Domande
Sia lecito chiedersi se l’accezione dominante nelle nostre società, ma anche in parte degli studi, della categoria di Eros sia adeguatamente cognitiva e non, com’è da ritenere, del tutto parziale e, per molti aspetti, fuorviante. Un Eros limitato in prevalenza alla sfera dei rapporti sessuali fra gli esseri umani, con l’aggravante di una crescente mercificazione dei corpi che restringe il campo polimorfico di Eros con effetti devastanti nei comportamenti, negli usi e costumi, nel confinamento dell’“altro sesso”, la donna, a oggetto di conquista, a “preda”, fino alla soppressione violenta – si veda l’aumento crescente del numero dei femminicidi –, o all’ “usa e getta” [1].
Una mercificazione, sia ben chiaro, che investe pressoché tutti gli ambiti della nostra vita: dall’economia alla cultura, dalla formazione scolastica a quella universitaria, ai problemi del lavoro, dell’ambiente, alle idee di città, alla cura dei territori.
Il dominio di un neoliberismo selvaggio che oggi si declina in una democratura che rispolvera i disvalori della purezza etnica e che si ammanta del culto della “nazione” in termini propri di altri tempi nefasti, in un’Europa di fatto divisa, ben lontana dai valori e dagli ideali del Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi.
Un Eros prevalentemente ristretto nella dimensione corporea dei sessi, il che finisce con il deviarne la funzione pur importante se collocata nella dimensione di un polimorfismo che esalti i valori di Eros stesso.
Sulla sua natura, come ben noto, antica è la messe di speculazioni filosofiche, antropologiche, psicanalitiche che hanno apportato contributi anche rilevanti e che qui noi non tratteremo, ma forse, come rileva Giovanni Bottiroli alla voce Eros dell’Enciclopedia Einaudi:
«Non sembra avventato supporre che, tra le riflessioni sull’amore, le più affascinanti, se non le più importanti dal punto di vista filosofico, siano contenute nella storia della letteratura. […] Ma poiché il modello della conoscenza era pur sempre quello delle conoscenze stabili (scienza e metafisica), è lecito pensare che gli strumenti tradizionali della filosofia abbiano funzionato da letto di Procuste nei confronti della mobilità, della varietà polimorfa propria dei fenomeni amorosi od erotici. […] Non solo alla letteratura, naturalmente, poiché anche la pittura e la musica sono, per alcuni fondamentali aspetti, manifestazioni di Eros» [2].
Non, quindi, una sottovalutazione della pulsione erotica nell’incontro delle anime e dei corpi, ma la sua collocazione in una dimensione onnicomprensiva di un Eros in quanto pulsione vitale dalle tante vie. Eros dai tanti volti, Eros che scorre sui tanti piani della nostra vita, Eros che soffia sui tanti volti dell’esistente.
«L’Eros è animato da un “seme dell’universale”» [3], rileva Byung-Chul Han citando Alain Badiou, e ancora, riferendosi a Platone: «Dall’Eros proviene uno slancio spirituale; l’animo sollecitato eroticamente realizza cose belle e soprattutto buone azioni che hanno un valore universale» [4]. Aggiunge:
«L’azione politica, come un desiderio comune per una diversa forma di vita, per un mondo diverso, più giusto si correla su un piano profondo con l’Eros. […] L’amore è un “palcoscenico per due”. Interrompe la prospettiva dell’uno e permette che il mondo risorga in modo nuovo dal punto di vista dell’Altro o del Diverso» [5].
Immagini del mito
Trovo funzionali, in una prospettiva siffatta, alcuni riferimenti ad antichi miti, in questo caso greci, che hanno rappresentato e rappresentano fino ai nostri giorni un grande patrimonio di storie e di immagini per la produzione letteraria e delle arti in generale.
Suggestivo in proposito quanto annota Roberto Bazlen, detto Bobi, l’ideatore della Casa editrice Adelphi:
«Io credo che l’umanità abbia una specie di fondamento permanente, cioè credo che il mito greco sia sorto quando qualcuno che era passato per una squisita esperienza psichica cercò di comunicarla agli altri e gli fu necessario ripararsi dalle persecuzioni. Esteticamente parlando i miti sono esplicazioni di stati d’animo. Ci si può fermar qui o andare più a fondo, ma è certo comunque che quei miti sono intelligibili in senso vivido e luminoso solo a coloro a cui accadono. […] Per loro queste cose sono assolutamente reali» [6].
