di Luca Renzi
Il mare mi divide dai miei cari
e me ne sto per giorni sulla riva
agognando la terra dei Greci
mentre le onde rispondono ai miei sospiri
scrosciando con rumori cupi.
Guai a chi vive solo, lontano
da genitori e fratelli! Il dolore
strappa alle sue labbra la gioia più vicina [1].
Ifigenia, la sacerdotessa e principessa greca, figura del dramma euripideo e in seguito goethiano (ma non dimentichiamo Guimond de La Touche e Racine…) che ha trascorso ormai parte della sua esistenza in terra straniera, in Tauride, ove il padre Agamennone la fece approdare, ha interceduto fin dal suo arrivo presso il re barbaro Toante affinché il tiranno revocasse l’uso barbaro del sacrificio degli stranieri che sventuratamente vi approdavano: fiera di tale conquista e forte di questa alleanza con il re di Tauride, ella reclama la sua autonomia e il suo libero arbitrio, che non appaiono semplice affrancamento dal sovrano, ma affermazione della libertà di stabilire la propria sorte, compresa quella del ritorno. Ella, la sacerdotessa-eroina, artefice finalmente del proprio destino, al pari di ogni eroina greca e al contempo di Prometeo, svuota con il suo alto senso della dignità propria l’autorità del tiranno, divino, greco o barbaro che esso sia [2].
Durante il periodo radicalmente soggettivo dello Sturm und Drang, il poeta Johann Wolfgang von Goethe si rivoltò contro le condizioni sociali dell’epoca, dominate dall’assolutismo e caratterizzate dall’oppressione, che limitavano il desiderio di libertà delle persone. Da un lato riferendosi alla situazione politica, ma allo stesso tempo criticando anche i rapporti interpersonali che, a causa delle rigide norme sociali, non lasciavano spazio allo sviluppo individuale. Goethe affrontò questa sua rabbia principalmente nella commedia Götz von Berlichingen e nel romanzo epistolare I dolori del giovane Werther, i cui personaggi principali sono caratterizzati da azioni basate su un innegabile desiderio di libertà. In epoca classica spostò tale sempre fervido interesse in opere e personaggi legati al mito greco.
Il valore di una attualizzazione all’oggi del dramma classico è insito in quello di Humanität, vale a dire di “umanità” nel senso piò ampio di Humanitätsutopie proveniente da Rousseau e valore cardine del classicismo weimariano, ma un altro significato, ancor più attuale come vedremo si insinua, valore che pare il più fedele al fondamento del classicismo tedesco, sovente unito a quello di rivoluzione [3] e al mito greco tutt’uno. Significato di cui pare volercene dare perlomeno presagio un’opera complessa e sintomatica di un’epoca più recente, ma rimasta troppo tempo trascurata quale fu la Verifica dei poteri di Franco Fortini: almeno in quel capitolo meno conosciuto in cui egli descrisse la “condizione di ospite” e nel paragrafo intitolato “Al di là del mandato sociale” [4] ove si disquisisce sul mandato della letteratura di denuncia e di rottura.
A tal riguardo appare stimolante uno scorcio sul tema del diritto naturale, come compiuto di recente da una giovane e audace studiosa romana che ha dedicato al tema della Ifigenia un denso e accurato volumetto, peraltro incentrato in buona parte sulla lettura adorniana dello Schauspiel goethiano [5]. Diritto naturale, dunque, che nella sua attualizzazione più limpida e a seguito di una secolarizzazione del mito (materia di stampo adorniano per antonomasia) muove a divenire, nella verifica dei poteri connessa (potere costituente e potere costituito), diritto sovranazionale, operato tramite il concetto di comunità etica: è la legge della coscienza, infatti, che impone il comportamento etico impersonato da Ifigenia, portatrice della dimensione etico-religiosa, e che irrompe nel dramma allorquando l’eroina dovrà ‘istruire’ e convertire il barbaro Toante, personificazione del sovrano assolutista, alla legge dell’ospitalità [6].
