Stampa Articolo

Su un Rubens ritrovato

1.P. P. Rubens (opera qui attribuita). Ritratto d’Uomo, studiato anche come “Busto Virile”

P. P. Rubens (opera qui attribuita). Ritratto d’Uomo, studiato anche come “Busto Virile”, cm 46×38

di Paolo Giansiracusa

Il ritratto

L’opera oggetto di studio è un piccolo ritratto eseguito con rapporti dimensionali aderenti al vero (scala 1:1). Raffigura il busto di un aristocratico caratterizzato da un abbigliamento di tipo spagnolo. Il dipinto non è completo, infatti l’unica parte definita in dettaglio è quella del volto dell’ignoto personaggio. Le parti restanti, e cioè il fondale, il colletto bianco (la gorgiera), l’abito e il soprabito sono appena accennate con pennellate ampie e costruttive.

Il volto è definito con particolare cura. Si vedano in tal senso il luminoso incarnato, la barba rossiccia, il naso scultoreo, le labbra chiuse e l’orecchio sfuggente. La postura, derivata dalla tradizione quattrocentesca (si veda in tal senso il Ritratto d’Uomo di Antonello da Messina, 1473 circa, National Gallery, Londra), è basata sulla posa di tre quarti e lo sguardo ruotato sul piano frontale, per puntare all’osservatore. C’è infatti una doppia rotazione che genera uno scatto dinamico teso a conferire vitalità plastica e pregnanza espressiva. La rotazione del volto verso destra offre la possibilità di coglierne l’aspetto scultoreo; la rotazione dello sguardo da destra al centro intensifica il legame visivo con l’osservatore.

L’uomo del ritratto sembra richiamare all’attenzione gli astanti. Doppio scatto dinamico dunque: il primo quello del volto, dal centro verso destra; il secondo quello degli occhi, da destra verso il centro. L’occhio destro, nel caso in esame come in altri ritratti dello stesso Artista, è concepito a guisa di cannocchiale che punta all’osservatore, quasi a volerne catalizzare l’attenzione. Parimenti dicasi per i casi documentati dello stesso Rubens in cui il ritratto è impostato con la rotazione del volto a sinistra, come nel dipinto di Antonello (qui considerato archetipo compositivo) sopra citato. 

P. P. Rubens (opera qui attribuita). Ritratto d’Uomo, studiato anche come “Busto Virile”

P. P. Rubens (opera qui attribuita). Ritratto d’Uomo, studiato anche come “Busto Virile”

La tela ha una geometria strutturale sotto traccia chiaramente leggibile. Essa è costituita da tre fasce orizzontali di circa 15 cm. ciascuna. Le diagonali del quadrilatero, costituito dalle due fasce superiori, si intersecano nell’area pittorica dell’occhio destro che in tal modo diventa il punto focale del ritratto. Dall’occhio, come è conseguenziale, passa altresì l’asse centrale che divide la tela in due fasce verticali uguali. Questa strutturazione compositiva si riscontra in altri ritratti eseguiti da Pieter Paul Rubens [1] prima e dopo l’opera in esame [2]. Anche l’occhio destro dell’Arciduca d’Austria Alberto VII è attraversato dalla linea centrale verticale del dipinto (Ritratto dell’Arciduca d’Austria Alberto VII, olio su tela, cm. 50×40, databile tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, ritrovato recentemente, collezione privata). Lo stesso dicasi per l’occhio destro del Nobiluomo veneziano (Ritratto di Nobiluomo veneziano, olio su tavola, cm.59×48, 1620 circa, già nella Collezione di Hans Wetzlar (Olanda), recentemente (agosto 2023) all’asta da Sotheby’s (Londra) e per quello dello stesso Rubens nel suo celebre autoritratto di Windsor (Autoritratto di P.P. Rubens, olio su tavola, cm.85,7×62,2, 1623, Royal Collection, Windsor).

3.P. P. Rubens. Autoritratto con amici a Mantova. Dipinto a olio su tela (77,5x161 cm) realizzato tra il 1602 ed il 1604. Wallraf Richartz Museum di Colonia.

