di Diletta D’Ascia
“Rabaa… Rabaa…”. Una giovane donna si affaccia da una delle finestre lasciate aperte, sorride, un sorriso aperto, generoso, saluta con la mano e ci fa cenno di salire. Ho conosciuto la pittrice Rabaa Skik grazie ad Anis Benbrahim, un amico che per me è divenuto una sorta di Virgilio nel mondo delle arti plastiche tunisine, a lui il merito non solo di avermi presentato la scultrice Najet Gherissi e Rabaa Skik, ma anche di avermi introdotto nel mondo delle arti figurative in Tunisia, permettendomi di vedere e scoprire la ricchezza e le sfaccettature dell’arte di questo Paese.
Mi ritrovo così nello studio di Rabaa, il suo primo atelier personale – mi racconterà durante le nostre successive chiacchierate – il primo luogo interamente suo dove poter creare giorno dopo giorno; dopo aver lavorato e fatto parte di diversi atelier collettivi, si trasferisce infatti più o meno recentemente in questo studio, un appartamento che era parte di un palazzo del Bey, a La Marsa.
Rabaa mi conduce all’interno del suo atelier, mostrandomi le varie stanze, quella dedicata all’incisione, la sala in cui sono esposte le sue opere e in cui tiene i corsi e la stanza in cui crea incessantemente, in cui alcune delle sue opere vivono un’evoluzione che può protrarsi per anni. Circondata dai suoi dipinti e dalla luce che entra da quelle finestre lasciate sempre aperte, avverto un sentimento di quiete e di pace che raramente provo, ogni suo quadro porta la mente lontana, fa riflettere, pone lo spettatore in un processo evolutivo, in una perfetta connessione tra il corpo e lo spazio urbano.
Rabaa Skik, artista nata a Kairouan nel 1984, laureata all’Accademia delle Belle Arti a Tunisi e specializzata in incisione, docente, pittrice, artista plastica, ha esposto le sue opere in molteplici esposizioni collettive a Tunisi e all’estero, attualmente sta preparando la sua prima mostra personale che avrà luogo a ottobre a Tunisi nel suo atelier. Ciò che colpisce osservando i suoi dipinti e le sue incisioni è una particolare sensibilità alla materia e ai colori che nasce in lei sin dalla primissima infanzia, quasi fosse destinata a interpretare e a rendere il colore, a parlare attraverso una materia che si trasforma ed evolve grazie al suo tocco.
Cresce infatti circondata dall’arte e dal colore, figlia del celebre pittore autodidatta Hammadi Skik, che sin da piccolissima le insegna a “vedere” il colore e a distinguerne tutte le sfumature sino alle più impercettibili variazioni di tono. Rabaa mi parla della sua infanzia a Kairouan, delle lunghe passeggiate con il padre e del gioco che aveva inventato per lei. Fermi davanti a un muro bianco con la “chaux”, una particolare pittura per muro che si utilizza a Kairouan, bianca, tendente leggermente al blu e con la pioggia al viola, i due contavano e nominavano i colori che vedevano. Questo gioco d’infanzia le ha permesso di apprendere a guardare meglio le cose e i colori, a saper osservare in profondità, oltre uno sguardo superficiale, a cogliere l’essenza del colore, le sue molteplici interne vibrazioni e a saperle restituire su tela o su qualunque supporto lei scelga di utilizzare.
Il rapporto con la materia nasce in lei in quegli stessi anni grazie alla madre, che lavora nella tapisserie tradizionale e alle donne che lavoravano per lei e che si recavano ogni giorno nella loro casa per realizzare tappeti. Le donne tessevano cantando e la Rabaa bambina cresce così circondata da lana e colori, le sue sieste avvenivano su questa lana colorata in modo naturale; la sua immaginazione andava formandosi mentre veniva cullata da canti popolari, attorniata da donne.
Il periodo dell’adolescenza è caratterizzato non solo dallo studio ma anche dallo sport che acquista un ruolo fondamentale anche nella sua vita di artista; sono infatti questi gli anni in cui inizia a interrogarsi sul corpo e a prendere coscienza del suo corpo di donna, dando inizio a un processo di “questionnement avec le corps” che è ancora in atto. Le medaglie che riporta come nuotatrice divengono simbolo del principio di questa ricerca, degli interrogativi che si pone, dei limiti che sfida, della presa di coscienza, in quanto donna nata e cresciuta in una delle quattro città sante dell’Islam, lontana chilometri e chilometri dal mare. Rabaa scopre la femminilità in una società profondamente conservatrice, inizia a conoscere il suo corpo e i limiti che la società le impone in quanto donna. Osservando le sue opere ci si rende conto di quanto il corpo femminile sia tuttora al centro delle sue ricerche e un punto fondamentale della sua arte. Rabaa precisa che è stato allora che ha iniziato a porsi delle domande sul corpo, domande che sono divenute motore e carburante di una quête che la spinge giorno dopo giorno a creare, a partire dal reale per potersi esprimere liberamente.
