CIP
di Costantino Cossu [*]
Si può restare fedeli a un luogo quando non può darti niente? Si può vivere pensando che niente di ciò che chiude la tua vita in un cerchio di solitudine e di rinuncia possa mai cambiare? Ad Albagiara vivono appena 240 persone. È uno dei Comuni più piccoli d’Italia. Ci si mette un quarto d’ora a percorrerlo tutto a piedi. È una mattinata di luce intensa, con un cielo primaverile alto, lontano, di un azzurro che stordisce. Sono le undici e lungo le strade strette non incontri nessuno. Il silenzio è rotto appena dal vento tra i rami della quercia sulla piazzetta su cui si affaccia la chiesa di San Sebastiano. Dai pascoli intorno arriva, attutito dalla distanza, il suono dei campanacci delle greggi. Siamo in Marmilla, un altipiano che dal tavoliere del Campidano sale sino alla regia nuragica di Barumini, la testimonianza più imponente della misteriosa civiltà del Popolo delle torri, per l’Unesco patrimonio mondiale dell’umanità.
Albagiara è un luogo ai confini del mondo. I morti sono più dei bambini che nascono. Trend demografico negativo, dicono gli esperti, qui come in tante altre minuscole comunità dell’isola. Una china che porta inesorabilmente allo spopolamento. Se continua così, nel corso di una sessantina d’anni in questi luoghi non vivrà più nessuno. Resteranno le case vuote. È un fenomeno, quello dello spopolamento, studiato da economisti, sociologi, antropologi, demografi. In Italia a sollevare il problema e a tentare di metterci una pezza è stato per primo Fabrizio Barca quand’era ministro per la coesione sociale nel governo Monti. Nel 2013 si è inventato, Barca, una cosa che si chiama Strategia nazionale per le aree interne (SNAI), una struttura governativa, con dotazione di fondi e di competenze, alla quale è stato affidato il compito di studiare e di realizzare progetti di sviluppo in aree economicamente depresse di tutte le regioni italiane. Per la Sardegna la scelta è caduta sulla Marmilla.
Sono trascorsi undici anni e di quel libro dei sogni, ad Albagiara e nel resto dell’altipiano, non resta quasi nulla. I governi successivi a quello presieduto da Monti (Conte 2 e Draghi) hanno progressivamente svuotato la SNAI, tagliando fondi e riducendo organici. E oggi, sotto Giorgia Meloni, il progetto di Barca vive di vita stentatissima. In compenso, l’esecutivo guidato dalla leader di Fratelli d’Italia ha inserito Albagiara nell’elenco dei Comuni italiani “idonei” a ospitare il deposito nazionale delle scorie radioattive. Ai progetti di sviluppo della SNAI, che puntavano a valorizzare risorse e saperi locali per sfuggire a un destino di lenta estinzione, si sostituisce una servitù. Una nuova servitù, oltre quelle militari e petrolchimiche che hanno segnato la storia recente della Sardegna. Una servitù che sottrae all’uso produttivo terreni fertili, che si appropria di ricchezza potenziale e non lascia niente, se non rischi per la salute e per l’ambiente e un danno di immagine disastroso per territori che al turismo, oltre che al rilancio delle tradizionali attività agricole e pastorali, vorrebbe affidarsi per non continuare ad andare a fondo.
Massimiliano ha trentasei anni. Ad Albagiara è nato e da Albagiara è dovuto andare via. Scelta obbligata per cercare un futuro. Ora è tornato. Con indosso la tuta arancione del servizio di pulizia del Comune lo trovo nel prato che sta davanti alla casa di riposo per anziani a poche decine di metri dall’edificio del Municipio. Raccoglie erbacce, pulizie di primavera. «Da qui sono partito – racconta – per trovare un lavoro, ormai quasi dieci anni fa. Non avevo nessuna possibilità ad Albagiara. Ho fatto il cameriere a Sassari, nel ristorante di un centro commerciale. Paga bassa e ritmi di lavoro da sfibrarsi. Ho resistito per sei anni, poi ho provato a Cagliari. Ho lavorato nel magazzino di un’impresa che produce materiali per imballaggi e packaging. Contratti a tempo determinato, straordinari non pagati, sindacati assenti. Ho tenuto duro per un po’, ma poi non si poteva, davvero non si poteva. Ho preferito tornare ad Albagiara, dove il Comune cercava personale per i servizi di pulizia. Anche qui il contratto è a scadenza, rinnovabile. Ma sono a casa, ho costi di sopravvivenza più bassi e una comunità intorno. Anche se resta tutto fermo. Anche se non cambia mai niente». Ma si può vivere – chiedo – pensando che niente possa mai cambiare? «Prima – mi dice Massimiliano – credevo di no. Ora non saprei. Non esiste, forse, una risposta. Ciascuno prova a uscirne come può. Da solo. Per me in questo momento la risposta è Albagiara. Tornare. Per quanto? Non lo so. Ci siamo abituati a vivere senza pensare al futuro».
