di Laura D’Alessandro
Un dolce ticchettio al mattino presto rincorre speranze spezzate di sogni… stacca, rabbonisce ogni cosa e la roccia obbedisce la visione dello scultore all’interno della forma il mazzuolo spinge…il cesello vola…e la roccia diventa il pensiero di Henry lavora con lo scalpello…questa vita…da una pietra senza vita risorge… (Michael Simpson, President of Utica University, NY)
Mi trovavo ad un incontro letterario nel Palazzo del Comune di Castelforte [1], quando il mio sguardo incede con insistenza su una scultura che mi piace sin dal primo istante. Una scultura in granito raffigurante il volto di una donna. Mi diranno che si tratta della Sognatrice o Pensierosa, realizzata dallo scultore Henry Di Spirito [2], nato a Castelforte nel 1898 ed emigrato negli Stati Uniti nel 1921 all’età di 23 anni e che, con le sue opere presenti nei più prestigiosi musei d’arte americani, ha lasciato un segno importante nell’arte scultorea.
Conoscevo l’arte di Henry Di Spirito perché avevo letto tempo fa il libro a lui dedicato e realizzato nel 1995 da un suo concittadino, lo storico e studioso Duilio Ruggiero [3] che con il volume Henry [4], ha ricostruito la vita dell’uomo e la sua vita da scultore. Si tratta dell’unica opera scritta in italiano su questo artista, grazie alla quale lo storico ha permesso di far conoscere anche in Italia uno scultore tanto amato e ammirato ancor oggi negli Stati Uniti. Con il suo preciso e, a tratti, commovente lavoro, Ruggiero ha scritto delle pagine bellissime da cui emergono la profonda riconoscenza verso l’opera che lo scultore ha realizzato, oltre ad una grande sensibilità e vicinanza ad un uomo che ha sofferto molto per la decisione di emigrare lasciando il paese d’origine e con esso familiari e amici.
E così, rileggendo l’opera di Ruggiero, tentiamo di ripercorrere la vita e l’arte scultorea di quest’artista. Scopro che è in corso un’esposizione presso il New York State Museum [5] ad Albany dal titolo Henry Di Spirito: Stonemason to Sculptor (Henry Di Spirito: da scalpellino a Scultore). Iniziata a dicembre 2019, terminerà a dicembre di quest’anno. L’esposizione è solo l’ultima di una lunga serie di mostre realizzate nei musei americani. La curatrice dell’esposizione, Ashley Hopkins-Benton [6], storica senior presso il New York State Museum, dichiara che «La particolarità di questa collezione è che ci dà un’idea reale di come fosse realmente la vita di Di Spirito». Ashley Hopkins-Benton si è occupata con molta cura della vita e dell’opera dello scultore, è infatti autrice del volume Breathing Life Into Stone, The Sculpture of Henry Di Spirito [7], opera interamente dedicata all’artista con la cura delle figlie dello scultore: Theresa, Dolores e Loretta. Di Spirito appartiene ai migliori scultori del XX secolo che scolpirono direttamente la pietra. La sua tecnica era l’intaglio diretto, o taille directe come viene talvolta chiamato, essendo un metodo di intaglio più spontaneo che si basa sia sulla memoria visiva che sensoriale piuttosto che sull’uso di un modello.
Primo di cinque figli, Henry (Erasmo Orazio) Di Spirito, nasce a Castelforte [8], in provincia di Latina, il 2 luglio 1898. Per imparare un mestiere, sin da ragazzo seguì il padre che alternava l’attività di muratore con quella di agricoltore coltivando un piccolo appezzamento di terra. Dal padre, da cui ripeteva sempre di aver ereditato il talento artistico, aveva imparato ad utilizzare lo scalpellino. Nei suoi racconti e nelle sue interviste ricordava che la sera, dopo una giornata di duro lavoro, si sedeva sulla porta di casa scolpendo o abbozzando piccole forme per uso domestico, come mortai e soprammobili. Erano anni molto difficili e il lavoro scarseggiava. Proprio per la mancanza di lavoro, tra il 1915 e il 1916, ebbe la possibilità, saltuariamente, di apprendere i primi rudimenti di pittura. Vedendo il talento del ragazzo, un artista locale [9] offrì a Henry lezioni di pittura, un corso che, però, fu interrotto dalla chiamata alle armi durante la Prima guerra mondiale.
Il conflitto lasciò dietro di sé gravi danni e molta povertà dopo i sanguinosi e rovinosi combattimenti. Lui, come il padre, si ispirava ad ideali democratici e socialisti e i tempi potevano risultare molto pericolosi. Ritornato dal fronte a Castelforte nel 1920, Di Spirito decise di emigrare negli Stati Uniti d’America. Nel 1921, con l’unico bagaglio di estro, intelligenza e speranza, partì seguendo uno zio e un cugino che erano già emigrati a Utica, nello Stato di New York. Il punto di forza dell’emigrante era proprio la “catena migratoria”, la rete parentale e amicale dei compaesani che, avendo già vissuto l’esperienza dell’esodo, avrebbero guidato in ogni fase dell’espatrio e facilitato l’inserimento nel paese di destinazione. Dopo tredici giorni, la nave su cui viaggiava attraccò a New York nel marzo del 1921. Henry salì su un treno per Utica con un foglio attaccato al vestito, che indicava la sua destinazione.
La storia di Henry Di Spirito è la storia di tanti emigrati che hanno lasciato il paese di origine, e con esso gli affetti, una situazione di sofferenza, di dolore e sacrificio nella speranza di una vita migliore. E non è solo questo, è la storia dell’America stessa, è uno spaccato della storia americana, in cui gli immigrati hanno avuto un ruolo importantissimo e imprescindibile per lo sviluppo della società, della cultura e dell’economia.
