la democrazia in Tunisia. 

Dialoghi Mediterranei, n. 62, luglio 2023 
Note
[1] Nel video incriminato Ghannouchi dice testualmente: “La Tunisia senza Ennahda, senza l’islam politico, senza sinistra e senza qualsiasi altra componente politica va incontro alla guerra civile” (15 aprile 2023).
[2] Si veda La Tunisia di Qais Saied, Quaderno n. 4148 de “La Civiltà Cattolica” (15 aprile 2023), a cura di G. Sale S.J.
[3] La più accurata, ma si arresta al tempo dell’esilio, è stata scritta da A. Tamimi, Rachid Ghannuchi, Oxford: Oxford University Press 2001. Per la traiettoria che Ghannuchi compie dal rientro in Tunisia sino al 2016 rinvio a M. Saleh El Jary, Les mutations de l’islam politique: le cas du mouvement Ennahda (1971-2014), Tunis: Namaa Center for Research and Studies 2017.
[4] L. El-Houssi, Il risveglio della democrazia, Roma: Carocci 2013.
[5] Si veda F. Burgat, Rachid Ghannouchi: l’islam, le nationalisme et l’islamisme, in « Egypt, monde arabe », 1992, n. 10: 109-122 (intervista a Ghannouchi raccolta dall’autore nel febbraio del 1992 a Londra).
[6] Il sodalizio con Morou rimonta a ben prima del 1981. Morou, avvocato e laureato anche in scienze islamiche, è membro della confraternita sufi, al-Madaniyya, che sin dagli anni Settanta ha predicato la necessità di liberare le menti e i cuori dei musulmani dell’influsso negativo del colonialismo occidentale. Morou conoscerà Ghannouchi nel 1969. Cinque anni dopo daranno vita a un’associazione islamica, strutturata regionalmente con cellule sparse in tutto il territorio tunisino. L’associazione all’inizio opererà clandestinamente. Nel 1981 Murou e Ghannouchi decideranno di fondare il Movimento della Tendenza Islamica, uscendo allo scoperto, forti della rete organizzativa creata in precedenza e del prestigio come predicatore che, nel frattempo, Morou aveva acquisito. Si veda per questo periodo d’incubazione di al-Nahda R. McCarthy, Inside Tunisia’s al-Nahda, Cambridge: Cambridge University Press 2019 e A. Wolf, Political Islam in Tunisia, Oxford: Oxford University Press 2017.
[7] Tale parola entra a far parte de lessico politico del regime militare in Algeria dagli inizi degli anni Novanta ai primi anni del 2000 e sta a indicare la volontà politica di estirpare senza compromessi possibili la mala pianta del radicalismo jihadista.
[8] Sono state fatte stime più o meno attendibili dai servizi d’Intelligence americana e delle Nazioni Unite. Le cifre oscillano da un mino di 3,500 nel 2014° un massimo di centomila unità. L’International Centre for the Studies of Radicalization and Political Violence, una organizzazione no-profit, che ha sede presso il Dipartimento di Studi della guerra del King’s College di Londra, nel 2018 stimava una cifra di 35.000 combattenti, provenienti da 21 diversi Paesi. In testa, rispettivamente, la Russia (5.000) e la Tunisia (4.000). Dall’Unione Europea (in particolare, Germania, Gran Bretagna, Belgio e Francia) si erano arruolati circa 4.200 persone. In tale lista manca l’Italia. In uno studio dell’ISPI (Istituto per gli studi di politica internazionale) del novembre del 2017, si stima a 125 gli italiani e le italiane che si sarebbero uniti all’esercito di Daesh (https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/disfatta-isis-e-foreign-fighters-di-ritorno-il-caso-italiano-18575, ultimo accesso 12 giugno 2023)
[9] Sulla nozione di post-islamismo si veda A. Bayat, The Coming of a Post-Islamic Society, in “Critique: Critical Middle Eastern Studies”, 1996, n. 5: 43-52 e O. Roy, Avant-propos: Pouquoi le Post-Islamisme?, in “Revue du Monde Musulmane et de la Méditerranée, 1999, n. 85: 9-15.
[10] E. Pace, Le compromis historique en Italie ou comment sortir de la guerre des religions, in M. Nachi (ed.), Révolution et compromis, Tunis : Nirvana 2017: 55-67.
[11] Si veda A. Zghal, Révolution tunisienne : compromis historique et citoyenneté politique, Tunis : Arabesque 2015. Un giovane studioso marocchino ha, inoltre, pubblicato la sua tesi di dottorato in scienze politiche, discussa all’Università di Bordeaux sulla comparazione tra la Democrazia cristiana e al-Nahda: B. Karbi, L’islam politique en Tunisie, Paris: L’Harmattan 2022.
[12] Un’idea questa che sarà chiaramente affermata nel testo della nuova Costituzione dell’agosto 2022 (19 muharram 1444) e che sarà ripresa da Saied nel febbraio di quest’anno in un discorso appassionato pronunciato davanti al Consiglio di sicurezza tunisino, quando l’attuale Presidente ha parlato di un rischio di sostituzione etnica a causa della massiccia migrazione subsahariana, che snaturerebbe l’identità araba e musulmana della nazione tunisina.Una battuta allarmata l’ha dedicata, come prova di quanto detto, anche alla diffusione di chiese cristiane in tutto il Maghreb. Idee e considerazioni queste non nuove: in Francia da qualche anno sono sostenute, tra gli altri, dallo scrittore e saggista Renaud Camus, autore de Le grande remplancement, Paris, La Nouvelle Librairie 2021 e dal politico Eric Zemmour, fondatore nel 2021 del partito La Reconquête, che ha ottenuto alle ultime elezioni presidenziali un non esaltante 7,7% di voti. 
[13] Non scaldano più i cuori e agitano le menti le ideologie che avevano sostenuto lo slancio dei movimenti d’indipendenza anti-coloniale. Né il panarabismo né il socialismo né più di tanto l’islam politico e nemmeno il jihadismo, dopo le pessime prove  offerte da quest’ultima utopia o escatologia politica. Si veda, a tal proposito, R. Guolo, L’ultima utopia, Milano: Guerini e Associati 2015.
[14] Questa frase fa parte di un’antologia di discorsi di R. Ghannouchi, raccolta e curata da A. Boehm, Rachid Ghannouchi Thought’s and Career, Washington D.C., Wilson Center 2022 (https://www.wilsoncenter.org)

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Enzo Pace, è stato professore ordinario di sociologia e sociologia delle religioni all’Università di Padova. Directeur d’études invité all’EHESS (Parigi), è stato Presidente dell’International Society for the Sociology of Religion (ISSR). Ha istituito e diretto il Master sugli studi sull’islam europeo e ha tenuto il corso Islam and Human Rights all’European Master’s Programme in Human Rights and Democratisation.  Ha tenuto corsi nell’ambito del programma Erasmus Teaching Staff Mobility presso le Università di Eskishehir (Turchia) (2010 e 2012), Porto (2009), Complutense di Madrid (2008), Jagiellonia di Cracovia (2007). Collabora con le riviste Archives de Sciences Sociales des Religions, Social Compass, Socijalna Ekologija, Horizontes Antropologicos, Religiologiques e Religioni & Società. Co-editor della Annual review of the Socioklogy of Religion, edito dalla Brill, Leiden-Boston, è autore di numerosi studi. Tra le recenti pubblicazioni si segnalano: Cristianesimo extra-large (EDB, 2018) e Introduzione alla sociologia delle religioni (Carocci, 2021, nuova edizione).

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