1. La manualistica di linguistica italiana
Non c’è dubbio che i corsi universitari di linguistica italiana, godano di buona, anzi ottima, salute, come dimostra la disponibilità di non pochi manuali sul tema: P. D’Achille (L’italiano contemporaneo, il Mulino 20031, 20103, 20194, da me recensito nel Blog di Fausto Raso, 15. I. 2020), I. Bonomi-A. Masini-S. Morgana-M. Piotti (Elementi di linguistica italiana, Carocci 2003), A.A. Sobrero – A. Miglietta, Introduzione alla linguistica italiana, Laterza 2006), L. Serianni- G. Antonelli (Manuale di linguistica italiana, Mondadori 20111, 20172), M. Palermo (Linguistica italiana, il Mulino 2015, da me rec. in “Sicilia Journal” 11. 7. 2015; II ed. 2020), S. Lubello et alii (Manuale di linguistica italiana, De Gruyter 2016), R. Librandi et alii (L’italiano, strutture, usi, varietà, Carocci 2019, da me rec. in “Italiano a scuola” 2, 2020: 337-54), E. Assenza – Ruggiano – F. Rossi (Manuale di linguistica italiana, Pearson 2023), o L. Cignetti-S. Demartini-S. Fornara-M. Viale, Didattica dell’italiano come prima lingua (il Mulino 2022, ed. digitale) e, per la storia della lingua italiana, dopo i classici manuali di C. Marazzini (La lingua italiana. Profilo storico, il Mulino 19941, 2002; La lingua italiana. Storia, testi, strumenti, il Mulino 2015), R. Librandi, Profilo storico della lingua italiana (Carocci 2023), P. Trifone-E. Picchiorri- G. Zarra, L’italiano nella storia. Lingua d’uso e di cultura (Le Monnier 2023).
2. Il Manuale di base di Marcello Aprile
Ci soffermeremo qui sul bel Manuale di base di linguistica e grammatica italiana di Marcello Aprile (il Mulino 2021; edizione digitale su Pandora Campus), particolarmente equilibrato nel rapporto tra le definizioni teoriche e le esemplificazioni.
Questo agile volume è destinato soprattutto a “studenti e studentesse” (15) del triennio, spesso ignari del latino, ovvero futuri “colleghi e colleghe dalla scuola primaria fino all’università” (ibid.), per fornire loro pur con “alcune semplificazioni” (ibid.) dei “concetti basilari” (ibid.) di linguistica italiana in prospettiva sincronica e storico-diacronica, da qui gli “Esercizi” alla fine di ognuno dei 9 capp. con relative “Chiavi” (311-14).
2.1. Indice del volume
Il volume, è costituito da 5 capp. di Grammatica italiana (La grafia, la fonetica e la fonologia, la morfologia, la sintassi, lessico e semantica), compresi tra un originale cap. storico (dal latino all’italiano dei giorni nostri) e due capp. sulla sociolinguistica dell’italiano (dalla variazione diacronica e diatopica alla variazione diastratica, diafasica e diamesica) per concludersi con un cap. sul contatto interlinguistico.
3. “Una storia plurimillenaria”
Decisamente originale il cap. I “Da una villaggio preistorico a noi: continuità e discontinuità in una storia plurimillenaria” (17-49), ovvero dal latino ai volgari, ai primi documenti letterari, Placiti toscani, al toscano tre-, cinque-, seicentesco (Bembo 1525, Crusca 1612), all’Unità d’Italia (1861), a Manzoni, all’it. post-unitario.
4. La grafia
Il cap. 2 “La grafia” (51-70) analizza in chiave storica e sincronica la formazione dell’alfabeto italiano e il rapporto tra “lettere” (grafemi, grafi, allografi) del latino e “suoni/fonemi” (“foni-allofoni”) dell’italiano con l’”accento grafico” e gli “apostrofi” (51-57). Ampio spazio trova la “punteggiatura” (57-69) con la triplice funzione “logica, stilistica, ritmica” (58). Alla punteggiatura l’A. ritorna nel cap. 3 (su fonetica e fonologia) in quanto legata al “ritmo” (11-12). Una collocazione, questa, tradizionale della punteggiatura, rispetto al un possibile inserimento nel cap. su “La sintassi”, considerata la funzione ampiamente logico-sintattica dell’interpunzione. L’A. si sofferma analiticamente su: punto (fermo), un tempo vs “punto mobile”, punto interrogativo (o di domanda), punto esclamativo (un tempo ammirativo), punto e virgola, i due punti, la virgola, i puntini di sospensione (o sospensivi), le virgolette (apici inglesi, alte / doppie / italiane, basse / caporali / sergenti / francesi), trattino (breve / corto / d’unione), lineetta, parentesi (tonde, quadre, graffe, uncinate), asterisco, (s)barretta/barra.
