Stampa Articolo

“Antropologia Pubblica”. Condividere per trasformare ai tempi dell’ “open access”

cover_issue_23_en_us-1di Mara Benadusi, Stefania Pontrandolfo 

La riflessione che qui proponiamo parte dal ruolo che negli anni abbiamo avuto – rispettivamente – nella direzione e nella gestione redazionale della rivista Antropologia Pubblica (AP). In quanto autrici che riflettono su una storia che le riguarda da vicino, faremo lo sforzo di rileggere la nostra esperienza per trarne considerazioni che non riguardino solo le specificità della rivista per cui lavoriamo, ma anche temi e problemi condivisi con altre testate simili, in Italia e fuori dall’Italia: riviste che, come AP, prendono sul serio il ruolo pubblico dell’antropologia o almeno provano a farlo. L’invito ricevuto dal Direttore di Dialoghi Mediterranei, del resto, seguiva proprio l’idea di convocare le riviste italiane di antropologia intorno a un confronto su opportunità e scommesse connesse alla presenza nello spazio pubblico del discorso antropologico.

Come molti lettori sanno, c’è un legame costitutivo tra la rivista Antropologia Pubblica e la Società Italiana di Antropologia Applicata (SIAA). AP quindi rientra nel nucleo delle riviste promosse dalle società scientifiche nel panorama antropologico italiano. Un richiamo iniziale a questa relazione tra associazione e rivista sembra dunque doveroso.

La Società Italiana di Antropologia Applicata nasce nel 2013 con la finalità di promuovere un uso sociale dei saperi e delle pratiche antropologiche nella sfera pubblica, riunendo antropologi ed antropologhe impegnati sia in ambiti accademici di ricerca e azione, sia in contesti applicativi e professionali fuori dall’università. Forse sarebbe più corretto dire che la SIAA, negli anni, ha attratto un numero crescente di colleghi e colleghe con gli stivali rocambolescamente infilati nelle due staffe: tra dentro e fuori l’accademia. D’altronde, l’idea che animava i suoi fondatori era quella di creare un contesto al cui interno si potesse stabilire un rapporto «proficuo, critico ma collaborativo» non solo con «le istituzioni e i gruppi responsabili delle decisioni e dei cambiamenti programmati nella vita sociale e culturale» (Colajanni 2015: 3), ma anche con collettivi, associazioni e ambiti professionali che perseguissero finalità di inclusione socio-economica nei territori o che fossero coinvolti in azioni di contrasto alla povertà e di mitigazione della sofferenza sociale.

Fin dai sui primordi quindi la SIAA ha scommesso su un impiego propulsivo delle conoscenze e pratiche antropologiche in direzione di un rinnovamento profondo della cultura pubblica, istituzionale e politica nazionale. Grazie al confronto, alla formazione continua, alla riflessione e all’aggiornamento delle proprie prassi di ricerca e coordinate teoriche, facendo leva su modalità di intervento politico-istituzionale sperimentate negli anni dai suoi soci e dalle sue socie, la SIAA ha cercato di favorire un’antropologia indirizzata al cambiamento trasformativo: un’antropologia capace di rispondere alle sfide attuali senza rinunciare – ma anzi dando pieno vigore – alla profondità etnografica e storico-sociale che caratterizza la disciplina oggi.

La rivista Antropologia Pubblica, lanciata dalla SIAA nel 2015, risponde appieno a questa sfida perché si fa volano e condotto della sua espressione e promozione nello spazio pubblico, con l’esplicito intento di favorire la costruzione, la circolazione e il consolidamento di saperi e pratiche che dialoghino attivamente con la società e i territori. La rivista ha certamente contribuito, in questi anni, alla formazione di una comunità scientifica e professionale (Altin 2020) che si riconosce oggi nell’intento e nella prassi di produrre un sapere antropologico strettamente ancorato a un fare e a un darsi nello spazio pubblico, anche grazie alla facile reperibilità delle sue pubblicazioni, tutte disponibili in open access

