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Arte e artisti italiani a Tunisi prima e dopo l’indipendenza

1di Silvia Finzi

Il periodo coloniale segna in Tunisia la creazione di scuole d’arte e dei “Salons tunisiens” con l’inaugurazione di una prima mostra, organizzata dall’Associazione delle Lettere, Scienze ed Arti dell’Institut de Carthage (1893) un anno dopo la sua creazione.

Perché l’entità coloniale dopo dodici anni dal suo insediamento percepisce l’importanza politica di dar vita ad un movimento artistico autoctono che completi e sviluppi la dominazione francese in Tunisia? Quali arti intendono promuovere e secondo quale criterio? Chi partecipa a queste mostre? Per autoctono si intende tunisino o chi vive in Tunisia, qualunque sia la sua provenienza geografica, etnica o religiosa?

La volontà del colonizzatore è quella di affermare attraverso la produzione artistica il primato della cultura occidentale e la sua strumentalizzazione a fini di dominazione culturale.  Secondo Laurent Houssais e Dominique Jarassé [1] il “tentativo è doppio” poiché da una parte le autorità cercano di far rinascere “un’arte indigena” e dall’altra inducono ad una lettura occidentalizzata di quest’ultima attraverso la diffusione di un’ambigua nozione di modernizzazione che si traduce con l’adattamento di forme e tecniche che interpretano il mondo arabo secondo il gusto europeo. In questo senso possiamo parlare di orientalismo nella misura in cui si vuole esprimere un Oriente che guardi attraverso la lente dell’Occidente, in nome di una sua possibile rivitalizzazione, secondo i prismi europei che tradurrebbe così il successo politico del protettorato, capace di far rinascere un’arte autoctona rivisitata.

Salvare l’arte indigena dalla sua possibile estinzione diventa quindi missione culturale attraverso la creazione di Scuole, Saloni, Esposizioni. Se guardiamo la partecipazione della Tunisia alle varie Esposizioni a Parigi in particolare, vedremo che l’accento è dato ad arti decorative che ricreano architetture moresche in corrispondenza all’esigenza di interpretazione del gusto secondo i canoni dell’esotismo in voga.

2Nei padiglioni tunisini allestiti successivamente nel 1925, 1931, 1937 si ricostruiscono ricchi interni tunisini per mettere in valore la produzione artigianale come la lavorazione del marmo, gli stucchi, le ceramiche, il legno.

Seguendo la classica distinzione tra arte e artigianato, Houssais e Jarassé dimostrano che mettere in scena, specie nelle esposizioni, l’artigianato tunisino autoctono o supposto tale deriva da una “visione binaria” che divide le arti cosiddette nobili o creative da quelle applicate o industriali. Questa gerarchizzazione ha come effetto di separare le arti mentali di fattura europea da quelle indigene.

All’inizio del Novecento molti di questi pittori/decoratori erano italiani, generalmente d’origine siciliana. La loro presenza ai Salons Tunisiens sarà sempre più numerosa ma tra di loro vi sarà un folto gruppo di pittori non professionisti. Pochi si distingueranno per la loro arte come Agnello, Mazzotta, Nicosia, Palumbo, Bocchieri. Solo Antonio Corpora e Moses Levy avranno una carriera riconosciuta internazionalmente.

Se artisti italiani parteciperanno alle mostre annuali organizzate dall’Institut de Carthage questa loro presenza diventa importante solo dopo gli anni Venti, salvo pochissimi casi isolati. Anche le testate italiane pubblicate in Tunisia, tra cui il quotidiano L’Unione fa pochissimi riferimenti alla produzione artistica italiana in Tunisia, limitandosi ad alcuni articoli che evocano artisti metropolitani. Fino agli anni Venti, in effetti, le preoccupazioni sono altre: rivalità franco-italiana, tentativo di conservare il primato italiano nell’industria e nel commercio, creazione di scuole che perpetuano la lingua e la cultura italiane, alfabetizzazione della massa di migranti giunti in Tunisia, rivendicazioni politiche e patriottiche, fondazioni di istituzioni che dalla Banca di Credito all’Ospedale italiano cercano di mantenere coesa una collettività che si sente minacciata dalla politica assimilazionista della Francia, malgrado una presenza numerica italiana ben superiore a quella francese.