Sotto il profilo normativo, l’A. si rivela alquanto tradizionalista. Se (condivibilmente) la virgola non va “mai tra una completiva e la sua reggente” (65) es. Penso<,> che domani andrò al mare (oggi proprio dell’italiano popolare, e uso ottocentesco, e pure pirandelliano), egli giudica “segno di cattivo uso” (ibid.) anche la virgola tra “soggetto e verbo” (o predicato), es. Il vicino <,> ha un bel prato (ibid.). E inoltre parla di “regola ferrea” (ibid.) anche nel caso del cosiddetto “soggetto pesante”, es. Il gattino nero di Marcello<,> gioca nel ficus, e nell’Esercizio h)1 (70), o con la soggettiva Uscire dalla crisi<,> è sempre più urgente. “Le violazioni alla regola — pur non rare nella prosa letteraria [...], oltre che in contesti informali, oggi soprattutto nelle scritture in rete, sono numerosissime” (ibid.). Un giudizio di erroneità non condivisibile, visti gli usi letterari e per di più “allo scopo di mettere in evidenza una parte del discorso”, riconosciuta dallo stesso A., che opportunamente peraltro illustra l’uso del “punto enfatico”, es. In sei a tavola<.> Tutte le regole dell’estate (60).
5. Fonetica e fonologia
Un capitolo sintetico è quello su “Fonetica e fonologia” (71-89) su foni, fonemi e allofoni, la descrizione articolatoria di vocali, consonanti, semivocali e semiconsonanti, dittonghi-iati, sillaba (graficamente que-sto: 77, ma fonologicamente ques-to), fonosintassi, accento (tonico) non prevedibile (80) tranne nei plurisillabi con penultima sillaba chiusa, es. tendenza (con qualche eccezione ess. mandorla, Otranto), intonazione, tono della voce, ritmo, pronuncia (comune e regionale; toscana, romana, settentrionale), pronuncia delle parole straniere. Si potrebbe forse aggiungere la tabella delle vocali secondo l’IPA in tandem con quella sulle consonanti di p. 76.
6. Morfologia
Il capitolo sulla “Morfologia” (91-136) riguarda essenzialmente la tipologia morfologica delle lingue (95-96) e quindi la morfologia flessiva, ovvero le nozioni di “morfema” (lessicale e grammaticale) (95) (ma non morfo-allomorfo (ess. il/lo/l’, i/gli: 127) parallelamente a “fonema, fono, allofono”) e le nove “parti del discorso”. In primo luogo il “Nome” (97-101), col problema del genere (94-95) che condiziona la “concordanza” (94), la “mozione” (99) dei nomi: “mobili” (98, 99, ess. avvocato/a, dottore/essa); “eteronimi” (99 es. padre/madre e 198) ma anche promiscui (o epiceni) ess. il rinoceronte, la guida (98) e gli ambigeneri (es. il/la docente); asterisco o schwa (94-95), genere e sessismo (246). Poi l’”Aggettivo” (101-104) con vari tipi: “qualificativo”, “di relazione”, “determinante”: “dimostrativo”, “possessivo” ecc. E quindi il “Verbo” (104-19) con le tre coniugazioni in -are (la “più produttiva”:105 con 10.011 unità su 130.000 lemmi di un Diz. come lo scolastico De Mauro 2000, rispetto a quella in -ere con 1158 e a quella in -ire con 1257 lessemi). Opportuna (106) la distinzione degli “intransitivi” in “inergativi” (es. ho camminato) e “inaccusativi” (es. è arrivato). Ancora il “Pronome” (119-27), di cui si ricorda tra l’altro che contrariamente al significato etimologico le “prime due persone, io e tu, noi e voi, non sostituiscono alcun nome” ma “rappresentano chi parla e chi ascolta” (120), con funzione deittica (262) e quindi i vari tipi di pronome: personali, possessivi, dimostrativi, indefiniti, interrogativi / esclamativi, relativi, il che polivalente, i numerali. E poi l’”Articolo” (127-30) determinativo/indeterminativo, prep. articolate, art. con i nomi propri, art. partitivo. La “Preposizione” (130), la “Congiunzione” (130-31), col ma a inizio di frase, l’”Avverbio” (132-33), e infine l’”Interiezione” (133-34).
