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L’inclusione e il prendersi cura. La lezione di Lorenzo Milani e le attuali distorsioni dell’istituzione scolastica

blog-dl-5di Valeria Dell’Orzo 

Insegnare è un mestiere strano, ciò che impari ogni giorno è la necessità, coincidente con la ricchissima possibilità del docente di adattarsi, in un continuo movimento, alla quantità di vite che incontra, accogliendole ognuna nell’unicità che le identifica, con fragilità e corazze personali e col falso mito di insormontabili limiti. L’insegnamento è un percorso corale, inscindibile dal continuo rapporto di scambio tra le parti coinvolte, compiuto ascoltando, osservando, interrogandosi e sperimentando, volta per volta, il codice più adatto a far schiudere da ciascun allievo il proprio meglio, quel seme futuro che continuerà a germogliare e a crescere quando sarà lontano dai banchi di scuola, sperando che sia intento, col proprio percorso, a fare del mondo quel posto capace di svilupparsi nel rispetto dell’altro, riconoscendo a ciascuno un potenziale imprescindibile, un io irripetibile e irriducibile.

Eppure l’istituzione scolastica, distante da molti docenti così come dagli allievi e travestita di norme di pregevoli proposizioni inclusive, si esprime ancora in rigurgiti malcelati di un sistema sostanzialmente escludente e classista. La pioggia di strumenti, previsti e messi quotidianamente in atto nelle classi, non prescinde dal meccanismo del marchio dell’élite che separa alcune scuole da tutte le altre, o dall’esteso avviamento al lavoro quale parte integrante, e per alcuni momenti sostitutiva, dello studio, favorendo quell’impari preparazione alla vita futura che vuole ogni allievo quale agente del produrre.

L’estensione del diritto scolastico ha certo permesso la formazione di classi variegate, poliglotte e multiculturali, ha visto il coesistere dei ceti più agiati e di coloro che cercano ancora un equilibrio sugli affanni della sopravvivenza, ha favorito il confronto quotidiano con tutte quelle abilità differenti che per lungo tempo sono state esiliate al di fuori dell’istruzione o marginalizzate in classi speciali. Eppure questa ricchezza che oggi ci si offre, stenta a trasformarsi nella progettazione possibile di un futuro di opportunità paritarie.

Ripensare all’illuminante sperimentazione scolastica di Don Milani, tanto richiamato nella teoria pedagogica e così poco ascoltato nella concreta politica ministeriale, consente di seguire quello slancio di necessaria, oltre che etica, inclusione. Le classi sono oggi aperte a tutti, sono state abbattute molte delle segregazioni che per lungo tempo hanno afflitto lo sviluppo del singolo e della comunità, ma in alcuni sfortunati casi sono state camuffate con riduzioni sommarie delle richieste, un abbassamento degli obiettivi per consentire il mantenimento dei tempi stabiliti dagli iter della formazione scolastica, più che a garantire il rispetto dei tempi e delle condizioni del singolo.

La storia della pedagogia è segnata da pensieri visionari nella loro semplice lucidità e da fasi di profonda discesa nella sua profonda funzione etica e sociale. La scuola, fatta di giovinezza desiderosa di scoprire, sperimentare, rivoluzionare e rigenerare, non può sottrarsi alle necessarie osservazioni di coloro che intendono guardare al mondo, di oggi, del passato e del domani, come a una realtà viva, in continuo divenire e costruire. Ebbene, questo spazio di cultura e crescita rappresenta spesso, tristemente, l’immagine riflessa di politiche socio-egemoniche umanamente miserrime, lasciando scorgere, senza troppo mistero, le possibili evoluzioni (ovvero involuzioni) di una realtà futura ancorata a logiche escludenti e limitanti.

Uno degli aspetti fondamentali dei sistemi di convivenza è costituito dall’insieme delle pratiche, delle teorie e delle forme di realizzazione dell’insegnamento verso i più giovani componenti della società. Tale realtà si rivela imprescindibile per la sopravvivenza dell’intera comunità, pur riflettendo i meccanismi dell’egemonia interna e delle derive globali. Nella storia sono state differenti le riflessioni sul ruolo dell’insegnamento nella vita sociale e sul valore della cultura, e dunque su quegli aspetti – patrimoni di idee, memorie e saperi – che vengono selezionati con lo scopo di essere tramandati alle generazioni future; la società adulta, con particolare riferimento a quella egemone, ha spesso messo in atto logiche escludenti, classiste, vessatorie e dunque limitanti per la collettività, nella presuntuosa e arrogante ambizione di mantenere, generazione dopo generazione, una condizione di privilegio che la separasse dal resto della società.

