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Alberto Magnaghi, un intellettuale, un urbanista, un amico

Alberto Magnaghi

Alberto Magnaghi

CIP

di Mariavaleria Mininni 

Alberto Magnaghi, il 21 settembre scorso, ci ha lasciati, dopo una vita intensissima di esperienze che hanno attraversato la storia dell’Italia di più di mezzo secolo, tracciando una propria originalissima rotta. Urbanista, territorialista, torinese di nascita e legato alle Langhe quanto al chiantigiano dove si era stabilito da lunghi anni. Per sua diretta ammissione inseguiva muri a secco e vigneti apprezzando il vino e amando i paesaggi che lo producevano.

Fondatore e animatore negli anni Settanta del Dipartimento di Scienze del Territorio presso il Politecnico di Milano e della rivista «Quaderni del territorio», ha fondato da quasi vent’anni la Società dei territorialisti, dove ha raccolto studiosi e, insieme, educato giovani ricercatori alla cultura del territorio e alla coscienza dei luoghi. Tra queste due fasi importanti della sua vita, a metà degli anni settanta si colloca la sua attività di operaista attivista, segretario di Potere operaio, incarcerato e inquisito nel processo «7 aprile», nella seconda ondata degli arresti avvenuta il 21 dicembre del ’79. Ha passato quasi tre anni di carcerazione preventiva, poi è stato prima condannato a 7 anni, per essere dopo assolto in formula piena, nell’’87, avendo trascorso ingiustamente la sua pena. Anni duri raccolti nel suo diario dal carcere Un’idea di libertà, un racconto severo e accorato da cui emerge la messa in discussione di una visione politica che andava degenerando perdendo la carica di idealità che aveva mosso tanti entusiasmi, la sua capacità umana di reagire, ma che lo provarono fisicamente colpendolo di un male che per tutta la vita ha saputo combattere con la passione per quello che faceva e in cui credeva.

2561892398289_0_536_0_75Alberto era animato da una straordinaria capacità di elaborazione teorica, e per certi versi utopica (lui la definiva «utopia concreta», l’unica in grado di produrre veri cambiamenti), ha scritto libri apprezzati a livello internazionale, come Il progetto locale. Verso la coscienza di luogo (Bollati Boringhieri, 2000) o il suo ultimo Il principio territoriale (Bollati Boringhieri 2020), e ha fondato e animato la Società dei territorialisti, presieduta con energia fino agli ultimi giorni. Il suo ultimo volume Ecoterritorialismo (FUP, 2023), che rappresenta un po’ il suo testamento intellettuale, è costruito collettivamente con tanti suoi amici e colleghi che ne condividono la visione.

Molte testimonianze sono state chieste a chi lo aveva conosciuto, nella sua poliedrica e lunga militanza in una vita intensa e dislocata in più parti. Ognuno restituisce il racconto di quell’Alberto che ha avuto modo di conoscere e apprezzare, quel periodo in cui si è trovato a lavorargli affianco e ne porta un ricordo indelebile, oppure a conoscerlo come maestro, chi lo ha incontrato nei cortili del carcere di San Vittore a Milano, oppure frequentato per i comuni interessi di studi, per condividere esperienze di ricerche oppure di lavoro operante nella sua attività principale che era la pianificazione del territorio.

Intenso il racconto di Sergio Bianchi, editore, che incontrò Alberto, quando entrambi erano detenuti in carcere. Bianchi parla di un uomo vivo, in apparenza immutato nelle sue passioni, che studiava e incontrava in seminari alcuni prigionieri politici, ma anche uomini “comuni”. Insieme all’armonica, che come la pittura, praticava fin da ragazzo con grande passione, aveva iniziato a suonare il flauto. Si applicava manualmente «accroccava degli aereoplanini con della balsa che durante le “ore d’aria” lanciava nei cortili. Il più delle volte andavano dall’altra parte del muro, allora ne costruiva altri». Racconti da cui emergeva una personalità ironica, gentile, attentissima agli aspetti relazionali, affettivi, alle cose ultime, e penultime.

81xyw9xqpsl-_ac_uf10001000_ql80_Aldo Bonomi in una intervista rilasciata alla rivista “Machina”,  ripercorre  gli anni Ottanta, in cui ricorda la instancabile volontà di Alberto di visitare i luoghi che studiava, di lavorare con le comunità montane piemontesi credendo profondamente nello sviluppo locale dal basso e praticandolo di persona, presagendo l’arrivo con il post-fordismo della fabbrica diffusa, riscoprendo con Becattini e De Rita, le «comunità concrete» olivettiane, il rapporto tra fabbrica e territorio a fronte della scomposizione del lavoro e dei radicali mutamenti del paradigma produttivo, ragionando sulle differenze tra Fiat e Olivetti. Una riflessione che verrà riportata nel libro Il vento di Adriano (Olivetti) scritto nel 2015 anche con Revelli per la collana Derive Approdi.

