di Nicola Grato
Da poco si è esaurito il soffio infuocato sulla Sicilia e sulla Penisola di questo anticiclone africano che ormai più niente ha di “anormale”, essendo diventato purtroppo una orribile costante delle nostre estati. Gli eventi eccezionali appartengono alla cornice di pensiero di chi non voglia fare i conti con la realtà e si industria a differire a dopodomani la questione ambientale.
Da poco è cessato il caldo torrido e soffocante, la cui “coda” ha lasciato qui in Sicilia devastazione, incendi, morti. I monti attorno la città di Palermo sono neri, sono l’inferno, e questo nonostante le improvvide rassicurazioni fatte dal Presidente della Regione Sicilia sulla vigilanza che si presumeva “alta” nei confronti dei piromani e, ancor di più, sulla copiosa disponibilità dei mezzi in dotazione a Vigili del fuoco e Forestali. La Sicilia versa in una condizione drammatica, senza vie di comunicazione degne di un Paese civile, senza aeroporti; in questi terribili giorni fanno eco di orrore e sgomento le parolacce di Salvini sulla “necessità” di un ponte sullo Stretto.
Il tempo del cambiamento climatico non è una situazione esterna cui fare fronte con “armi” emergenziali, è la condizione propria e ineludibile del presente, è la condizione dell’essere umano. Suscita così un amaro riso la definizione di “transizione ecologica”: è proprio la parola “transizione” che cela l’immobilismo di un potere economico, finanziario e politico concentrato sempre di più e con sempre più raffinati mezzi a perpetuarsi.
Anni fa è stato addirittura istituito un “Ministero della transizione ecologica”, smantellato subito dalle destre oggi al potere, e rinominato “Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza energetica”. Altro che ambiente, altro che sicurezza, altro che investimenti sulla ricerca di nuove fonti di approvvigionamento energetico. Nulla di nulla, mentre un cambiamento epocale è però in atto, senza alcun dubbio: ne risentono le città e i paesi della nostra Italia in egual misura, senza – a nostro modesto avviso – volersi appuntare per forza su una presunta specificità del cambiamento (climatico, di approvvigionamento energetico, di modelli politici) dei paesi e delle aree rurali d’Italia.
Per meglio dire: nei paesi altro non osserviamo che tutte le storture del Paese Italia e del mondo intero; esistono paesi di pochi abitanti bruttissimi e pieni di cemento come certe città, buone e cattive pratiche si osservano ovunque, in qualsiasi quartiere di Palermo e a Mezzojuso, nei paesi del Molise o nelle aree interne della Sicilia: tutto il mondo è paese nel senso che la malattia dei piccoli centri è la malattia del Paese Italia, essendo l’Italia un “Paese di paesi”.
Occuparsi dei paesi non deve in alcun modo diventare un “genere letterario”: occorre capire come le persone vivono nei paesi e nelle città oggi, in questo presente. Ci interessano gli esseri umani e i rapporti che questi intrattengono tra loro e l’ambiente in cui vivono: abitudini, stili di vita, mode e il “mantello” del capitalismo e della patrimonializzazione dei luoghi che tutto copre; abbiamo come l’impressione, il fuggevole presentimento che l’attenzione nei confronti dei paesi stia invece diventando un “genere letterario”, un semenzaio per la scrittura di troppi libri, pochi davvero interessanti, davvero indispensabili per capire il presente dei paesi e del Paese.
Chi scrive abita in un paese, non è un cittadino che parla di paesi e colleziona, come detto prima, pubblicazioni sui piccoli centri. Chi scrive crede fermamente nel valore dell’arte e nella scuola come veri motori di cambiamento del Paese Italia. Dei paesi al tempo del cambiamento si tratta in un bel volume (questo sì) di Saperi territorializzati a cura dell’associazione di promozione sociale “Centro indipendente Studi Alta Valle del Volturno” (CISAV) e intitolato Paesi in transizione e transizioni in paese del giugno 2023.
Questo “quaderno”, secondo quanto è scritto dal collettivo CISAV in premessa, «mette a tema le transizioni focalizzando la riflessione sul contesto del paese in una duplice prospettiva: da un lato sollecita quesiti e analisi sullo stato dei paesi, sulle trasformazioni in atto, sulle piste di sviluppo intraprese e sul mutamento generale della forma-paese in un periodo di forti ripensamenti e attenzioni; dall’altro mira a discutere le transizioni nella loro pluralità, come processi micro scalari, soggettivizzati e situati, alludendo alla pluralità di mutamenti che investono le condizioni di vita, di lavoro, di appartenenza, di costruzione di identità e soggettività abitanti».