Ho provato ad immaginare Henry Di Spirito che ragazzo di soli 21 anni, decide di partire, lasciare Castelforte, il suo paese, la famiglia, gli amici e i luoghi a lui più cari e partire con i timori e le preoccupazioni che accompagnano ogni emigrante nel suo viaggio verso una vita che si augura sia migliore di quella che lascia. E per quanto possa provare ad immaginare i sentimenti che lo accompagnavano in questo lungo viaggio penso che potrei provare solo una lontana parvenza di quel sacrificio. E come l’artista, furono molti gli italiani che si trasferirono, quasi sempre definitivamente, negli Stati Uniti per sfuggire alla miseria. In quegli anni andava compiendosi l’ultimo grande flusso migratorio verso gli Stati Uniti. Si stima che dal 1820 al 1924 immigrarono 35,5 milioni di persone. Negli anni ‘20 erano presenti nel Paese 13 milioni di immigrati, su una popolazione di 92 milioni di persone, pari al 14,13%, a cui vanno aggiunti 26 milioni di “americani” di seconda generazione.
Negli Usa l’immigrazione dall’Italia ebbe una battuta di arresto con la Prima Guerra mondiale. Nel 1921 l’Emergency quota act [10] impose delle “quote” di accesso al numero di immigrati dall’Europa dell’Est e del Sud in quanto si riteneva che alcune comunità, come quella italiana, fossero meno assimilabili. In pratica veniva annualmente determinato dalle autorità competenti il numero di immigrati che per ogni nazionalità poteva entrare nel Paese, nel corso di un anno.
Durante la prima ondata migratoria, in molti perirono durante il viaggio e quelli che sopravvivevano venivano esaminati scrupolosamente dalle autorità sanitarie. L’arrivo in America era caratterizzato dal trauma dei controlli medici e amministrativi durissimi, specialmente nell’Immigration Point di Ellis Island (l’Isola delle Lacrime), un piccolo isolotto, nella baia di New York, poco distante da Manhattan, dove tutti gli immigrati venivano controllati e accettati [11]. Nel paradiso terrestre promesso dalle “Guide” e dagli “slogan” le cose, in realtà, erano molto diverse. Subito dopo l’arrivo gli immigrati cominciavano a rendersi conto di essere in una America diversa da come l’avevano sognata. La realtà non era da paradiso terrestre di cui si erano riempiti gli occhi e la mente. Si scontrarono con pesanti formalità burocratiche cui erano sottoposti e, almeno negli Stati Uniti, molti erano coloro che venivano respinti specialmente perché affetti da malattie invalidanti [12]. Nel Museo dell’Emigrazione a New York ci sono ancora le valigie piene di suppellettili e di povero abbigliamento delle persone che reimbarcate per l’Italia, nella disperazione, si buttavano nelle acque gelide della baia andando quasi sempre incontro alla morte.
Alle visite mediche seguiva una visita psico-attitudinale. Chi non superava i controlli, che potevano durare anche tre giorni (in cella), veniva marchiato con una X sui vestiti e rimandato indietro. Sui documenti rilasciati agli italiani, accanto alla scritta white (bianco), che indicava il colore della pelle, a volte c’era un punto interrogativo, indice del razzismo [13] che subirono gli italiani da una parte della società americana:
«In questo Paese, che aveva bisogno di braccia da lavoro, come si è visto, ma disdegnò le persone meno istruite che tale lavoro svolgevano, tanto più se meridionali (considerati una sorte di sottospecie degli europei), la vita degli italiani fu tutt’altro che agevole. Gli italiani furono degli stranieri all’ennesima potenza: sotto l’aspetto linguistico, per il basso livello culturale, per le loro tradizioni, per la loro dieta alimentare, per la loro sistemazione alloggiativa, per la loro pratica religiosa ritenuta un derivato della superstizione» [14].
Sebbene non parlasse ancora inglese, Henry fu rincuorato nel riconoscere le colonne di marmo di Carrara che vide quando scese al deposito dei treni di Utica. Trovò lavoro dove poteva, in un cotonificio e poi come imbianchino dove i fumi della vernice lo facevano ammalare e dovette rifugiarsi in una fattoria per riprendersi. Soprattutto fu muratore e, come tagliapietre in Utica, ha lavorato per alcuni anni per costruzioni locali. Poi, durante la Grande Depressione del 1929 per 16 mesi venne inserito per il WPA – Works Progress Administration [15]. Nel 1930 divenne cittadino americano. Anche per Henry Di Spirito non deve essere stato semplice l’adattamento alla nuova condizione di emigrato in terra straniera tanto che in una lettera al padre scriveva:
«…sono circa 26 anni che lasciai Castelforte e non ne avevo che appena 23 e mi sembra ieri: intanto il tempo passa. Ho passato anche io momenti critici ma mi sono dato coraggio e quando credevo che tutto era perduto, lottavo lo stesso. Ho fatto tanti mestieri per tirare onestamente la famiglia avanti. Ho avuto momenti di gioia e momenti di tormenti: ho lavorato col piccone, con la penna o col pennello o col martello ed oggi sono felice d’avere una Famiglia che mi dà onore» [16].
Quando, poi, scoppiò la Seconda Guerra mondiale, Henry Di Spirito viveva negli Stati Uniti da più di 20 anni. Le notizie che arrivavano oltreoceano lo angosciavano e lo avvolgevano in una morsa che amplificava la lontananza dai suoi cari. Castelforte, la frazione Suio [17] e i comuni nei dintorni furono teatro di feroci combattimenti e terribili bombardamenti in quanto si ergevano lungo la “Linea Gustav” che si estendeva dalla foce del fiume Garigliano (confine tra Lazio e Campania), fino a Ortona, sull’Adriatico a sud di Pescara, passando per Cassino, le Mainarde, gli Altopiani Maggiori d’Abruzzo e la Majella [18]. La sua impotenza e la sua grande preoccupazione furono espresse più volte nelle lettere che inviava alla famiglia:
«17 luglio 1945 …Cerco con la mente di raggiungervi tutti e mentre la mia famiglia si sta preparando per andare a letto cerco di prendervi ad uno ad uno e comporvi intorno a me e parlarvi a tutti, interrogarvi come avete trascorso questi ultimi tempi che non sono stati rosei, ma amari, tempi di lacrime e di sangue, d’angoscia e di sofferenza. È atroce dover pensare che 28 anni fa salii il triste calvario della guerra e per fortuna mi sono salvato e dopo tanti anni voi dovete soffrire la stessa Via Crucis. Vi ho sempre seguito con la mente e tutte le sere ritornando dal lavoro leggevo il giornale con il massimo interesse e quando leggevo che la battaglia si svolgeva intorno alle nostre contrade sapevo benissimo che Castelforte doveva essere ridotto in un cumulo di rovine. E così è stato, poiché quando i nostri ruppero le fortezze nemiche intorno a Cassino, sia il giornale che il cinema davano Castelforte un ammasso di calcinacci. Ed in quei tristi giorni spesse volte io vi ho sognato e vi giuro che con la mente io ero con voi, con centinaia di sventurati e la sorte vi fu crudele. Oggi la tempesta è passata e vogliamo sperare in tempi migliori».