La presentazione al testo di Giacomo Becattini, La coscienza dei luoghi. Territorio come soggetto corale. edito nel 2015 nella collana Saggine di Donzelli sarà il modo per affrontare con l’economista toscano l’ipotesi di riacquistare la responsabilità sociale come opportunità di nuovi modelli di sviluppo solidale che andassero oltre il mercato, pensando a come le comunità interpretando i caratteri dei loro milieux potessero addirittura trasformare in beni comuni le risorse territoriali fino al raggiungimento, oltre il benessere, della felicità. Concetti visionari che il grande economista e il pianificatore utopista arrivano a prefigurare insieme. «Il territorio non è un “foglio bianco” sul quale un urbanista disegna imponendo la sua visione. Il territorio è una cosa viva, una straordinaria opera d’arte prodotta non da un singolo artista ma, nel corso dei millenni, da migliaia di uomini e donne, spesso anonimi, e dalle numerose comunità che si sono avvicendate».

quaderni-del-territorio-1024x1024Con Giuseppe Dematteis amico, grande geografo e, come lui, piemontese, lavorano nella Società dei Territorialisti, guardando alla «metroregione», ovvero della metropoli che si mangia la montagna, che declina in modo diverso il concetto eterotopico di «bioregione», su cui Alberto si soffermerà fino all’ultimo, individuandola come opposizione ai processi di de-territorializzazione e alla perdita delle memorie dei luoghi e dei loro depositi di saperi frantumati nella superficialità del presente. Un concetto che risponde alla crisi ecologica, ai cambiamenti climatici che lo portano ad elaborare un concetto economico di self-reliance: dalla competizione globale alla cooperazione bioregionale

Mi è stato chiesto da più parti di lasciare scritture brevi o raccontare testimonianze sulla figura di Alberto Magnaghi. Le ragioni di affiliare i nostri nomi derivano dalla lunga esperienza portata avanti con Alberto ai tempi della redazione del piano paesaggistico della regione Puglia, svolto negli uffici della Regione dal 2007 al 2011. Quattro anni molto intensi che per chi non fa questo mestiere sono difficili da immaginare. Per il gruppo di lavoro chiamato a redigere uno strumento di piano si tratta di una maniera di vivere un percorso di lavoro che ha molto lo spirito di un’esperienza di vita, un’esperienza immersiva, per il tempo continuativo che richiede, per la maniera di essere fatto in gruppo, persone di diversa formazione che lavorano insieme, e lo spirito di collaborazione, intesa e condivisione che si costruisce nel tempo della sua preparazione. Fino alla conclusione del processo istitutivo che lascia un segno per sempre nelle persone che vi hanno lavorato. 

Stralcio dal Piano Paesaggistico Territoriale per la regione Puglia, curato da Magnaghi

Stralcio dal Piano Paesaggistico Territoriale per la regione Puglia, curato da Magnaghi

Vincendo un bando per la scelta della figura del coordinatore della segreteria tecnica del Piano Paesaggistico Territoriale per la regione Puglia, sono stata selezionata per collaborare con Alberto Magnaghi che era stato nominato consulente scientifico del piano. La Puglia all’epoca dei fatti rappresentava, per certi versi, un tentativo di laboratorio politico riformista per il Sud, dove Nichi Vendola sperimentava una sorta di “riforma gentile”, come lui amava chiamarla. A quel tempo la città di Bari era animata da un gruppo di intellettuali e studiosi che si erano andati a formare nelle università, radunati intorno alle riflessioni che si alimentavano nei seminari in libreria Laterza, allenati all’esercizio di cittadinanza attiva all’interno di Città Plurale, un gruppo di cittadini accumunati dalla necessità di ritrovarsi intorno a problemi comuni, per discutere sui problemi della città, della società, per aumentare il livello di consapevolezza. Essi avvertivano la necessità di formare un’opinione più responsabile e più consapevole.  Un clima di energia che aveva visto nell’animato dibattito conclusosi con l’abbattimento dell’edifico di Punta Perotti, un grande schermo edilizio che occludeva la vista del mare alla città e ai cittadini, il cui abbattimento rappresentava una sorta di riscatto alla speculazione edilizia e al dispregio dei beni comuni come la vita del mare e il godimento del suo panorama dalla città.

Il Piano Paesaggistico della Regione Puglia è stata un’esperienza straordinaria di lavoro e di elaborazione collettiva, un vero laboratorio di idee sulla cultura della dimensione paesaggistica applicata al territorio che ha coinvolto numerosi specialisti, studiosi, e molti giovani, un’esaltante palestra di politica attiva  che ha prodotto uno straordinario strumento di pianificazione del territorio ma soprattutto una maniera di pensarlo oltre la visione vincolistica, così poco efficace soprattutto nei paesaggi meridionali dove la regola del comando e controllo aveva prodotto l’abusivismo diffuso. Un piano che voleva incidere soprattutto sulla cultura dei beni comuni per la costruzione di una forma mentis l’amor loci, che ha anche profondamente inciso sul modo stesso di studiare il territorio, proponendo un modello che a partire dal caso del territorio pugliese ha fatto scuola. In quegli anni Alberto si trasferì stabilmente in Puglia, percorrendola in lungo e in largo, incontrando e dialogando con migliaia di persone, amministratori locali, imprenditori, professionisti, associazioni, comitati, semplici cittadini, mai sottraendosi al confronto.

