di Laura Leto
L’identità delle Comunità straniere a Palermo è minacciata dall’incuria, dall’ignoranza e da svariate azioni criminose che si sono svolte indisturbate per decenni in uno dei luoghi più rappresentativi quali il Cimitero acattolico “degli Inglesi” all’Acquasanta. Una delle tante situazioni paradossali che lo interessano, riguarda la scomparsa dei monumenti delle figure più importanti – dal punto di vista diplomatico – tra gli individui di origine inglese, residenti in Città. Si tratta della tomba del console John Goodwin e di quella del vice-console ai suoi ordini, William Dickinson. Del primo non vi sono più tracce, sebbene risulti traslato il 7 novembre del 1950, assieme alle salme di Benjamin Ingham e di Joseph Whitaker, presso la sezione acattolica del Cimitero di Santa Maria Dei Rotoli, come testimoniato dal Registro di riferimento. Per quanto riguarda la sepoltura di Dickinson rimane fortunatamente traccia – ancora per poco – di alcuni frammenti della stele, collocati sino al 2012 su un monumento che per diverso tempo è stato identificato erroneamente con quello del Vice-console [1]. Sul lavoro di ricostruzione della stele si ritornerà più avanti.
Ciò che mi preme sottolineare in questa sede è come questi due individui si siano destreggiati tra le esigenze della comunità di appartenenza e il popolo siciliano, del quale spesso prendevano le difese. Entrambi hanno vissuto il tempo di una Sicilia divisa tra le spinte indipendentistiche, i venti preunitari e le correnti liberali provenienti da oltre oceano, progresso e arretratezza convivevano e si scontravano. Entrambi furono testimoni e narratori di un momento così importante per la nostra terra. Rappresentarono infatti “memoria viva” dei mutamenti sociali e politici che hanno raccontato nelle loro memorie e carteggi. Quale abominio si è consumato perdendone la storia? Suppliamo a questa mancanza cercando di ricucire i documenti e le testimonianze che rimangono.
Tra le Notizie Interne pubblicate sul “Giornale di Sicilia” il 14 dicembre del 1869 si leggeva:
«È con vero dolore che annunziamo la morte del signor Giovanni Goodwin che per tanti e tanti anni seppe degnamente esercitare la carica di Console inglese nella nostra città. Dotto nella storia e molto innanzi nell’archeologia, l’Inghilterra ha perduto in lui uno de’ suoi figli più distinti. La salma dell’illustre estinto è stata tradotta questa mane, con grande accompagnamento del corpo consolare e di altri cittadini al cimitero del Lazzaretto».
La notizia è confermata dagli Indici Decennali dell’Archivio di Stato di Palermo, Stato Civile della Restaurazione – Morti 1866-1875, dove si legge “italianizzato” «Gooduvin Giovanni – Giovanni – . . . . – 13 dic. 1869 – a. 72 – Città – v. 44 – n. 6178». Purtroppo nessuna notizia dell’atto di morte.
Come risulta dal Register of Deaths – British Consulate at Palermo, dal 1810 al 1968, al n° 9 di p.8, il “Consul for Sicily” è deceduto il 13 Dicembre 1869, all’età di 71 anni, come testimoniato dal Ministro officiante Thomas Burbidge e come registrato il 31 dicembre dello stesso anno dal successore George Dennis [2]. Se ne riporta una descrizione:
«[…] Era piccolo, minuto e noto ai palermitani con il soprannome di “lo zoppo”. Scapolo, era stato nominato console generale nel 1834 e sarebbe rimasto a Palermo altri trentadue anni. In seguito divenne un buon amico di Joseph Whitaker e Benjamin Ingham, ma fu sempre un uomo chiuso e riservato, sì da far credere sovente di schivare le responsabilità. Era anche estremamente coscienzioso e ben presto nacque in lui una forte simpatia per i patrioti siciliani e un’antipatia per i napoletani» (Trevelyan 1977: 87).
Inizialmente definiva la Sicilia priva di risorse «nuda, priva di alberi, se si eccettuano quelli da frutto presenti attorno ai villaggi […] con poche attrattive per lo straniero di passaggio, a parte le forme fantastiche dei suoi dossi e montagne», bizzarra considerazione per un appassionato di storia e archeologia come lui, si contraddirà successivamente.
In sintonia con l’ottica inglese, considerava come unica risorsa lo zolfo e nonostante la realtà delle miniere fosse molto dura per i dipendenti che vi lavorarono [3] e quella dei carusi è a buon titolo definita come una vera e propria violazione dei diritti umani, Goodwin affermava che «Ogni straniero non può non restare colpito dall’aspetto sano e robusto dei minatori e dei bruciatori [4], in pieno contrasto con quello debole e malaticcio della popolazione della zona meridionale dell’Isola». Come spesso accade ancora oggi, l’interesse rende ciechi, eppure è innegabile che come accadde per l’industria tessile, anche quella dello zolfo vide protagonista l’intervento britannico che esercitò nel Regno delle Due Sicilie – dal 1830 al 1848 circa. – un vero e proprio monopolio.