Stato etico e stato giuridico si sovrappongono nel giurista Goethe, che aveva di certo conosciuto il saggio filosofico di Emmanuel Kant Vom ewigen Frieden (Per la pace perpetua) del 1795 che conglobava un capitolo sullo straniero e i suoi inalienabili diritti, fra cui quello di ‘visita’ e di accoglienza. Al fine di declinare tali conoscenze e convogliarle nella preparazione dello Schauspiel goethiano, come ci illustra Menghini, Goethe fece uso di due manuali all’epoca già diffusi nelle corti d’Europa al pari dei codici comportamentali di Monsignor Della Casa e di Baldassar Castiglione. I libelli in questione erano quelli di Ugo Grozio e di Emer de Vattel, l’uno del 1680 e l’altro di quasi cento anni più tardi. E Goethe sembra mettere in bocca al fratello di Ifigenia che giunge in terra di Tauride per riportare in patria la sorella, le medesime parole del trattato di Grozio.
La legge della xenìa, della ospitalità, ispira infatti Ifigenia e il fratello Oreste e sono essi, in modi diversi, ad imporla al sovrano della Tauride: e se il fratello Oreste mira soltanto alla sospensione dell’uso del sacrificio, ella vuole fondare un nuovo diritto all’ospitalità.
Il fatto che Ifigenia affermi all’inizio del dramma “Das Land der Griechen in der Seele suchend”, ovvero che ella cerchi la terra dei greci nell’anima (testualmente: «Cercando con l’anima la terra dei Greci» [7]) ci fa comprendere la determinatezza rivolta all’educazione del barbaro piuttosto che al semplice ritorno alla patria d’origine (ove pur sempre il padre Agamennone, che esercita la sua potestà su di essa, l’ha rinnegata); ciò è tanto vero laddove alla fine del dramma Toante profferisce, dopo averle concesso la libertà con il ben noto “Lebt wohl!”, la seguente frase:
Ma se la via t’è preclusa per sempre
E la tua stirpe è scacciata o estinta
A causa di una tremenda sciagura
Tu sarai mia, e non soltanto per Legge [8].
così formulando la norma consuetudinaria che vuole ogni eroina oggetto di pretesa da parte del despota, sia esso divino o terreno, per fini sia procreativi che ‘ricreativi’. Purtuttavia il re Tauride mantiene la promessa e il barbaro mostra di par suo di essere più nobile del greco, laddove afferma, con grido di disperazione e protesta:
Il Greco rivolge spesso il suo occhio avido
Alle ricchezze lontane dei barbari:
il vello d’oro, cavalli, fanciulle,
ma non sempre violenza e inganno lo portano
a casa felice con la sua preda [9].
È il primo indizio e al contempo atto di accusa di quello che oggi andrebbe sotto il nome di colonizzazione e di protervia delle culture civilizzate rispetto a quelle ‘barbare’; ma qui è la consuetudine ad entrare in conflitto col ‘civilizzato’: il regnante barbaro è pur sempre colui la cui parola ha valore di contratto, dunque giuridico ed è lui a mostrare lealtà, ma anche a pretenderla.
Wierlacher in un suo denso studio ci fa osservare come la tematica inerente al diritto d’ospitalità emerga nel dramma goethiano solamente a seguito del viaggio in Italia del poeta drammaturgo, viaggio che si interpola fra la seconda e la terza versione dell’opera. In una interpretazione successiva, lo stesso critico ha puntualizzato la sua interpretazione del dramma goethiano sorreggendola tramite un’analisi comparata con la Emilia Galotti, dramma borghese in cinque atti di ambientazione italiana (altrettanto quanto lo sarà il successivo Tasso goethiano), ad opera di Gotthold Ephraim Lessing, e divenuto uno dei emblemi dell’Illuminismo letterario tedesco, dramma in cui si evocano i concetti di devozione e di fondamento contrattuale, identificando entrambi come drammi critici sulla base della Bibbia e della sicurezza giuridico-politica della vita umana e della coesistenza [10]. L’autore ha esplorato con avvedutezza i due testi canonici citati, con considerazioni basate su sue analisi degli anni ‘70 e ‘80 del Novecento, considerando i contenuti socialmente critici e il potenziale delle due opere al fine di portare ad un’azione etica e sensata sullo sfondo delle circostanze politiche e sociali odierne.