In questo clima di auto-difesa e di auto-protezione, la cultura si esprime attraverso scritti letterari e politici, attività musicali e teatrali mentre la produzione pittorica rimane ancora ancorata al mestiere artigianale, specie nella lavorazione del marmo, degli stucchi, del ferro battuto, dei mosaici. Molti degli artisti che si distingueranno nella prima metà del Novecento sono inizialmente formati nelle scuole d’artigianato poiché solo pochi accederanno ad una formazione artistica specifica, generalmente d’appartenenza borghese. Bisognerà aspettare il secondo dopoguerra per trovare studenti italiani o d’origine italiana che frequentano le Belle Arti.

Nel 23, a Tunisi sarà inaugurato il primo Centro d’Insegnamento artistico separando di fatto le arti applicate o industriali da quelle artistiche, con la creazione di un Istituto delle Arti e dei Mestieri. Nel 1930, il Centro d’Insegnamento artistico diventerà la Scuola delle Belle Arti, sotto la direzione di Armand Vergeaud.

L’Italia, che attraverso la politica fascista, rianimerà la contesa franco-italiana in risposta ad una politica di naturalizzazione promossa dal protettorato francese (1881-1956), troverà nella Società Dante Alighieri, Comitato di Tunisi, l’espressione di una cultura ed arte propriamente italiana attraverso l’organizzazione di una prima Mostra d’Arte Giovanile (1929) che intende promuovere e incentivare giovani artisti anche inaugurando nei suoi locali mostre collettive e personali.

Mostra dei giovani artisti alla Dante Alighieri, L’Unione, 3 maggio 1936

Mostra dei giovani artisti alla Dante Alighieri, L’Unione, 3 maggio 1936

Due anni dopo la creazione della Scuola delle Belle Arti, nel 1932, il Comitato di Tunisi della Dante Alighieri inaugura La Scuola del Dopolavoro che contribuirà alla formazione di artisti ed artigiani prettamente “italiani” con mostre annuali, di cui il giornale L’Unione in particolare ma anche il Ghibli (1930-1933) si faranno attenti portavoci. Borse di studio saranno offerte ai giovani talenti per seguire in Italia corsi d’arte.

Inizialmente, saranno istituite classi d’insegnamento di pittura e disegno e questo già nel primo dopoguerra, che lasceranno libero corso alla creazione artistica. Dagli anni ’30 agli anni ’40, con la fascistizzazione della Dante Alighieri, la politica artistica si concentra sull’eliminazione della cosiddetta arte degenerata promuovendo modelli neo-classici e futuristi. Il futurismo fa breccia tra gli artisti e intellettuali italiani con la presenza di Giacomo Balla e la visita di Marinetti.

La Dante organizza anche mostre di sculture e di pittura come quella dedicata ad Aldo Ronco nel ’32, quella di Casimiro Barbalonga (detto Longobardo), quella di Antonio Corpora, pittori già affermati a Tunisi ma anche di giovani prevalentemente siciliani come Rizzo, Bevilacqua, Amadio nel ‘33. Altri come Michele Miranda, nato a Tunisi, oriundo di Alcamo, membro della Scuola di Tunisi, benché distante dalle espressioni di italianità del regime, si associano alle mostre collettive allestite dalla Dante, così come Aldo Ronco, anch’esso d’origine siciliana, la cui funzione di professore di disegno al Liceo italiano di Tunisi e della Goulette, lo costringerà ad una certa prudenza, malgrado le sue posizioni contrarie al fascismo.