La corrispondenza con il segretario per gli affari esteri Henry John Temple, terzo visconte Palmerston (1784 – 1865) e portavoce degli interessi dei commercianti inglesi è una delle testimonianze del ruolo centrale del Nostro (Giuffrida 1973: 24). Il 2 agosto del 1849 Goodwin scrisse al vice-console William Dickinson che gli era giunta voce del malcontento della comunità inglese, ma probabilmente le voci erano legate alle lamentele dei commercianti che avevano come punto di riferimento il noto imprenditore Ingham che si rivolgeva direttamente a Palmerston.
Goodwin era un uomo dall’indole gentile, ma come generalmente si dice degli Inglesi, appariva duro con chiunque gli facesse perdere tempo. A tal proposito, si racconta dell’episodio dello straniero giunto a Palermo che, recatosi nel suo ufficio, gli aveva chiesto quali attrazioni visitare in Città, la risposta secca fu: «L’esterno della mia porta se non le dispiace» (Trevelyan 1977: 418). Goodwin dedicò la sua esistenza alla sua professione, nel 1828 era stato console nelle isole di Capo Verde e nel 1832 a Napoli, morì nel pieno esercizio il 13 dicembre 1869.
La relazione del Console britannico Il Sud del console Goodwin, redatta nel 1840, stampata nel 1842 sulla nota rivista “Journal of the Statistical Society of London”, originariamente intitolata Progress of Two Sicilies under the Spanish Bourbons from the Year 1734-35 to 1840, descrive con una prospettiva inglese i mutamenti registrati nel corso della sua permanenza nel Regno delle Due Sicilie che la presenza dei Borbone ha recato su vari livelli all’Isola [5]. Si trattava di un vero e proprio trattato storico che lasciava trasparire le competenze del Nostro nelle scienze politiche ed economiche.
«Di tutti gli Stati italiani, nessuno è così imperfettamente noto ai lettori inglesi come il regno delle Due Sicilie, di cui nessuno è più ricco e più florido di ricordi storici, resti architettonici e fenomeni naturali. La battaglia di Canne nei tempi antichi e la rivolta di Aniello nel moderno, offusca la brillante pagina della storia napoletana. Gli annali precedenti della Sicilia sono segnati dal massacro di Selinus. e l’ultimo con gli orrori dei vespri siciliani. Ercolano, Pompei e Paestum consacrano ancora il suolo di Napoli. I campi della Sicilia sono fermi santificato da Segesta, Selinus e Agrigentum. Le pianure di Napoli sono spesso traboccanti dalla lava del Vesuvio, come le valli della Sicilia sono devastate dal torrente infuocato dell’Etna. Descrivere tali scene – delineare questi monumenti – e descrivere tali calamità – è compito dello storico, dell’antiquario e del filosofo naturale. Il proposito delle pagine seguenti è meno ambizioso. Per tracciare il progresso di napoletani e lo sviluppo dei siciliani dall’arrivo dei Borbone spagnoli al regno dell’attuale sovrano, è l’umile impresa dell’autore. Le condizioni precedenti del regno sono state descritte basandosi su Colletta, Bianchini, Aceto e Lanza, le cui opere sono state attentamente consultate per informazioni autentiche. La condizione attuale delle Due Sicilie è stata delineata dall’osservazione e dall’indagine formulata dall’autore, durante una residenza di nove anni in entrambe le divisioni del regno» [6].
Nei suoi scritti riferiva con orgoglio anche della produzione di vino dell’intera Isola che ammontava a 140 mila pipes che raggiungevano 400 mila nelle annate buone. Marsala da sola ne produceva ca 40 mila, da esportare in Gran Bretagna, Malta, Stati Uniti e altre zone del Mediterraneo. Le cifre gli erano state riferite da Richard Brown Cossins (1823-1898), vice-console a Marsala, nonché direttore del baglio Ingham dal 1846 al 1886 ca.[7].
Dai rapporti sulla Sicilia e Napoli inviati da Goodwin a Londra si conosce che:
«La fabbricazione del cotone in entrambe le sue filiali è principalmente nelle mani di capitalisti svizzeri e tedeschi. Le filature sono quelle di David Vonwiller e Co., di Salerno, e di Escher e Co. […] Da Escher, 10.000 mandrini mossi dall’acqua, producono annualmente 3000 cantari (588.000 libbre) di filato. […] Da Escher, il numero [dei lavoratori] è 300, vale a dire, 150 uomini, 50 donne e 100 bambini. I salari del lavoro sono gli stessi in entrambi, vale a dire, per gli uomini, da 35 a 45 grani al giorno, donne da 20 a 25 grani, bambini da 12 a 18 anni» (Goodwin 1842: 178).