P. P. Rubens. Autoritratto con amici a Mantova. Dipinto a olio su tela (cm.77,5×161) realizzato tra il 1602 ed il 1604. Wallraf Richartz Museum di Colonia

L’attribuzione a Pieter Paul Rubens

L’attribuzione del ritratto a Pieter Paul Rubens ha origine dall’intuizione critica di Mina Gregori ed è qui confermata da una serie di elementi tecnici, stilistici ed espressivi. L’assegnazione all’Artista fiammingo si basa innanzitutto sull’aspetto realistico del personaggio e sulla fluidità della pennellata tesa a costruire, senza ripensamenti, masse plastiche e piani di luce, incarnato e morbidezze tonali. Anche l’aspetto strutturale rispondente a regole di purezza geometrica, di centralità visiva, di modularità e proporzioni, spinge verso l’attribuzione a Rubens. La pennellata carica di materia, tesa a costruire dettagli, è pure riconoscibile come elemento distintivo dell’Artista. La datazione assegnata all’opera non è distante dal periodo esecutivo dell’Autoritratto con amici a Mantova del Wallraf Richartz Museum, eseguito tra il 1602 e il 1504. La costruzione dei volti, l’impostazione degli sguardi, il colore luminoso con bagliori e tonalismi ramati, rendono vicine le due opere in termini temporali.

4.P. P. Rubens. Quattro filosofi. Olio su tavola (164x139 cm) eseguito dall’Artista tra il 1611-1612. Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze

P. P. Rubens. Quattro filosofi. Olio su tavola (164×139 cm) eseguito dall’Artista tra il 1611-1612. Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze

Ritratto dal vero

Il personaggio del ritratto in esame è riprodotto nelle misure corrispondenti al vero, come una sorta di impronta dell’uomo in posa. Si propone di identificarlo come un giovane aristocratico; il riconoscimento dell’estrazione nobiliare del soggetto si basa sulla freschezza dell’incarnato, sul portamento elegante, sugli abiti (seppure appena accennati) che indossa. L’opera può a buon diritto entrare a far parte di un’ampia galleria di ritratti eseguiti da Rubens nell’ampio arco della sua carriera. Si tratta di ritratti eseguiti in maniera estemporanea, dopo avere studiato i personaggi ed averne memorizzato gli elementi distintivi e i caratteri essenziali. L’opera in esame ci rivela il procedimento esecutivo dell’Artista il quale, contrariamente ai suoi predecessori e ai suoi contemporanei, inizia dal dato più significativo: il volto. In precedenza gli artisti, per accorciare i tempi della posa, predisponevano il busto con gli abiti del personaggio da dipingere. Riservavano alla posa solo la parte fisiognomica che, per comodità del modello, veniva eseguita alla fine.

5.P. P. Rubens. Ritratto dell’Arciduca d’Austria Alberto VII, olio su tela, cm. 50x40, databile tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, ritrovato recentemente, collezione privata).

P. P. Rubens. Ritratto dell’Arciduca d’Austria Alberto VII, olio su tela, cm. 50×40, databile tra la fine del Cinquecento e gli inizi del Seicento, ritrovato recentemente, collezione privata

Nel caso in esame, Rubens, con gesto costruttivo veloce, ha semplicemente abbozzato il busto, riservandosi di definirne i dettagli a completamento del ritratto. È probabile che l’interruzione esecutiva sia dovuta alla mancata accettazione del committente il quale probabilmente non ha apprezzato l’aspetto fin troppo realistico del ritratto. Non va dimenticato che negli anni di passaggio dal Cinquecento al Seicento, nonostante la grande lezione di autentico realismo compiuta da Tiziano Vecellio, c’erano ancora resistenze di raffigurazione idealizzata, ciò sia nel pensiero dei committenti che nel pennello degli artisti.

Un aristocratico con la gorgiera della moda spagnola

L’uomo raffigurato nel ritratto da P.P. Rubens veste alla maniera spagnola. Ciò si evince in particolare dall’abbozzo della gorgiera. Si tratta di un colletto ondulato che fa parte dell’abbigliamento maschile e femminile del Cinquecento e del Seicento. In origine consisteva in un collare di acciaio o cuoio teso a proteggere la gola. Faceva parte dell’armatura e serviva ad evitare che i colpi di spada inferti all’altezza del collo fossero letali.