È noto che il frutto più nobile e maturo della collaborazione fra Goethe e Schiller a Weimar nell’epoca massima del fulgore classici furono proprio gli Xenien. Dal punto di vista etimologico, il termine greco xenie si basava sul greco antico ξένιον xénion “dono”, a sua volta riconducibile a ξένος xénos “straniero, ospite, ospitale”. Originariamente “doni” il poeta romano Marziale (I secolo d.C.) chiamò il XIII libro dei suoi epigrammi, intesi come versi che accompagnavano appunti i doni elargiti. Johann Wolfgang Goethe adottò ironicamente questo titolo per i distici composti insieme a Friedrich Schiller e gli Xenien apparvero nel Musenalmanach di Schiller nel 1797.
L’Ifigenia in Tauride di Goethe è un’opera teatrale di Goethe, risalente ad un decennio prima, basata sull’Ifigenia tra i Tauri di Euripide. Nel 1779 il poeta ne scrisse una versione in prosa, che trasformò in dramma in versi durante il suo viaggio in Italia nel 1786. Goethe scelse il titolo in falsa analogia con la versione latinizzata del nome della tragedia di Euripide Iphigenia in Taurīs. Il titolo originale greco si riferisce al mitico popolo barbaro dei Tauri, il titolo tedesco evoca un paesaggio chiamato Tauride appunto, comunemente equiparato alla Crimea. Si possono identificare due fasi o paradigmi principali d’interpretazione di Ifigenia.
Nel XIX secolo l’anima bella e pura del personaggio del titolo diede vita ad un nuovo mito al fine di stabilire il canone del classicismo di Weimar. Nei due decenni tra il 1765 e il 1785 si accentuò tuttavia il nucleo decisamente illuminista del dramma, soprattutto nei confronti dell’ambiente greco e cristiano: l’umanità combattuta e strappata agli dèi, con la quale Ifigenia e Oreste riescono infine a risolvere la tragica situazione e allo stesso tempo la maledizione familiare imposta dagli dèi medesimi.
Dopo gli anni ‘60 del XX secolo il dramma goethiano venne costantemente reinserito nel contesto sociale e intellettuale dell’Illuminismo. La linea si estende da un saggio innovativo di Arthur Henkel sull’Iphigenie “diabolicamente umana” del 1965 allo stupefacente saggio di Theodor Adorno Sul classicismo dell’Iphigenie di Goethe del 1967. Ciò condusse a una ritrovata storicità e socialità dell’opera, malgrado tutte le differenze, a una “critica illuminata dell’ideologia” rappresentata da Ifigenia e Oreste, in cui s’inserì il postulato dell’autonomia, della maturità, della legge naturale e dell’umanità al posto di una preistoria mitica e un’era premoderna non illuminata.
Agamennone, condottiero e pronipote di Tantalo [11], avrebbe dovuto sacrificare la figlia maggiore Ifigenia alla dea Diana/Artemide per superare la calma che gli impediva di salpare da Aulide alla volta della guerra contro Troia. Tuttavia, Diana rapì Ifigenia sull’isola di Tauride e la rese sua sacerdotessa. Contando che Ifigenia fosse effettivamente morta, sua madre Clitennestra, con l’aiuto dell’amante Egisto, uccise il marito Agamennone, che apparentemente aveva fatto uccidere il loro figlio. I fratelli rimasti di Ifigenia, Oreste ed Elettra, nutrivano rancore nei confronti della madre a causa dell’omicidio paterno. Alla fine, Oreste uccide sua madre con l’aiuto di Elettra. In tal modo anch’egli, macchiandosi di tale crimine, divenne impuro e cadde sotto la maledizione, dovendo fuggire dal destino di cadere vittima della vendetta e di venire ucciso per il suo misfatto. È l’oracolo di Apollo ad indirizzarlo in Tauride, da dove avrebbe dovuto recare a casa la sorella: unico modo per porre fine alla maledizione. Oreste, credendo Ifigenia morta, ritenne che si trattasse della sorella gemella di Apollo, la dea Diana; egli volle quindi rubare la loro statua dal tempio dei Tauri. Così durante la sua fuga finisce sulla costa della Tauride con l’amico Pilade.