6.1. Morfologia lessicale (o derivazionale)
Cenni sparsi sulla morfologia lessicale (o derivazionale) riguardano: composti, “prefissi e prefissoidi” con -anti (cap. su “grafia”: 67), le nozioni di “primitivi, derivati e composti” (cap. sul nome: 101), composti e “sigle” (cap. sull’agg., ibid.), “prefissi” maxi-, mega-, super- (103), “parasintetici” (cap. sul verbo: 105), conversione ovvero denominali es. chattare (105-106), “verbi frasali” o sintagmatici (110), “part. presenti” es. migrante e “gerundi sostantivati” es. addendo (118), conversione “art. il + parte del discorso” per es. il troppo, i se, i ma, ecc. (cap. sull’articolo: 127), “formazione degli avverbi” (cap. sull’avverbio: 132-33), polirematiche (cap. sul lessico: 183), modi dire (184), derivati e composti (ibid.), prefissi (197), formazione del lessico settoriale (cap. sulla variazione diafasica: 257), suffissi -iere/-aggio (cap. sul contatto interlinguistico: 291), composti (292-93).
7. La sintassi
Particolarmente ricco il cap. su “La sintassi” (137-81), con distinzione di “frase”, “enunciato”, “proposizione”, “sintagma”; frase “semplice” con “nucleo”, “argomenti”, “circostanti”, “espansioni” (141-44); “predicato nominale” (45), “soggetto” e concordanza (145-46); sfilza di “complementi” (una trentina: 147-53). Tipi di frase principale: dichiarativa; interrogativa diretta / indiretta: totale, parziale, scissa; retorica; esclamativa (153-56), costruzioni impersonali e negazione (156-58); enfasi, dislocazioni a sinistra (“un tempo molto osteggiata dalla scuola”: 161, ora “abbondantemente sdoganata” ibid.) e a destra, scissa, pseudoscissa, presentativa, anacoluto / nominativus pendens / tema sospeso (con “accettabilità [...] molto bass[a]”, “di solito evitata in qualunque situazione comunicativa [...]”: 164), topicalizzazione, focalizzazione (158-165); frasi “nominali” in “apparente contraddizione” con “frase” di per sé verbale (165-66); frase “composta” e “complessa” (166-70). Tipi di “frase complessa”: (i) “argomentale”, completiva: (s)oggettiva, interr. indir. (o dubitativa) (177-78), (ii) “relativa” esplicativa e appositiva (176-77), ma non contrapposte alle (iii) frasi “circostanziali” (o avverbiali), ovvero le “subordinate”:170-75 (“causale” con gerundio e “consecutiva”, “finale”, “temporale”, “ipotetica” vs “biaffermativa”: 175, “concessiva”).
Quanto all’alternanza cong./indic., da un lato si osserva che “Nell’italiano dell’uso medio la tenuta del congiuntivo nelle frasi oggettive è bassa: si dice comunemente anche Penso che il notaio è disponibile, o Non assicuro che è disponibile, o Penso che devo essere disponibile” (178), ma dall’altro si sostiene che “con il congiuntivo [...] il fatto è solo ipotizzato (Penso che Piero sia disponibile)” (177). In realtà, si tratta di un uso informale dell’indic. rispetto al registro formale del cong. In precedenza, l’uso dell’indic. pro cong. nelle dipendenti, datato “fin dal Trecento” (116) es. credo ch’avete assai malinconia (Sacchetti), è presentato come “variazione diafasica” (117), ma anche in questo caso si tratta di un registro informale, non esistendo alcuna “modalità dell’incertezza espressa attraverso il congiuntivo” (ibid.).
8. Lessico e semantica
Il cap. 6 su “Lessico e semantica” (183-210) si sofferma, con adeguata esemplificazione, come accennato, sulla formazione del lessico in sincronia (183-86), ma anche in diacronia (voci ereditarie, cultismi, prestiti, dialettalismi: 185); significato lessicale e della frase (186-88); significante, significato, referente, convenzione, onomatopee; polisemia; campi semantici, analisi componenziale; sinonimi (assoluti e relativi), geosinonimi; omonimia storico-etimologica (lessicale, grammaticale) es. le folle s.f. pl., è folle agg. vs omonimia sincronica (“storica”: 196), es. imposta ‘tassa’; ‘della finestra’; omofono, omografo; antonimi-contrari (graduabili, non graduabili, inversi, contraddittori); iperonimo, iponimo, meronimo, olonimo, intensione-estensione; cambiamento semantico (peggioramento, miglioramento), metafora, metafora spenta, metonimia, sinestesia, sineddoche; etimologia popolare, malapropismo; tabù linguistico (204-06), ipotesi Sapir-Whorf (206-09).
