CIP
di Mario Sarica
Nell’affollato e spesso disorientante spazio di confronto a più voci sullo stato di salute e sul futuro prossimo venturo della fitta rete dei musei etnografici, e non solo, fuori e dentro la Sicilia, spesso muti, silenziosi e ai più invisibili, non è affatto facile immaginare percorsi virtuosi di rigenerazione. Eppure, ormai uniche sopravvivenze di cultura materiale e immateriale della plurisecolare e in gran parte rinnegata storia del territorio, ahi noi!, i musei in molti casi, nelle residue testimonianze di civiltà agropastorale, vengono manipolati impropriamente come materia di “turismo delle radici” – questo lo slogan più in voga nelle ultime stagioni – da offrire spesso al consumo effimero di feste di piazza. Ecco, proprio di fronte a questa sorta di “deregulation culturale”, dagli effetti collaterali imprevedibili, e sovente mistificanti e parafolklorici, letalmente dannosi, credo proprio sia necessaria una salutare, come si dice, pausa di riflessione, necessaria a tutti i soggetti, da quelli istituzionali centrali e locali, agli operatori turistici, e in primo luogo agli addetti ai lavori, ovvero a quelli che per formazione culturale, studi, ricerche e opere, si muovono nell’ambito delle discipline demoetnoantropologiche museografiche, storia del territorio, fino alle tante società ed associazioni, diciamo così di categoria, dalla Simbdea all’Icom, all’Associazione nazionale dei piccoli musei, quest’ultimi in grado certamente di dire molto sul tema, ma soprattutto in grado di fare tantissimo sul campo.
E dunque, solo dopo aver preso consapevolezza delle necessità di unire le diverse risorse culturali specifiche disponibili, sarà possibile aprire un osservatorio permanente, un tavolo di confronto, chiamatelo come volete, per capitalizzare la ricca pubblicistica sul tema di questi ultimi anni, e i tanti originali contributi di studio, le esperienze vitali interdisciplinari che, nonostante tutto, sono a portata di mano, spesso dietro l’angolo, talvolta con contenuti e fruizione museale davvero innovativi. E a tal proposito non possiamo non evidenziare il ruolo ‘rivoluzionario’ sulle forme di comunicazione a partire dallo storytelling, ovvero alla narrazione orale sul web, di cui si è fatta prima pioniera solitaria in Sicilia, e poi interprete di alto profilo scientifico la sicilianissima Elisa Bonacini. Solo così è possibile io credo immaginare un nuovo orizzonte di rinascita per il turismo esperienziale e di paesaggi culturali antropizzati dalle pratiche silvoagropastorali plurisecolari, e dunque di quei luoghi del genius loci, chiamando a raccolta tutti i soggetti titolati, per immaginare un futuro, fuori dalle cattive pratiche delle scelte stagionali politiche effimere e clientelari, con spreco inutile di risorse pubbliche.
Ci piace ancora tornare sull’esperienza di studio e innovazione di comunicazione digitale di Elisa Bonacini a favore dei musei siciliani, sia di espressione istituzionale regionale, che quelli, davvero tanti autogerminati, che costituiscono la ricchissima trama interrelata di musei piccoli e medi, soprattutto etnografici, ma anche di arte sacra e storia locale e dell’emigrazione , dovuti spesso ad eroi e visionari, poco noti e considerati, ignorati dalla non sempre illuminata classe dirigente politico- amministrativa locale e regionale, cui vanno date nuove opportunità di crescita. Un altro insegnamento/ monito che giunge dal percorso di studi e del fare instancabile di Elisa Bonacini – unica ed esemplare che, partendo da uno straordinario lavoro di ricerca sul campo in Sicilia, ha riversato i contenuti culturali in audioguida sulla piattaforma digitale izi. travel – ci dice poi in maniera chiara ed inequivocabile, che è urgente e prioritario inserire nei posti chiavi della Regione – leggi Soprintendenze, Città Metropolitane e Comuni – figure professionali adeguatamente formate alla conservazione e valorizzazione dei beni culturali, o in alternativa sottoscrivere protocolli d’intesa, affidando a cooperative e associazioni locali con credenziali affidabili, la gestione di siti culturali anche pubblici, spesso abbandonati al degrado e all’oblio.