Goethe si occupò probabilmente del materiale di Ifigenia già nel 1776. Quando all’inizio del 1779, in occasione della prima visita in chiesa della duchessa Luise dopo la nascita di sua figlia, la corte di Weimar esigé un dramma con una protagonista femminile, nel giro di poche settimane Goethe redasse la versione in prosa dell’opera. I lavori iniziarono l’8 febbraio e l’autore lavorò regolarmente all’opera durante i successivi viaggi di lavoro. Il 13 marzo lesse i primi tre atti al duca di Weimar e il quarto fu composto pochi giorni dopo. L’opera venne completata nella sua interezza il 28 marzo e poco dopo ebbe la sua prima rappresentazione.
Già nel 1780-81 Goethe si adoperò per rendere più armonioso il linguaggio dell’opera. Nel 1786 tentò per la prima volta di convertirlo in versi sciolti, con il sostegno di Wieland e di Herder. Tuttavia solo a Roma, alla fine di dicembre del 1786, il dramma venne completamente rivisto linguisticamente, pur mantenendone inalterato il contenuto. Il 13 gennaio 1787 Goethe ne inviò una copia a Herder con la richiesta di trascriverne alcuni passaggi e di discuterli con Charlotte von Stein. Nello stesso anno il dramma apparve nel terzo volume dell’edizione delle sue opere di Goethe. Durante i cambiamenti probabilmente progettò anche di continuare la storia con il titolo di “Ifigenia a Delfi”. Una versione adattata da Friedrich Schiller fu rappresentata per la prima volta sul palcoscenico il 15 maggio 1802.
In effetti, non esiste quasi nessun testo che illustri gli aspetti politici, sociali, psicologici e giuridici della convivenza umana in una forma così concentrata come l’Ifigenia di Goethe. Come nel primo studio di Wierlacher del 1983 si po’ dunque affermare che l’Ifigenia in Tauride di Goethe sia a tutti gli effetti dramma del diritto internazionale o, come meglio esposto in lingua tedesca, Drama des Völkerrechts, dramma del diritto delle genti.
Ci pare, oggi che la più parte delle organizzazioni non governative (ONG) impegnate sulla rotta dei migranti sono rette da associazioni ambientaliste, attiviste e umanitarie tedesche (vedi il caso di Carola Rakete e della organizzazione Sea-Watch), ciò valga come un punto fermo non trascurabile anche in considerazione di un non lontanissimo passato tedesco, che metta in evidenza una tradizione di illuminismo tedesco non solo scientifico o ambientalista (vedi le rotte di Alexander Humboldt e l’insegnamento del fratello Wilhelm), bensì umanitarista, mai in fondo sopito. E queste considerazioni devono valere – come suggerisce Wierlacher, attivo sul fronte della pedagogia universitaria e della critica letteraria impegnata, fino a mettere in ballo nomi ‘sacri’ come quelli di Peter Szondi e Theodor Adorno – «non solo per rendere i giovani occupabili, ma anche per qualificarli alla percezione di cittadinanza globale […]». E poi anche laddove egli riscontra, considerando il diritto degli ospiti, degli alieni e internazionale, il cambio involontario di ruolo di Ifigenia come migrante/aliena su Tauride ed i suoi effetti psicologici.
Allo studioso in effetti è riuscito in modo convincente sia di identificare e spiegare i discorsi giuridici che danno forma all’opera, sia a presentarne la rilevanza per il XXI° secolo: integrazione, distanza e rifiuto appaiono come opzioni comportamentali in un Paese straniero, esemplificate dalla figura di Ifigenia.
Il personaggio di Ifigenia fu posto di fronte alla classica scelta tra dovere e inclinazione: tanti e importanti doveri divini e umani la legano ai suoi compiti taurici, ma tutto il suo cuore tende al ritorno in patria ed ella dunque deve per necessità mettersi alla prova in questo conflitto. Ella è caratterizzata come un essere essenzialmente idealista, le cui qualità principali sono la pietà, il senso di responsabilità e l’onestà. È quindi una tipica rappresentante ed eroina dell’ideale classico tedesco di Humanität, ideale vagheggiato fin dal pietismo e poi da Herder come storia di popoli e sinfonia di voci, come ‘anima bella’ ed amore subordinato all’amicizia e come triangolo filadelfico, come volle insegnare il più celebre e autorevole germanista italiano quale fu Ladislao Mittner. Questa tradizione resta valida, fino e anche successivamente all’irrompere dell’ascesa della Prussia di Federico II, sovrano illuminista, il filosofo di Sans Souci, con i tre grandi classici o preclassici Klopstock, Lessing e Wieland oltre a Winckelmann con la sua grecofilia.