Era un autodidatta, non aveva mai veramente seguito corsi per apprendere l’arte dell’intaglio e della scultura, tranne sporadici contatti con artisti. Eppure, nonostante tutto, andava progressivamente riscuotendo un vasto consenso di pubblico e di critica. Nelle sue lettere alla famiglia, scriveva:
«Ho lavorato tanto le ultime settimane per far sì che l’esposizione all’aperto dei miei lavori prodotti in cinque anni avesse un modesto successo. …Credevo che andassi incontro ad un completo fallimento, invece non fu così. La parte sana della città, la parte intellettuale e artistica, mi ha onorato al di sopra d’ogni aspettativa, ed oggi un altro mio piccolo lavoro scolpito in granito è stato venduto con grandi apprezzamenti da parte del compratore… …Sono i primi passi, caro padre, e farmi strada in competizione con tanti bravi scultori, mille volte superiori a me, è duro…sto raccogliendo i primi frutti, sempre col pensiero rivolto a voi – al mio paesello – ai miei maestri che m’insegnarono a sillabare. Per il momento credo che la gioventù castelfortese sarà lieta di sapere che un semplice muratore semi analfabeta, loro compaesano, andrà a rappresentare l’arte scultorea contemporanea al “Whitney Museum of American Art”, centro di cultura artistica non soltanto di New York ma dell’intera America».
L’esposizione in corso al New York State Museum presenta una raccolta di opere varie dell’artista: sculture in pietra, in legno e altri materiali, disegni abbozzati, dipinti, fotografie e strumenti di lavoro. In particolare, si possono ammirare nove sculture donate dalla famiglia alla Utica University e una scultura, The Refugee, che il College ha gentilmente reso disponibile. Immagini storiche e strumenti di lavoro del suo studio rappresentano e aiutano a comprendere il suo processo creativo e la sua modalità di lavoro. Girando per le sale espositive e ammirando i suoi lavori si può sentire la presenza pacifica di questo uomo eccezionale le cui opere d’arte riflettono la vita di un immigrato italiano, la bellezza della natura, il forte legame familiare e il rapporto che riuscì a costruire con la comunità dove visse il resto della sua vita.
Vinse moti premi, come il Premio dalla Natural Academy of Design per la sua scultura Ant (la formica). Tra i vari riconoscimenti, nel 1989 gli fu conferita la Laurea Honoris Causa in “Lettere Umanistiche” presso la Syracuse University [19] dello Stato di New York per il suo servizio al College e alla comunità. Continuò a lavorare lì fino alla sua morte, avvenuta nel 1995, all’età di 97 anni.
Nel 1940 Di Spirito lavorò su una serie di diorami per la WPA, la sua prima pausa dal lavoro di muratore. Ha studiato arte la sera al Munson-Williams-Proctor Art Institute dal 1941 al 1943. L’Istituto acquistò la sua prima opera scultorea, Leaping Frog, nel 1948. Nel 1951, in una recensione di una mostra collettiva al MoMA, Museum of Modern Art [20], il New York Times fu il primo a evidenziare l’arte e le caratteristiche proprie nell’opera dello scultore. Quando l’architetto Philip Johnson [21] progettò una nuova casa per l’istituto d’arte nel 1960, nella struttura esterna fu creato uno spazio per una scultura in rilievo di Di Spirito raffigurante una volpe. Desiderava tanto affinare la sua innata capacità di lavorare i materiali. Scriveva:
«Con l’arte si vive. Si hanno onori, storie e fotografie sui giornali; strette di mano e congratulazioni di gente intellettuale, ma fortuna non se ne fa. Intanto l’esposizione avrà luogo il primo di febbraio e quello che avverrà vi terrò informati. Senza però farci delle lusinghe perché vi sono tanti artisti conosciuti, molto meglio di me. Io sono forse il più scadente degli artisti che hanno studiato anni ed anni nelle accademie d’arte, mentre la mia accademia fu la cazzuola…».
Nella sua continua ricerca di tempo e spazio per la sua arte, Di Spirito ha chiesto sovvenzioni, inclusa la Guggenheim Fellowship [22], ma la sua domanda fu respinta avendo superato il limite di età al momento della presentazione della domanda. Dagli anni ‘20 fino al 1963, Di Spirito lavorò come scalpellino e muratore nel centro di New York mentre contemporaneamente studiava arte al Munson-Williams-Proctor Arts Institute. Nonostante iniziasse a riscuotere i primi successi presso vari musei, non riuscì per molto tempo a dedicarsi esclusivamente all’arte. Continuava, infatti, a lavorare come muratore. Solo dopo il suo ritiro nel 1963 Di Spirito trovò quel tempo prezioso. Fu subito nominato Artist in Residence [23] presso l’Utica College, un beneficio che di solito durava un anno ma che fu prolungato fino alla sua morte avvenuta nel 1995. Finalmente lo scultore ebbe uno studio interamente dedicato al suo lavoro. Amava questa attività all’interno dell’Università perché gli permetteva di ritirarsi definitivamente dal lavoro di muratura e concentrarsi a tempo pieno sulla scultura. Alla sua “casa adottiva” donò tanto, sia lasciando alcune delle sue opere, sia attraverso l’insegnamento, portando l’arte a persone e luoghi spesso trascurati dagli artisti suoi contemporanei.