Altra figura saliente sarà Salvatore Mazzotta (Tunisi 1919-Parigi 1958) che con Agnello, Ruggiero, Di Prima, Suppa, Palumbo, Galia, Peritore, Antonucci seguiranno i corsi dei professori Lucerni e Prosperi nella sezione dedicata al disegno, pittura, decorazione e ceramica. Mazzotta si iscriverà al Sindacato degli Artisti nel ’45 ed esporrà al Salon Tunisien tutti gli anni sino al ’58. Proseguirà la sua carriera artistica tra Palermo e Parigi dove esporrà regolarmente. Morirà a Parigi all’età di quarant’anni.

La Scuola d’Artigianato del Dopolavoro sarà un fecondo ricettacolo di talenti italiani e in particolare di siciliani poiché, attraverso le mostre organizzate, permetterà a questi di ottenere visibilità e riconoscimenti ma soprattutto una formazione artistica a cui molti di loro, di condizione sociale modesta, non avrebbero potuto accedere.

Aldo Ronco, collezione privata

Aldo Ronco, senza titolo, collezione privata

Malgrado questo tentativo di separazione dei mondi artistici occorre specificare che pochi tra di loro esporranno le loro opere solo ed esclusivamente in ambito italiano poiché se guardiamo la partecipazione italiana ai Salons Tunisiens, notiamo una folta partecipazione di artisti italiani alla mostra annuale francese. A titolo d’esempio al Salon Tunisien del 1933, 17 sono gli italiani che espongono le loro opere (Caltagirone, Corpora, Longobardi, Ramacciotti, Rombi, Ronco, Santangelo, Soria, Sterchi, Susini, Uzan, Valenzi, Vaschetti, Casalonga e Almanza) e, mentre divampa la Guerra mondiale nel 1942, la partecipazione italiana è altrettanto importante alla mostra annuale dei Salons con la presenza di quadri di Corpora, Bocchieri, Rosa, Moses e Nello Levy, Longobardi, Lo Presti, Miranda, Nicosia, Palumbo, Strino, Ramaciotti, Vaschetti, Casalonga, Miglianico, a dimostrazione che gli artisti, seppur italiani, riuscivano a porre la loro arte al di fuori del conflitto in corso.

Casimiro Longobardo, senza tutoli, Ministero della Cultura Tunisina

Casimiro Longobardo, senza titolo, Ministero della Cultura Tunisina

Alcuni percorsi artistici dei pittori siciliani sono importanti da ricordare per l’impronta che hanno lasciato sul modo di rappresentare la Tunisia, allontanandoci da una visione orientalista di un mondo esotico ed a uso europeo, Paese immaginario in funzione dei gusti dell’epoca ma non reale. Tra questi Filippo Antonucci, nato a Tunisi il 13 novembre 1914, che si trasferisce a Tolosa in Francia negli anni 60. Oriundo di Favignana, frequenta la Scuola del Dopolavoro a Tunisi nel ‘33, nella Piccola Sicilia di Tunisi. Segue i corsi di Prosperi di scultura. Dipinge molte marine. Nel dopoguerra parteciperà con Bocchieri, Mazzotta e Peritore, alla ricostruzione degli edifici religiosi distrutti dalla guerra.

Casimiro detto Longobardi, che dal 1932 espone regolarmente al Salon Tunisien e alla Dante Alighieri a Tunisi. Molti articoli gli sono dedicati sul giornale il “Ghibli”, periodico mensile di lettere, scienze e arte edito a Tunisi dal 1930 al 1933, diretto da M. Gioia.

Emanuele Bocchiere, La Piccola Sicilia della Goiulette, collezione privata

Emanuele Bocchieri, La Piccola Sicilia della Goulette, collezione privata

Emanuele Bocchieri, nato a Tunisi nel 1910. Si trasferisce bambino con la famiglia a Ragusa per ritornare a venti anni a Tunisi dove frequenta la Scuola delle Belle Arti. Aderisce a L’école de Tunis e fa parte del Gruppo dei dieci che riunisce francesi, italiani, tunisini. Pittore e mosaicista, partecipa regolarmente alle mostre organizzate dalla Dante Tunisi e ai Salons Tunisiens. Realizza le vetrate colorate della chiesa San Giuseppe a Biserta, il mosaico della chiesa di San Giuseppe nella Petite Sicile di Tunisi. Negli anni 60, si trasferisce in Francia dove proseguirà la sua attività artistica.