La vecchia Alfa del sindaco di Albagiara, Marcello Pilloni, percorre uno sterrato pieno di buche. Andiamo a vedere dove dovrebbero mettere il deposito delle scorie radioattive. Pascoli verdi tutto intorno, a perdita d’occhio. A nord, a meno di dieci chilometri da dove dovrebbe essere custodita la spazzatura radioattiva, l’orizzonte dell’altipiano è rotto dai contrafforti collinari della Giara, una conca basaltica estesa per 4600 ettari, un parco naturalistico di straordinaria bellezza dove vivono alcuni tra i pochi esemplari di cavalli selvatici rimasti in Italia, meta di un turismo buono, lento e responsabile. Arriviamo a un incrocio dove s’incontrano quattro strade, a cinque chilometri dal paese. Il sindaco mi mostra i terreni scelti per farci il deposito. Sono 150 ettari che dal comunale di Albagiara si allargano a quelli di altri due piccoli centri vicini, Usellus e Assolo. «Soltanto in parte – spiega Pilloni – sono terreni comunali. Una buona porzione è occupata da aziende agropastorali. E il problema è doppio. Da una parte i pastori, che qui tengono in piedi una delle poche attività economiche ancora redditizie, si vedranno sottratta una fetta dei loro terreni, dall’altra la presenza delle scorie sarà, per aziende che producono carne e formaggi, una pubblicità negativa enorme. Chi vorrà comprare il cibo prodotto a pochi metri dai rifiuti radioattivi? Altrettanto vale per il turismo nella Giara». Pilloni fa l’ingegnere. È tornato ad Albagiara dopo trent’anni di lavoro in uno studio professionale a Cagliari. «Qui – dice – i problemi sono tanti. Come in molte altre zone periferiche della Sardegna, avremmo bisogno di servizi: scuole, trasporti, sanità. Con la Snai sembrava che qualcosa cominciasse a muoversi. Poi tutto s’è fermato».
Tutti i Comuni della zona, sedici, si sono uniti in un coordinamento per dire no al deposito. A fianco della Marmilla si è schierato il Comune di Oristano, con una delibera di consiglio approvata all’unanimità. Contro il deposito è nato un comitato che si chiama ‘Storie no scorie’. Nel documento consegnato alla Regione Sardegna e al governo per evidenziare le ragioni dell’opposizione alla realizzazione in Marmilla del deposito di scorie radioattive si legge: «Le aree individuate come sede del sito di stoccaggio sono dense di aziende e di realtà produttive d’eccellenza, che valorizzano la biodiversità, e producono eccellenze dell’agroalimentare note e distribuite in tutto il mondo (si vedano a titolo esemplificativo i prodotti Dop e Igp come lo zafferano, l’olio d’oliva, l’agnello di Sardegna, il pecorino sardo e romano, il fiore sardo e il carciofo spinoso). Sono presenti parchi e zone Sic (Parco geominerario storico ed ambientale della Sardegna, Parco regionale del Monte Arci, Parco della Giara) che valorizzano ulteriormente un’area densa di siti storici e archeologici». Alla Strategia nazionale aree interne il documento si richiama esplicitamente: «Nel 2017, al termine di un percorso durato tre anni, la Regione Sardegna e l’Unione dei Comuni dell’Alta Marmilla hanno sottoscritto un protocollo di intesa per l’attuazione di una specifica strategia d’area nell’ambito della Snai. È seguita nel 2019 la sottoscrizione dell’Accordo di programma quadro propedeutico all’attuazione delle azioni».
