di Lorenzo Mercurio
I riti che culminano con l’esplosione festiva della giornata di Pasqua rimangono tra i più iconici del panorama siciliano, soprattutto per l’intervento attivo dei protagonisti della domenica pasquale: i Diavoli e la Morte, le cui maschere sono diventate un elemento di riconoscimento, in Sicilia e fuori.
A Prizzi il rito mostra notevoli elementi leggibili da un’ottica prettamente etnografica e le trasformazioni introdotte nell’iter festivo per incentivare la presenza turistica, riescono a essere inclusi in un coerente universo di senso.
La giornata di festeggiamenti per la Pasqua ha inizio alle prime luci dell’alba nella sede della Pro Loco. Sta già avvenendo la vestizione di coloro che indosseranno le maschere dei Diavoli e della Morte: i Diavoli sono in due, vestiti di un tessuto di iuta rosso rubino; la Morte di un giallo ocra, con una maschera in cuoio che raffigura un teschio.
Le maschere dei Diavoli sono costituite da una lega metallica, probabilmente zinco, dipinte anch’esse di rosso. Hanno corna caprine o bovine sulla fronte e una pelle di montone nera o bianca che dalla testa va a coprire anche le spalle e la schiena di chi le indossa.
Il viso è costituito da due fori per gli occhi, un tozzo naso al centro e una bocca aperta, da cui fuoriuscivano i denti e la lingua. Un particolare, quello della bocca, che richiama alla mente la rappresentazione apotropaica del gorgòneion, un simbolo utilizzato come raffigurazione scultorea, pittorica o numismatica in numerosi contesti mediterranei di cultura ellenistica, e rappresenta la testa della gòrgone Medusa.
Le corna e il vello animale rinviano non solo allo stretto legame della maschera con l’ambito agropastorale, che è l’interpretazione più immediata, ma anche ad un suo possibile rapporto a distanza con i riti dionisiaci propri della cultura ellenistica, dove alcune delle figure principali erano costituite dai satiri, esseri dalle caratteristiche al contempo umane e bestiali che, inebriati dal consumo di vino, si lanciavano in danze sfrenate insieme alle Menadi.
I Diavoli di Prizzi si muovono in ambiente urbano, sovvertendo l’ordine consueto della civiltà e seminando un disordine che, nel giorno di Pasqua, diventa paradossalmente un ordine socialmente ricercato, accettato, partecipato.
L’attesa uscita a passo di danza dei Diavoli e della Morte dalla Pro Loco è accompagnata dal suono incessante di un tamburo, mentre la luce ancora fioca della mattina è resa ancor più cupa dal sopraggiungere della pioggia, che non avrebbe impedito in alcun modo lo svolgimento dell’iter festivo.
La meta dei Diavoli e della Morte, in questa prima fase della giornata, sono le abitazioni private di diversi cittadini di Prizzi, pronti ad accogliere con emozione la loro visita, offrendo doni di diversa natura a iniziare da somme di denaro per l’autofinanziamento della festa; e poi dolci, uova e vino. È il tripudio dell’abbondanza e dell’eccesso, la vittoria della vita, nella festa più importante dell’anno a Prizzi, una sorta di effettivo capodanno.
Bambini e bambine di tutto l’abitato, durante la mattinata, iniziano a scorrazzare per le strade vestiti da Diavoli e da Morte, domandando ‘na bona Pasqua ai passanti, ossia un’offerta in denaro.
Il paese è invaso da figure mascherate di ogni genere e età, dai 10 e i 50 anni, nell’atto di ballare per le vie al suono martellante dei tamburi o al ritmo della musica della banda e al rumore di piccole catene con cui i Diavoli, con le mani, colpiscono la propria machera all’altezza dello zigomo.
Muovendosi tra la folla i Diavoli in cerca di anime da trascinare simbolicamente con sé negli inferi, prendono di mira alcuni a cui chiedono un piccolo pegno per essere liberati.
Nel pomeriggio ha inizio il momento dell’‘u ‘Ncontru, tra i simulacri del Cristo Risorto e della Madonna. Cuore pulsante della festa, sarebbe stato replicato per sei volte, preceduto da cinque balli nei diversi quartieri del centro abitato.
A fatica il gruppo dei portatori e di membri della Pro Loco riesce a farsi strada tra la folla e tra le due vare, procedendo simultaneamente, i Diavoli e la Morte tentano di impedire l’incontro tra il Cristo e la Madonna, riuscendovi per due volte, dopo essersi inginocchiati davanti al Risorto.
Alla terza, i due Angeli, fermi centralmente ai lati della scena, alzano al cielo la punta delle proprie spade; al momento di massima vicinanza tra le due statue, atterrano definitivamente le figure infernali. Il velo nero della Madonna cade e scatta l’applauso liberatorio della folla, al grido “arriniscìu!” (“È riuscito!”) di qualcuno. Il bene ha trionfato, il male è stato sconfitto.
La Pasqua, che in questo caso appare sostanzialmente leggibile come una “epifania”, è finalmente compiuta. Il rito notifica la vittoria della luce sulle tenebre, della vita sulla morte.
Dialoghi Mediterranei, n. 62, luglio 2023
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Lorenzo Mercurio è antropologo culturale. Ha pubblicato il romanzo Una strada tra le onde nel 2016. A partire dal 2010 ha acquisito importanti esperienze nell’ambito della comunicazione visiva, grazie all’avvio di relazioni professionali con agenzie grafiche e di marketing. È fondatore di EsperienzaSicilia.it, con cui si prefigge la realizzazione di documentari su tutto il territorio siciliano, concentrandosi nello specifico sui beni culturali e ambientali dell’Isola. Sui Diavoli di Pasqua: https://youtu.be/g1PmKZmjrNE
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