Oltre ai temi già citati, il Console descriveva in un rapporto inviato a Londra il deserto che dominava Palermo allo scoppiare del colera il 7 luglio del 1837: strade vuote e negozi chiusi, unica eccezione farmacie e pasticcerie che vendevano gelato prodotto con la neve dell’Etna, accumulando alti profitti di giorno mentre la notte i carri che trasportavano i cadaveri rompevano il silenzio della via Toledo; lo definiva uno spettacolo raccapricciante. Il giorno seguente un’altra lettera scritta frettolosamente annunciava l’aggravarsi della situazione e la dipartita a causa dell’epidemia di William T. Valentine, socio di William Routh e di un certo signor March (Trevelyan 1977: 83-84). Il 24 novembre 1854 scriveva all’ambasciatore britannico che il colera aveva mietuto 27.101 vittime. In quegli anni erano morti il commerciante Richard Valentine, le donne della famiglia Seager, il Capitano Peter Osborne – ospiti del Cimitero all’Acquasanta – e altri membri facoltosi della Comunità Inglese.
Nel corso dei disordini nati per la causa dell’indipendenza siciliana, Goodwin autorizzò il console inglese a Messina, William Wilton Barker, a chiedere al governo inglese di inviare una nave da guerra a Malta per proteggere i commercianti connazionali di Messina.
A seguito delle rivolte del ‘48 fu Goodwin – assieme al sottoposto Dickinson – che decise di imbarcare tutti i residenti e i turisti inglesi sull’imbarcazione Bulldog, si racconta che volassero proiettili per aria. Una volta terminata la prima fase della rivoluzione venne organizzata una cerimonia che – come scrive Trevelyan – era accompagnata dalle note della Norma di Bellini, alla quale erano presenti tutti i consoli eccetto quello austriaco. Goodwin e Lord Lushington, console generale britannico a Napoli, vennero accolti con applausi.
Il Nostro fu parte attiva anche nella risoluzione della rivolta a Bronte, dove avvennero saccheggi e omicidi nell’agosto del 1860, durante l’arrivo dei Mille. In un dispaccio accusava apertamente i fratelli Carmelo e Silvestro Minissale, assieme a Nicola Lombardo di essere i colpevoli, raccomandando al generale Nino Bixio e a Thovez di farli arrestare e giudicare dalle autorità competenti (Radice 1995).
Nel 1789 Horatio Nelson (1758-1805) sbarcò a Palermo e ricevette in dono il feudo di Bronte – la famosa Ducea – rappresentazione del potere borbonico di Ferdinando. Succedette al titolo di Duchessa di Bronte, il 28 febbraio 1835, la nipote Charlotte Mary (1835 – 1873) che venuta dall’Inghilterra si ritrovava ad amministrarlo assieme a William Thovez, figlio del celebre Philip Thovez, commissario della marina inglese, agente generale e procuratore del Duca di Bronte, in servizio dal 1819 ca. sino alla sua morte, avvenuta nel 1839. Il 28 Giugno del 1860 Goodwin, in difesa degli interessi della Duchessa inglese, scriveva da Palermo al “signor Generale Garibaldi Dittatore”:
«Il sig. Guglielmo Thovez inglese, amministratore di Lady Nelson, Duchessa di Bronte, la quale possiede delle vaste proprietà in quel Comune e suo distretto, ha esposto al sottoscritto, di esservi colà dei forti timori di disordini, che possono aver luogo ad opera di alcuni mali intenzionati, e che se ciò avvenisse, la di cui costituente potrebbe soffrirne, e ha chiesto al sottoscritto d’interessare il Sig. Gen. Garibaldi onde fare avvertire energicamente il Comitato di Bronte di rispettare e far rispettare la proprietà della detta Signora Nelson Bridport» [8].
La risposta di Garibaldi non tardò ad arrivare e il 30 giugno fece scrivere da Palermo a Gaetano Daita, segretario di Stato per l’Interno:
«A nome del Dittatore si dà l’onore di far conoscere al Sig. G. Goodwin, console di S. M. Britannica in Sicilia, che si son date oggi stesso energiche disposizioni perché non avvenga il menomo inconveniente, abuso o pregiudizio del diritto e delle proprietà di Lady Nelson, Duchessa di Bronte, e coglie questa occasione per esprimere i sensi della più distinta considerazione» [9].
Goodwin teneva molto a cuore il suo ruolo e metteva volentieri a disposizione la propria residenza di palazzo Lampedusa in via Butera, 392. Il consolato britannico era il luogo dei raduni liberali e non solo. Palazzo Campofranco in piazza Croce dei Vespri era nota come sede delle riunioni religiose della comunità anglicana, prima che venisse realizzata la Chiesa Holy Cross, inaugurata nel 1875. Dal punto di vista politico si schierava ma, come richiedeva il suo ruolo, “con diplomazia”. Nel corso di un pranzo organizzato presso la sua dimora in occasione del compleanno di Ruggero Settimo, ad esempio, sebbene vietò agli invitati di affrontare argomenti politici, un ospite si sollevò contro il “Re Bomba” [10] e Goodwin ebbe una vera e propria crisi che costrinse Dickinson a calmarlo per tutta la notte, temendo che compisse qualche gesto insensato (Trevelyan 1977: 83-84).
