Stampa Articolo

Fragili interstizi. etnografie interspecie, pastorizia, agricoltura, aree protette

screenshot_20240120_084248_pdf-readerCIP

di Letizia Bindi

Da qualche anno l’attenzione delle scienze sociali e in particolar modo la riflessione antropologica è tornata a esplorare da un lato la complessa relazione tra espressioni culturali situate e rappresentazioni della natura, salvaguardia e valorizzazione della biodiversità e relazioni tra animali umani e non-umani. Al tempo stesso si è articolata nel tempo una importante riflessione sui processi di de-finizione delle aree protette, naturalistiche, sui parchi regionali e nazionali e su tutte quelle forme di distinzione tra territori abitati e antropizzati e aree naturali dedicate al rewilding e alla tutela di specie vegetali e animali altrimenti esposte al rischio di estinzione e minacciate a vario titolo dall’espansione delle aree abitate e metropolitane o dalle forme più estrattive di uso delle risorse ambientali.

In questa riflessione che è stata sintetizzata più recentemente, a torto o a ragione, come dibattito sulle frizioni e contraddizioni dell’Antropocene si contano oggi innumerevoli tavoli e occasioni di confronto, non ultima quella recentemente varata dal Board di esperti della Lista del Patrimonio Immateriale UNESCO che non a caso ha dato avvio a un gruppo di lavoro stabili sulla relazione tra salvaguardia dei patrimoni immateriali e sviluppo sostenibile nell’Antropocene.

In questa cornice si inquadrano anche molteplici lavori di ricerca in Italia e fuori dall’Italia che esplorano i complessi e fragili interstizi tra diverse specie animali e vegetali, tra protezione della wildness e attività produttive agricole e pastorali più o meno ‘tradizionali’ o sostenibili e, appunto, aree protette, parchi e riserve pensate per la tutela e valorizzazione della biodiversità vegetale e animale, selvatica e allevata/coltivata.

Tra queste ricerche alcune vengono suggerite e commissionate dagli stessi Parchi e in queste occasioni diviene per l’etnografo particolarmente importante riflettere non solo sui temi specifici della ricerca, ma anche sulle ragioni che animano i diversi attori in campo coinvolti nel confronto tra queste aree di contatto interstiziali.

Il 26 gennaio 2024 si è svolto a Pescasseroli, presso la sede del Parco Nazionale Lazio, Abruzzo e Molise (PNALM), un incontro tra studiosi, per lo più antropologi, invitati a discutere un lavoro di ricerca centrato sui temi delle convivenze molteplici che attraversano lo spazio fisico e le pratiche quotidiane delle comunità che insistono nell’ampia porzione di territori regionali afferenti al Parco. Il report è stato realizzato da un giovane antropologo, Flavio Lorenzoni e al dibattito erano invitati, in effetti, per lo più rappresentanti delle nostre discipline che, a vario titolo, si occupano e si sono occupati di questi temi. L’andamento dell’incontro è stato pacato e per lo più improntato a una discussione di carattere scientifico: metodologie, posizionamenti etnografici, domande poste agli attori individuati, prospettive di ulteriori approfondimenti. Dopo alcuni giorni sono stati pubblicati da AgenParl, una agenzia di stampa, un paio di commenti e interventi di allevatori e pastori dell’area e di altri partecipanti che hanno voluto esprimere le loro posizioni critiche a riguardo di quanto discusso e presentato nell’occasione  [1].

molisePer i diversi progetti e centri di ricerca che curo e coordino mi confronto da anni con i temi delle coesistenze interspecifiche tra pastorizia estensiva, forme ibride di allevamento, gestione delle aree protette e processi di rewilding o su altre controversie inerenti nel quadro di un Progetto di Rilevante Interesse Nazionale del MUR dal titolo “WilDebate. Coexistences, Bio-cultural Frictions and Pastoralism in Protected Areas”, che si è appena avviato con un workshop tenutosi presso l’Università degli Studi del Molise nel novembre scorso.

All’incontro del 26 gennaio non era stata esplicitamente prevista una sezione di confronto con le istanze locali, ma il pubblico piuttosto folto in sala lasciava pensare che vi fossero rappresentanti di categorie di attori a vario titolo interessati al report che avrebbero voluto commentare o interloquire al riguardo con noi e le autorità del PNALM. Ciò è avvenuto solo in parte con un breve momento di interventi che hanno portato alcune istanze polemiche rispetto al tema delle coesistenze di modelli diversi di governance del territorio nell’area del Parco, sostanzialmente ripetute in seguito negli interventi a mezzo stampa.  