Soggettività abitanti, persone che abitano nei paesi: di loro, di noi vogliamo occuparci seriamente, mentre la messe di immagini dei paesi, di guide turistiche dei luoghi hanno il solo deliberato scopo di attrarre persone, “turisti”, salvo poi respingerle subito dopo, perché i prezzi sono esorbitanti (Isole Eolie, Egadi, trapanese, catanese e praticamente quasi tutta la Sicilia). Cartoline, anziché luoghi in sofferenza e con bisogni precisi: «Nonostante siano territori in forte sofferenza a causa del progressivo smantellamento dei servizi di prima necessità, come presìdi medici, scuole, farmacie, mezzi di trasporto pubblici, welfare sociale e culturale, queste aree subiscono una narrazione che risente di un immaginario obsoleto e anacronistico», scrive Anna Rizzo nel suo saggio “I paesi: un potentissimo serbatoio di forme” che “apre” il volume del CISAV. Continua Anna Rizzo: «Il destino narrativo dei borghi è ancora fortemente ancorato a sentimenti nostalgici, malinconici e di abbandono che appaiono inseparabili dalla loro storia. I paesi diventano marginali se non sono indagati con ricerche situate. La realtà sociale di molti di questi luoghi è profondamente cambiata e nuove modalità di abitare e di vivere nei paesi stanno emergendo» [1].
Anna Rizzo è anche autrice di un bel libro sui paesi, I paesi invisibili. Manifesto sentimentale e politico per salvare i borghi d’Italia pubblicato da Il Saggiatore. Uno dei libri migliori, più attendibili e documentati che siano stati pubblicati negli ultimi dieci anni sui paesi. I paesi bisogna studiarli, bisogna studiare la loro storia puntualmente e approfonditamente, ricercare testimonianze scritte (lettere, diari, autobiografie) e fotografiche che nei paesi sono chiusi in stipi e armadi e, soprattutto, ascoltare le voci di chi vi abita. A Bolognetta lo studioso Santo Lombino si occupa di raccoglierle queste storie, queste memorie. Un altro studioso opera a Mezzojuso: Pino Di Miceli possiede e cura un archivio fotografico formidabile del paese, un tronco vivo di cui possono leggersi gli anelli evolutivi con precisione. Paese è organismo complesso che necessita di conoscenza profonda soprattutto da parte di chi vi abita, chi vi giunge temporaneamente dovrebbe averne sacro rispetto, avvicinarsi alle case e alle cose con timore e tremore.
Chi abita ai margini non è un eroe, un “resiliente”, un eremita tecnologico: sono persone, donne e uomini che con fatica si barcamenano in luoghi deprivati di cultura e scuola, di servizi e opportunità per i più giovani. Accade anche in città, accade perché le politiche degli ultimi vent’anni sono state segnate, marcate indelebilmente dal “berlusconismo”, cioè da quella prassi politica che riunisce spregio per le istituzioni, corruzione, “taglio” dei servizi essenziali quali scuole e ospedali, condono edilizio selvaggio e conseguente depauperamento del suolo e cementificazione. Come se non bastasse l’attuale governo di destra mette al centro della propria “agenda” la costruzione di un inutile ponte sullo Stretto, mentre le aree interne ed esterne, le periferie e i centri sono abbandonati.
Il presente del nostro Paese non conta più. Gli incendi e le alluvioni recenti hanno fatto notizia per poco, poi nessuno più si occupa delle conseguenze sulle persone e sui territori derivanti da queste disgrazie climatiche. «L’amarezza si colloca qui, negli spazi mancati di una stabilità politica e di una democrazia sostanziale, con funzione redistributiva dello Stato, a tutela dei soggetti che lo costituiscono, diversamente non si dà vera libertà senza giustizia sociale», scrive Rosa Amodei nel contributo intitolato “Ripensare il presente: diritto alla verità” [2], interessante articolo che tratta del “globale” come indispensabile dimensione del “locale”: la guerra Russia – Ucraina interessa anche i piccoli paesi, scrive ancora Amodei: «Occorre partire dalle Regioni, dai Comuni, dalle piccole comunità, allargare la consapevolezza di tutti per una riconversione produttiva non monopolistica, sfruttando l’energia dei territori a favore di chi li abita, senza strumentalizzazioni» [3].
