CIP
di Rossano Pazzagli
La perdita di Alberto Magnaghi apre un vuoto grande nel campo degli studi territorialisti che negli ultimi decenni, grazie alla scuola da lui fondata, hanno recato un importante contributo all’analisi dei luoghi, ai processi di pianificazione e alle forme del governo, o meglio dell’autogoverno, come egli stesso preferiva dire, contrastando la chiusura disciplinare dei saperi e cercando piuttosto di riunirli o di farli interagire in una più complessa e unitaria scienza del territorio, contaminando sempre più la dimensione scientifica con quella umanistica e promuovendo l’incrocio tra saperi esperti e saperi contestuali.
Eppure quel vuoto che oggi ci rattrista è pieno di cose, colmo di un’eredità vitale, fitto di sentieri da percorrere ancora, accompagnati dal ricordo indelebile dello sguardo arguto di Alberto e del suo sorriso ironico e pungente al tempo stesso, quasi un ghigno stimolante di sfida che ci spronava sempre a un duplice impegno: quello scientifico dei nostri studi e quello civile del nostro essere cittadini, rimettendo al centro il metodo della partecipazione che ha condito l’agire politico di tanti di noi. Il suo lavoro e quello della Società dei Territorialisti [1], da lui presieduta fin dalla nascita nel 2011, conteneva l’invito costante ad una riconnessione tra cultura e politica, un legame che il nostro tempo ha progressivamente spezzato.
Era questo il profilo di Alberto: quello di un grande intellettuale che non ha mai rinunciato a cambiare lo stato di cose esistente e che ha trovato nel territorio, inteso come esito della coevoluzione tra uomo e natura, la sintesi più alta di una nuova visione del mondo. Ci ha indicato la vera sfida, cioè quella della conversione (conversione, non transizione) ecologica e territorialista della società e dell’economia come risposta strategica alla crisi del tempo presente. In questo ci ha abituato a rischiare, a rischiare di essere visionari con le sue utopie concrete. La necessità di possedere una visione come base per le strategie e infine dei progetti è stato forse l’insegnamento metodologico più alto: una visione necessaria, appunto, che venga prima delle strategie e dei progetti, mentre oggi si procede quasi sempre al contrario, come rende ancor più evidente l’attuazione del PNRR sganciata da organiche e coerenti politiche di programmazione strategica.
Di Alberto Magnaghi ci mancherà la carica utopica che lo ha connotato come un uomo rivoluzionario, che ci ha aiutato a immaginare il futuro, a lavorare per qualcosa che non fosse solo per la vita accademica. Questo non è un ricordo biografico, e tuttavia il suo profilo intellettuale e scientifico non può essere considerato disgiunto dalla sua umanità e dalla sua vicenda personale. In tanti lo hanno ricordato, rimettendo in fila la sua storia di militante e di studioso, studioso del territorio prima di tutto, del territorio che non è soltanto spazio geografico, ma comunità, insediamenti, combinazione di funzioni e relazioni. È stato un grande lavoratore, che ha lottato sempre anche contro la malattia; protagonista di un lavoro indefesso e al tempo stesso incline alla elaborazione teorica. Da sempre impegnato contro le ingiustizie del mondo, pagando per questo un elevato prezzo personale, compresa l’esperienza ingiusta del carcere prima di essere assolto [2], Alberto Magnaghi ci ha insegnato come prenderci cura del mondo a partire dal territorio e dalla centralità dei luoghi. Dagli studi su Adriano Olivetti a quelli sulla coscienza di luogo, dal Progetto locale [3] al Principio territoriale [4] che sono il riferimento della Scuola territorialista e capisaldi del lunghissimo elenco dei suoi scritti, emergono in modo non meccanico, ma evolutivo non soltanto i concetti che stanno alla base del lavoro territorialista, tra cui quello centrale dei beni comuni e della bioregione, ma anche il profilo di un uomo giusto e di urbanista militante, come ebbe a dire molti anni fa Rossana Rossanda.
Io non sono un urbanista, né un architetto. Eppure ho ricevuto molto da Alberto Magnaghi. Il suo modo di concepire il territorio nell’ottica coevolutiva, che implica la dimensione temporale, ha sollecitato incredibilmente il mio lavoro di storico, che trova nella prospettiva di lungo periodo e in tematiche come l’agricoltura, il paesaggio e l’ambiente il senso profondo di un legame tra i due tempi essenziali della vita che sono il passato e il futuro; è questa, se vogliamo, una rottura rispetto al presentismo che ha invaso la società contemporanea. Così, lo spazio che diventa territorio – da spazio naturale a spazio dell’abitare, scriveva – incontrava la dimensione temporale della storia e il lavoro storico assumeva anche, finalmente, una dimensione territoriale dialogando con la geografia, l’archeologia, l’urbanistica stessa, le scienze agrarie e così via [5]. La critica irriducibile rivolta da Magnaghi al fordismo, al capitalismo, al neoliberismo ci ha indicato una via che non dovremo abbandonare, tanto meno ora che il mondo sembra rotolare nel ripido pendio della catastrofe ecologica.