Solo qualche riferimento fra i tanti possibili. Rileggiamo la Teogonia di Esiodo (metà VIII secolo- VII):
«All’inizio di tutto fu il Caos – cioè il vuoto primordiale – e subito dopo Gea dall’ampio seno, sede sicura, eterna, di tutti gli immortali che abitano le nuove vette dell’Olimpo, poi Tartaro buio nell’abisso della vasta terra e poi Eros, il più bello tra gli immortali, colui che scioglie le membra e di tutti gli dèi e di tutti gli uomini doma nel petto il volere e l’accorto consiglio» [7].
Eros, nota Guidorizzi, «[…] impone a tutta la materia vivente, dagli animali agli dèi, la legge del desiderio» [8]. Eros, l’energia riproduttiva di tutta la materia vivente, dunque.
E rileggiamo Aristofane (446 a.C.-386 a.C.), Uccelli:
«In principio c’erano il Caos e il buio Erebo e il Tartaro immenso, non esisteva la terra, né l’aria, né il cielo. Nel seno sconfinato di Erebo la Notte dalle ali di tenebra generò dapprima un uovo pieno di vento. Col trascorrere delle stagioni, da questo sbocciò Eros, fiore del desiderio: sul dorso gli splendevano ali d’oro ed era simile al rapido turbine dei venti. […] egli covò la nostra stirpe, e questa fu la prima che condusse alla luce. Neppure la stirpe degli immortali esisteva avanti che Eros congiungesse gli elementi dell’universo» [9].
Eros è «simile al rapido turbine dei venti», soffia e congiunge «gli elementi dell’universo», dunque, quelli fra cui gli esseri umani vivono. Eros assicura continuità alle specie e coesione interna del Cosmo.
Eros sboccia da «un uovo pieno di vento», ed era «simile al rapido turbine dei venti»: noi lo sentiamo dentro questo vento, ci “accade”, direbbe Bazlen. Ed è un vento che “congiunge” in una molteplicità di direzioni, l’altro corpo che amiamo, un ideale di vita che abbracciamo, la natura, gli animali.
Molteplicità
Trovo feconda anche per l’argomento che stiamo qui trattando una chiave di lettura che rinvia a uno dei «valori o qualità o specificità della letteratura» che inducono Italo Calvino nelle sue stupende Lezioni americane a riporre la sua fiducia nel futuro della letteratura nel nuovo millennio: dopo la leggerezza, la rapidità, l’esattezza e la visibilità, la molteplicità che egli invero riferisce al «romanzo contemporaneo come enciclopedia, come metodo di conoscenza, e soprattutto come rete di connessione tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo» [10]. Con i dovuti distinguo possiamo, ritengo, volgere lo stesso sguardo a larghe sezioni delle letterature di tutti i tempi. Nella sua prima conferenza, precisa Calvino, aveva preso le mosse
«dai poemi di Lucrezio e di Ovidio e dal modello d’un sistema di infinite relazioni di tutto con tutto che si trova in quei due libri così diversi. In questa conferenza credo che i riferimenti alle letterature del passato possano essere ridotti al minimo, a quanto basta per dimostrare come nella nostra epoca la letteratura sia venuta facendosi carico di questa antica ambizione di rappresentare la molteplicità delle relazioni, in atto e potenziali» [11].
E il vento di Eros soffia sulle letterature di tutti i tempi, soffia sui rapporti amorosi fra i sessi, soffia in vario modo sui rapporti con la natura, sugli ideali cui dedicare la propria vita, sul legame con gli animali.
Ci sarebbe molto da commentare, a partire dalle narrazioni degli antichi miti non solo greci fino a Chandra Candiani. Qui solo qualche annotazione e per frammenti, limitata a rapporti con la natura e con gli animali; per l’Eros relativo all’amore fra umani, con particolare riferimento all’Antico e al Medioevo, rinvio alla Premessa da me curata al numero monografico di «Critica del testo» dedicato a Eros romanzo [12]; ai miei saggi Eros antico e medievale, canone letterario: contro gli stereotipi e Postille critiche su Jean de Meun e Christine de Pizan [13], nonché a Rappresentazioni letterarie dell’alterità. Il Sé e la sofferenza dell’Altro [14].
Il panorama è infatti di grandi ampiezza e varietà: dalle raffigurazioni di vita campestre nello scudo di Achille agli Ossi di seppia di Montale, al suo Meriggiare pallido e assorto (1916), al suo Mediterraneo (A vortice si abbatte), ai suoi gialli dei limoni, al loro odore (I limoni, 1921), allorché «il gelo del cuore si sfa, / e in petto ci scrosciano / le loro canzoni / le trombe d’oro della solarità» e oltre, al suo girasole impazzito di luce (Portami il girasole, 1923): «Portami tu la pianta che conduce / dove sorgono bionde trasparenze / e vapora la vita quale essenza / portami il girasole impazzito di luce»: versi e immagini che si intrecciano con il suo male di vivere (Spesso il male di vivere ho conosciuto, 1924) [15], «per la ricerca del dolore nell’orizzonte della natura» [16].