Ma tornando alla nostra eroina, all’inizio il destino di Ifigenia sembra deciso. Il fatto che lei stessa risolva il conflitto e non un deus ex machina definisce la forza spirituale della persona, ma anche della richiesta di emancipazione. I dilemmi tra i doveri verso gli altri e se stessi si riflettono soprattutto nel titolo dell’eroina: l’equilibrio tra la sua filantropia e l’adempimento del suo dovere di sacerdotessa, così come un conflitto tra l’amore per suo fratello e l’ordine di ucciderlo e l’antagonismo dei suoi sentimenti tra il desiderio di casa e il suo amore incondizionato per la verità.
In definitiva, ella incarna l’ideale della classicità, secondo cui nel comportamento corretto non si richiede nessun ulteriore ragionamento teso a motivarlo. Solo l’impegno interiore per l’umanità e la verità indica la via in questo dramma psicologico. Anche l’atteggiamento di Ifigenia nei confronti degli dèi gioca un ruolo importante. Ella scorge ciò al di là della comprensione umana, ma critica il loro comportamento giudicando troppo severo il giudizio divino e le sue conseguenze (la maledizione dei Tantalidi), poiché è stato imposto all’intero genere. Tuttavia Ifigenia è convinta che tra gli dèi prevalgano amore e bontà e che la maledizione possa essere spezzata attraverso la mediazione di un’esistenza pura. In questo modo contrappone il pensiero antico (l’uomo nel potere divino) al pensiero moderno (l’autonomia umana).
La Iphigenie auf Tauris goethiana tratta da un lato l’antico tema dell’affrancamento divino e dall’altro riflette l’ideale umano del classicismo di Weimar. Le azioni della protagonista Ifigenia ci mostrano un’armonia tra dovere e inclinazione, che nel classicismo di Weimar esprimeva innanzitutto idealizzazione della persona; il dramma affronta inoltre la lotta interiore di Ifigenia, in cui questa armonia porta infine all’umanizzazione degli esseri.
Anche la forma del dramma mostra chiaramente elementi classici, come l’unità di luogo e tempo ovvero la stessa trama univoca e chiaramente comprensibile e l’Iphigenie auf Tauris di Goethe conserva quindi la forma del dramma chiuso tipica del periodo classico: un dramma che fa affidamento su un insieme di personaggi molto ridotto e in cui solamente cinque caratteri compaiono.
Oltre al rigoroso orientamento verso la forma chiusa del dramma antico secondo il modello aristotelico e all’esemplarità mitologica greco-romana, le caratteristiche tipiche del dramma classico appaiono essere sostanzialmente legate a personaggi che incarnano meno individui piuttosto che idee, il cui obiettivo è presentare leggi umane universali e senza tempo. Mancano ad esempio esclamazioni spontanee, esplosioni emotive che esprimono sentimenti individuali. Inoltre, la persona ‘morale’ risolve i concreti conflitti politico-sociali unicamente attraverso la sua umanità, che si presenta come principio salvifico facente parte di un ordine etico-religioso superiore.