6.P.P. Rubens, Autoritratto olio su tavola, cm.85,7x62,2, 1623, Royal Collection, Windsor.

P.P. Rubens, Autoritratto olio su tavola, cm.85,7×62,2, 1623, Royal Collection, Windsor

Il termine deriva probabilmente dal francese “gorge”. La gorgiera (starched ruff, gorgiera inamidata, per gli inglesi) comparve in Italia nella sua forma più semplice intorno al 1530, quando la penisola fu sottoposta al dominio dell’Imperatore Carlo V.

In origine era chiamata “lattuga”, per la caratterista forma arricciata, e costituiva un’unica cosa con la camicia bianca, compresi i polsini. La comparsa della gorgiera, apprettata con amido, avvenne attraverso l’inizio dell’uso di abiti vistosamente accollati. La gorgiera verso la metà del Cinquecento aumentò di misura fino a giungere alle appariscenti ruote orlate e arricciate, tessute con finissimo lino [3]. La gorgiera del nostro personaggio non è vistosa e, immaginandola nel suo aspetto definitivo, serve a incorniciare il volto del giovane in posa [4].

7.P. P. Rubens. Ritratto di Nobiluomo veneziano, olio su tavola, cm.59x48, 1620 circa, già nella Collezione di Hans Wetzlar (Olanda), recentemente (agosto 2023) all’asta da Sotheby’s, Londra.

P. P. Rubens. Ritratto di Nobiluomo veneziano, olio su tavola, cm.59×48, 1620 circa, già nella Collezione di Hans Wetzlar (Olanda), recentemente (agosto 2023) all’asta da Sotheby’s, Londra

La preparazione a guazzo

Il mancato completamento del ritratto rivela il procedimento esecutivo di Pieter Paul Rubens a cui l’opera viene qui attribuita. L’artista, dopo una leggera imprimitura atta a far fare presa al colore, abbozza l’opera con una tecnica esecutiva veloce. Ciò al fine di poter cogliere in maniera istantanea il carattere distintivo della personalità in posa. 

Scioglie il colore nel medium oleoso fino ad ottenerne una materia fluida, coprente un po’ più di una velatura. Le pennellate sono stese in modo da ottenere una tessitura morbida atta ad accogliere gli impasti costruttivi, fino alla materia pittorica destinata ai dettagli. Le cromie terrose variano di intensità e, anche se destinate ad essere coperte, hanno già in nuce i colpi di luce. La preparazione a guazzo è evidente nel fondale e nell’abito e giunge fino al margine della gorgiera vezzosa, riccioluta e avvolgente.

8.P. P. Rubens (opera qui attribuita). Ritratto d’Uomo, studiato anche come “Busto Virile” Dipinto ad olio su tela, cm.46 x 38 Datazione 1602 circa

P. P. Rubens (opera qui attribuita). Ritratto d’Uomo, studiato anche come “Busto Virile” Dipinto ad olio su tela, cm.46 x 38 Datazione 1602 circa

 9.P. P. Rubens (opera qui attribuita). Ritratto d’Uomo, studiato anche come “Busto Virile” Dipinto ad olio su tela, cm.46 x 38 Datazione 1602 circa. P. P. Rubens. Quattro filosofi (dettaglio). Olio su tavola (164x139 cm) eseguito dall’Artista tra il 1611-1612. Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze


P. P. Rubens. Quattro filosofi (dettaglio). Olio su tavola (164×139 cm) eseguito dall’Artista tra il 1611-1612. Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze

L’intuizione critica di Mina Gregori

Mina Gregori con l’intuizione critica dei grandi storici dell’arte italiani del Novecento ha individuato l’archetipo stilistico ed espressivo a cui può essere collegato il ritratto in esame. La studiosa con una nota specifica dichiara che sia assai probabile la paternità di Pieter Paul Rubens. «La potenza ritrattistica e la scioltezza esecutiva manifestano caratteristiche e qualità che ci conducono al Rubens e al suo Ritratto degli amici mantovani del Wallraf Richartz Museum di Colonia, che il grande maestro fiammingo eseguì probabilmente nel 1602. La datazione al primo decennio del Seicento è confermata per il ritratto qui considerato dal costume e in particolare dall’alto colletto del ritrattato. Ulteriori ricerche potranno precisare la paternità del Rubens che io ritengo assai probabile».