Girolamo Nicosia, nato a Licata il 12 dicembre 1911. Con la famiglia si stabilisce a Tunisi. Frequenta la Scuola Artigianale del Dopolavoro. Partecipa regolarmente alle mostre del Salon Tunisien (dal 1942 al 1955). Parte per la Francia dopo l’indipendenza della Tunisia.

Antonio Peritore, Oschea degli Ulivi, Parigi 1998

Antonio Peritore, Moschea degli Ulivi, Parigi 1998

Antonio Peritore, nato a Tunisi il 18 aprile 1920. Di origine modesta, lavora come tipografo per poter sostenere la famiglia. Si iscrive ai corsi serali della Scuola d’arte e segue i corsi di Prosperi e Lucerni. Partecipa alle mostre del Salon Tunisien (52, 53) e risulta iscritto al sindacato degli artisti. Con Antonucci partecipa alla ricostruzione e alle decorazioni delle chiese danneggiate dalla guerra. Nel ‘57 si stabilisce in Francia dove lavorerà come mosaicista e pittore. Non ritornerà a Tunisi ma la sua produzione francese avrà immagini tunisine che faranno da sottofondo ai suoi quadri.

La Tunisia continuerà ad essere presente nelle opere degli artisti che lasceranno il Paese negli anni ’60 attraverso forme e colori. Esemplare è l’opera romana dell’astrattista Antonio Corpora che trasporrà la luce tunisina in tutti i suoi quadri come se il retaggio di questa terra natia non potesse essere del tutto reciso.

Michele Miranda, senza titolo, Ministero della Cultura Tunisina

Michele Miranda, senza titolo, Ministero della Cultura Tunisina

Anche con la chiusura della Dante Alighieri e di tutte le istituzioni italiane nel ’41, gli artisti italiani continueranno ad esporre le loro opere ed anzi si potrà osservare un incremento notevole della partecipazione italiana alle mostre annuali, personali o collettive dagli anni ’50.

Alla vigilia dell’Indipendenza tunisina e sino agli anni 60, gli artisti italo-tunisini saranno sempre più numerosi e, fatto saliente, molti giovani frequenteranno la Scuola delle Belle Arti.  28 gli artisti italiani che esporranno nel ’54 al Salon Tunisien, 25 nel 1956 all’indomani dell’Indipendenza.

Di questa folta presenza possiamo evidenziare un primo gruppo di pittori che aderisce alla cosiddetta Scuola di Tunisi nel 1936, inizialmente formata da Boucherle, Corpora, Lellouche, Moses Levy, il Gruppo dei Quattro, che man mano diventerà il Gruppo dei Dieci di cui cinque saranno italiani (Michele Miranda, Emanuele Bocchieri, Nello e Moses Levy, Antonio Corpora) e per la prima volta artisti tunisini con Ammar Farhat, Turki Yahia, Edgar Naccahe, Jules Lellouche, a riprova del cosmopolitismo artistico promosso e difeso dal gruppo fin dal ’47 [2]. Una mostra collettiva di questi artisti nel ’48 segnerà la loro volontà di affermare l’autonomia dei pittori dalle istituzioni pubbliche alla quale seguirà nel ’51 una prima mostra della Giovane Pittura Tunisina. Anche l’Italia organizzerà nei saloni del Consolato di Tunisi, una mostra, nel marzo del ’54, dal titolo “Mostra del Gruppo Mediterraneo” con pittori francesi, italiani, tunisini.

L’Ecole de Tunis segna l’inizio di un percorso autonomo tunisino degli artisti che proseguirà dopo l’indipendenza del Paese e che costituirà il primo nucleo artistico anche se dopo gli anni 60 e la progressiva partenza degli italiani, dei francesi e degli ebrei tunisini, si tenterà di dare una lettura della storia dell’arte e dell’École de Tunis in chiave patriottica e nazionalista, cancellando la presenza multietnica e multi-confessionale che ne aveva caratterizzato la nascita.