Noto ai siciliani come Guglielmo, William Dickinson nacque a Belfast (Irlanda) il 9 aprile del 1803. Sugli Indici Decennali dell’Archivio di Stato di Palermo, Stato Civile della Restaurazione, Morti 1846-1855, si legge: «Dichinson Guglielmo – Enrico – Ferguson Maria – 4 settembre 1851 – a. 48 – S. Oliva – v. 370 – n. 427». È stato pertanto facile risalire ai nomi dei genitori e nello specifico, del padre rimane fortunatamente traccia dell’epigrafe del monumento sito al Cimitero Inglese di Messina, questa recita:
SACRED TO THE MEMORY OF
HENRY DICKINSON
OF LONDON
LATE PAYMASTER OF THE BRITISH ARMY FLOTILLA
WHO DEPARTED THIS LIFE
IN MESSINA THE 28 DAY OF MAY 1822
AGED 48 YEARS
AND OLSO TO HIS SON
HENRY
DIED IN MESSINA THE 24 OF DECEMBER 1824
AGED 5 YEARS 7 MONTHS (Attard 1995: 49)
L’epigrafe fornisce numerose informazioni relativamente alla carriera del padre, un contabile della marina militare e alla presenza di un fratellino omonimo, deceduto prematuramente. William aveva anche una sorella: Ann Dickinson (1808-1853) che sposò John Oates (1796-1865), figlio di George Oates Sr. di Sheffield, socio della George Oates & Sons, nota per il commercio di manifatture tessili e ferro. La coppia viveva a Napoli in vicolo Freddo, n.70 ed ebbe dodici figli. Si trasferì ad Agrigento nel 1838 quando John ricoprì il ruolo di viceconsole Inglese (Bristotti Bottini 2009: 108).
Come accennato sopra, presso il Cimitero all’Acquasanta, il monumento funebre di William non è stato identificato, ma sopravvivono alcuni frammenti della lapide che consentono, seppur parzialmente, la lettura dell’epigrafe, delimitata da un bordo inciso. Al di sopra si scorge il piede di una figura stante, probabilmente femminile, che indossa una lunga tunica, davanti ad una struttura architettonica che si presume fosse un altare. In basso si scorge perfettamente un ramo con bacche e fiore centrale. Si riporta la trascrizione dell’epigrafe ideata dalla moglie:
SACRED
TO THE MEMORY OF
[WILLIA]M DICKINSO[N]
MERCHANT
BOR[N AT] [BEL]FAST THE 9TH AP[RIL 1803]
DIED [AT PAL]ERMO THE 4TH SEPTEM[BER 1851]
L[AMENT]ED BY ALL WHO KN[EW] [HIM]
T[HIS TOKEN] OF CON[JUGAL] [AFFECTION]
ERECTED BY / HIS [B]EREAVED WID[OW][11]
La vedova inconsolabile era Concetta De Franchis che lo sposò il 24 giugno del 1838. L’unione venne registrata tra gli Atti della solenne promessa – sezione Sant’Oliva, n° d’ordine 270 – il 28 settembre dello stesso anno. Sul documento, del quale riporto l’immagine dell’ultima pagina dove sono riportate le firme degli interessati, si legge:
«Il Signor Guglielmo Dickinson, nato in Belfast, di anni trentacinque, di professione negoziante, domiciliato in via Bottonari, figlio del fu Enrico e di Maria Ferguson di anni cinquantasei, domiciliata in Napoli [sposa] Concetta De Franchis di anni trenta, nata in Palermo, domiciliata in via la Loggia, figlia del fu Michele e Rosa La Barbera»
Il documento presenta una nota a margine, relativa alla sposa, con scritto: «rappresentata dal signor Don Ippolito de Franchis, di anni trenta, di professione possidente, domiciliato in via la Loggia. Evidentemente il padre di Concetta era defunto, così come quello di William, per tale ragione venne specificato che, in assenza dell’atto di morte di quest’ultimo, avrebbe fatto fede il giuramento della madre, in presenza dei testimoni Matteo Biscotto, agente del Consolato britannico e i Cavalieri Francesco Filangeri e Luigi Lucchesi Palli.
Come risulta dal Register of Deaths – British Consulate at Palermo, dal 1810 al 1968 il vice-console risultava residente al momento della morte in via Portacarbone [12], alla Cala.
Cosa faceva Dickinson in Sicilia? Trasferitosi sull’Isola nel 1833, era interessato ad alimentare il commercio con l’Inghilterra (Dickinson 1898: 3). Come già evidenziato, ricoprì il ruolo di vice-console agli ordini di John Goodwin ed era «noto come un grande liberale, nei confronti del quale Ingham nutriva alcune riserve» dal momento che la Banca da lui fondata fallì nel 1842 [13]. Egli teneva un diario che alla sua morte venne custodito gelosamente dalla moglie. Sopraggiunta anche la morte di Maria De Franchis, il manoscritto venne ereditato dalla sorella di quest’ultima che lo consegnò alla Biblioteca Comunale di Palermo [14].