10. P. P. Rubens, ritratto di Philippe Rubens (1610-1611). Olio su tavola (legno di quercia), cm 68,6 x 53,7, collezione privata. L’accostamento al dipinto in esame è motivato dall’affinità di alcuni dettagli anatomici e dalla mancata definizione della parte pittorica del fondo e dell’abito.

P. P. Rubens, ritratto di Philippe Rubens (1610-1611). Olio su tavola (legno di quercia), cm 68,6 x 53,7, collezione privata. L’accostamento al dipinto in esame è motivato dall’affinità di alcuni dettagli anatomici e dalla mancata definizione della parte pittorica del fondo e dell’abito

L’opera a cui fa riferimento la Gregori è meglio nota come Autoritratto con amici a Mantova. Si tratta di un dipinto a olio su tela (77,5×161 cm) realizzato tra il 1602 ed il 1604.  Quando la tela fu eseguita Rubens aveva all’incirca ventisei anni. I sei personaggi raffigurati, leggendo il dipinto da sinistra a destra, potrebbero essere Frans Pourbus, Caspar Schoppe, William Richardot, Filippo Rubens (fratello dell’Artista), Peter Paul Rubens e Justus Lipsius.

Riferimenti analoghi per la postura, gli sguardi, la gestualità e l’abbigliamento si possono riscontrare anche in un’altra opera, dipinta successivamente. Si tratta dell’opera raffigurante i Quattro filosofi. È un pregevole olio su tavola (164×139 cm) eseguito dall’Artista tra il 1611-1612 e conservato nella Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze [5]. Facendo un confronto basato sulla postura, lo sguardo e la fisiognomica dell’autoritratto di P. P. Rubens (il primo da sinistra, nella tavola fiorentina) e il Ritratto d’Uomo (oggetto della presente analisi), si notano affinità sorprendenti. Si ha la netta sensazione che l’Artista nel tempo mantenga le stesse costanti tecniche, formali ed espressive.