Don Milani e la Scuola di Barbiana

Don Milani e la Scuola di Barbiana

Tra le rivoluzioni del mondo moderno più incisive nel campo dell’istruzione, l’azione di Don Milani ha senza alcun dubbio segnato il nascere, e il diffondersi, di una nuova prospettiva pedagogica, di nuovi orizzonti didattici. È una scuola che secondo il buon senso, insito in un sano e umano spirito di solidale cittadinanza, si prefigge di non lasciare nessuno indietro, di adattarsi secondo quel fondamentale accudimento che i giovani necessitano per diventare adulti, formati nella cultura, nell’etica e nell’operosità collettiva.

Per accompagnare la crescita delle competenze e delle conoscenze del singolo è prioritario, secondo la logica di Don Milani, che chiunque possa padroneggiare la lingua, veicolo di dialogo, confronto, strumento di lotta per la difesa dei propri diritti, mirabile prodigio di emancipazione. Nel mondo globalizzato di oggi, nel multiculturalismo che connota molte scuole, la necessità di padroneggiare la lingua si fa ancora più evidente e, se da una parte tale diritto, quello appunto di potere conoscere la lingua per inserirsi nella comunità e per portare avanti con profitto e autonomia i propri studi, è garantito dall’offerta di corsi di lingua L2, diversificati secondo il livello maturato da ogni allievo, e dalla possibilità di redigere un Piano Didattico Personalizzato[1], mirato a garantire allo studente che, in quel momento e per lo specifico contesto che si trova a vivere, presenta dei bisogni educativi speciali, dall’altra parte il buon senso dei singoli docenti è chiamato a fare il resto, non solo nell’applicazione meccanica di quanto stabilito dal documento, sia questo un PdP o un Piano Educativo Individualizzato [2], ma soprattutto nella plasticità di riformularlo, riadattarlo, rimodularlo al ridursi o al mutare delle difficoltà di partenza, affinché il giovane raggiunga quel grado di autonomia che, ancor più delle mere nozioni, gli consentirà una consapevole azione in società.

È proprio sul concetto di emancipazione che si soffermano alcune delle riflessioni che hanno mosso l’attività socio-didattica di Don Milani; la ricerca dell’autonomia era infatti un obiettivo imprescindibile per quegli ultimi della società che il pedagogista intendeva sottrarre alla màcina della società egemone. È il 1954 quando, dopo l’esperienza della scuola popolare istituita nel 1947 in provincia di Prato, Don Milani dà il via alla ben più conosciuta scuola di Barbiana dalla quale prenderà forma, grazie a un lavoro di parola e dunque di scrittura collettiva, la sua denuncia alla realtà attuale, alle esclusioni, a una scuola fatta per alcuni ritagli della società e incapace di prendersi cura del ricco patrimonio umano conservato nelle culture popolari e orali storicamente neglette e disprezzate.

Quello che Don Milani recrimina, aprendo un verticale dialogo con l’illuminismo Rousseauniano, è l’ottundimento istituzionale, e di molti docenti intrisi del sistema vigente fino a quel momento, dello sguardo privilegiato sul singolo, l’incuria verso coloro che, in apparenza, non tengono il passo coi migliori, l’impreparazione della scuola del tempo di fronte alla necessità di fare delle relazioni umane la base sulla quale fare muovere i passi dell’indipendenza, creatrice e arricchente, di ogni allievo. 

«Uomini, siate umani, è il vostro primo dovere; siate umani verso tutte le condizioni, verso tutte le età, verso tutto ciò che non è estraneo all’uomo. Quale saggezza può mai esistere fuori dell’umanità? Amate l’infanzia; favoritene i giuochi, le gioie, le amabili inclinazioni» scrive ancor prima Rousseau, osservando il rapporto tra istruzione e società (Rousseau, 2016: 126). 
G. G. Rosseau

G. G. Rousseau

Eccellere, smania competitiva accentuata dall’estensione del diritto allo studio ai ceti che storicamente ne erano esclusi poiché destinati, e già avviati, ai lavori più duri, non deve essere un obbligo inflitto a coloro che non nascono all’interno dell’élite egemonica, come non deve esserlo per coloro che, privati dell’esclusivo accesso all’istruzione, vengono educati a un competere insano e svilente. Eccellere deve essere una possibilità offerta a tutti i discenti, nel rispetto delle potenzialità e della poliedrica espressività di ogni individuo.