cover_issue_11_en_usL’impegno della rivista è stato sin dal principio, e continua ad essere a distanza di otto anni, quello di un’antropologia che possa essere utile nell’analisi, nella pianificazione e nella realizzazione di interventi con intenti trasformativi, oltre che nella valutazione di processi decisionali basati su logiche di mutualismo o nell’implementazione di pratiche professionali che si pongano il problema dell’impatto che producono nei contesti di intervento. Tutto ciò implica un uso non strumentale della conoscenza antropologica: un uso, insomma, che non si pieghi a forme di semplificazione, essenzializzazione o esotizzazione di metodi, saperi e pratiche disciplinari. Come sottolineava Colajanni nell’editoriale del primo numero di Antropologia Pubblica, «è chiaro che tutto si gioca, in termini di qualità, sulla capacità di mantenere intenso, rigoroso e qualificato il sapere prodotto» (Colajanni 2015: 3). Ma il tutto si gioca anche, aggiungiamo noi, nella proposta di un’antropologia che non abbia il timore di “sporcarsi le mani”, di mettere metodi, prospettive teoriche, approcci intellettuali, forme concettuali costantemente alla prova del reale in tutta la sua equivocità, come sottolineato, riprendendo un concetto di Viveiros de Castro, da Mara Benadusi in uno degli ultimi editoriali della rivista (2022).

Affrontare con piglio innovativo un «modo di fare antropologia, un metodo, una scelta di oggetti di studio, caratterizzati da una propensione verso il rapporto stretto tra il sapere e il fare, tra la conoscenza antropologica e la sua possibile efficacia all’interno di azioni di cambiamento sociale» (Colajanni 2015: 3) resta il principio ispiratore della rivista. Siamo ancora convinti, infatti, che sulla base di una appropriata competenza, «con fermezza, forza argomentativa e capacità di comunicazione» (ibidem) – si possa esercitare influenza sulle decisioni e sulle politiche che riguardano il sociale. Per questo la rivista ha scelto di prendere sul serio le risposte del grande pubblico su molte questioni legate alla contemporaneità, per sottolineare le sue obbligazioni verso temi e problemi che non riguardano solo un gruppo settoriale di ricercatori impegnati, ma la totalità dei cittadini.

Per fare solo qualche esempio, attingendo dalle tematiche che abbiamo trattato nei diversi Dossier di AP, la rivista si è occupata di cooperazione e sviluppo, di gestione delle emergenze e dei disastri, di molteplici nodi connessi alle migrazioni internazionali e alla mobilità, di  difficoltà  e insidie legate alla  programmazione  e  pianificazione  urbana (partecipata e non), di rinnovamento della  formazione  scolare e professionale, di pratiche e progettualità di ripensamento della salute pubblica fuori dai riduzionismi biomedici. Si è occupata anche di varie criticità connesse all’epoca in cui viviamo, come dell’analisi e gestione dei rapporti interspecie ai tempi dell’antropocene, del contrasto all’odio nella comunicazione pubblica, del public engagement dell’antropologia e delle altre scienze sociali in una università sempre più ossessionata da pratiche di valutazione standardizzate. Insomma, l’aggettivo “pubblica” enfatizza per noi un impegno verso la collettività che parte da una selezione attenta non solo di temi e problemi, ma anche dei modi più adatti per trattarli.

Una delle caratteristiche di AP, infatti, sin dai suoi esordi, è stata la ferma volontà di pubblicare risultati di ricerche rigorose in sezioni sottoposte a double blind peer review [1], senza rinunciare però a forme di sperimentazione scritturale, visuale, etnografica che spesso si danno nello spazio pubblico. Dal 17 settembre 2022, Antropologia Pubblica è stata inclusa tra le riviste di Classe A per il settore scientifico disciplinare M-DEA/01 [2], ma non ha modificato il taglio ibrido che l’ha contraddistinta dalla nascita. AP vuole rimanere uno spazio di intercettazione dove accogliere scritti e forme di restituzione non necessariamente allineati con i linguaggi considerati più canonici nel mondo delle riviste scientifiche. Pubblica, è vero, nel primo numero di ogni annualità, una sezione monografica denominata Dossier e, nel secondo numero, una sezione Miscellanea, al cui interno confluiscono articoli di ricerca (sempre referati in doppio cieco) caratterizzati dalla presentazione di lavori con un respiro pubblico e/o applicativo ma che si impegnano in un dialogo serrato tra dati etnografici e teorie antropologiche.