L’opera è un tipico esempio di dramma classico perché sottolinea l’ideale dell’umanità più di ogni altra opera. Non a caso fu lo stesso Goethe ad affermare in una corrispondenza con Schiller quanto la sua Ifigenia fosse «diabolicamente umana». L’umanità di Goethe incarna più che mai i valori etici cui Kant ugualmente aspirava e vi è nell’Ifigenia goethiana indubbiamente un incarnarsi di almeno due tipologie di valori che ne hanno fatto un’opera per più di un verso assimilabile alla modernità ‘classica’: in prima istanza la lettura fattane da Theodor Adorno [12]. Ifigenia, figlia di Agamennone è una seconda Filottete, dirottata come questi in una terra straniera, la Tauride, che come Lemnos è terra di confino e di castigo. Come la tragedia di Sofocle, anche quella di Euripide (entrambe le opere si inquadrano nelle vicende mitiche relative alla guerra di Troia) – e vieppiù quella di Goethe – è tragedia della resistenza ai regimi e del diritto alla dissidenza, che in Ifigenia si incarna in forma più psicologica che altrove. D’altro canto, Neottolemo, figlio di Achille, è colui che viene incaricato di sottrarre a Filottete tramite l’inganno l’arco di Eracle, al pari di Oreste e Pilade, incaricati di sottrarre l’immagine sacra di Diana, ma quel che più conta è la disobbedienza attuata in forme diverse da tutti i protagonisti, che è disobbedienza verso le autorità, ma soprattutto verso i padri.
Il tema dell’accoglienza rimane però precipuo e inderogabile nell’Ifigenia e la ‘terra di castigo’ diviene terra di salvezza e di abbandono (o disgrazia ad un tempo), qui la Tauride, là Lemnos e nel XXI secolo tutte le terre che danno speranza di ospitalità e presagiscono o attuano tragedie sempre nuove: Cutro, Riace, terre ‘magno greche’ che del mito di salvazione greco-classico hanno mantenuto una promessa spesso flebile se non deformata e fraudolenta e mai ottemperata da una Legge divina o morale di una ospitalità basata su pretese universalistiche.
Lasciamo concludere Fortini:
«Chi poteva prevedere che entro due o tre generazioni ci si sarebbe trovati – popoli classi individui – di fronte al sorgere di memorie tanto improvvise e al diffondersi di oblii così profondi. O meglio: che le aree sociali e geografiche della memoria e dell’oblio si sarebbero tanto velocemente spostate? Contro la nozione di storia come continuum, come memoria del passato e processo unidirezionale – che alla rivoluzione socialista ha sempre porto il proprio “linguaggio da schiavi” – bisogna riaffermare il paradosso della simultanea realtà della durata e degli intervalli. La fine della storia come fine della lotta di classe e come unità del genere umano praticherà la sola conservazione possibile del passato: quella che lo distrugge in quanto passato e lo fa presente. Questa è la reale resurrezione e sopravvivenza dei morti e l’unica finale giustizia: la trasparenza degli oggetti e dei corpi, la percettibilità e la piena fruibilità dell’infinito “lavoro morto”, e in attesa di resurrezione, che il mondo è. La fine della alienazione storica, che già abbiamo cominciata vivere, sarà anche fine della memoria storica come memoria spettrale e persecutoria, come colpa; e anche sarà fine della speranza come compenso» [13].
Dialoghi Mediterranei, n. 67, maggio 2024
Note
[1] J.W. Goethe, Ifigenia in Tauride, a c. di G. Pulvirenti. Marsilio, Venezia, 2011, Atto I, scena 1: 59
[2] Cfr. W. Rasch, Goethes “Iphigenie auf Tauris“ als Drama der Autonomie, Beck, München, 1979
[3] Cfr. G. Baioni, Classicismo e rivoluzione. Goethe e la Rivoluzione francese, Guida, Napoli, 1969
[4] Cfr. F. Fortini, Verifica dei poteri. Il Saggiatore, Milano, 1965: 97 segg.
[5] Cfr. R. Menghini, L’Ifigenia in Tauride di Goethe. Genesi e maturità postuma di un dramma in movimento. Castelvecchi, Roma, 2022: 85 segg.
[6] Cfr. A. Wierlacher, Ent-fremdete Fremde. Goethes «Iphigenie auf Tauris» als Drama des Völkerrechts. P. Lang, Bern, 2000. Di Wierlacher v. inoltre: Hingabe und Vertragsstiftung. Lessings Emilia Galotti und Goethes Iphigenie auf Tauris als Dramen bibelkritischer bzw. rechtspolitischer Sicherung menschlichen Lebens und Zusammenlebens. Con un riferimento interessante ai temi della devozione e del fondamento contrattuale, con un rimando alla Emilia Galotti di Lessing e alla Iphigenie auf Tauris di Goethe come drammi di critica biblica e sicurezza giuridico-politica per la convivenza umana. Nuove e interessanti considerazioni teoriche sociali sono contenute nel saggio di W. Erhart, Drama der Anerkennung. Neue gesellschaftstheoretische Überlegungen zu Goethes “Iphigenie auf Tauris“, (2007), in: Jahrbuch der Deutschen Schiller-Gesellschaft 51: 140-165.