L’episodio diviene utile perché impone una riflessione sui temi del dialogo tra posizioni contrapposte in un campo, del conflitto o dei conflitti plurimi che spesso abitano i campi in cui ci troviamo, come antropologi, a svolgere le nostre ricerche e del modo in cui si possano affrontare, attraversare e possibilmente far tesoro di questi momenti specialmente rilevanti del campo. Le domande che si pongono, infatti, quando ci si trova a lavorare all’incrocio tra entità pubbliche di lungo corso e ampia giurisdizione come lo è un grande Parco Nazionale come lo PNALM – il più antico e storico tra tutti i Parchi nazionali italiani –, le pubbliche amministrazioni con i loro ambiti di influenza e governance multiscala, le diverse entità associative che si muovono in questi contesti e le realtà produttive e imprenditoriali che ugualmente sono attive nei territori delimitati dalle aree protette o ai loro confini sono in primis quelle in merito alla interconnessione e governance partecipata e condivisa tra tutte queste istanze che resta spesso più un’ambizione irrealizzabile che un processo reale.

Un momento dell'Incontro

Un momento dell’Incontro di Pescasseroli

Le questioni aperte quando si parla di coesistenze hanno oggi sempre più a che vedere con i danni da predazione, la minaccia per le coltivazioni, i rischi, reali e/o percepiti, per i camminatori, visitatori e i turisti nei territori a forte richiamo paesaggistico e naturalistico o ancora la coesistenza tra diversi modelli di attività produttive nel parco: quelle ricettivo-turistiche, quelle agro-silvo-pastorali.

La ricerca socio-culturale ed economica e le competenze zootecnico-ambientali così come quelle di ordine normativo provvedono sicuramente a fornire un sapere utile alla gestione e mediazione tra ordini e istanze in questi contesti, ma possono risultare talvolta distanti nei modi e nelle forme della restituzione: un tema cruciale, questo, che attiene alla terza missione e alla capacità della ricerca di fornire conoscenze utili oltre che critico-interpretative. Al tempo stesso, le aziende, i singoli allevatori e agricoltori portano nei territori le loro istanze a volte condivise altre volte più particolari, sollevando il tema della comprensibilità e utilità di saperi messi realmente al servizio delle comunità locali.

Parco Nazionale dell'Abruzzo

Parco Nazionale dell’Abruzzo

L’istituzione Parco risponde, come è ovvio, a istanze di tutela e salvaguardia, di governance sostenibile e talora rischia di confondere la necessaria governance dei processi con un decisionismo che cerca di attutire i suoi aspetti maggiormente deterministici attraverso operazioni di comunicazione e disseminazione.

Le associazioni di categorie, le reti di pastori, agricoltori, l’attivismo animalista sono a loro volta portatori di istanze specifiche ciascuna con la loro specifica genesi intellettuale e politica e con le proprie vicende di realizzazione e sviluppo sul campo che meritano, di volta in volta, specifici approfondimenti che costituiscono, a nostro giudizio, uno dei centri stessi del nostro progetto di sintesi critica Wildebate.

Sullo sfondo di queste tematiche troviamo l’estrattivismo della grande agroindustria e della grande distribuzione organizzata che trasforma la natura e le sue risorse ambientali in commodities, che impone i prezzi e destituisce di valore le colture tradizionali e tipiche, che impone l’ottimizzazione delle produzioni fatta grazie all’abuso di sostanze chimiche e pesticidi, che si lega in modo sempre più imbricato con la crisi energetica di questi anni. Questo impone un ripensamento attento dei rapporti tra tutela del paesaggio e delle aree protette, tra potenziale attrattivo della wildness e il suo valore intrinseco come conservazione di biodiversità.  Al tempo stesso la presente crisi del pastoralismo estensivo dovuta all’abbandono delle economie tradizionali del latte, delle carni e della lana e alla rovinosa mutazione climatica limita i servizi ecosistemici di custodia dei territori. Non si tratta solo di una critica alle forme di allevamento intensivo in stalla, ma della salvaguardia dei patrimoni bioculturali che abbiamo ricevuto in consegna che ci impone un ripensamento critico dei sistemi produttivi e delle economie sia agro-silvo-pastorali che turistico-culturali delle aree protette e dei parchi.

Di qui l’urgenza di un confronto franco e aperto con le comunità locali e le aziende locali, ma anche con i diversi soggetti istituzionali e associativi che insistono in questa ampia porzione di territorio interno del nostro Paese, senza facili e trite demagogie, ma basando il dialogo sulle migliori conoscenze a disposizione.

Al tempo stesso diviene sempre più importante per un’antropologia del presente fare i conti con le contraddizioni con le quali essa viene e misurarsi; essere consapevole dei conflitti, osservarli, porli a confronto con altre strategie, altri processi di intermediazione, di codifica istituzionale, di codifica normativa, di sollecitazione intellettuale e creativa. Non nascondere questa dose delicata di frizioni, ma guardarle con chiarezza e confrontarsi intorno ad esse con le diverse componenti dei soggetti in campo. In tal senso le discipline demoetnoantropologiche recuperano quel potenziale e fecondo ruolo di intermediazione, quella posizione per certi versi terza, seppur non neutrale rispetto ai campi che osservano, non arroccandosi come saperi accademici distanti e distinti, ma al contrario entrando nei dibattiti, contribuendo a creare spazi di confronto e negoziazione possibile tra istanze.