Panorama ampio, per scorrere il quale utile può risultare la sintesi di Rosa Elisa Giangoia [17]. Panorama nel quale il fascino della natura è cantato da Saffo e trova eco nella creazione del tòpos del locus amoenus [18] e antitesi nella visione della natura come matrigna nel De rerum natura di Lucrezio, che si diramerà nei tempi, così come d’altra parte all’amore verso l’altro sesso si è contrapposta la misoginia, all’amore l’odio verso l’Altro. Si manifesta una polarità Amore/Odio degna di ulteriore trattazione. Senza tuttavia tralasciare, sempre a proposito della natura nella letteratura, almeno un cenno al Virgilio soprattutto delle Bucoliche nelle quali «il poeta inventa e fissa il paesaggio dell’Arcadia» [19].
Vi sono fiori che acquisiscono nel tempo pregnante valore simbolico, si pensi alla rosa: sacra a Venere, e poi Rosa mystica (la Madonna). Si pensi alla candida rosa dantesca (il Paradiso) e poi alla rosa collegata alla verginità femminile (il Roman de la Rose di Guillaume de Lorris) e alla sua deflorazione che avviene, appunto, in un roseto (il Roman della Rose nella parte dovuta a Jean de Meun), e ancora, a proposito di fiori, al lauro petrarchesco.
Per fare solo un cenno all’Arcadia di Jacopo Sannazzaro (1504), al tipo di rappresentazione letteraria della natura nel Romanticismo, con il prevalere della foresta, «simbolo di una memoria mitica, di una libertà tipica dei popoli celti e germanici, che si esprimeva appunto nella vita dei boschi» [20]. Ma già, ad esempio nel romanzo francese medievale, la foresta
«[…] sembra rivestire il duplice ruolo sociale del luogo di iniziazione militare e di dannazione e perdita della stessa, in quanto ambito in cui l’amore oppure la follia possono retrocedere l’uomo d’armi al suo stato primitivo e animalesco, nella foresta dunque si afferma il proprio valore sconfiggendo giganti, nemici temibili e altre entità malefiche. Nella selva ci si può smarrire, ma l’incontro con santi eremiti può risultare salvifico»,
rileva Martina Di Febo, la foresta sede delle avventure e delle meraviglie [21].
Si svilupperà nel Settecento
«il rapporto personale soggettivo che si viene a stabilire tra il singolo individuo ed elementi della natura che si caricano di motivazioni individuali che li rendono importanti. […] Nasce così un modo completamente nuovo di percepire la natura: la si guarda, la si osserva e soprattutto si analizzano ed esprimono le emozioni, i cambiamenti di stato d’animo, i ricordi che da questo nuovo rapporto nascono» [22].
E come non volgere lo sguardo, da un lato, al pessimismo cosmico di un Leopardi (Ultimo canto di Saffo, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia), dall’altro alle «vette altissime» cui porta «il rinnovato rapporto soggettivo, individuale e meditativo con aspetti del paesaggio (L’infinito, Alla luna, Le ricordanze, ecc.)» [23]. Quella luna che, come con “leggerezza” annota Italo Calvino,
«[…] appena si affaccia nei versi dei poeti, ha avuto sempre il potere di comunicare una sensazione di levità, di sospensione, di silenzioso e calmo incantesimo. […]; il miracolo di Leopardi è stato di togliere al linguaggio ogni peso fino a farlo assomigliare alla luce della luna» [24].
E così, alle vicende che vedono protagonista il mare scenario di vasta e varia produzione letteraria, le sue insidie, i suoi mostri, i suoi paesaggi, fino agli Ossi di seppia del già citato Montale, al “paesaggio-immagine” e metafora di Giorgio Caproni che riguarda le sue città, le sue valli.
Inoltre, di grande fascino il dialogo che Wisłava Szymborska (1923-2012), Nobel letteratura 1996, intreccia con alberi e nuvole e animali, sede di meditazioni sulla vita, di ricordi, di rimpianti, di ricerca, per tralasciare la recente raccolta di poesie, Pane del bosco, di Chandra Candiani.