cover_issue_18_en_usAllo stesso tempo, però, la Redazione tiene molto a una sezione della rivista, Rapporti di ricerca (anche questi sottoposti a referaggio esterno) dove si pubblicano resoconti di progetti (conclusi o in fieri) che hanno una struttura molto diversa dagli articoli: meno protesi a un dialogo serrato con la teoria, maggiormente legati alla presentazione e discussione di esperienze progettuali o professionali specifiche, e quindi anche all’operatività, alle tempistiche e alle modalità comunicative di progetti e interventi di impronta marcatamente applicativa o consulenziale (Piasere 2017).

Come già sottolineato, la stella polare dell’identità di AP orienta al dialogo e all’apertura in chiave di contaminazione tra pratiche e saperi, per cui in ogni numero facciamo sempre lo sforzo di bilanciare risultati di ricerca metodologicamente e teoricamente corposi e cantieri in cui poter riflettere criticamente su posizionamenti, esperienze e occasioni di confronto (anche con nuove forme e modalità espressive) che non troverebbero facile collocazione in riviste accademiche più tradizionali, pur mantenendo una forte connessione con i saperi disciplinari di riferimento. Una caratteristica irrinunciabile di AP è proprio l’attenzione costante verso quegli spazi e forme di restituzione che lasciano fluire idee e dialoghi in modalità meno standardizzate e meno condizionate dai criteri di valutazione dell’ANVUR: contributi che rischiano di trovare sempre meno ospitalità nelle riviste di antropologia (Dei 2023) e che invece AP non solo continua ad accogliere ma prova a legittimare nel loro diverso statuto epistemologico. 

Pensiamo, ad esempio, alla sezione Forum, dove finora si sono manifestate in modo evidente la vivacità e la vitalità dell’antropologia italiana nelle sue declinazioni di sapere pubblico. I Forum di AP ospitano dibattiti che coinvolgono antropologi e antropologhe ma anche vari altri professionisti, portatori di interesse, parti sociali, insomma tutta una serie di interlocutori con cui ci interfacciamo nelle nostre ricerche e pratiche professionali, sempre su tematiche di pubblico interesse. Quello che emerge da questi Forum è la capacità di intercettare prospettive diverse, tanto convergenze quanto disallineamenti dei punti di vista, che insieme stimolano i lettori a riflettere sui propri posizionamenti e a porsi nuove domande. Non a caso il Forum è l’unica sezione che si protrae nei due numeri annuali della rivista: alle proposte dei primi interventi nel primo numero dell’anno seguono risposte e rilanci del dibattito del secondo numero. Tra le tematiche che sono state affrontate finora nei Forum di AP ricordiamo i dibattiti sul ruolo degli antropologi professionali nei contesti dell’accoglienza migranti; sulla tensione tra “tecniche di mercato” e “pratiche politiche” in progetti applicati; sui significati dell’antropologia alle prese con gli usi sociali delle sue conoscenze nell’Italia contemporanea; sull’interfacciarsi dell’antropologia con metodi, linguaggi e pratiche non accademiche nella comprensione delle rotte migratorie; sulla precarizzazione delle sfere della vita nel lavoro accademico e nella professionalizzazione dell’antropologia.

La sezione Confronti è un altro spazio dedicato esplicitamente allo scambio di idee e opinioni tramite interventi su temi di attualità, o tramite conversazioni che esplorano la riflessività professionale di antropologi impegnati in vari campi di intervento. A chi contribuisce a questa sezione, infatti, si chiede di «discutere retrospettivamente le [loro] esperienze professionali con l’intento di analizzare le sfide, ma anche le diverse ricadute operative del sapere antropologico nella società» (Riccio 2017: 3). Perfino in una sezione più canonica come quella dedicata alle Recensioni (consueta in una rivista scientifica) proviamo a portare l’identità di AP privilegiando – sia nella scelta dei volumi da recensire, sia nelle riflessioni che da questi scaturiscono – la prospettiva pubblica e/o applicativa dei lavori presentati ai lettori, ancora una volta con i loro punti di forza e con le loro criticità.