Connettere e connettersi è il verbo dominante dei nostri giorni, non solo nei social, ma nello specifico tema che ci sta a cuore, ovvero il futuro dei musei, con tutte le realtà fortemente radicate sul territorio impegnate a vario titolo per un’offerta di turismo che affondi realmente le radici sulla perduta e spesso rimossa cultura del territorio, per rigenerare lo spirito originario dei luoghi, l’anima perduta delle comunità e dei borghi. Solo allora si potrà parlare di una “memoria del futuro”, da declinare anche ad innovazioni tecnologiche e digitali, da applicare ad una ricerca permanente, che leggi ed interpreti i cambiamenti inevitabili del territorio, sullo sfondo del lungo periodo storico, e delle sopravvivenze, anche di pratiche artigianali, cicli di lavoro, filiere corte agricole rigenerate, come quelle del grano, dalla coltivazione alla molitura, con mulini a pietra ad energia idraulica (esemplare il caso del Mulino “Giorginaro” a ruota orizzontale del Seicento di Ugo e Mario Affannato, a Novara di Sicilia); alla produzione casearia tipica, fino alle feste patronali, l’unico istituto folklorico, assieme alla Settimana Santa, al Natale e al Carnevale, dai forti caratteri identitari, sui quali investire con intelligenza imprenditoriale e culturale.
In una contemporaneità di pensieri deboli e cangianti, serve un pensiero forte condiviso, in grado di mettere a frutto le migliori risorse ed intelligenze culturali siciliane, che ci sono, e sono tante, che la governance del territorio, non riesce spesso a vedere. Fare rete, dunque, non con incontri di studio e tavole rotonde, ma individuando nuovi percorsi di sviluppo interrelato e di crescita armonica del territorio fra cultura e natura. E alla lista infinita e preziosa, per unirci alle parole di Umberto Eco, che la Sicilia vanta in fatto di siti archeologici, beni demoetnoantropologici, culturali, letterari, storici, naturalistici, paesaggistici, fino ai borghi rinati e ai musei, straordinari presidi di cultura della microstoria locale, bisogna volgere lo sguardo, per recuperarli e rigenerarli come poli culturali dialoganti e coinvolgenti, per innescare la necessaria patrimonializzazione di tutti i beni culturali da parte delle comunità d’origine, alle prese in molti casi con un calo demografico inarrestabile. Un approccio dunque dialogante allargato ed inclusivo, e non autoreferenziale, con scelte coraggiose e lungimiranti. Ma forse il mio è solo un sogno siciliano di fine estate …
Dialoghi Mediterranei, n. 63, settembre 2023
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Mario Sarica, formatosi alla scuola etnomusicologica di Roberto Leydi all’Università di Bologna, dove ha conseguito la laurea in discipline delle Arti, Musica e Spettacolo, è fondatore e curatore scientifico del Museo di Cultura e Musica Popolare dei Peloritani di villaggio Gesso-Messina. È attivo dagli anni ’80 nell’ambito della ricerca etnomusicologica soprattutto nella Sicilia nord-orientale, con un interesse specifico agli strumenti musicali popolari, e agli aerofoni pastorali in particolare; al canto di tradizione, monodico e polivocale, in ambito di lavoro e di festa. Numerosi e originali i suoi contributi di studio, fra i quali segnaliamo Il principe e l’Orso. Il Carnevale di Saponara (1993), Strumenti musicali popolari in Sicilia (1994), Canti e devozione in tonnara (1997); Orizzonti siciliani (2018).
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