Vissi con lui l’esperienza della rete del Nuovo Municipio, condividendo diverse battaglie territoriali. Nata nel 2003 come associazione nazionale che riuniva enti locali (in particolare Comuni), docenti e ricercatori universitari, movimenti e associazioni impegnati in vari settori della cosiddetta politica diffusa, si poneva l’obiettivo di creare una rete stabile di critica e di lotta tra soggetti in grado di promuovere forme di democrazia partecipativa, di costituire una banca dati delle buone pratiche di governo locale, di incentivare e stimolare processi partecipativi nell’ottica di nuovi modelli di sviluppo autosostenibili, fondati sulla centralità delle risorse locali e sul protagonismo delle comunità e dei territori nell’ottica della Carta del Nuovo Municipio lanciata al World Social Forum di Porto Alegre del 2001 [6]. Alcuni di questi obiettivi sono poi transitati nella Società dei Territorialisti, che doveva però assumere nella visione di Magnaghi il profilo più proprio di una società scientifica, un’associazione in grado di raggruppare intellettuali, docenti e ricercatori delle varie discipline in qualche modo afferenti al territorio con il fine di procedere per “grappoli” disciplinari alla costruzione di una scienza del territorio: dalle scienze alla scienza del territorio.
Sempre nei primi anni 2000, all’Università di Firenze, nella sede di Empoli dove Magnaghi aveva avviato un nuovo corso di laurea in pianificazione territoriale e ambientale, aprimmo grazie a lui una delle prime esperienze italiane di insegnamento di Storia dell’ambiente in ambito universitario, di cui fui il primo incaricato. Si apriva una linea che maturerà successivamente nella Società dei Territorialisti, fino all’approdo all’ecoterritorialismo di cui si è occupata la vita più recente della SdT [7], ma che affondava le sue radici negli studi che Magnaghi aveva portato avanti fin dagli anni ’90, sfociati agli albori del nuovo secolo nella pubblicazione de Il progetto locale. Nel prologo di questo libro fondamentale scriveva:
«Il territorio è un’opera d’arte: forse la più alta, la più corale che l’umanità abbia espresso… il territorio è generato da un atto d’amore perché nasce dalla fecondazione della natura da parte della cultura… ma la nostra civilizzazione tecnologica si è progressivamente liberata del territorio, trattandolo da superficie insignificante e seppellendolo di oggetti [o abbandonandolo, aggiungo io]… è necessaria dunque una rinascita… una ricerca rifondativa di relazioni virtuose, di nuove alleanze tra natura e cultura, fra cultura e storia [e fra cultura e politica, aggiungo io]».
Alberto Magnaghi è stato il presidente della Società dei Territorialisti, il nostro presidente, un presidente con grande capacità di guida e operativo al tempo stesso, fino all’ultimo. Non sarà facile per la Società dei territorialisti, forse impossibile, trovare un presidente come lui. Eppure, dobbiamo proseguire il cammino, il suo cammino, possibilmente rafforzandolo e allargandolo. Da Alberto abbiamo imparato molto e gli abbiamo voluto bene e queste cose – le lezioni che ha lasciato e il bene che gli abbiamo voluto – non moriranno, vivranno ancora nell’impegno territorialista e nel ricordo indelebile di un uomo tenace dallo sguardo mite.
Dialoghi Mediterranei, n. 64, novembre 2023
Note
[1] A. Magnaghi (a cura di), Territorio bene comune, Firenze University Press, Firenze, 2012.
[2] A. Magnaghi, Un’idea di libertà, Derive&Approdi, Roma, 2014.
[3] A. Magnaghi, Il progetto locale, Bollati Boringhieri, Torino 2000.
[4] A. Magnaghi, Il principio territoriale, Bollati Boringhieri, Torino, 2020.
[5] A Magnaghi, La storia del territorio nell’approccio territorialista all’urbanistica e alla pianificazione, in “Scienze del Territorio”, n° 5 FUP, Firenze 2017.
[6] A. Magnaghi, “Per una costituente del Nuovo Municipio”, in P. Sullo (a cura di), La democrazia possibile, Intra Moenia, Napoli 2002: 31-45
[7] A. Magnaghi, O. Marzocca, Ecoterritorialismo, Firenze University Press, Firenze, 2023.
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Rossano Pazzagli, insegna Storia moderna e Storia del territorio e dell’ambiente all’Università del Molise, è vicepresidente della Società dei Territorialisti e direttore della Scuola di Paesaggio “Emilio Sereni”. Fa parte della direzione di varie riviste, tra cui “Ricerche storiche” e “Glocale”. È autore di numerosi articoli e libri sulla storia del mondo rurale e sulla storia del turismo; con Gabriella Bonini ha recentemente pubblicato il volume Italia contadina. Dall’esodo rurale al ritorno alla campagna. È Vicepresidente della Società dei territorialisti.
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