Il diario inizia nella notte del 9 gennaio del 1848 e termina il 2 giugno dell’anno seguente. Si tratta di una vera e propria cronaca della rivoluzione, preceduta dall’annotazione delle condizioni atmosferiche, ma talvolta emergono considerazioni personali. Vengono raccontati fatti che esulano dalla sommossa di quegli anni e colpiscono l’attenzione dell’autore, come la visita alla nuova via de «La Vittoria», attuale via Libertà, costata 900 onze incassate dal Principe di Radali, in quanto realizzata nel territorio di sua proprietà [15] o la partenza del pallone aerostatico di Francisque Arban da villa Filippina che sorvolò le Alpi (Dickinson 1898: 228).
Nell’opera si sottolineano le forti personalità dei protagonisti dei moti del ’48 e gli avvenimenti che ne hanno fatto da cornice, come la devozione del popolo a Maria Vergine e a Santa Rosalia, sottolineando la sentita partecipazione alle processioni religiose, alle quali aderivano le maggiori autorità palermitane e straniere. Nella notte del 10 maggio 1949 viene raccontato come una scossa di terremoto fece crollare una parete del quartiere militare del Noviziato dei Crociferi, nell’attuale Foro Umberto I (Dickinson 1898: 263). Si aggiungeva l’epidemia di colera scoppiata in Europa che obbligò, su ordine della Deputazione di Sanità, alla quarantena tutte le navi e le merci, provenienti dalla Gran Bretagna, Irlanda e Malta, causando non pochi disagi ai commercianti locali e stranieri che si ribellavano alle restrizioni e accusavano il Comitato della Sanità di non curare gli interessi dell’Isola. Il 3 gennaio del 1849 la quarantena venne abolita da tutti i porti dell’Isola (Dickinson 1898: 190-206).
L’evento che innescò il bisogno di testimoniare quanto vissuto fu l’arresto, da parte del generale dell’Esercito delle Due Sicilie Pietro Carlo Maria Vial (1777-1863), di undici uomini tra i più influenti del panorama socio-culturale della Palermo dell’epoca. Si trattava, tra gli altri di Francesco Ferrara, i fratelli Amari, Gioacchino D’Ondes-Reggio, Emanuele Paternò Marchese di Sessa, Leopoldo Pizzuto, il canonico Giuseppe Fiorenza, Francesco Notarbartolo Duca di Villarosa, Pietro Notarbartolo Conte di Priolo, Cavaliere Serra, tutti rinchiusi al Castellammare, roccaforte dalla quale partirono il 14 gennaio le granate che colpirono luoghi emblematici della presenza straniera a Palermo, come l’Hotel Trinacria, l’abitazione del Console russo e la sede del Consolato Britannico (Palazzo Aceto, poi Pantelleria). La polizia borbonica privò quest’ultimo dell’emblema consolare posto al di sopra del portone d’ingresso, proprio durante il tentativo di arresto del Conte Aceto e lo affidò ad una bottega lì di fronte [16].
Vano fu il tentativo di Goodwin, Dickinson e Key, comandante del vapore inglese Bulldog, supportati da Francesco Santoro [17], di convincere il Luogotenente e il generale Vial di cessare il fuoco, grave minaccia per i cittadini e per gli stranieri residenti nella zona della Cala. Gli Inglesi infatti, sino a quel momento rifugiati presso il Consolato britannico, si imbarcarono il 15 gennaio sulle navi che li attendevano al porto (Dickinson 1898: 12). I Consoli di Sardegna, Francia, America e Russia conferirono con Goodwin e si schierarono con la popolazione, sorpresi – come ci racconta il Nostro – del coraggio dei palermitani. Vari e vani furono i tentativi di tregua, ma le condizioni proposte dal governo borbonico erano inaccettabili.
Sin dal 28 gennaio la bandiera tricolore iniziava a sventolare sugli edifici più emblematici della Città, come quella di Porta Nuova, affissa dal Pretore e dal barone Riso e quella issata dal Comitato sull’edificio delle Finanze. Qualche giorno dopo apparve anche sugli edifici militari dei Borbone, completamente saccheggiati (Dickinson 1898: 22-24). Fortemente solidale alla causa del popolo siciliano, il liberale Dickinson apprezzava ogni sforzo esercitato a favore della propaganda rivoluzionaria e al sentimento di riscatto nei confronti della soffocante presenza borbonica. A tal proposito, egli notava come i Frati minori osservanti riformati di San Francesco d’Assisi, del convento della Gancia, predicavano per le strade al fine di fomentare l’unione del popolo per l’importante causa. Non lesinò neppure sovvenzioni a patrioti combattenti e alle famiglie dei caduti.