[7] Cfr. v. 12. Altrove: “Agognando la terra dei Greci”, cfr. testo citato: 59
[8] Ivi, v. 320 seg: 81
[9] Ivi, v. 2105, atto V, scena 6.
Sulla ‘rivoluzionarietà’ delle ultime parole di Toante vedasi di T. Schnee, Goethes Ideal der Humanität am Beispiel der Figur Iphigenie und anschließende Analyse der Abschiedsworte Thoas’. GRIN Verlag, Monaco, 2014
[10] A. Wierlacher, Hingabe und Vertragsstiftung. Lessings „Emilia Galotti“ und Goethes „Iphigenie auf Tauris“ als Dramen bibelkritischer bzw. rechtspolitischer Sicherung menschlichen Lebens und Zusammenlebens. Mit einem fachstrategischen Beitrag über die Weiterentwicklung der im globalen Kontext unterschiedlich aufgestellten und standortbewusst agierenden Germanistik(en) zu einer multilateralen Regionalistik der deutschsprachigen Welt. Winter, Heidelberg, 2020. L’opera teatrale lessinghiana appare all’autore come una “prima forma” di critica pubblica, mediata dai media, ad esempio contro la violenza sessuale come sistema di assolutismo nello Stato e nella Chiesa.
[11] Il mito narra che il semidio Tantalo, un tempo popolare tra gli dèi per il suo ingegno, fu invitato a vivere con loro. Festeggiò con loro, ma divenne presto arrogante, si vantò e rubò il nettare e l’ambrosia agli dèi, che diedero loro l’immortalità. In cambio, Tantalo offrì agli dèi suo figlio, Pelope, come pasto per mettere alla prova la loro onniscienza. Tuttavia, gli dèi notarono l’inganno, espulsero Tantalo dalla loro comunità nel Tartaro per il tormento eterno e maledissero la sua famiglia. Ciò ha provocato omicidi all’interno della famiglia per vendetta e odio tra le generazioni successive di Tantalidi.
[12] Adorno nel suo saggio aveva delineato un parallelo fra dialettica dell’Illuminismo e personaggio di Ulisse, di cui a tutti gli effetti l’eroina greca sembra portarne i tratti.
[13] Cfr. F. Fortini, Verifica dei poteri, cit.: 107.
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Luca Renzi è professore associato di Letteratura tedesca presso l’Università di Urbino. Ha conseguito nel 1998 il dottorato in germanistica presso l’università di Pavia. Dopo soggiorni presso le università di Tübingen e di Basilea, ha conseguito nel 1999 una borsa post-doc presso l’École normale supérieure di Parigi, Institut des Textes et Manuscrits Modernes. A partire dal 2005 ha tradotto e curato l’edizione italiana di diversi volumi dell’antropologo e studioso della cultura materiale Hermann Bausinger. Ha tenuto corsi come visiting professor nelle seguenti università: Tübingen, Freiburg, Strasburgo, Bruxelles, Glasgow, Galway, Stettino, Budapest, Valenciennes, Valladolid, Kaunas. È membro della Associazione Italiana di Germanistica (AIG), della Internationale Alfred-Döblin-Gesellschaft e della Görres-Gesellschaft zur Pflege der Wissenschaft e fa parte del comitato di redazione di Linguæ & – Rivista di lingue e culture moderne. È direttore della collana “InterCultura – studi culturali tedeschi” presso l’editore ETS (Pisa) e, insieme a L. Cesari (Accademia di Belle Arti – Urbino), della collana “Cultura e arte del mondo di lingua tedesca” presso l’editore Campanotto (Udine). È guest editor della rivista “International Journal of Literature and Arts” (IJLA).
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