9. Variabilità storico-diacronica e geografica (o diatopica)
Il cap. 7 su “Storia e geografia della lingua italiana” (211-33) affronta il tema della variazione sociolinguistica, in part. quella “storico-diacronica” e quella “geografica”. Quanto alla variazione diacronica (211-14), dopo il cap. 1 dal latino all’italiano (17-49), si distinguono nella diacronia dell’italiano “arcaismi” (lessicali, grafici, fonetici, morfologici, sintattici, semantici) vs neologismi (lessicali, semantici, “stilistici” ‘di lusso’: 213 es. covidista vs “denominativi” ‘necessari’: 214 es. webinar).
Riguardo alla variazione diatopica (214-32), si distinguono i volgari-dialetti italiani (“derivati direttamente dal latino tardo parlato”: 218) ovvero con E. Coseriu “dialetti primari” (216), contrapposti ai “dialetti secondari” ossia dialetti fortemente italianizzati, es. il romanesco di seconda fase (218). L’A. riprende (220) la differenziazione pirandelliana (1928) tra “pretto vernacolo” (‘dialetto arcaico’) vs “dialetto borghese (‘italianizzato’) vs “italiano appena appena arrotondato” (‘italiano regionale’), indicato da Coseriu anche come “dialetto terziario”.
Ricca l’analisi dell’”italiano regionale” (220-30), con distinzione dei “regionalismi panitaliani” ovvero “ex-regionalismi (etimologicamente ‘dialettalismi’) ess. fusilli, demanio, lavagna, quaquaraquà ‘persona senza spina dorsale’ (227), rimpatriata; “macroregionalismi” e “microregionalismi”, della Liguria, Piemonte, Lombardia, Veneto, Friuli, Emilia-Romagna, Marche, Toscana, Roma, Napoli, Abruzzo, Puglia e Salento, Calabria, Sardegna; geomonimi (es. villa ‘giardino pubblico’; ‘casa signorile con giardino’: 228), geosinonimi (anguria al nord e cocomero centro-sud: 229); “minoranze linguistiche” storiche, alloglotte, isole e penisole; diglossia, bilinguismo, dilalia (231-32), code switching (232).
10. Variabilità diastratica, diafasica e diamesica
L’ampio cap. 8 “La lingua e la variazione sociale” (235-82), si sofferma sul “linguaggio verbale” (caratterizzato dalla ‘onnipotenza semantica’), sui “linguaggi non verbali” e la scrittura (235-37), sulla teoria jakobsoniana (1960) della comunicazione con (e)mittente, ricevente / destinatario, messaggio, canale, contesto, codice, collegati alle diverse funzioni della lingua (237-39), sul “repertorio” verbale con le varietà dell’it. (240-41), sul modello coseriano della variazione sociolinguistica dell’it. (242-43). Ma soprattutto illustra (i) la “variazione diastratica” (243-53): it. pop., linguaggio giovanile, gerghi; (ii) la “variazione diafasica” (253-58): registro, sottocodice; e (iii) la “variazione diamesica” (258- 82), parlato/scritto, parlato, trasmesso; testo e sue proprietà, tipi di testi (“descrittivi, argomentativi, informativi, regolativi; vincolanti molto/mediamente/poco: 265-71); scritto e immagini (271-73, particolarmente istruttive); trasmesso (273-80).
11. Contatto interlinguistico
Il capitolo 9 “Noi e gli altri” (283-308) infine verte sul contatto interlinguistico e l’”interferenza linguistica” con i “prestiti” (285), “adattati” e “non adattati” (289), i “cavalli di ritorno” (285), “calco strutturale” (290), “calco semantico” (ibid.), “restringimento / allargamento semantico” (ibid.), “peggioramento / miglioramento semantico” (291), grafia (291), suffissi (ibid.), sintassi (291-92), formazione delle parole (292-93). La storia dei prestiti in italiano (293-305), dalla tarda antichità, al medioevo: lingue germaniche, francese antico, bizantino, islamismi; età moderna: spagnolo, portoghese, francese, inglese; età contemporanea: anglicismi, pseudoanglicismi, ispanismi, portoghese, tedesco, finnico, arabo, malese, hindi, giapponese; lingue antiche: latino (301-03), greco e formazione delle parole (303-04); ebraico (304-05), gli italianismi nel mondo (305-07).