Il diario testimonia la ferocia delle “squadre” della polizia e gli eventi salienti della rivoluzione, non soltanto a Palermo, ma nel resto della Sicilia e oltre, sino alle porte di Napoli. Di certo gioì quando scrisse, il 2 giugno del 1848, che per le vie di Palermo si leggeva il decreto di espulsione dalla Sicilia dei Borbone e la proclamazione del Parlamento. L’Inghilterra era a favore dell’indipendenza dell’Isola da Napoli e riconobbe ufficialmente il Governo siciliano, ma bisognava nominare un Re e suggerirono come candidati: il Duca di Genova, Ferdinando Alberto Amedeo, figlio di Carlo Alberto e il duca di Carignano, nipote del re Carlo Alberto di Savoia. Il primo venne eletto il 10 luglio e ciò, oltre ad entusiasmare il popolo e le Camere, rese la Sicilia indipendente agli occhi dell’Inghilterra, della Francia e successivamente, anche della Russia. Le navi delle prime due potenze europee salutarono la bandiera siciliana con 21 colpi di cannone e parteciparono attivamente alla rivoluzione. Fu determinante la mediazione dell’Inghilterra e della Francia con l’Austria nell’accettazione dell’incarico da parte del Duca e nei tentativi di far cessare le ostilità a Messina, mediante l’approvazione di un armistizio con l’esercito napoletano che non compromettesse i risultati ottenuti nell’Isola [18]. Eppure, l’esitazione del Duca e la situazione a Messina, principale baluardo per l’Isola, fecero sì che i cori di “viva l’Inghilterra!” lasciarono il posto al disincanto.
L’11 settembre Dickinson si recò dal console Goodwin per riferire l’insoddisfazione del popolo nei confronti della condotta inglese verso la politica siciliana: «espressi la mia opinione che sin dalla spedizione di Napoli e della distruzione di Messina, l’influenza britannica sul popolo era diminuita del 75 % ed aggiunsi […] che bisognava fare qualche cosa per calmare l’agitazione popolare» (Dickinson 1898: 166). Bisognava trovare un re e sopperire all’assenza di denaro e all’inadeguatezza dell’armamento, indispensabile per le sorti della rivoluzione.
«Restaurati i Borboni, […] mise ogni impegno ad acquistare varj oggetti posseduti dalle Camere de’ Comuni e de’ Pari, raccogliendo pure il campanello della presidenza de’ deputati e varie bandiere collo stemma della Trinacria. La restaurazione de’ Borboni gli cagionò molto dolore, perché profondamente amava la libertà e il popolo Siciliano. La sua gaia e bella persona si estinse il dì 4 settembre 1851; ed ora ci è caro ricordarla, perché pochi al pari di Dickinson sentitamente amarono questa nostra Isola, e si consacrarono al risorgimento politico di essa» [19].
Presso il Cimitero acattolico di Santa Maria dei Rotoli a Vergine Maria la Federazione russa col console onorario celebra ogni anno l’anniversario della morte del console Nicolas Joachim De Monkhine (1812 – †1873) e sulla sua tomba non mancano nastri e corone commemorative. Quale trattamento si è riservato ai consoli Inglesi?
Come appreso dalle interviste agli abitanti della borgata Acquasanta: «[…] attorno al ’52 qualche straniero che alloggiava a Villa Igiea, probabilmente qualche inglese, ho visto che portavano i fiori alle tombe, almeno fino al ’59. Non so se venivano di proposito per il cimitero, ma li vedevo entrare» [20]. Se il Cimitero non avesse subìto il trattamento che lo inserisce a buon titolo tra le vittime del “Sacco di Palermo”, probabilmente anche Goodwin e Dickinson avrebbero ricevuto gli stessi onori.
Per quanto riguarda i frammenti della stele del Vice-console, come riportato sulla segnalazione inviata al Comune di Palermo nel 2021, non si ha alcuna garanzia che nelle condizioni nelle quali si trovano dal 2007, anche quest’ultimi vadano dispersi tra gli altri detriti del terreno. Per contrastare la perdita di quest’ultima traccia di ‘memoria’, si è operato per l’elaborazione di tavole che ne garantiscano la ricostruzione e la fruizione [21]. A tal proposito l’architetto Flora La Sita si è occupata della ricostruzione grafica di nove frammenti:
«In un solo frammento, il più grande, è riconoscibile la base di un monumento funebre, un piede scalzo e un drappeggio che ne cinge la gamba. L’intenzionale mancanza di simmetria, i tratti leggeri e la postura del piede hanno evocato le vibranti eleganze dei drappeggi delle stele funerarie (Stele Volpato, Roma, Basilica dei Santi apostoli e Stele Mellerio, Palermo, Palazzo Ajutamicristo), eseguite fra il 1804 e il 1815, da Antonio Canova caratterizzate dalla ricerca di una purezza neoattica [22], misurate nel ritmo dei rapporti tra figure e piano di fondo, come un diaframma che separa il mondo fisico da quello metafisico.