«Fin dall’inizio della mia carriera di artista, il mio lavoro è stato svolto dopo l’orario di lavoro, la domenica e nei giorni festivi. Mi è stato letteralmente rubato il tempo per lavorare, poiché dovevo adempiere ai miei obblighi di marito e padre… Sono convinto che ora sia l’apice del mio periodo creativo e ho bisogno di tempo pieno da dedicare alla scultura» [24].
Si impegnò molto con gli studenti e con i docenti a valorizzare il Campus con le sue sculture e, in generale, a renderlo un luogo piacevole ed accogliente: «…Mi sentii molto onorato quando realizzai l’Athlete (l’Atleta), per il College». E, in particolare, agli studenti rivolgeva parole incoraggianti, esortandoli a seguire i loro sogni:
«…L’arte senza le sfide non è arte. Vidi il Platone come simbolo universale. Questa è la strada che ho intrapreso? Studia ogni cosa che ami. Non sarai mai felice senza l’amore per il tuo lavoro…”. “…Quando lavori con il granito è una grande sfida. Se c’è una sfida, tu prova, ce la puoi fare. Non ti scoraggiare prima di iniziare e vai avanti».
E sempre agli studenti del College, dedicò la scultura Dodging the Wind (Schivare il vento): «…è un tributo a tutti i giovani che sfidano il vento nel College di Utica». Fu un artista generoso che prestava le sue opere per mostre e, cosa più insolita, permetteva alle persone di acquistare le sue opere attraverso pagamenti dilazionati, rendendo possibile a un pubblico più ampio di godere di un’opera d’arte nelle proprie case come parte della propria vita quotidiana. Di Spirito ha collaborato con il Centro di riabilitazione per ciechi di Topeka, nel Kansas, per rendere la scultura disponibile ai non vedenti. Le sue opere valorizzano ancora oggi il paesaggio settentrionale dello Stato di New York, il Museo dei bambini di Utica, una cappella dedicata alla Beata Madre presso la chiesa di St. Stanislauw, il pompiere volontario a Deerfield e diverse suggestive opere all’aperto, tra cui l’opera incompiuta, The Tiger, sul Campus dell’Utica College.
Al New York State Museum i dipinti di Di Spirito esposti sulle pareti, raccontano anche la sua vita in Italia come, il The Refugees, che fa riferimento alla sua esperienza di viaggio mentre lasciava Castelforte, in cerca di una vita migliore. «Era devastato dalla guerra e da ciò che aveva fatto al suo popolo», ha scritto Hopkins-Benton. Un altro dipinto, From My Window, rappresenta il suo cortile in inverno in Jay Street a East Utica. Questa fu la prima casa ove si stabilì con sua moglie, Rose Conte, e dove ebbe inizio la sua famiglia. Quando Henry entrò con successo a far parte del mondo dell’arte, rimase sempre in questo quartiere operaio dove aveva forti legami con amici e vicini.
Lavorava e modellava la pietra, il legno, l’argilla e il gesso, ma trovava nella pietra la sua vocazione principale. Quando gli chiedevano perché, con tutte le alternative disponibili avesse scelto, in particolare, il granito, rispondeva. «Per me l’arte è la sfida con la pietra. L’arte è una continua lotta con la vita». Non utilizzava strumenti elettrici. Tutto era modellato a mano. Anche i suoi strumenti da intaglio sono presenti nella mostra al New York State Museum. Sceglieva con cura le pietre da scolpire lungo le rive dei ruscelli e dei letti dei fiumi dello Stato di New York, dove amava recarsi anche per pescare. E con l’occasione osservava attentamente la fauna selvatica. Aveva, inoltre, scoperto, nel corso delle sue passeggiate, grandi sassi tondeggianti nei campi intorno a Utica. Spesso, un suo compaesano lo aiutava a trasportare con il proprio mezzo le pietre selezionate. Henry Di Spirito non guidava e non disponeva di un mezzo di trasporto. Altre volte si caricava questi pesanti sassi che “intrappolavano” animali, persone o cose e li depositava nel suo giardino. I vicini e i passanti assistevano al suggestivo procedimento di “pulitura”, per liberare tutto ciò che per Henry era intrappolato al loro interno. E così creava le sue bellissime sculture.
La mostra include Sucker Fish, una scultura in pietra proveniente dal giardino di Henry che molto probabilmente è stata motivata da uno dei suoi viaggi in un ruscello locale. Nel riprodotto “giardino di Henry” c’è The Elephant. Hopkins-Benton ha dichiarato: «Questo è un ottimo esempio di come Henry abbia utilizzato la roccia così com’era e l’ha scolpita quanto basta per rivelare l’immagine che era già lì. Molto probabilmente ha tratto ispirazione per The Elephant dalle frequenti visite che ha fatto allo Zoo di Utica».
Mentre abbracciava la sua nuova vita nel centro di New York, i ricordi dei suoi primi anni in Italia emergevano a intermittenza e stimolavano nuove idee. Lungo il muro di fondo del giardino di Henry c’è “Il portatore d’acqua”. Questa scultura in legno raffigura il ricordo di Di Spirito di sua madre mentre raccoglieva l’acqua. L’armonioso equilibrio necessario per questo compito è evidente nel pezzo.
Nel 1963 Di Spirito fu assunto come Artist In Residence presso l’Utica College. Amava questa carriera perché gli permetteva di ritirarsi dalla muratura e concentrarsi a tempo pieno sulla scultura. Era molto impegnato con gli studenti e i docenti mentre abbelliva il campus. Una delle opere più amate di Henry è The Pioneer, un regalo della classe della UC del 1957. Si trova di fronte allo Strebel Center della Utica College ed è servito da ispirazione alla UC per il soprannome, The Pioneers. L’Utica College fa tesoro della sua collezione di arte, ma Di Spirito è stato così gentile da prestare The Refugee per la mostra del museo statale. Si tratta di una scultura in gesso dipinto in bronzo raffigurante un uomo piegato in avanti nel vento. Come William Zorach [25], il cui affresco dà il benvenuto all’atrio centrale del Munson-Williams-Proctor [26], il lavoro di Di Spirito è rappresentativo ma anche stilizzato dalla sua impronta personale, spirituale e piena di ritmo. La Collezione di sculture Di Spirito (ad eccezione del The Refugee, che è in prestito dall’Utica College) è un dono delle figlie Di Spirito.