Per stimolare la crescita culturale del singolo occorre che a lui sia offerto un dialogo, che si senta parte di una rete relazionale solida, intrecciata di collettivismo e non di individualismi conflittuali, occorre che tale dialogo sia uno strumento fruibile nella scioltezza di chi può padroneggiarne il codice, linguistico e rappresentativo. Troviamo nella prova empirica dell’istruzione aperta di Don Milani, gli antenati delle più diffuse metodologie contemporanee, dal peer to peer al peer tutoring, dalla classe capovolta al debate, volte a sviluppare l’indipendenza entro uno spazio di fiducia e arricchimento reciproco, scardinando con la collaborazione il rovinoso individualismo che alimenta le disparità sociali. 

«Si modificano le piante per mezzo della coltura, e gli uomini per mezzo dell’educazione. Se l’uomo nascesse grande e forte, la sua statura e la sua gagliardia gli sarebbero inutili sino a che non avesse imparato a servirsene; gli sarebbero di danno impedendo gli altri nel pensiero d’assisterlo; e, abbandonato a sé stesso, morrebbe di miseria innanzi di aver conosciuto i suoi bisogni. Ci si lamenta dello stato d’infanzia, e non si comprende che la razza umana sarebbe perita, se l’uomo non avesse cominciato dall’essere fanciullo» osserva lo sguardo attento di Jean-Jacques Rousseau (2016: 42). 

Come il filosofo illuminista, anche Don Milani ritiene che la società vada ricostruita a partire dall’istruzione delle generazioni future, che il giovane vada cresciuto distante da quelle logiche corrosive del mondo adulto, strutturato e fossilizzato in paradigmi di esclusione sociale e di discriminazione culturale. E per questo inventa e mette in pratica una scuola che occupa gran parte del tempo degli studenti per ogni giorno dell’anno, perché lo sviluppo della coscienza, autonoma, critica, consapevole, non può essere demandata a brevi intervalli temporali, circondati e soffocati da quell’ordine sociale gerarchicamente organizzato che si intende sovvertire; ne differisce lo sguardo in merito alla responsabilità affidata alla società adulta, agli insegnanti in prima battuta che non devono essere allontanati dagli studenti ma devono, invece, farsene carico, prendersene cura, in una prossimità sentimentale e intellettuale, come in natura si insegna ai piccoli a muoversi tra le insidie del mondo e dei predatori, fornendo loro la possibilità di sviluppare e sperimentare l’autonomia a scuola, per poi farne un bagaglio da esercitare all’esterno.

Attraverso la ricerca, la costruzione e lo sviluppo dell’autonomia si rende possibile la costruzione dell’io quale cittadino del mondo, capace, grazie alle abilità sociali sviluppate, di osservare e agire nel rispetto di un’etica che prescinde dalle leggi politiche del potere dominante, e riconduce invece a quell’essenza dell’essere umano. Costruire la conoscenza è possibile, così, partendo dall’allievo, dalla sua unicità, facendo leva sull’idea di un apprendimento cooperativo che si muove dal reale, dal concreto esperienziale e contestualizzabile.

Don Milani e la Scuola di Barbiana

Don Milani e la Scuola di Barbiana

Nella visione scolastica di Don Milani l’insegnante, strumento offerto al discente quale mezzo del processo di emancipazione, si trova a svolgere l’azione didattica in coerenza con i principi dell’onestà intellettuale, della rettitudine di pensiero e della correttezza civica esplicitati rifuggendo da pregiudizi, esclusione e marginalizzazione; il docente, nell’essere tale ancor prima che nell’insegnare generando conoscenze e competenze, dovrebbe farsi carico della responsabilità  di prendersi cura degli alunni nel rispetto delle tante condizioni di svantaggio socio-economico, linguistico, culturale, fisico, emotivo e esperienziale che oggettivamente condizionano e troppe volte inficiano il processo di crescita e di sviluppo dell’individuo e dunque della collettività.

La scuola, quale fucina progettuale del domani, non può privilegiare coloro che per nascita sono destinati alle posizioni predominanti né può cadere nell’errore della spasmodica ricerca delle eccellenze: il sapere deve essere aperto, accessibile, fruibile e condivisibile nel rispetto di quella infinita poliedrica realtà umana che compone le società. Una scuola etica e utile non può svilire coloro che mostrano maggiori difficoltà, non dovrebbe spingere i suoi studenti a un prematuro approccio al lavoro, rappresentato come esperienza formativa e di fatto specchio di una riduzione del sapere barattata con la sua estensione trasversale. Compito della scuola dovrebbe essere, senza infingimenti, quello di elaborare percorsi formativi modellati sulle esigenze e sulle potenzialità di ogni allievo, favorendo un clima di condivisione di ampio respiro, arricchente e stimolante, capace di valorizzare le risorse creative di ciascuno.

