di Giuseppe Savagnone
La negazione dell’umano
Ci sono comportamenti disumani che delegittimano la causa in nome della quale sono messi in opera. Il massacro di civili compiuto da Hamas l’8 ottobre è uno di questi. Se degli uomini arrivano a uccidere, decapitare, bruciare dei bambini, non c’è idea politica, non c’è motivazione etica, non c’è ragione storica che possa giustificare una simile azione.
Hamas ha infangato l’ideale per cui proclamava di voler combattere, suscitando la precisa sensazione che il suo vero scopo non sia il riscatto del popolo palestinese, ma la distruzione di quello di Israele. Che è, come l’altro, composto di persone umane per la maggior parte innocenti.
Ma l’eccidio del 7 ottobre ha avuto forse un significato ancora più drammatico, che va al di là della contrapposizione storica tra ebrei e arabi: ha sfigurato l’immagine dell’uomo come tale in coloro che ne sono stati autori. Qualcuno ha evocato il modo di comportarsi delle bestie. Ma gli animali non umani, seguendo il loro istinto, restano comunque fedeli a se stessi e alla loro natura. Se si combattono e si uccidono a vicenda lo fanno per la conservazione individuale o per quella della specie. È loro estranea la gratuita ferocia che rende irriconoscibili gli esseri umani quando vi si abbandonano e che rivela il loro terribile potere di negare, al tempo stesso, gli altri e se stessi.
Sorprende e rattrista che, dopo l’8 ottobre, nel mondo islamico – e non solo in esso – questa esplosione di disumanità sia stata salutata con manifestazioni di giubilo. Questa non è certo la via per quella pace giusta a cui bisognerebbe tendere se si avessero a cuore davvero le sorti del popolo palestinese e, più alla radice, il destino delle vite umane – poco importa se israeliane o arabe – che sono minacciate dal dilagare di questa guerra.
Purtroppo, per quella tremenda simmetria del male che René Girard ha indicato come la radice della violenza, anche la reazione della Stato ebraico ha finito per avere le stesse caratteristiche. Si è parlato molto dei “diritto di Israele a difendersi”. Ma la difesa mira a neutralizzare gli aggressori. Quella messa in atto in questi giorni dagli israeliani ha colpito principalmente la popolazione civile della Striscia di Gaza che, per loro esplicita ammissione, non aveva alcuna responsabilità dell’accaduto. Sono stati questi innocenti che, già all’indomani dell’8 ottobre, si sono visti privare da un giorno all’altro, per una decisione unilaterale e sostanzialmente punitiva dello Stato ebraico, dell’elettricità, dell’acqua, del cibo, delle medicine. E poi sono cominciati i bombardamenti. Non solo sui combattenti di Hamas: sulle città e sui villaggi abitati dalla gente.
Alla data del 22 ottobre, i dati forniti dall’Onu sui risultati di questi attacchi aerei israeliani sono allucinanti: 4.385 morti, (1.756 bambini e 976 donne), 13.561 feriti; le case distrutte o danneggiate sono 142.900, ovvero il 30% delle abitazioni civili. Colpite anche 318 strutture educative, tra cui 20 scuole dell’Unrwa (Agenzia delle Nazioni Unite), 2 delle quali utilizzate come rifugi temporanei, e 140 scuole amministrate dall’Autorità palestinese. I bombardamenti hanno distrutto anche 11 moschee. Gravemente danneggiate anche 7 luoghi di culto tra chiese e moschee.
Ma questa non è una “difesa”! (E del resto, da chi?). É una furibonda vendetta, volta purtroppo a colpire non i colpevoli del massacro, ma i loro familiari o comunque il loro popolo, esattamente come aveva fatto Hamas l’8 ottobre, uccidendo indiscriminatamente uomini, donne e bambini.
E poi è venuto l’ordine di sgombrare entro 24 ore la zona settentrionale della Striscia. Un milione e centomila persone – già nella stragrande maggioranza povere – hanno dovuto abbandonare le loro case, la loro terra e tutto ciò che non poteva essere trasportato, il loro lavoro, senza avere altra spiegazione se non che il comando israeliano aveva deciso così. Ora sono ammassate in campi profughi di fortuna, in condizioni di vita disumane, senza acqua, senza cibo né medicine, senza servizi igienici.
«Israele ha il diritto di difendersi», continuano a ripetere i giornali e governi occidentali, confermando “senza se e senza ma” la loro piena solidarietà allo Stato ebraico e, nel caso degli Stati Uniti, inviandogli massicci rifornimenti di armi. Naturalmente – si tiene ad aggiungere sempre – Israele deve evitare di esagerare e di oltrepassare i limiti del diritto internazionale. Come se quelle che si stanno facendo contro la popolazione civile fossero azioni necessarie alla difesa e come se tutti i limiti non fossero già stati ampiamente oltrepassati!