Filippo Antonucci, Riflessi, collezione privata

Filippo Antonucci, Riflessi, collezione privata

Molti gli italiani che salutano con sollievo l’indipendenza tunisina nel 56. Il neonato Corriere di Tunisi spinge nel suo primo editoriale a collaborare con il neo-governo di Bourguiba, che avrebbe dovuto inaugurare dopo la Liberazione italiana quella tunisina alla quale si esortava di partecipare e di collaborare. Le cose andarono diversamente e nell’intento di purificare il Paese dall’impronta coloniale, come spesso accade, si colpì indistintamente tutti gli europei con leggi che seppur non li espellevano, li mettevano in condizioni di dover partire. Negli anni ’60 cominciarono le ondate di partenze e con loro degli artisti rimasti. Qualche eccezione tuttavia ci fu: alcuni artisti presa la nazionalità tunisina continuarono a vivere in Tunisia. Tra questi ricordiamo Maria Linda Giglio e Carlo Caracci i quali, in rottura con i canoni rappresentativi della pittura dell’École de Tunis, vollero innovare nelle forme e nei colori, con un avvicinamento all’astrattismo. Costituirono in polemica ad una pittura che a dir loro riproduceva ma non creava, il Gruppo dei Sei con pittori tunisini. Non lasciarono mai la Tunisia. Oggi, l’unico pittore, che ha formato generazioni di artisti tunisini e che ha scelto di rimanere in Tunisia è Silvano Monteleone. Nato a Tunisi, di genitori oriundi dalla provincia di Trapani, continua la sua attività artistica nel Paese, dove gode di indiscussa notorietà. Per più di un decennio ha animato l’atelier di pittura della rinata Società Dante Alighieri, Comitato di Tunisi, dove annualmente organizzava mostre di giovani talenti. Sostituì il professore Ruggiero che negli anni 80, partì per Nizza a seguito dei figli.

Vi sarà un domani per l’arte italiana in Tunisia? Così non sembra ma la storia dell’emigrazione ci insegna che laddove i migranti siciliani hanno lasciato il loro sguardo sulla Tunisia, i migranti tunisini in Sicilia potranno, a loro volta, costruire un loro proprio immaginario creativo sulla Sicilia. 

Dialoghi Mediterranei, n. 64, novembre 2023
Note
[1] Expositions et culture coloniale, sous la direction de Laurent Houssais et Dominique Jarassé, Editions Esthétiques du divers, Bordeaux, 2020. 
[2] Vedi Pittori italiani di Tunisia, a cura di S. Finzi, Finzi editore, Tunisi, 2000.
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Silvia Finzi, professore ordinario di Civiltà italiana nel Dipartimento d’italiano della Facoltà di Lettere, Arti ed Umanità della Manuba, Tunisi. Direttore di “Il Corriere di Tunisi”, mensile pubblicato in Tunisia, redatto in lingua italiana. Presidente del Comitato di Tunisi della Dante Alighieri per la diffusione della lingua e cultura italiane. Dal 1998, insieme ad alcuni studiosi tunisini, italiani e francesi crea il gruppo “Memorie italiane di Tunisia” con Ahmed Somai, Marinette Pendola, Adriano Salmieri. Pubblicano vari volumi tra cui Memorie italiane di Tunisia (1998) Pittori italiani di Tunisia (2000), Architetti ed architetture italiane di Tunisia (2002) Mestieri italiani di Tunisia (2003), L‘alimentazione degli italiani di Tunisia (2005), Poeti e scrittori italiani di Tunisia, Storia e testimonianze politiche degli italiani di Tunisia (2008). Dal 2018 con l’ausilio di Laura Faranda, Rim Lajmi, Rosy Candiani, Carmelo Russo, ha creato un piccolo archivio della memoria italiana a Tunisi, inizialmente costituito con il lascito documentario di Elia Finzi che negli anni è stato ampliato da libri, foto, documenti, interviste, testimonianze, testate.

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