Erano quattro le direzioni indicate dai protocolli Snai: 1) l’istruzione, con il potenziamento del sistema scolastico locale, al fine di prevenire la dispersione scolastica, e “cucire” la formazione con i progetti di sviluppo locale; 2) la salute, con il potenziamento dei servizi territoriali ed interventi finalizzati alla creazione di centri di eccellenza, quali quelli per la cura dei disturbi alimentari; 3) l’accessibilità, sia fisica (con la creazione di un sistema di trasporti pubblico locale ed il rafforzamento dei collegamenti con i “nodi”) che digitale (con la creazione di vere e proprie “autostrade digitali”); 4) la coesione e competitività, con l’obiettivo di attrarre l’insediamento di nuove imprese. «Riguardo quest’ultimo punto – si legge nell’analisi elaborata da comitato ‘Storie non scorie’ – vanno evidenziati in particolare tre obiettivi, strettamente interconnessi con la terra ed il paesaggio, elementi che soffrirebbero un sicuro detrimento dalla realizzazione del deposito nazionale: 1) implementare e potenziare una rete di imprese che operano nel settore dell’agricoltura sociale; 2) creare una rete commerciale delle produzioni di qualità; 3) valorizzare e mettere a sistema il patrimonio delle terre civiche del territorio».
«Appare evidente – conclude il documento – come il raggiungimento degli obiettivi di cui sopra, e più in generale la stessa attuazione della Strategia nazionale delle aree interne, che ricordiamo avere preminente interesse nazionale, sia del tutto incompatibile con il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. È palese la contraddittorietà di iniziative governative che da un lato promuovono in Marmilla la sperimentazione di azioni tese a salvaguardare la presenza del fattore umano e a favorirne uno sviluppo sostenibile e dall’altro individuano lo stesso territorio come potenzialmente idoneo a stoccare rifiuti altamente tossici. Il deposito delle scorie radioattive comprometterebbe irrimediabilmente la valorizzazione di quelle stesse risorse individuate come strategiche per lo sviluppo del territorio».
Ad Albagiara non ci sono scuole, neanche le materne e le elementari. I bambini e i ragazzi devono salire su uno scuolabus e andare nei paesi vicini. Tra i quali c’è Ales. Dove arrivo percorrendo la provinciale 442 che dall’altipiano scende verso il Campidano. Ales è una capitale decaduta. Cuore politico e amministrativo di quest’angolo di Sardegna, era il luogo dove un tempo risiedevano i grandi latifondisti, i signori della terra. Aveva un vescovo, con una cattedrale che ancora oggi è splendida, e persino una Pretura. Oggi di questo non c’è più niente; Vaticano e Stato italiano accomunati in un’identica scelta di abbandono. Sul corso in fondo al quale si leva la cattedrale con la sua cupola di maiolica colorata c’è la casa natale di Antonio Gramsci. È un nodo importante della rete della Società gramsciana internazionale, che, nel nome dell’autore dei Quaderni, porta qui, in Marmilla, gente da ogni parte del mondo. La trovo chiusa. Sulla porta d’ingresso e sui vetri delle finestre, manifesti che chiedono solidarietà per Giulio Regeni e condannano l’embargo Usa contro Cuba. Si può vivere pensando che niente possa mai cambiare? Forse qui ad Ales c’è una risposta. Una delle risposte possibili.
Dialoghi Mediterranei, n. 67, maggio 2024
[*] Questo testo è un ampliamento e una rielaborazione di un reportage già apparso sul quotidiano “il manifesto”.
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Costantino Cossu, laureato presso l’università “Carlo Bo” di Urbino (facoltà di Sociologia e Scuola di giornalismo), è giornalista professionista dal 1985, cura le pagine di Cultura del quotidiano la Nuova Sardegna. Collabora con il quotidiano Il manifesto e con la rivista “Gli Asini”. Ha scritto i libri: Sardegna, la fine dell’innocenza (Cuec, 2001), Gramsci serve ancora? (Edizioni dell’Asino, 2009). Ha curato il volume di autori vari La Sardegna al bivio (Edizioni dell’Asino, 2010) e il testo di Salvatore Mannuzzu, Giobbe (Edizioni della Torre, 2007).
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