Ancora oggi il New York State Museum propone sul proprio sito programmi di lezioni per gli studenti delle scuole elementari e medie sulle opere d’arte di Di Spirito e sulla storia dell’immigrazione. Breathing Life Into Stone: The Sculpture of Henry Dispirito, è la mostra al Munson-Williams-Proctor Art Institute di Utica, NY, che si è tenuta da maggio a settembre del 2013. Dalle parole dello scultore, pubblicate in cataloghi realizzati in occasione delle varie esposizioni, emerge il ritratto di un uomo semplice, umile, saggio e con una grande passione per le sue creazioni:
«Ho scoperto che la vita è una lezione. Il tuo lavoro ultimato può risultare una agonia o una estasi. Se esso ha successo ti devi sentire in estasi; se non lo ottieni ti senti in agonia. Ma devi accettare che è una parte della vita. Spero che alle persone che vedono il mio lavoro, derivi molta gioia, quanta ne ho avuta io nel crearlo. Essi sono tutti i miei ragazzi (alludendo ai suoi lavori). La mia arte è stata compresa da chiunque perché è semplice. Io sono un uomo semplice. Amo la natura. La natura parla a tutti gli uomini quanto c’è da dire su sé stessi ed il loro mondo. Non puoi spiegare perché sei un artista. È semplice perché io amo la bellezza» [27].
Nell’opera dedicata alla vita, all’arte e alle opere di Henry Di Spirito riscritta da Duilio Ruggiero, è riportato anche un elenco dettagliato delle opere scultoree (con distinzione dei materiali utilizzati per ogni opera), pittoriche e altro. Inoltre, lo storico ricostruisce la vita artistica dello scultore attraverso le tante esposizioni che, a partire dal 1947 e fino alla sua morte, sono state realizzare nei musei d’arte americani più prestigiosi e in quelli locali. Le sculture di Henry Di Spirito si possono ammirare oggi nelle collezioni di importanti musei come il Whitney Museum di New York [28], l’Addison Gallery of American Art [29], l’High Museum di Atlanta [30], il Williams College Museum of Art [31], il County History Center [32] oltre che presso collezioni private.
Nell’esposizione in corso al New York State Museum è esposta una foto del 1960 in cui Henry Di Spirito viene ritratto nel suo “giardino” in Blandina Street, la sua seconda casa. Lui e la sua famiglia si trasferirono lì nel 1958. Si servì del suo giardino come la sua galleria principale dove espose le sue sculture su ceppi d’albero in un ambiente molto naturalistico: «Era un posto meraviglioso. Ha invitato artisti, curatori e scrittori. Tutti erano i benvenuti», ribadisce la ricercatrice Hopkins-Benton. «Questa foto è stata la nostra ispirazione per la mostra. Abbiamo fatto del nostro meglio per ricreare quello spazio giardino (il giardino di Henry»). Il giardino era esso stesso un’icona, con le sculture di animali che hanno incantato i vicini, la regione e l’intero mondo dell’arte degli anni ’50.
Di Spirito chiedeva sempre educatamente ai suoi vicini se fossero infastiditi dai suoni tintinnanti che faceva mentre scolpiva. Nessuno si era mai lamentato. Piuttosto, il suono del suo martello e scalpello attirava le persone nel suo giardino incantato dove le incoraggiava a guardare e sentire le sculture. Condividere il suo amore per l’arte con gli altri, compresi i bambini e i non vedenti, è stata una delle sue gioie più grandi. Si ritrova in tutta l’opera di Henry Di Spirito, l’uomo gentile, generoso, l’artista di grande sensibilità. Quasi tutti i grandi artisti sono stati uomini semplici ed Erasmo Orazio Di Spirito era un uomo semplice.
Henry Di Spirito era molto legato alla sua comunità. Era membro dell’Unione Locale dei Muratori e Artigiani, dell’Associazione Sons of Italy (Figli d’Italia), di Utica e socio di molti sodalizi culturali tra cui i prestigiosi The Kirkland Art Center [33] , The Coopertsthown Art ASS, The Utica Art Association, The Forge Art Association e del Munson-Williams_Proctor Institute. Fu anche membro del Sculpture Center of New York City. Eugene Paul Nassar, docente di lingua inglese all’Utica College of Syracuse University, lo ricorda con affetto e grande ammirazione:
«…Henry Di Spirito era un’icona in Utica, soprattutto lo è stato per coloro, come me, che sono cresciuti in quel meraviglioso vicinato nei primi anni ’50. Nel mio gruppo di amici, ce n’erano alcuni che anelavano ad una vita da artista per cui ci rifacevamo a modelli della generazione dei nostri padri…ma l’esempio di Henry era il più espressivo di tutti: l’emigrante italiano intagliatore, con la sua scatola di attrezzi che dopo una vita di lavoro, come i nostri padri, rispose alla chiamata dell’arte. I suoi lavori erano ovunque molto apprezzati (…). Aveva intagliato la pietra ma anche il legno e sempre con notevole grazia. La stessa grazia che si ritrova nel busto del nostro patrono, San Maron, che commissionammo a Henry per la nostra chiesa libanese maronita…e che lui realizzò con la sua terrena spiritualità…dell’emigrante».
Il suo mondo poetico, la sua umanità, erano fuori dagli schemi della tradizione. Si ritrova in tutta l’opera di Henry Di Spirito, l’uomo gentile, l’artista di grande sensibilità. La sua arte è al di fuori di qualsiasi corrente ufficiale, non si ispira ad alcun artista del passato o del presente. Di Spirito non pensava che la sua arte potesse costituire una corrente artistica. La sua era un’ispirazione pura e naturale. Nelle sue opere emergono le inquietudini, le ansie e i tormenti ma anche la natura, l’amore verso la famiglia e la dignità di chi, anche attraverso l’arte, lotta sempre. Con la creta realizzò i busti dello scrittore Mark Twain 1862 [34], del filosofo e scrittore Henry David Thoreau 1862 [35]. L’unica opera in bronzo realizzata nel 1965, riproduce il volto del presidente John Fitzgerald Kennedy e fa parte della Collection of Utica Public Library.