Questo approccio metodologico che al tempo stesso delinea una precisa scelta teorica, autoriflessiva e critica rispetto ai campi con cui si misura, rappresenta probabilmente il fronte maggiormente innovativo e dinamico delle scienze sociali contemporanee e finisce per definire la ricerca come processo inscindibile anche da pratiche di mediazione e di definizione di condotte orientate al bene comune e alla risoluzione alternativa dei conflitti.

È infatti proprio la consapevolezza di un conflitto soggiacente, la sua emergenza e definizione il più possibile affinata che da accesso a una franca discussione proprio per giungere a sintesi più avanzate all’incrocio tra gli attori in campo, tra i diversi interessi e istanze ideologiche che abitano una questione cruciale come quella della governance dei patrimoni bioculturali nella contemporaneità.

In fondo il tema delle convivenze/coabitazioni all’interno di un’area protetta è sempre anche questo, non solo quello della coesistenza tra wildness e attività produttive o ricettive, ma anche quello tra ordini e idee diverse in merito a ciò che si intende per tutela, protezione, conservazione, economia concreta e morale, verrebbe da dire, di una o più comunità locali. In tal senso la questione non può mai essere ridotta a una valutazione a favore o contro di questa o quella scelta o condotta, di questa o quella istanza istituzionale, associativa o privata, ma provare a costruire condizioni intellettuali e umane di confronto aperto, ristabilire flussi comunicativi e opportunità di confronto senza condizionamenti che permettano alle istanze e alle aspirazioni distinte in campo di dialogare e auspicabilmente di progettare soluzioni condivise, come azione di terza missione dell’antropologia pubblica e rifiuto consapevole di una terzietà distaccata che rischia di rendere il ruolo delle scienze sociali accessorio nei contesti in cui operano.

screenshot_20240214_000535_whatsappIl progetto PRIN Wildebate che abbiamo appena avviato con un kick-off nel dicembre scorso con le Università di Molise, Torino e Venezia ‘Ca’ Foscari’ punta ad affrontare questi temi in modo critico e aperto a tutte le istanze ed è per questo che abbiamo già affrontato questioni spinose e delicate nel kickoff con cui è stato avviato nel novembre scorso e continueremo con le puntuali ricerche nei diversi terreni etnografici e con un primo workshop locale presso l’Università degli studi del Molise in cui è nostra intenzione dare spazio a tutte le istanze e voci in campo, anche quelli apparentemente più distanti e contrapposti, senza estremizzazioni né contenimenti preventivi, salvaguardando con cura autonomia e indipendenza di scelta. Convinti, come siamo, che i conflitti e la dimensione dialogica siano il cuore stesso delle nostre ricerche e che la postura etnografica non significhi sospensione cautelativa di giudizio, ma capacità di osservazione e auto-riflessività che sola abilita alla restituzione critica di ciò che osserva e delle comunità molteplici con cui si confronta.  

Dialoghi Mediterranei, n. 66, marzo 2024
Note
[1] https://agenparl.eu/2024/02/03/abruzzo-gli-allevatori-bocciano-gli-antropologi-al-convegno-di-pescasseroli-sul-tema-convivere-le-scienze-sociali-ed-il-rapporto-uomo-natura/ ; https://agenparl.eu/2024/02/06/abruzzo-gli-allevatori-bocciano-gli-antropologi-al-convegno-di-pescasseroli-la-replica-di-dario-novellino-a-virgilio-morisi/

 _____________________________________________________________

Letizia Bindi, docente di discipline demoetnoantropologiche e direttore del Centro di ricerca ‘BIOCULT’ presso lo stesso Ateneo molisano. Presidente dell’Associazione “DiCultHer – FARO Molise” per la piena attuazione della Convenzione di Faro nel territorio regionale molisano. Si occupa di storia delle discipline demoetnoantropologiche, di rapporto tra culture locali e immagini della Nazione nella storia italiana recente e sulla relazione più recente tra rappresentazione del patrimonio bio-culturale e le forme di espressione digitale. Su un fronte più strettamente etnografico ha studiato negli scorsi anni i percorsi di integrazione dei migranti, alcuni sistemi festivi e cerimoniali, la relazione uomo-animale nelle pratiche culturali delle comunità rurali e pastorali, la transumanza dinanzi alle sfide della tarda modernità e della patrimonializzazione UNESCO. Visiting Professor in varie Università europee, coordina alcuni progetti internazionali sui temi dello sviluppo territoriale sostenibile e i patrimoni bio-culturali (EARTH – Erasmus + CBHE Project con Università Europee e LatinoAmericane) e il Progetto ‘TraPP (Trashumancia y Pastoralismo como elementos del Patrimonio Bio-Cultural) in collaborazione con le Università della Patagonia argentina.  

______________________________________________________________

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Società. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>