Dialoghi Mediterranei, n. 66, marzo 2026
Note
[1] Pieter Paul Rubens. Nota biografica
Un pittore fiammingo e la scoperta dell’avanguardia italiana. Pieter Paul Rubens nacque a Siegen (Westfalia), in Germania, il 28 giugno del 1577 da Jan Rubens, avvocato fiammingo calvinista, e da Maria Pypelinckx. Negli anni dell’infanzia la famiglia, originaria di Anversa, abitò a Colonia dove si era rifugiata per sfuggire, in quanto protestante, alla persecuzione spagnola. Verso la fine degli anni ottanta, dopo la morte del padre, la famiglia si trasferì ad Anversa. Qui Pieter Paul compì studi di indirizzo classico e si convertì al cattolicesimo.
Il suo apprendistato artistico iniziò abbastanza presto, a quattordici anni, nello studio di Tobias Verhaecht. Del 1596 è la notizia relativa ad una serie di dipinti eseguiti sotto la guida di Otto Van Veen e Jan Brueghel il Vecchio. Nel 1598 fa parte della corporazione dei pittori della Gilda di Anversa.
Il suo viaggio in Italia, per una permanenza di circa otto anni, risale al mese di maggio del 1600. All’inizio frequentò l’ambiente artistico veneziano dove studiò le opere di Tiziano, Tintoretto e Veronese. Poi accettò l’incarico di pittore di corte da Vincenzo I Gonzaga, Duca di Mantova. Con i Gonzaga ebbe modo di affinare il suo stile e innanzitutto di apprendere i caratteri espressivi e tecnici della pittura italiana di quel tempo. L’anno successivo, su incarico del Duca, fu a Roma con l’intento di copiare opere di Michelangelo e Raffaello e di confrontarsi con gli illustri contemporanei (Caravaggio, Carracci e Barocci in particolare). Nella città eterna entrò in contatto con il Cardinale Scipione Borghese e con la pittura nuova, quella successiva alla Contro- riforma. A Roma tornò altre volte per assolvere a numerosi impegni pubblici, nel corso dei quali ebbe modo di mettere a punto il suo nuovo linguaggio, interamente calato nello stile pittorico del tempo, quello barocco. Per il Duca Gonzaga, dopo il rifiuto da parte dei committenti (1604), si impegnò in merito all’acquisto di uno dei capolavori del Caravaggio, la Morte di Maria (ora al Louvre).
Nel 1608 ritornò ad Anversa portando con sé il bagaglio straordinario di una pittura d’avanguardia, chiara, luminosa, vibrante. Comprese in pieno il dettato della Controriforma e ne rispettò i principi, mettendo insieme quanto aveva appreso: l’armonia della classicità, il pathos michelangiolesco, l’umanità del Caravaggio. Le sue forme possenti, ispirate ai modelli della Cappella Sistina, si lasciarono attraversare da una straordinaria luminosità interna, arricchendosi di un’espressione non più altèra, distaccata, ma umana, presente, viva.
L’arte è l’idea, l’esecuzione è la sua forma. Nella sua patria trovò immediato sostegno nel borgomastro Nicolas Rockox e nel Governatore dei Paesi Bassi Meridionali, l’Arciduca Alberto. Nel secondo decennio del Seicento, dopo avere eseguito varie opere di soggetto sacro, organizzò l’attività della sua bottega secondo un modello operativo personale. Creò gruppi di lavoro con giovani pittori specializzati in vari ambiti. È così che poté rispondere alle numerose e pressanti commissioni, peraltro caratterizzate da dipinti di imponenti dimensioni. Predisponeva i cartoni delle opere, dettagliando ogni particolare figurativo e paesaggistico, ogni aspetto espressivo. Per gli aspetti esecutivi intervenivano i numerosi collaboratori, perfettamente educati al suo linguaggio. Paesaggisti, ritrattisti e decoratori si alternavano e avvicendavano, ciascuno per la sua parte, dando forma all’idea progettuale del maestro. Fu così per molto tempo ed è per tale ragione che la sua produzione è ancora oggi una delle più vaste del campo artistico. Per la verità egli aveva rimesso in piedi il cantiere operativo delle grandi opere della classicità. Si pensi a Fidia e alle decine di collaboratori intenti a scolpire, applicando il suo linguaggio, le metope e i fregi del Partenone. Significativo è in tal senso il contratto stipulato da Rubens nel 1620 con i Gesuiti di Anversa, per fornire i bozzetti di trentanove composizioni da affidare poi ai suoi allievi, tra cui Anton Van Dyck.
Nel 1617 intraprese un’attività che esplicherà per diverso tempo, la progettazione di arazzi con scene ispirate alla classicità romana e a temi di carattere sacro. Nel 1622 ottenne uno degli incarichi più importanti della sua carriera, quello di Maria de’ Medici, madre di Luigi XIII, per la quale eseguì una serie di dipinti monumentali destinati ad ornare la Galleria del Palazzo del Lussemburgo e allo stesso tempo di celebrare la vita e le azioni politiche della committente. Successivamente lavorò per Filippo IV di Spagna e per Carlo I d’Inghilterra realizzò persino apparati scenografici, come quelli relativi all’entrata trionfale ad Anversa del nuovo Governatore Generale dei Paesi Bassi, Ferdinando d’Austria (1635). Il suo ultimo grande ciclo pittorico (1637-38) fu quello relativo alle venticinque stanze del padiglione di caccia (Torre della Parada) del re Filippo IV. Eseguì 53 bozzetti di cui solo 14 furono utilizzati dal maestro per realizzare dei grandi dipinti. I rimanenti bozzetti servirono ai suoi allievi per ricavarne altrettante opere pittoriche.