Da qui la scelta di continuare le linee del frammento recuperando l’iconografia del vocabolario che Canova utilizza per la rappresentazione del dolore e scegliere quale espressione figurativa del compianto una figura piangente femminile drappeggiata in morbide vesti, che appoggia sé stessa e il suo dolore al sepolcro dell’amato. La ricostruzione ricalca la stele funeraria di Elisabetta Mellerio, oggi a Palermo nella sede della Soprintendenza per i Beni Culturali e Ambientali di Palermo, uno dei due bassorilievi funebri scolpiti dal Canova per la cappella privata della Villa Gernetto in Brianza, a cui Canova attese dal 1812 al 1814. Per l’inclinazione del busto e della testa i riferimenti volgono verso due gruppi scultorei Canoviani: il monumento funerario di Vittorio Alfieri, Firenze, Basilica di Santa Croce e il monumento funerario di Clemente XIV, Roma, Basilica dei Santi Apostoli» [23].
Come sostiene l’Architetto, non abbiamo documenti che possano dimostrare questa ipotesi che resta una narrazione sorta dalla prossimità cronologica e dalle similitudini iconografiche, ma, nel quadro del progetto di recupero, promozione e tutela di singoli monumenti e dell’intero Cimitero, resta un lavoro di grande importanza per sconfiggere – ancora una volta – la morte e l’oblio.
Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024
Note
[1] Le dimensioni della nicchia dedicata ad ospitare la lapide erano troppo piccole rispetto a quelle suggerite dai frammenti.
[2] Autore della Guida su Palermo Handbook, preziosa testimonianza di come gli Inglesi vedevano la Sicilia, pubblicata con lo pseudonimo di Murray. Cfr. R. Trevelyan, Principi sotto il Vulcano, Rizzoli, Milano 1977: 151.
[3] Erano frequenti gli incidenti sul lavoro e i crolli causati dal dissesto geologico. Talvolta insorgevano proteste, come nel caso di quella del 1883, presso le miniere Romano e Gonzales di Colle Croce, dove trecento lavoratori, carusi compresi, si astennero dal lavoro per otto giorni. La Gardner & Rose, da Palermo, prese accordi per placare la manifestazione.
[4] Addetti ai calcaroni
[5] A. Crisantino, Il console inglese, 06/05/2012, in “Archivio”, la Repubblica.it
[6] J. Goodwin, Progress of the Two Sicilies Under the Spanish Bourbons, from the Year 1734-35 to 1840, in Journal of the Statistical Society of London, vol. 5, pubblicato il 1842-04-01, Londra: 47.
[7] Nel Murray’s Hand book di George Dennis viene elogiato il baglio «inaspettato spettacolo dell’industria britannica in una terra di pigrizia».
[8] ASPa, “Segreteria di Stato presso il Luogotenente Generale”, Interno, 1860, vol. 1954.
[9] ASPa, “Segreteria di Stato presso il Luogotenente Generale”, Interno, 1860, vol. 1594, n. 217.
[10] Soprannome dato a Ferdinando II delle Due Sicilie (1810-1859).
[11] Le lacune sono state colmate grazie alla trascrizione di George Gery Milner-Gibson Cullum (1857-1921), come raccontato sul contributo Il prezioso aiuto di Mr. George Gery Milner-Gibson Cullum, pubblicato sul n° 52 di “Dialoghi Mediterranei”. Cfr. English and American Inscriptions in the old Protestant Cemetery, near Palermo. Taken by G. Milner-Gibson-Cullum, F.S.A., April 1893, in Miscellanea genealogica et heraldica by Howard, Joseph Jackson, 1827-1902, Mitchell Hughes and Clarke, Londra 1886.
[12] Durante il XVII secolo, i bastioni che si affacciavano alla Cala di Palermo erano intervallati da cinque porte: quella della Dogana, della Pescaria, la Carbone, della Calcina e di Piedigrotta. La porta Carbone era conosciuta anche con il nome “porta della legna” e come suggerisce il nome, da questa entrava la legna da ardere o il carbone che veniva trasportato sulle imbarcazioni da diverse zone dell’Isola. La struttura era bugnata, ad eccezione della parte superiore e nel 1777, il consiglio civico concesse a Davì Francesco de Cordova, proprietario di alcune case nella vicina piazza della Fonderia e adiacenti alla porta, la possibilità di realizzare un passaggio che mettesse in comunicazione le sue case con la porta stessa a patto che provvedesse al restauro. Porta Carbone venne abbattuta nel 1875. Cfr. R. La Duca, I bastioni e le porte di Palermo, ieri e oggi, Sciascia, Caltanissetta 2014.
[13] Nel 1842, a Palermo erano attive – tra le altre – la Ingham Benjamin & Co, la Wood George & Co, la Dickinson William, la Gardner-Rose, la Morrison Seager & Co, la Prior Turners & Thomas e la Oates John. Cfr. R. Battaglia, L’ultimo splendore: Messina tra rilancio e decadenza (1815- 1920), Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2003: 67-68.
[14] W. Dickinson, Diario della Rivoluzione Siciliana, in op. cit., 1898: 186.
[15] W. Dickinson, Diario del 1848 e del 1849, Ms. del secolo XIX, in-fog. 2Qq H 183.
[16] A. Lo Faso Duca di Serradifalco (a cura di), Diario Siciliano 1841-1849. Dai documenti dell’Archivio di Stato di Torino, in “Mediterranea Ricerche Storiche”, capitoli IV e V.