mini_magick20220128-11914-1wy4dbmInoltre, a partire dal 2021 AP ha inaugurato una nuova sezione, Pratiche visuali, che si propone di «riflettere teoricamente sulla ‘visualità’, ma anche [di] creare un contesto capace di accogliere indagini multimodali che contribuiscano in modo significativo a una riflessione antropologicamente orientata sulla contemporaneità» (Scardozzi 2021: 2). Se nelle prime pubblicazioni di questa sezione sono confluiti i lavori dei vincitori del Premio fotografico della SIAA, corredati dalle dovute presentazioni e riflessioni, a partire dal numero 2 del 2023 la sezione ospiterà contributi di antropologi e antropologhe che propongono i loro progetti visuali anche indipendentemente dal Premio fotografico SIAA: lavori che si reggono su un imbricamento creativo e propulsivo (in chiave di produzione di nuove conoscenze) tra parole e immagini.

Un’altra caratteristica peculiare di Antropologia Pubblica è, a nostro avviso, la capacità che ha avuto nel tempo da una parte di mantenere un dialogo costante con l’associazione di riferimento, la SIAA, dall’altra di saper coinvolgere un numero sempre più ampio e vario di produttori e lettori dei contenuti della rivista attraverso un consapevole e costante lavoro di sollecitazione da parte della Redazione. Il legame con la SIAA resta forte e vitale nella pubblicazione, in ogni numero della rivista, delle conferenze tenute dai keynote speakers dei convegni annuali della SIAA (nella sezione Lectio magistralis), ma anche nella derivazione di alcune delle sue sezioni tematiche da panel organizzati nei convegni stessi oppure nell’attivazione di sezioni che – al bisogno – ospitano riflessioni promosse dall’associazione, come la sezione In memoriam (che nel numero 2 del 22 è stata dedicata al ricordo del vincitore del Premio alla carriera della SIAA del 2020, Patrizio Warren). Fermo restando che esiste questa continuità con la vita associativa, è stato però grande in questi anni lo sforzo di allargare sempre più il dialogo con il variegato mondo dell’antropologia in Italia e fuori dall’Italia, per esempio attraverso la prassi ormai consolidata di lanciare delle call aperte sia per i Dossier monografici che per i Forum; una prassi che ci sembra stia richiamando un numero crescente di autori che pubblicano in lingue diverse (italiano, inglese, francese, spagnolo) e che non necessariamente gravitano nel circuito della SIAA e forse proprio per questo contribuiscono a vivacizzarlo con prospettive e sensibilità sempre nuove.

In effetti, Antropologia Pubblica è riuscita a realizzare nel tempo l’obiettivo del mantenimento e rafforzamento della propria identità attraverso un processo continuo di ristrutturazione interna e apertura verso l’esterno. Sul fronte interno vale la pena menzionare: l’aumento graduale del numero dei componenti del comitato di redazione; l’alternanza di vecchi e nuovi membri della Redazione, a seguito di periodi di affiancamento che permettono la trasmissione e il mantenimento di una memoria comune, oltre che il rinnovamento costante della motivazione derivante dalla nostra identità di fondo; la scelta mirata di persone che vengano sia dal mondo universitario che da quello extra-universitario; una suddivisione dei ruoli redazionali che crei collaborazione pur nella ripartizione delle responsabilità in funzione della pluralità degli suoi spazi editoriali; un coinvolgimento sempre più attivo del Comitato scientifico e dei soci della SIAA nella vita della rivista, come testimonia l’organizzazione periodica da parte di AP di Tavole Rotonde nei convegni annuali dell’associazione.