Una retrospettiva dei lavori di Henry Di Spirito, tra il 6 settembre ed il 14 ottobre 1987, venne organizzata dalla Edith Barrett Art Gallery nell’Utica College of Syracuse University. Nel presentare l’esposizione il curatore Joan Fiori Blanchfield [36], Direttore della Edith Barrett Galley, disse:
«…È difficile in così poco spazio e in una sola esposizione, presentare il lavoro di un artista così proficuo come Henry Di Spirito. È naturale voler includere tutte, o quasi tutte le opere dell’artista, opere che hanno lasciato una traccia in molte persone…è stato molto importante per la Edith Barrett Art Gallery, aver organizzato tale esposizione, soprattutto per la lunga ed armoniosa collaborazione tra Henry Di Spirito, quando era Artist in Residence e l’Utica College…».
In tutta l’opera di Henry Di Spirito, emerge il desiderio di sacralizzare i luoghi comuni, la natura, gli animali e le persone. La sua, è stata un’arte tesa ad esaltare il mondo e la vita di ognuno di noi. Nel 1927 sposò Rose Conte dalla quale ebbe le tre figlie, Dolores, Theresa e Loretta. La sua famiglia lo sostenne e lo incoraggiò sempre nel proseguire con le sue creazioni. Quando le sue opere iniziarono ad essere esposte diffusamente, mandò le sue figlie a rappresentarlo, preferendo restare vicino a casa. «Era un marito e un padre meraviglioso», con queste parole lo ricordano le sue figlie. I temi familiari erano molto comuni nelle sue opere d’arte. In mostra nel giardino di Henry c’è la scultura Mother and Child, da cui emerge il forte legame familiare:
«Mio padre ci ha insegnato che c’è così tanta gioia nell’imparare e nel creare. Ogni tela offre una nuova opportunità, consapevolezza e intuizione. Aveva una visione spirituale. Guardava le rocce e vedeva cosa emergeva da loro».
Nell’angolo destro del ricostruito giardino di Henry, la sua giacca di montone con cappuccio pende solennemente sulla sua sedia di legno. Sembra che possa prendere vita permettendo agli spettatori di sentire il suono del metallo che batte sulla pietra, e di sentirlo avvertire nello stesso modo in cui avvertì le sue stesse figlie: «Quando non ci sarò più, non piangete per me perché ho avuto una vita fantastica!» Dai critici d’arte fu definito il “poeta della pietra”. I suoi lavori, e le sue parole erano poesia.
Dialoghi Mediterranei, n. 64, novembre 2023
Note
[1] Il comune di Castelforte è sito al confine sud della provincia di Latina, alle estreme propaggini del massiccio dei Monti Aurunci, gli antichi Montes Vescini. Il centro storico si trova su di un’altura collinare, così come anche la frazione Suio. Da queste colline si domina la valle del fiume Garigliano. Il territorio comprende la Valle che collega le due alture.
[2] Henry Di Spirito, primo di 5 figli, nasce a Castelforte il 2 luglio 1898. Muore nel 1995 a Utica, nello Stato di New York.
[3] Duilio Ruggiero, (Castelforte 20 aprile 1922 – 19 ottobre 2010), è stato uno storico, studioso, saggista e scrittore del sud pontino. Ha dedicato una vita intera, con dedizione e passione, allo studio degli avvenimenti bellici, alla ricostruzione storica e alle caratteristiche del suo territorio. Tra le sue pubblicazioni, oltre a Henry. Erasmo Orazio Di Spirito, si segnalano: Lineamenti di storia della Terra di Suio e di Castelforte, Edizioni Emmegi, 2006; La Chiesa parrocchiale e collegiata insigne di S. Giovanni Battista di Castelforte, 2000; Taccuino di guerra, Heral Editore, 2005; Castelforte alla Patria, Centro Studi Castelforte e Suio, 1989; L’urlo e il silenzio, 2008; Francesco Petronio, Medico, scienziato, maestro, 1996; La vertenza tra i comuni di Castelforte e santi Cosma e Damiano per il demanio Suio, 1981; Il Generale Giuseppe Aloia cittadino di Castelforte. Saggio biografico, 1982; Appunti per una bibliografia di Suio Terme, 1983; Il 1799 a Castelforte, 1983; Il culto della SS. Addolorata e il colera del 1837 a Castelforte. Storia, leggenda, tradizione, 1983; Le Chiese della Terra di Suio, 1993; Castelforte viva. Figure e vicende della nostra terra. Parte prima, 1994, Parte seconda 2003; L’urlo e il silenzio. 1943-1944 Castelforte Prima Linea, 1997; Padre Alberto. Saggio biografico, 1996; La Pasqua Castelfortese del 1799, 1999; Cenni di cronologia e storia delle Amministrazioni civiche di Castelforte, anni 1491-1860, 1999; Cenni di cronologia e storia delle Amministrazioni civiche di Castelforte. Gli avvenimenti politico-amministrativo dell’ultimo decennio dell’800. In appendice le relazioni Guidetti e Vecchioni, 2004; La carboneria e la setta dell’Unità Italiana a Castelforte, 2000; La cucina Castelfortese – La cucina della Memoria, 2003; L’Olocausto di Castelforte nella Seconda Guerra Mondiale, 2003; Matteo De Fusco cittadino di Castelforte, medico, studioso, politico, la vita, gli scritti, 2009. Ha, inoltre pubblicato alcuni saggi sulle riviste Civiltà Aurunca (Caramanica Scauri) e Studi Cassinati (Cassino).
[4] Duilio Ruggiero, Henry. Erasmo Orazio Di Spirito, 1998.
[5] Il New York State Museum è un’importante istituzione culturale e scientifica che ha sede ad Albany, capitale dello Stato di New York, negli Stati Uniti d’America. Il museo raggruppa, in un polo, sezioni riservate all’arte, all’archeologia e alla storia naturale.