Il ruolo della scuola, all’interno della società, ha seguito le trasformazioni antropologiche che hanno segnato il tempo e la cultura diffusa. Se rispetto agli anni di Don Milani, nell’ordinamento e nelle linee d’ispirazione dei programmi sono saltati certi steccati ideologici che separavano pregiudizialmente i destini dei giovani, aprendo nuovi accessi e plurali percorsi, il quadro appare oggi disarmato nelle spinte d’innovazione e disarticolato in una deformata rappresentazione del diritto all’istruzione, sempre più svuotato dall’interno.

Il progetto inclusivo di Don Milani mostra oggi, ai nostri occhi, tutto il suo valore profetico, la forza etica e simbolica affidata all’emancipazione dei ceti più svantaggiati, eppure nell’attuazione reale di quelle idee oggi si è giunti, troppe volte, a una sommaria svalutazione del ruolo sociale della scuola, trasformata sempre più in azienda che fabbrica produttori. L’istruzione che, estesa, doveva garantire a tutti il diritto di progettare un futuro migliore, nel rispetto delle proprie propensioni e ambizioni, dei propri talenti e della singole attitudini, trasformata con illuminata fatica in un diritto comune, si è accartocciata sull’utile immediatamente monetizzabile e quantificabile, si è enormemente e drammaticamente ridotta nelle aspettative e si è affiancata all’avviamento al lavoro, pianificato e regolamentato quale parte imprescindibile del percorso scolastico. Il sapere svilito, le competenze cancellate, lo studio mortificato sembrano aver via via esaurito e spento la forza propulsiva della scuola, la sua funzione civile, la sua ragion d’essere.

Pasolini nella scuola di Versuta

Pasolini nella scuola di Versuta

A pensarci bene, attraversando a grandi balzi la storia della pedagogia del nostro Paese, a riprendere con autonoma volontà l’intento di permettere a tutti di accedere all’istruzione, troviamo nel 1944, tra gli orrori angoscianti di una guerra insensata, un altro discusso pensatore a dar vita a una piccola, familiare, scuola di campagna: Pasolini apre nella minuscola Versuta la sua scuola, avvia gli studenti non solo all’erudizione primaria, ma alla scoperta del bello, dell’amore per la conoscenza e per l’arte e della necessità collettiva di prendersene cura; basti pensare ai rudimentali, ma corretti, lavori di restauro avviati insieme agli allievi all’interno della piccola chiesetta che accoglieva le lezioni, guidati nel tirar fuori da un anonimo intonaco affreschi policromi realizzati tra il XIV e il XVI secolo, accompagnati così a scoprire che con l’impegno di tutti era possibile portare alla luce il bello nascosto da incrostazioni distratte.

Anche in questo caso, nella dedizione all’accoglienza di quanti erano tenuti distanti dall’istruzione, lontani dalle scuole delle città più grandi, sperduti in una bucolica realtà contadina che faceva dei bambini una giovane manovalanza ancor prima che imparassero a essere adulti, a dar vita a un pensiero consapevolmente autonomo, ritroviamo quell’avvertita e dichiarata necessità di rendere a tutti la possibilità di conoscere e sapere per potere tutelare i propri diritti e creare una società migliore, ritroviamo quella base pedagogica, e ancor prima eticamente umana, che impone la volontà di prendersi cura delle generazioni future attraverso l’attenzione e l’istruzione.

A fronte di queste importanti esperienze educative che hanno segnato e innovato la giovane democrazia del nostro Paese, nel tempo, l’estensione del diritto allo studio si è pian piano sfibrata, allungandosi verso la realizzazione di spazi di accudimento, di sospensione del tempo dei più giovani, intralcio agli impegni della vita adulta e ancora inadeguati a produrre. Contraltare dell’esclusione lungamente perpetrata, si è giunti oggi all’esasperazione di una tutela snaturante e depauperante che vede la deresponsabilizzazione dei più giovani, portata fino alla perdita di quella autonomia il cui fine era alla base della pedagogia di Don Milani. L’eccesso di tutela e di protezione ha di fatto paradossalmente generato una nuova forma di esclusione, diffusa sul piano generazionale, laddove si deve invece profondere impegno affinché si possa «svegliare nell’alunno la coscienza dell’intelligenza» seguendo le parole di Pasolini (2001: 270).