E su Eros che soffia verso gli animali c’è tanto da scoprire. Fiere pericolose per gli esseri umani così come d’altra parte questi ultimi lo sono per loro. Altre creature che noi amiamo come esse a modo loro amano noi. Simboli, metafore e allegorie in una vasta produzione letteraria, nonché nelle arti figurative. Dalle tre fiere dantesche, per fare solo qualche riferimento – la lonza (lussuria), il leone (superbia), la lupa (cupidigia) –, ma anche alla bella immagine «Quali colombe dal desio chiamate/con l’ali alzate e ferme al dolce nido/vegnon per l’aere, dal voler portate» [25] , ai gatti di Chandra Candiani, passando per il cardillo addolorato e il puma di Alonso il visionario di Anna Maria Ortese: perché il dolore che il cardillo esprime? Perché ha attinenza «col mondo dei piccerilli […] di quanti rimasero fanciulli […]. Perché il dolore è un deserto. E solo i fanciulli […] possono conoscere il deserto […]. Deserto di che? […] D’amore, di rispetto […]» [26]; e il puma «[…] simbolo d’una diversa umanità più vera e profonda perché “umile e animale”», commenta Attilio Scuderi [27].
Direi, citando Byung-Chul Han:
«L’amore è un “palcoscenico per due”: interrompe la prospettiva dell’uno e permette che il mondo risorga in modo nuovo dal punto di vista dell’Altro o del Diverso» [28].
Per concludere un discorso che invero è solo all’inizio e per tralasciare la mia passione per le tartarughe, mi perdoni Eliana Creazzo un riferimento ai gatti della Candiani:
«I gatti, tra i tanti addestramenti a cui mi hanno sottoposto, mi hanno insegnato le distanze sonore, non invaderli, ma nemmeno ignorarli: ron ron è “Sono qui e tu sei lí, bello!”» [29].
Dialoghi Mediterranei n. 64, novembre 2023
[*] Il testo inedito è l’Introduzione al Colloquio “Medioevo Romanzo e Orientale” (Dipartimento di Scienze Umanistiche, Università di Catania, 21-22 settembre 2023)
Note
[1] In proposito, si veda anche Han 2019.
[2] Bottiroli 1978: 659.
[3] Han 2019: 73.
[4] Ibidem.
[5] Ivi: 75.
[6] Calasso 2021: 80.
[7] Guidorizzi 2009: 5.
[8] Ivi: 5.
[9] Ivi: 93.
[10] Calvino 1988: 103.
[11] Ivi: 109-10.
[12] Pioletti 2018: VII-XIV.
[13] Pioletti 2022a: 11-37 e 231-57.
[14] Pioletti 2022b: 509-22.
[15] Bettarini-Montale 1975.
[16] Cataldi-d’Amely: 75.
[17] Giangoia 2012.
[18] Curtius 1992: 219-23.
[19] Giangoia 2012: 3. Si veda anche Snell 1963.
[20] Giangoia 2012: 7-8.
[21] Di Febo 2023: 51.
[22] Giangoia: 8.
[23] Ivi: 9.
[24] Calvino 1988: 26.
[25] Pasquini-Quaglio 1982: If., V, vv. 82-84.
[26] Baldi, Farnetti, Secchieri 2005: 469.
[27] Scuderi 2020: 71.
[28] Han 2019: 75.
[29] Candiani 2021: 17.
Riferimenti bibliografici
Testi
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1963 La cultura greca e le origini del pensiero europeo, Einaudi, Torino [1946].
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Antonio Pioletti, professore emerito di Filologia romanza dell’Università degli Studi di Catania, ha condotto le sue ricerche negli ambiti delle letterature francese, spagnola e italiana medievali, della teoria della letteratura e della comparatistica, con interessi rivolti anche al Moderno e al Contemporaneo. Sue pubblicazioni principali sono Forme del racconto arturiano (1984); Renaut de Beaujeu, Il bel cavaliere sconosciuto (1992); La fatica d’amore. Sulla ricezione del Floire et Blancheflor (1992); La porta dei cronotopi (2014); La porta dei cronotopi 2 (2019); Filologia e critica. Contro gli stereotipi (2021). Vasta la produzione saggistica su testi epici, materia arturiana, Commedia di Dante, rapporti letterari e culturali fra Oriente e Occidente, rappresentazione letteraria dell’alterità, ricezione delle letterature romanze, canone letterario, costruzione del tempo-spazio nei testi letterari. È condirettore delle riviste «Critica del testo» e «Le forme e la storia», oltre che della Collana «Medioevo Romanzo e Orientale».
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