Il volume del CISAV dà ulteriori spunti di riflessione sugli usi del dialetto nel tempo del cambiamento (“Parole di memoria, direzione futuro” di Chiara Buongiovanni); sulle architetture delle aree marginali, sulle feste e sull’economia rurale. Molto interessane è, a parer nostro, il contributo di Mirco Di Sandro intitolato “La transizione passiva”, spunti di riflessione su economie territoriali al collasso, logoramento dei rapporti tra le persone all’interno di un globale logoramento del clima. La panacea del famigerato PNRR si è subito svelata per quello che realmente era: soldi per mettere in sesto qualche muro, «qualche tetto è stato adornato a fotovoltaico, qualche palestra all’aperto è stata messa in cantiere (…) L’impressione comune è che i finanziamenti promessi e gradualmente stanziati non siano adeguatamente veicolati al fine di accrescere il benessere degli individui e potenziare servizi e infrastrutture necessarie», scrive Di Sandro [4], e si fa fatica a dargli torto dal nostro osservatorio siciliano: l’autostrada Palermo – Catania A19 è divenuta ormai da anni una strada provinciale a una corsia, la strada statale 121 Palermo – Agrigento subisce lavori ormai da dieci anni e non si intravede all’orizzonte un completamento.
C’è da disperare? No, certamente; da indignarsi sì, sempre, perché – annotava Seneca – «sa indignarsi solo chi è capace di speranza», e questa speranza non è un sentimento ideale ma un concreto operare nei luoghi. Come scrive efficacemente Stefano Panunzi, occorre «(…) suscitare una vera e propria filiera di invenzione creativa da condividere con enti locali, associazioni legate ai territori, scuole di ogni grado, imprese e professionisti. Si tratta di creare snodi di una filiera per la cura dell’esistente che metta al primo posto la rigenerazione strategica e condivisa del valore immaginario dei luoghi» [5] .
Ci permettiamo di affermare che il “collante” dei diversi territori, dei paesi e delle città, delle coste e delle montagne in questo “benedetto assurdo Belpaese” continua ad essere la scuola della Costituzione, e oggi come settantacinque anni fa «è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Dialoghi Mediterranei, n. 63, settembre 2023
[1] Anna Rizzo, “I paesi: un potentissimo serbatoio di forme”, in Saperi territorializzati. Paesi in transizione e transizioni in paese, collana di studi critici autoprodotta e curata dal CISAV (Centro Indipendente Studi Alta Valle del Volturno), I edizione giugno 2023: 4.
[2] Rosa Amodei, “Ripensare il presente: diritto alla verità”, in Saperi territorializzati. Paesi in transizione e transizioni in paese, op. cit.: 9.
[3] Ibidem: 10
[4] Mirco Di Sandro, “La transizione passiva”, in Saperi territorializzati. Paesi in transizione e transizioni in paese, op. cit.: 28.
[5] Stefano Panunzi, “Rigenerare il valore immaginario delle aree interne”, in Aree interne. Per una rinascita dei territori rurali e montani, a cura di Marco Marchetti, Stefano Panunzi e Rossano Pazzagli, Rubbettino Editore, Soveria Mannelli 2017: 104.
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Nicola Grato, laureato in Lettere moderne con una tesi su Lucio Piccolo, insegna presso le scuole medie, ha pubblicato tre libri di versi, Deserto giorno (La Zisa 2009), Inventario per il macellaio (Interno Poesia 2018) e Le cassette di Aznavour (Macabor 2020) oltre ad alcuni saggi sulle biografie popolari (Lasciare una traccia e Raccontare la vita, raccontare la migrazione, in collaborazione con Santo Lombino); sue poesie sono state pubblicate su riviste a stampa e on line e su vari blog quali: “Atelier Poesia”, “Poesia del nostro tempo”, “Poetarum Silva”, “Margutte”, “Compitu re vivi”, “lo specchio”, “Interno Poesia”, “Digressioni”,“larosainpiù”,“Poesia Ultracontemporanea”. Ha svolto il ruolo di drammaturgo per il Teatro del Baglio di Villafrati (PA), scrivendo testi da Bordonaro, D’Arrigo, Giono, Vilardo. Nel 2021 la casa editrice Dammah di Algeri ha tradotto in arabo per la sua collana di poesia la silloge Le cassette di Aznavour. Con Giuseppe Oddo ha recentemente pubblicato Nostra patria è il mondo intero (Ispe edizioni).
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