Morì il 30 maggio del 1640 nella sua casa di Anversa. Tutte le opere raccolte nel tempo e l’immenso patrimonio pittorico di sua produzione conobbero il clamore dell’asta.
[2] C’è in molti ritratti di Pieter Paul Rubens una costante focale, una sorta di monocolo visivo teso al controllo di chi, fuori dallo spazio pittorico, guarda il modello in posa. Le linee di convergenza prospettica, che fanno dello sguardo il centro di una ragnatela dalla geometria cristallina, catturano anche il più distratto degli osservatori. Ci sarebbe molto da studiare su Rubens e altri autori del suo tempo, purtroppo dimenticati o messi in secondo piano, se i media non avessero fatto del caravaggismo il gonfalone del gossip. Si auspica il ritorno alla ricerca, alla riflessione, all’analisi severa.
[3] Successivamente, e cioè agli inizi della stagione barocca, la gorgiera fu staccata dalla camicia per diventare un orpello a sè stante del vestiario alla moda.  La gorgiera italiana si avvalse della maestria delle merlettaie veneziane che crearono veri e propri capricci decorativi con l’uso dell’ago e del tombolo. L’uso di questo particolare colletto irrigidiva i movimenti della testa, conferendo al modello un portamento severo, di tipo aristocratico. Con l’utilizzo dei colli a bavera, e cioè i grandi colletti quadrati di pizzo (usati in Italia attorno al 1630) che si adagiavano morbidamente sulle spalle, la moda della gorgiera, a poco a poco, andò spegnendosi.
[4] Per comprendere come sarebbe stata la gorgiera del personaggio del dipinto in esame, se Rubens avesse completato l’opera, è sufficiente guardare il colletto inamidato eseguito dall’Artista nel Ritratto di Francesco IV Gonzaga (olio su tela conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna) e quello dipinto nel ritratto recentemente ritrovato dell’Arciduca Alberto VII d’Austria (olio su tela di proprietà privata).
[5] Si tratta di un quadruplice ritratto monumentale, di Rubens e tre amici. Il pittore si riconosce in piedi sulla sinistra, col volto ritratto di tre quarti e lo sguardo che cerca lo spettatore, secondo una convenzione tipica della sua ritrattistica. Seduti attorno a un tavolinetto, coperto da un pesante tappeto orientale e cosparso di libri, penne e calamai, si trovano da sinistra, dopo l’autore, il fratello Filippo Rubens, Giusto Lipsio (Juste Lipse), maestro filosofo, e Giovanni van de Wouvere (Jan Woverius), altro discepolo e amico dei tre. La ricchezza dei gesti, gli sguardi “parlanti”, la ricchissima vivacità della superficie pittorica, diversificata per meglio rappresentare la consistenza di ciascun materiale, fanno dell’opera un capolavoro della ritrattistica seicentesca.
Riferimenti bibliografici
Si tralascia la bibliografia specifica su P.P. Rubens che è vasta e quasi tutta facilmente reperibile. Si riportano invece i riferimenti bibliografici degli interventi dello scrivente riguardanti la vita e le opere dell’Artista.
Paolo Giansiracusa, Rubens e la pittura della Controriforma, Troina 2017.
Paolo Giansiracusa, La pittura della Controriforma, Pieter Paul Rubens, in Quaderni del Mediterraneo n.18: 113-160, Siracusa 2018.
Paolo Giansiracusa, Pieter Paul Rubens. Nota biografica, in Quaderni del Mediterraneo n.18: 204-209, Siracusa 2018.
Paolo Giansiracusa, La Pinacoteca d’Arte Moderna di Troina, Troina 2021.
____________________________________________________________________________
Paolo Giansiracusa, Storico dell’arte, Professore Emerito Ordinario di Storia dell’Arte nelle Accademie di Belle Arti. Già Docente di Storia dell’Arte Moderna e Contemporanea alla Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Catania. Componente dell’Istituto Nazionale del Dramma Antico, Siracusa-Roma. Direttore del M.A.C.T. Polo Museale d’Arte Moderna e Contemporanea di Troina. Fondatore e Direttore della Rivista Nazionale “Quaderni del Mediterraneo”.

______________________________________________________________

 

 

 

 

Print Friendly and PDF
Questa voce è stata pubblicata in Cultura, Letture. Contrassegna il permalink.

Lascia un Commento

L'indirizzo email non verrà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

È possibile utilizzare questi tag ed attributi XHTML: <a href="" title=""> <abbr title=""> <acronym title=""> <b> <blockquote cite=""> <cite> <code> <del datetime=""> <em> <i> <q cite=""> <strike> <strong>