12. Norma ed errori
Quanto all’aspetto normativo, come già anticipato a proposito della punteggiatura (§ 4), l’A. è in genere alquanto tradizionalista. “Nella lingua formale è bene evitare le concordanze a senso” (146), anche se avallate da “scrittori e poeti importantissimi da Dante [...] fino a Manzoni” (ibid.). L’avv. assolutamente è corretto solo nel significato positivo di ‘sì’, diversamente essendo ambiguo (133, 157).
Per l’A. è giudicato (condivisibilmente) “errato”, l’”italiano popolare” o “dei semicolti” per es. più migliore (102); smento ‘smentisco’ “variante senza suffisso, non ammessa e decisamente appartenente al registro dei semicolti” (109).
Errore è anche quanto da lui etichettato come “substandard” (102): il che “indeclinato” (126), es. L’uomo che gli hanno fatto la multa, “caratterizza maggiormente la lingua substandard”; “oggi palesemente substandard e quindi evitato accuratamente nello scritto anche scolastico e giornalistico”; il “che polivalente” nelle “relative substandard”, es. La borsa, che ho messo dentro i libri (177).
E in genere anche l’uso marcato diatopicamente è giudicato errato: “su pressione dell’italiano centro-meridionale, si è molto ampliato l’uso substandard dell’imperfetto congiuntivo [...], anche nella comunicazione giornalistica e politica” (116), es. Facesse quello che vuole ; “un’abitudine che va considerata regionale e substandard” (ibid.) è giudicato l’uso a Roma, in Toscana e in “gran parte dell’Italia settentrionale” di me e te come soggetto”, e “giustamente censurat[o] nell’uso scolastico” (ibid.), pur essendo diffuso “nella fiction italiana” (ibid.); “da considerare regionale” (ibid.) è pure l’uso meridionale del pronome allocutivo voi che “va evitato” (ibid.).
Ma per lui è errato anche l’uso non etimologico: “si dice (sbagliando) più spesso ìslam [...] dépliant, càramel, cògnac” (81); non diversamente sono giudicate non “corrette” (94) le forme analogiche che pure “circolano molto” (ibid.) come disf-ava, bened-iamo, f-ando (anziché dis-faceva, bene-diciamo, fac-endo).
In genere l’italiano dell’uso medio o neostandard è giudicato corretto: ammesso “nella lingua parlata e anche nello scritto informale” (112) è il “dativo etico” o “d’affetto” mi sono visto un film; idem l’imperfetto “della frase ipotetica dell’irrealtà nell’italiano colloquiale” (115) es. se venivi prendevo una torta (“sempre vietat[o] nelle grammatiche”: 174); che cosa “più formale e corretta” (125) di che o cosa.
Ma gli ‘le, a lei’ è “un’abitudine da evitare assolutamente in qualunque contesto” (121); “stigmatizzato anche a scuola” (ibid.); “In questo caso la resistenza della norma è molto forte e radicata” (ibid.); il “pur frequentissimo” “ci attualizzante” (122), es. ci ho, c’ho “è comunemente considerato da evitare, almeno nello scritto” (ibid.).
Dialoghi Mediterranei, n. 63, settembre 2023
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Salvatore Claudio Sgroi, già ordinario di Linguistica generale all’Università di Catania, si è occupato di problemi teorici, storici e applicati del-la ricerca linguistica. Sostenitore di un approccio “laico” anche nell’ambito della educazione (meta)linguistica. Da ultimo autore di Il Linguaggio di Papa Francesco (Li-breria Editrice Vaticana, 2016), Gli Errori ovvero le Verità nascoste (Centro di studi filologici e linguistici siciliani, 2019), Dal Coronavirus al Covid-19. Storia di un lessico virale (Edizioni dell’Orso 2020), Trittico sciasciano con “giallo”. Quaquaraqà, mafia, pizzo (UTET-De Agostini Scuola 2021), Saggi scelti di morfologia lessicale (Il Calamo 2022), Saggi di morfologia teorica e applicata (Il Calamo 2022), Il Papa è infallibile. Lo dice la grammatica (Accademia della Crusca, in c. di st.), La lingua italiana del terzo millennio tra regole norme ed errori (UTET-De Agostini Scuola, in c. di st.)
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