A rendere più evidente il percorso di impoverimento del valore dello studio e del tempo della matura consapevolezza e responsabilità, ha probabilmente contribuito l’inserimento del lavoro nel ciclo degli studi superiori ma anche la rottura del patto che legava le famiglie alla scuola e ai docenti: troppi i casi di cronaca degli attacchi dei genitori nei confronti di insegnanti rei di un’insufficienza o di una nota disciplinare.

Don Milani e la Scuola di Barbiana

Don Milani e la Scuola di Barbiana

In questo contesto la lezione di Don Milani, la sua attività viva e combattiva, conservano la validità di ciò che è giusto, umano, sano. Nell’entrare a scuola, nel trovare in ogni aula un universo nel microcosmo, si invera la necessità di ascoltare, di accogliere, di comprendere, di permettere a tutti di tenere il passo, a ogni studente di rendersi utile per gli altri. Per insegnare occorre conoscere i propri allievi, avviare un dialogo continuo e vivo, dedicare loro il tempo necessario per riuscirci, imparare a riconoscere le loro risposte, accogliere le singole curiosità e, assecondandole, portarle su un asse comune che consenta un percorso d’insieme, che superi l’individualismo e educhi a largo spettro.

In molte scuole dove il mondo del lavoro appare seducente e attrattivo tale da negare valore agli apprendimenti, occorre esercitare un più intenso sforzo perché gli allievi restino fino al compimento del loro percorso, spesso convincere le famiglie dell’opportunità che non abbandonino gli studi prima di averli ultimati, spronarli a proseguire, o aiutarli a scegliere il proprio percorso scolastico così da conquistare la loro fiducia e dimostrarsene degni giorno per giorno, sotto l’implacabile giudizio delle intemperanze giovanili.

Entrando in classe ogni mattina, ci si rende conto ben presto che il programma, non più ufficialmente ministeriale ma ugualmente e implicitamente ben tracciato, può delinearsi solo a partire dagli studenti; è su coloro che portano in sé le maggiori difficoltà, personali e socio-ambientali, che si rende necessario un maggior impegno, perché sono coloro che, più di altri, vanno sottratti alla perdita di un diritto, quello dell’emancipazione e dell’affermazione personale, che si assottiglia lungo i margini della società.

È compito di chiunque voglia svolgere il mestiere del docente secondo etica e coscienza, insegnare a ragionare, a analizzare la realtà, ad ascoltare e confrontarsi, a farsi una propria idea e infine a prendersi la responsabilità di difenderla e di lottare con lo strumento della parola affinché questa venga ascoltata, affinché un diritto venga tutelato e un privilegio di classe venga combattuto.

Quello spirito sovversivo del quale è stato accusato Don Milani, riecheggia nella volontà di qualunque docente che, facendosi carico della crescita dei propri ragazzi, insegni loro a pensare liberamente, a parlare, a collaborare, a crescere creando un ordine sociale più giusto, un mondo di diritto e non di privilegi. 

Dialoghi Mediterranei, n. 62, luglio 2023 
Note
[1] Definisce, monitora e documenta le strategie d’intervento più utili per lo studente e chiarisce quali siano gli specifici criteri di valutazione dell’apprendimento.
[2] Redatto annualmente a cura dell’istituzione scolastica, è il documento sottoposto a revisione finale, nel quale vengono delineati gli interventi predisposti per l’alunno con disabilità, per garantirne il diritto allo studio. Tale documento è elaborato e approvato dall’insegnante di sostegno e dal consiglio di classe, in accordo con la famiglia e le preposte figure professionali specifiche. 
Riferimenti bibliografici
Lorenzo Milani, Scuola di Barbiana, Lettera ad una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1988
Pier Paolo Pasolini, Un paese di temporali e primule, Guanda, Parma, 2001.
Jean Jaques Rousseau, Emilio o dell’educazione, Milano, Liceo Agnesi Editore, 2016.

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 Valeria Dell’Orzo, laureata in Beni Demoetnoantropologici e in Antropologia culturale e Etnologia presso l’Università degli Studi di Palermo, ha indirizzato le sue ricerche all’osservazione e allo studio delle società contemporanee con particolare attenzione al fenomeno delle migrazioni e delle diaspore e alla ricognizione delle dinamiche urbane. Impegnata nello studio dei fatti sociali e culturali e interessata alla difesa dei diritti umani delle popolazioni più vessate, conduce su questi temi ricerche e contributi per riviste anche straniere.

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