[6] Ricercatrice storica senior presso il New York State Museum. Insegna alla Hudson Valley, THVIP (membro del Comitato consultivo). In qualità di ricercatrice in storia sociale, si occupa di ricerca e raccolta dati sulla storia delle donne (in particolare la storia della lotta per i diritti delle donne), sulla storia LGBTQ+, sull’immigrazione e sulla religione, nonché su collezioni di sculture, giocattoli, vetreria, oggettistica e ceramica. Attualmente, la sua attività di ricerca è orientata sulla comunità LGBTQ+ di Albany, e in particolare sul Pride Center della Regione della Capitale, nonché sulla lotta politica per maggiori diritti per la comunità LGBTQ+ nella città di Albany. In precedenza, gran parte della sua attività di ricerca si era concentrata sulla scultura americana, in particolare sul lavoro di Henry Di Spirito. Questo lavoro ha portato la ricercatrice all’esplorazione di altre storie all’interno della comunità di immigrati a Utica.
[7] Ashey Hopkins-Benton, Breathing Life Into Stone: The Sculpture of Henry Di Spirito, Fenimore Museum of Art, New York State, 2013.
[8] Castelforte e la frazione di Suio, a quel tempo apparteneva alla Terra di lavoro o Campania felice, dal latino Campania felix, una regione storico-geografica dell’Italia meridionale, comprendente anche parte del Latium adiectum e del Sannio e successivamente suddivisa tra le attuali regioni di Campania, Lazio e Molise. Con cambiamenti confinali nel corso dei secoli, essa fu una provincia del Regno di Sicilia e del Regno di Napoli, quindi del Regno delle Due Sicilie e infine del Regno d’Italia. Fu infine soppressa e suddivisa fra diverse province con il regio decreto legislativo n. 1 del 2 gennaio 1927, durante il regime fascista. Duilio Ruggiero, Lineamenti di storia della Terra di Suio e di Castelforte, Edizioni Emmegi, 2006. Con cambiamenti confinali nel corso dei secoli, essa fu una provincia del Regno di Sicilia e del Regno di Napoli, quindi del Regno delle Due Sicilie e infine del Regno d’Italia. Fu infine soppressa e suddivisa fra diverse province con il regio decreto legislativo n. 1 del 2 gennaio 1927, durante il regime fascista.
[9] Carmine Fusco era un artista locale che si era trasferito nelle vicinanze del piccolo fondo dove si recava a lavorare con il padre.
[10] L’Emergency Quota Act (anche noto come Emergency Immigration Act of 1921 o Per Centum Law) fu una legge degli Stati Uniti d’America mirante a ridurre le quote di immigrazione provenienti dall’Europa (in particolare dai Paesi mediterranei e slavi). Tale legge regolò, con qualche modifica successiva, l’immigrazione europea verso gli Stati Uniti fino alla fine degli anni ‘60.
[11] Le cifre non tengono conto del gran numero di persone che rientrò in Italia: una quota considerevole (50/60%) solo nel periodo 1900-1914.
[12] Le mete, l’arrivo. Storie di ieri, storie di oggi, di donne e di uomini migranti, Museo dell’emigrazione italiana on line, Fondazione Paolo Cresci per la storia dell’Emigrazione italiana.
[13] Solo con la Seconda guerra mondiale, grazie all’arruolamento nell’esercito statunitense di molti italoamericani l’integrazione fece concreti passi avanti. Forse anche per questo nel secondo dopoguerra ci fu una ripresa dell’emigrazione dall’Italia agli Usa ma ormai si era anche aperta una nuova rotta verso l’Europa del Nord: Francia, Germania e Belgio le mete più principali.
[14] Mauro Albani, Franco Pitttau, Due secoli di emigrazione negli Stati Uniti. Storie di italiani, in “Dialoghi Mediterranei”, n. 41, gennaio 2020.
[15] Il WPA – Works Progress Administration, poi rinominata Work Projects Administration nel 1939, è stata un’agenzia governativa statunitense creata durante il New Deal. Con New Deal, (“Nuovo Corso” o letteralmente “Nuovo Patto”), si intende il Piano di riforme economiche e sociali promosso dal presidente statunitense Franklin Delano Roosevelt fra il 1933 e il 1937, allo scopo di risollevare il Paese dalla Grande Depressione che aveva travolto gli Stati Uniti d’America a partire dal 1929 (il “giovedì nero”).
[16] Duilio Ruggiero: 71.
[17] Duilio Ruggiero, Taccuino di guerra, Heral Editore, 2005; Duilio Ruggiero, Castelforte alla Patria, Centro Studi Castelforte e Suio, 1989.
[18] La Linea Gustav fu una linea fortificata difensiva approntata da Hitler in Italia durante la seconda guerra mondiale. L’Italia in tal modo veniva divisa in due, al nord dove dominava la Repubblica Sociale Italiana insieme alle truppe tedesche, al sud gli Alleati. La “linea” si estendeva dalla foce del fiume Garigliano, confine tra Lazio e Campania, fino a Ortona, sull’adriatico a sud di Pescara, passando per Cassino, le Mainarde, gli Altopiani Maggiori d’Abruzzo e la Majella. La sua posizione strategica sfruttava il tratto più stretto della penisola italiana e gli ostacoli naturali costituiti dalle montagne appenniniche ed era finalizzata a ritardare l’avanzata degli Alleati. Alla fine di dicembre 1943 l’avanzata delle forze alleate in Italia fu ostacolata dalle forti difese tedesche sulla linea Gustav o “linea invernale”. L’area intorno alla città di Cassino, con fortificazioni montane e difficili traversate fluviali, era la posizione chiave sulla linea Gustav. Gli Alleati tentarono per quattro volte di sfondare la roccaforte di Montecassino. Si stima che gli Alleati (Australia, Canada, Francia liberata con l’ausilio di soldati marocchini, Regno d’Italia, India, Nuova Zelanda, Polonia, Sudafrica, Regno Unito e Stati Uniti) subirono circa 55 mila perdite, la Germania e la Repubblica Sociale Italiana 20 mila. La battaglia fu caratterizzata anche dal discusso bombardamento aereo alleato che distrusse la secolare abbazia di Montecassino, atto che procurò non poche critiche ai comandi anglo-americani, a cui erano già stati rimproverati i fallimentari attacchi contro le posizioni difensive tedesche. Dopo un difficile inverno, in cui riuscirono a rinforzare e riorganizzare le proprie truppe, gli Alleati lanciarono l’imponente “operazione Diadem” a metà maggio: l’attacco dalla costa tirrenica fino a Cassino, e dalla testa di ponte di Anzio, riuscì a mettere in crisi e infine a spezzare la resistenza tedesca, tanto che le forze alleate si ricongiunsero e poterono aprirsi la strada per Roma.