[17] Uno dei capi della rivolta e membro del Comitato rivoluzionario, costituito dal Presidente Ruggero Settimo, dal segretario Mariano Stabile, dal Principe di Scordia per il Dipartimento dell’interno, dal Marchese di Torre Arsa per il Dipartimento delle Finanze, dal Principe di Pantelleria per il Dipartimento Guerra e Marina e dall’Avvocato Calvi per il Dipartimento di Grazie e Giustizia. Cfr.: 29. Alle elezioni del 27 marzo del 1848, il governo provvisorio risulta composto da: Presidente Ruggero Settimo; Mariano Stabile in qualità di Ministro degli Affari esteri e Commercio; Marchese di Torre Arsa in qualità di Ministro delle Finanze, poi sostituito da Michele Amari; Principe di Scordia in qualità di Ministro dei Lavori pubblici e Pubblica Istruzione; Avv. Calvi in qualità di Ministro dell’Interno e della Sicurezza pubblica; Presidente Lumia in qualità di Ministro di Grazia e Giustizia; Barone Riso in qualità di Ministro della Guerra e della Marina. Il Principe Resuttana verrà nominato dalla Camera dei Comuni Capitano Giustiziere della città di Palermo. Cfr. W. Dickinson, op. cit., 1898: 67, 92
[18] L’armistizio, firmato da Ferdinando il 12 ottobre del 1848, prevedeva l’abolizione del dazio sul macino del grano per tutta la Sicilia, ma il deficit causato spingerà a cercare compensazioni con altre tasse. Cfr. Dickinson, op. cit., 1898: 168, 179. 67, 92.
[19] Così lo descrive S. Guardione nell’Avvertenza che precede la trascrizione e la traduzione del diario.
[20] Intervista a Vittorio Ferraro del 10 luglio 2021.
[21] È stato prodotto un rilievo inedito dell’intera area che contiene una catalogazione dei monumenti individuati, sia di quelli identificati che di quelli senza attribuzione. Inoltre, per i primi sono state prodotte le tavole di riferimento, accompagnate da notizie storico-critiche sugli inumati che ne prevedono – quando possibile – la ricostruzione. La documentazione è parte della Tesi di dottorato internazionale dal titolo La storia, lo stato dell’arte e le prospettive del “Giardino svelato” sul mare di Palermo, depositata presso l’Universidad del País Vasco UPV/EHU nel giugno 2024.
[22] La stele funeraria di Dickinson è stata realizzata presumibilmente nell’ anno della sua morte e attorno al 1851 il lavoro di Antonio Canova, che muore nel 1822, è già un riferimento noto ai lapicidi attivi nell’isola.
[23] F. La Sita, Ricomposizione grafica virtuale e studio del tema iconografico della stele funeraria di William Dickinson nel cimitero acattolico all’Acquasanta di Palermo, relazione a corredo delle tavole.
Riferimenti bibliografici
V. G. Attard, Il Cimitero degli Inglesi – Appunti – Epigrafi – Elenchi, Perna, Messina 1995.
R. Battaglia, L’ultimo splendore: Messina tra rilancio e decadenza (1815- 1920), Rubbettino, Soveria Mannelli (CZ), 2003.
R. E. Bristotti Bottini, La cristalliera infranta. Una famiglia inglese a Messina tra ’800 e ’900 nei ricordi di Julia Emma Oates, Di Nicolò, Messina 2009.
Dickinson W., Diario della Rivoluzione Siciliana, in Memorie della rivoluzione siciliana dell’anno MDCCCXLVIII pubblicate nel cinquantesimo anniversario del XII gennaio di esso anno, vol. I, Tipografia cooperativa fra gli operai, Palermo 1898.
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R. Giuffrida, Aspetti storici dell’economia siciliana nell’Ottocento, Edizioni Telestar, Palermo 1973.
J. Goodwin, Progress of the Two Sicilies under the Spanish Bourbons, from the Year 1734-35 to 1840. By JOHN GOODWIN, Esq., Her Majesty’s Consul for Sicily, cap. IX, in “Journal of the Statistical Society of London”. vol. V. 1842, Reprinted 1971 for Wm. Dawson & Sons LTD., London with the permission of the Royal Statistical Society.
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A. Radice, Risorgimento perduto: origini antiche del malessere nazionale, De Martinis, Catania 1995.
R. Trevelyan, Principi sotto il Vulcano, Rizzoli, Milano 1977.
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Laura Leto, antropologo e storico, è attualmente impegnata nel Dottorato di Ricerca con l’Universidad del Paìs Vasco UPV/EHU che ha come oggetto di studio il Cimitero acattolico dell’Acquasanta di Palermo. Ha cooperato, in qualità di operatore didattico, con diverse Associazioni culturali palermitane, in seguito all’acquisizione del titolo di Esperto in Didattica museale. Ha partecipato al Catalogo collettivo delle biblioteche ecclesiastiche italiane in qualità di bibliotecaria e catalogatrice.
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