Sul fronte esterno, con il crescere del bacino dei nostri autori abbiamo attivato un coinvolgimento sempre più ampio di revisori (a livello nazionale e internazionale) e avviato dialoghi continuativi con altre riviste che condividono intenti programmatici simili ai nostri, promuovendo confronti che ora stanno trovando spazio anche all’interno della rivista.

pa42-4coverDurante la Tavola Rotonda Re-Theorising Contemporary Public Space: Cut-Distance Between in Anthropology Journals, organizzata da AP nell’ambito del IX Convegno della SIAA, nel 2021, abbiamo invitato quattro riviste internazionali scelte per il loro taglio pubblico e/o applicativo: due riviste statunitensi, Human Organization e Practicing Anthropology, e due riviste messicane, Desacatos e Alteridades. Nella sezione Confronti del n. 1 del 2023 di AP, questo dialogo è continuato proficuamente, offrendo l’opportunità di riflettere sul modo in cui le diverse riviste interpretano il loro pubblico impegno in un mondo in rapida trasformazione e di fronte a sfide che si fanno sempre più impellenti e radicate: crisi ecologiche, pandemie, nuove ineguaglianze, migrazioni, ecc. (Tallé 2023).

La Redazione di Dialoghi Mediterranei, che condivide con AP la passione per la contemporaneità e l’attenzione per gli spazi di libertà espressiva (Inglese 2023), ci sembra mossa da intenti simili nel momento stesso in cui ha scelto di dar vita a un’occasione di confronto e autoriflessione come questa, in cui le riviste italiane possano esprimersi sul ruolo pubblico della disciplina. Nel numero precedente di Dialoghi Mediterranei Fabio Dei (2023) proponeva un tavolo di discussione per condividere le strategie redazionali adottate dalle singole riviste, gli stili di gestione dei processi di peer review e il trattamento di contenuti scritti in lingue diverse dall’italiano, oppure il senso del lavoro volontario nelle redazioni. Una proposta che AP trova stimolante, anche per discutere delle opportunità legate all’open access, che a noi sembra un ingrediente fondamentale per confrontarsi con le sfide di un’antropologia potenzialmente accessibile al largo pubblico.

cover_issue_62_es_esD’altronde, molte delle riviste che afferiscono alle società di antropologia in Italia (riviste come Antropologia Pubblica, Antropologia Medica, Anuac, ecc.) ci sembra stiano muovendosi in controtendenza rispetto alle riviste di altre società scientifiche fuori dal Paese. Le società accademiche, infatti, hanno spesso un interesse nel rendere la conoscenza che i loro membri producono accessibile a un’ampia gamma di pubblici. Ma, come notava Paolo Mangiafico (2018), molte società dipendono dai proventi degli abbonamenti delle pubblicazioni che sponsorizzano, insieme alle quote associative e alle quote delle conferenze, per sostenere le proprie attività organizzative. Quindi, anche se negli ultimi anni varie testate antropologiche hanno iniziato a promuovere modelli di pubblicazione open access, proprio le società accademiche (pensiamo alla American Anthropological Association, tanto per fare un esempio) sono state più riluttanti ad abbracciare una simile politica, evidentemente rischiosa per i modelli di business che le supportano. Da noi invece la maggior parte delle società scientifiche legate all’antropologia hanno precorso i tempi optando per l’open access. Un dato che potrebbe indicare un posizionamento critico (per AP è stato sicuramente così) rispetto a una tendenza globale verso la managerializzazione della vita associativa e della produzione e divulgazione scientifica.

Tuttavia, bisogna ricordare che l’open access non significa necessariamente “senza scopo di lucro”. Parecchie riviste internazionali che ricorrono all’open access fanno, infatti, affidamento alle spese di elaborazione degli articoli (per esempio attraverso la politica del Gold Open Access), che gravano su chi scrive e sui centri di ricerca di cui fanno parte gli autori delle pubblicazioni. L’accesso aperto senza contributi è all’orizzonte ma la strada che conduce a una sua piena realizzazione in certi contesti è ancora costellata di insidie, specialmente per le società scientifiche perché – è sempre Mangiafico a notarlo (ibidem) – bisogna tenere in conto di due rischi: gli interessi legati ai grandi gestori di open data e di infrastrutture aperte e il fatto che «decisioni prese oggi sull’accesso ai contenuti possono comportare dipendenze di percorso in altre aree» (ibidem), soprattutto per realtà che non riescono a sostenere i ritmi  del lavoro volontario all’aumentare della pressione del publish or perish. Insomma, i dilemmi sull’uso dell’open access non sono pochi (Jackson, Anderson 2014) e siamo d’accordo con Fabio Dei che meriterebbero di essere soppesati in un confronto trasversale tra riviste.