Questo è lo stile di distruzione indiscriminata che ha caratterizzato la guerra di Putin contro l’Ucraina. Solo che in quel caso a praticarlo è uno Stato dittatoriale ai danni di uno democratico, in questo è un Paese che nella narrazione di Biden, condivisa dai governi occidentali, dovrebbe rappresentare l’emblema e il baluardo della democrazia… Ma così non è proprio quest’ultima che alla fine viene screditata?
La legge di Lamech
Si diceva prima della teoria di Girard sulla simmetria della violenza. Nel suo famoso studio su La violenza e il sacro, questo antropologo ha evidenziato che la violenza, nella sua forma selvaggia, incontrollata, assume la forma di una assimilazione tra i contendenti, di una perdita delle differenze che dovrebbero distinguerli. Lo scatenarsi del conflitto senza limiti, per lui, «è da definirsi come crisi delle differenze». «Non sono le differenze ma la loro perdita a provocare la rivalità pazza, la lotta a oltranza tra gli uomini di una stessa famiglia o di una stessa società».
Perciò, quando la violenza assimila i contendenti, «non si può neanche più parlare di avversari nel senso pieno del termine, solo di ‘cose’ appena nominabili che cozzano tra di loro con stupida caparbietà». E Girard evoca «la metafora del diluvio che liquefà ogni cosa, trasformando in poltiglia il mondo solido» [1]. Sembra una descrizione di quanto sta avvenendo in questo momento sotto i nostri occhi in Palestina. Un quotidiano ha scritto giustamente nel titolo di prima pagina: «Scatta l’antiterrorismo. Somiglia molto al terrorismo».
La reciprocità assimilatrice della violenza, peraltro, può assumere molte forme. Quella della perfetta simmetria corrisponde alla legge del taglione: «occhio per occhio, dente per dente». Ma ve ne può essere un’altra, storicamente più antica e più crudele, che è quella in cui ciascuno dei contendenti non si limita a restituire lo stesso male che ha ricevuto, ma reagisce senza misura. Se ne parla nella Bibbia, mettendo in bocca a Lamech, discendente di Caino (non a caso!), questa dichiarazione, che è al tempo stesso un programma: «Ho ucciso un uomo per una mia scalfittura e un ragazzo per un mio livido. Sette volte sarà vendicato Caino, ma Lamech settantasette» (Genesi, 4, 23-24).
La legge del taglione, pur nella sua brutalità, si affermerà più tardi proprio per limitare questa smisuratezza incontrollabile, che porta alla morte di tutti. Perché quando la reciprocità prende questa forma incontrollata, si avvia una spirale in cui ognuno rende all’altro un male più grande di quello ricevuto e davvero, a questo punto, la sola immagine adeguata diventa «quella del diluvio che liquefà ogni cosa, trasformando in poltiglia il mondo solido».
Così è stato da parte di Hamas, che ha reagito ai torti subiti da parte dello Stato ebraico massacrando indiscriminatamente anche donne e bambini. Così è ora ciò che fanno gli israeliani, che ai loro 1.300 cittadini morti hanno creduto di rendere giustizia uccidendo più di 4.000 abitanti di Gaza e rendendo impossibile la vita agli altri due milioni.
Dove alla fine, più che la lotta di una democrazia per difendersi dal terrorismo di un gruppo fondamentalista, come l’ha interpretata Biden nel suo discorso alla nazione, la guerra a cui stiamo assistendo sembra piuttosto una folle corsa verso la distruzione dell’altro e, in fondo, verso la propria.
Dialoghi Mediterranei, n. 64, novembre 2023
Note
[1] R. Girard, La violenza e il sacro, tr. it. O. Fatica e E. Czerkl, Adelphi, Milano 1992 [1972]: 76-77 e 80.
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Giuseppe Savagnone, dal 1990 al 2019 è stato direttore dell’Ufficio diocesano per la pastorale della cultura di Palermo, di cui oggi cura il sito «www.tuttavia.eu, pubblicandovi settimanalmente un editoriale nella rubrica “Chiaroscuri”. Scrive per quotidiani e periodici e collabora con «Tv2000», «Radio in Blu», «Radio Vaticana» e «Radiospazionoi». Nel 2010 ha ricevuto il premio «Rocco Chinnici» per l’impegno nella lotta contro la mafia. Tra le sue pubblicazioni, Quel che resta dell’uomo. È davvero possibile un nuovo umanesimo?, Cittadella Editrice, Assisi 2015; Il gender spiegato a un marziano, Edizioni Dehoniane, Bologna 2016; Cercatori di senso. I giovani e la fede in un percorso di libertà, Edizioni Dehoniane, Bologna 2018, Il miracolo e il disincanto. La provvidenza alla prova, Edizioni Dehoniane, Bologna 2021.
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