Magnaghi con Toni Negri , 1977

Magnaghi con Toni Negri durante una conferenza di Potere Operaio, Università di Padova, 1972

Non potrò dimenticare un particolare episodio vissuto in procinto di preparare i documenti del piano per una delle Conferenze d’area all’interno delle quali presentavamo le fasi di avanzamento del piano alla popolazione per attivare un confronto, una discussione che desse alla popolazione pugliese la consapevolezza che lo strumento di piano doveva essere condiviso, prima ancora che dai tecnici e dalla politica, dalla popolazione a cui era destinato. In quel clima di grande fermento per il lavoro da fare, all’interno del laboratorio del piano degli Uffici della Regione, mentre eravamo con tutto il gruppo di lavoro in circolo intorno ad Alberto, si affaccia una maestra in visita didattica con una classe di bambini per visitare i laboratori. Naturalmente mentre mi avvicino alla maestra per invitarla a ritornare in un momento più opportuno, Alberto mi ferma e la invita a stare con noi, aspettando che i bambini invadessero la stanza e spiegando loro il senso del nostro lavoro, il nostro impegno, catturando la loro curiosità non risparmiandosi di ricevere domande e dare risposte ben argomentate. La nostra incredulità mista a sconforto lentamente si stemperava capendo che in quell’azione c’era tutta la carica di umanità e la lezione etica del maestro che avevamo davanti.

Non posso tacere tra i tanti ricordi e lezioni che Alberto mi ha lasciato, quello di una serata indimenticabile, passata a casa mia dopo la prima presentazione del piano ad Altamura nel dicembre 2008, un esordio che ci aveva molto impegnato per il peso politico che Vendola attribuiva a questo processo di pianificazione e al rischio di vederlo infrangere alla prima uscita pubblica. La presentazione fu un vero successo e per noi una consapevolezza di andare per il verso giusto. La sera alla cena eravamo anche con Franco Cassano, che abbiamo anche lui perso recentemente, ispiratore di quel pensiero meridiano che Alberto richiamava sempre, a cui rimandava la sua idea di Sud come di un territorio senza difetti di modernità.  Alberto nonostante la stanchezza e il vino che rubava quel po’ di lucidità rimasta, almeno per i comuni mortali, lentamente diventò un fiume in piena e, sollecitato dalle argute e curiose domande di Cassano, iniziò a raccontare nei dettagli tutta la sua esperienza del carcere, le passioni che lo avevano animato anche in quella situazione di costrizione forzata, le umiliazioni nel corpo, la capacità di capire come mente e corpo possano anche agire autonomamente, la grande forza d’animo che lo aveva portato a non rinnegare alcuno dei suoi princìpi, a fare il delatore per sottrarsi alla detenzione. Una esperienza toccante che ci aveva tutti tenuti svegli fino a notte fonda. Prima dell’inizio della cena me ne sarei andata con piacere a dormire. A quel punto ero di nuovo carica come una molla tesa, pronta per una nuova giornata de lavoro.

Dialoghi Mediterranei, n. 64, novembre 2023

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Mariavaleria Mininni, Ricercatrice di Ecologia, è professore ordinario di Urbanistica all’Università degli Studi della Basilicata, Matera, dove insegna Urbanistica e Paesaggio nei corsi di Architettura e di Scienze Antropologiche e Geografiche (SAGE). Lavora sulla nozione di paesaggio e dell’abitare contemporaneo, coinvolgendo i campi dell’agrourbano e delle geografie del cibo. Ė responsabile di UO Unibas nella ricerca “l’Italia di Mezzo” (Prin 2021) e nella ricerca Ecosistema dell’Innovazione “Technologies for climate change adaptation and quality of life improvement” Tech4You. Ha lavorato alla redazione del Piano Paesaggistico della Puglia (2010), a quello della Basilicata (2020) e, ora, al Piano della Campania. Ha recentemente pubblicato Osservare Matera. Cultura, cittadinanza e spazio, (Quodlibet, 2021), “Matera” in Viaggio in Italia”, a cura di G. Viesti e B. Simili (Il Mulino, 2017), “Matera Lucania 2017. Laboratorio Città paesaggio” (Quodlibet 2017). Matera Lucania 2017 Laboratorio Città e Paesaggio (Quodlibet, 2017), Approssimazioni alla città. (Donzelli, 2013).

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