cover_issue_12_en_usCrediamo però che proprio la fedeltà all’identità iniziale che ci siamo dati come rivista costituisca, da questo punto di vista, uno dei punti di forza di Antropologia Pubblica. Ci riferiamo al fatto di occupare uno spazio particolare nel panorama delle riviste italiane di antropologia. Ci collochiamo infatti esplicitamente a cavallo tra il dentro e il fuori l’accademia; siamo quindi abituati a procedere lungo un crinale in cui «dicotomie ambigue quali quelle tra sapere professionale/critico o strumentale/riflessivo» (Dei 2007: 6) difficilmente trovano ragion d’essere. Coinvolgiamo un ampio pubblico di autori e lettori, molti antropologi e antropologhe che lavorano come professionisti in diversi ambiti (nelle istituzioni, nei servizi, nel terzo settore, alcuni nel mondo dell’impresa), ma anche lettori (interessati ad approcci che combinino saperi e prassi della progettazione sociale) che possono trasformarsi di fatto in qualsiasi momento da fruitori a produttori di contenuti per la rivista. Per questo AP ha assunto una forma che le ha permesso di superare – almeno in parte – le «difficoltà che l’antropologia culturale incontra nel rapportarsi con la ‘conversazione’ della sfera pubblica»; difficoltà che Dei richiamava in un numero monografico di Sociologica in cui si discuteva proprio del ruolo pubblico delle scienze sociali (ibidem: 1). Certo, il panorama delle riviste italiane di antropologia è ancora frammentato e per lo più dislocato su spazi editoriali minori a livello nazionale, ma grazie allo spirito collaborativo e all’impegno della sua Redazione, AP ci sembra ben attrezzata per superare le angustie di spazi di discorso specialistico che rischiano di apparire asfittici. 

Dialoghi Mediterranei, n. 62, luglio 2023
Note
[1] Nonostante le molte imperfezioni e la chiara discutibilità, la revisione tra pari continua a costituire il metodo maggiormente sperimentato e usato dalle riviste per garantire un certo livello di qualità dei contenuti, per il suo carattere processuale, plurale e condiviso dalla comunità di studiosi.
[2] Per il settore concorsuale 11/A5 Scienze Demoetnoantropologiche e il settore scientifico disciplinare M-DEA/01 Discipline Demoetnoantropologiche. 
Riferimenti bibliografici
Altin, R. 2020, Editoriale, Antropologia Pubblica, 6 (2): 3-4, https://riviste-clueb.online/index.php/anpub/article/view/183/297
Benadusi, M. 2022, Equivoci controllati. Nuove rotte dell’antropologia pubblica dentro e fuori l’accademia, Antropologia Pubblica, 8 (1): 1-5, https://riviste-clueb.online/index.php/anpub/article/view/244/415
Colajanni, A. 2015, Editoriale, Antropologia Pubblica, 1 (1-2): 3-5, https://riviste-clueb.online/index.php/anpub/article/view/111/161
Dei, F. 2023, Le riviste di antropologia culturale in Italia: problemi e prospettive, Dialoghi Mediterranei, 61, https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/le-riviste-di-antropologia-culturale-in-italia-problemi-e-prospettive/
Dei, F. 2007, Sull’uso pubblico delle scienze sociali, dal punto di vista dell’antropologia, Sociologica, 2: 1-15, https://www.rivisteweb.it/download/article/10.2383/24761
Jackson, J.B., Anderson, R. 2014, Anthropology and Open Access, Cultural Anthropology, 29 (2): 236-263, https://journal.culanth.org/index.php/ca/article/view/ca29.2.04
Inglese, D. 2023, Un archivio di storie. Per i dieci anni di “Dialoghi Mediterranei”, Dialoghi Mediterranei, 61, https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/un-archivio-di-storie-per-i-dieci-anni-di-dialoghi-mediterranei/
Mangiafico, P. 2018, Understanding and Mitigating the Risks of Open Access for Scholarly Societies, Triangle Scholarly Communication Institute, posted on July 26 2018, https://trianglesci.org/2018/07/26/understanding-and-mitigating-the-risks-of-open-access-for-scholarly-societies/
Piasere, L. 2017, Editoriale, Antropologia Pubblica, 3 (2): 3, https://riviste-clueb.online/index.php/anpub/article/view/108/157
Riccio, B. 2017, Editoriale, Antropologia Pubblica, 3 (1): 3, https://riviste-clueb.online/index.php/anpub/article/view/93/127
Scardozzi, C. 2021, Antropologia pubblica e ricerca visuale, Antropologia Pubblica, 7 (1): 232-243, https://riviste-clueb.online/index.php/anpub/article/view/243/413
Tallé, C. (a cura di) 2023 (in stampa), Re-Theorising Contemporary Public Space: Cut-Distance Between in Anthropology Journals. Antropologia Pubblica meets three American journals / Re-teorizar el espacio público contemporáneo: reducir las distancias ‘en el medio’ en las revistas de antropología. Antropologia Pubblica reúne a tres revistas americanas, Antropologia Pubblica, 9 (1).