[19] La Syracuse University, fondata nel 1870, è un’istituzione privata statunitense situata a Syracuse, nello Stato di New York.
[20] New Talent Exhibition in the Penthouse: Di Spirito, Kriesberg, Mintz, May 8–Jul 8, 1951, MoMA.
[21] Philip Cortelyou Johnson (Cleveland, 8 luglio 1906 – New Canaan, 25 gennaio 2005) è stato un architetto statunitense, tra i più influenti del XX secolo, teorizzatore dell’International Style e del decostruttivismo. Il Munson-Williams-Proctor Arts Institute è un progetto che mostra una diversa faccia dell’International Style, nel quale Philip Johnson adopera il rigore del linguaggio classico piuttosto che inseguire i canoni del Modernismo. Un’opera come questa trae il suo significato dall’esperienza modernista combinata con la sensibilità per la simmetria e la compostezza dell’antichità, ritenuta da Johnson la più adatta ad esprimere l’identità di un museo.
[22] Guggenheim Memorial Foundation. Nel 1925, il senatore Simon Guggenheim e sua moglie Olga fondarono la John Simon Guggenheim Memorial Foundation. Nella sua prima lettera di donazione, il senatore Guggenheim scrisse che il Lo scopo dell’organizzazione era quello di «aumentare il potere educativo, letterario, artistico e scientifico di questo Paese». La Guggenheim Memorial Foundation propone borse di studio nel campo della conoscenza e della creazione di qualsiasi forma d’arte.
[23] La Artist in Residence (residenza artistica) è un’istituzione che prevede l’erogazione di borse di studio, temporaneamente, agli artisti al fine di promuovere la loro arte e/o la collaborazione con altri artisti. Colui che viene invitato a partecipare alle iniziative di tali istituzioni viene definito artista residente o Artist in Residence.
[24] Jane, Librizzi, Breathing Life Into Stone: The Sculpture of Henry Di Spirito, The Durate Object, 2013.
[25] William Zorach è stato un pittore e scultore statunitense di origine lituana. Emigrato negli Stati Uniti alla fine dell’Ottocento, studiò alla Cleveland Academy of Design e alla National Academy of Design.
[26] Il Munson-Williams-Proctor è un istituto di belle arti fondato nel 1919 e situato a Utica, New York. L’istituto ha tre divisioni di programma: museo d’arte, arti dello spettacolo e scuola d’arte.
[27] Duilio Ruggiero: 59.
[28] Il Whitney Museum of American Art è un museo d’arte moderna statunitense fondato negli anni trenta, sito a Manhattan nel Meatpacking District e dedicato principalmente alle opere di artisti americani, tra cui Edward Hopper e Alexander Calde.
[29] La Addison Gallery of American Art è un museo accademico dedicato alla raccolta di arte americana, organizzato come dipartimento della Phillips Academy di Andover, nel Massachusetts.
[30] L’High Museum of Art (Atlanta, Georgia) è un museo statunitense fondato nel 1905. È il principale museo dell’area sud-est degli Stati Uniti d’America ed uno dei musei d’arte più visitati del Paese.
[31] Il Williams College Museum of Art è un museo d’arte affiliato al college a Williamstown, nel Massachusetts. Si trova nel campus del Williams College, vicino al Massachusetts Museum of Contemporary Art e al Clark Art Institute.
[32] Il County History Center della contea di Oneida è stato fondato nel 1876 e da allora è servito a raccogliere, preservare e rendere accessibile il patrimonio passato della contea di Oneida e dell’alta valle del fiume Mohawk. Dal campo di battaglia di Oriskany alla Boilermaker Road Race di oggi, dai nativi americani che per primi chiamarono questa terra casa agli agricoltori. https://www.oneidacountyhistory.org/
[33] La missione del Kirkland Art Center è educare i bambini e gli adulti, sostenere gli artisti e le varie forme di arte attraverso il coinvolgimento della comunità locale mediante molteplici esperienze e opportunità culturali.
[34] Mark Twain, pseudonimo di Samuel Langhorne Clemens (1835 –1910), è stato uno scrittore, umorista, aforista e docente statunitense autore di capolavori riconosciuti della letteratura statunitense del XIX secolo.
[35] David Henry Thoreau (12 luglio 1817 – 1862) è stato un filosofo, scrittore e poeta statunitense.
[36] Joan Fiori Blanchfield, /new York 1942), è una storica dell’arte e artista americana.
Riferimenti bibliografici
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Laura D’Alessandro, ricercatrice, dopo la laurea in Sociologia, presso l’Università La Sapienza di Roma, ha conseguito il Master in Cittadinanza europea e integrazione euromediterranea: i beni e le attività culturali come fattore di coesione e sviluppo presso l’Università Roma Tre (in collaborazione con il Ministero dei Beni culturali). Ha svolto attività di docenza su tematiche legate all’identità e alla storia del Mediterraneo presso l’Università Roma Tre e su esperienze progettuali finanziate dai fondi europei nel settore dei beni culturali, delle imprese creative e delle politiche sociali presso l’Università di Salerno. Ha pubblicato il saggio Mediterraneo crocevia di storia e culture. Un caleidoscopio di immagini, sui tipi de L’Harmattan, 2011 (ristampa 2016), con il quale ha vinto il Premio Letteratura, Poesia, Narrativa, Saggistica (XXXII edizione – 2016), dell’Istituto Italiano di Cultura di Napoli. Collabora con riviste e periodici.
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