______________________________________________________________

Mara Benadusi è professoressa associata di Antropologia presso l’Università di Catania, nel Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali, e Direttrice della rivista Antropologia Pubblica. È stata Presidente della Società Italiana di Antropologia Applicata dal 2018 al 2020. Attualmente coordina presso l’Università di Catania il consorzio dottorale Marie Curie dal titolo “The Anthropology of Global Climate Urgency” e diversi progetti di ricerca che si fondano sull’uso sociale dell’antropologia e sulla ricerca-azione di taglio trasformativo, tra cui: “reCITY. Resilient City, Everyday Revolutions”; “BioTraCes. Biodiversity and Transformative Change for plural and nature-positive societies”; “REVERSE. Responsible research, VERSatile Knowledge, Enviromental futures in action”. Negli anni ha fatto ricerca in diversi campi di intervento in cui saperi e pratiche dell’antropologia sono centrali: scuola ed educazione; politiche di sviluppo e umanitarismo; mitigazione di rischi e disastri e governo della crisi ambientale e climatica. Tra le sue pubblicazioni più recenti: La caduta. Antropologia dei tempi inquieti (EditPress 2023, in corso di pubblicazione); Tardo industrialismo: Energia, ambiente e nuovi immaginari di sviluppo in Sicilia (Meltemi 2021); Si putìssi. Riappropriazione, gestione e recupero dei territori siciliani (EditPress 2021). Per Antropologia Pubblica ha curato due Dossier monografici: Antropologia dei disastri. Ricerca, attivismo, applicazione (2015) e L’antropologia nella Terza Missione. Accademia, public engagement e scienze sociali (2022, con Roberta Altin). 
Stefania Pontrandolfo è professoressa associata per il settore M-DEA/01 e direttrice del CREAa (Centro di Ricerche Etnografiche e di Antropologia applicata “Francesca Cappelletto”) presso l’Università degli Studi di Verona. È attualmente caporedattrice di Antropologia Pubblica, rivista della Società Italiana di Antropologia Applicata (SIAA). Ha partecipato a progetti di ricerca internazionali (The immigration of Romanian Roma to Western Europe: Causes, effects, and future engagement strategies – MigRom; Re-imagining Development for Mobile and Marginalised Peoples – ReDeMP) e coordinato progetti di ricerca nazionali e internazionali (Antiziganismo contemporaneo nei dispositivi normativi locali italiani con UNAR e Formez; Early Marriage between Dynamism of Social Network and Legal Autonomy: The case of transnational Romanian Roma – NetRom). È autrice di diverse pubblicazioni, tra cui La dissolution identitaire d’une communauté rom. Ethnographie d’une disparition (Paris, L’Harmattan, 2013); Rom dell’Italia meridionale (Roma, CISU, 2013); “Romanian Roma migration to Italy: improving the capacity to aspire” (in Leggio, Matras (eds.) Oxon, Routledge, 2018); con Eva Rizzin “La produzione dell’antiziganismo nei discorsi dei politici dell’Italia contemporanea” (in Antropologia Pubblica, 2020, 6 (1): 85-108); con Marco Solimene “La rencontre d’abord. Contributions d’une anthropologie romanès à l’anthropologie générale” (in Ethnologie française, 2021, 51 (3): 641-651).

______________________________________________________________

 
Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Letture. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>