Ottenuto il Bac, Rabaa Skik si iscrive a l’ISBAT, l’Institut Supérieur des Beaux-Arts de Tunis, specializzandosi in gravure. È questa una scelta razionale, ponderata, Rabaa desidera imparare una tecnica particolare, quella dell’incisione, e la specializzazione all’Università le offre la possibilità non solo di apprendere la tecnica ma anche di utilizzare la pressa. Successivamente si focalizza sulla ricerca e si dedica all’insegnamento in diverse Facoltà e in alcuni Licei, abbastanza tempo per comprendere di desiderare una carriera artistica, lascia così l’insegnamento e inizia a lavorare in ateliers collettivi e a esporre le sue opere.
Rabaa tuttavia non abbandona mai del tutto l’insegnamento, tuttora infatti tiene corsi nel suo atelier, per bambini, giovani e adulti e apre il suo studio agli studenti di Belle Arti per permettergli di utilizzare la pressa e di apprendere la tecnica della gravure. D’altra parte rivendica con decisione quegli anni e quel “côté pédagogique” che le ha permesso di imparare a comunicare e di avanzare nelle sue ricerche.
Parlando con Rabaa mi rendo conto di quanto la “question du corps” sia centrale nella sua produzione artistica, è qualcosa che diviene persistente, che la fa lavorare giorno e notte. Nelle sue opere il corpo femminile ritorna costantemente, spesso protagonista nel periodo della maternità, la donna con un neonato in braccio diviene una sorta di filo rosso della sua produzione. Rabaa non smette mai di interrogarsi sul ricorrere di tale figurazione; studia il corpo incessantemente e quello che rappresenta in differenti posture è spesso il suo stesso corpo, che osserva a fondo davanti allo specchio, modella di se stessa, soffermando lo sguardo su trasformazioni e dettagli.
Lo studio del corpo viene da lontano, l’interesse nasce in lei sin dagli anni della scuola, allieva per un anno di suo padre, professore di Scienze Naturali, osserva e si dedica all’analisi del corpo umano, restando per ore e ore in laboratorio davanti a uno scheletro. Lo studio dell’anatomia le dà la possibilità di comprendere il corpo, di esaminare i muscoli, le ossa, le consente di “vedere” e di capirne il funzionamento, di partire da dentro per poter disegnare il fuori, quell’involucro che vediamo in movimento.
L’aspetto scientifico è per lei qualcosa di imprescindibile per poter creare, non tanto per giungere a una rappresentazione realistica, quanto per poterla distruggere. Solo dopo aver compreso e nutrito la propria conoscenza, si può iniziare a decostruire, mi dice Rabaa, la quale cerca così la sua visione; in questo modo può esagerare e divenire “espressionista” nella rappresentazione dei corpi e delle figure che disegna, solamente così può e riesce a trovare il ritmo nella composizione. Ogni persona – afferma – possiede un proprio ritmo, capta le immagini e le cose in modo differente da chiunque altro, traducendole in un ritmo singolare e irripetibile.
Ancora una volta emerge questa sua capacità di coniugare istinto e studio, di utilizzare l’occhio e la mente per analizzare e pensare alla composizione per poi “déconstruire pour arranger à nouveau”, distruggere tutto per ricreare e donare un nuovo ritmo alla composizione, che inevitabilmente è qualcosa che viene da lei, dalla sua parte più istintiva e in qualche modo le rassomiglia. Il ritmo risiede e si trova nelle forme e nelle relazioni, e nei contrasti che esistono nelle forme.
Il contrasto è un altro elemento chiave della sua arte che ritorna con insistenza; osservando le sue opere possiamo notare come emergano sempre contrasti tra forme e volumi e tra linee, forme e colori, tra teste allungate e corpi rivolti verso il basso, quasi spinti verso il basso sotto il peso del loro stesso corpo. Grazie ai forti contrasti che “mette in scena” nelle sue opere, emerge il suo lato espressionista e surrealista, nonostante ci tenga a precisare che non ama essere catalogata, in effetti davanti alla sua produzione artistica si ha piuttosto la sensazione di un’artista che supera e va oltre questi movimenti, che dà vita a una sorta di avanguardia, rielaborando, facendolo suo, il passato. Il suo è un linguaggio che sviluppa a poco a poco, è la sua espressione del reale, la sua visione dello spazio e del corpo.
Soggetto sin dalla sua prima esposizione a La Marsa nel 2010 è il corpo delle donne, in particolare in quanto madri; la maternità è protagonista assoluta sebbene oggetto di una continua evoluzione, così come il contrasto presente nella composizione dei suoi quadri tra alto e basso. Davanti a molti dei suoi dipinti si ha la sensazione di essere davanti a due entità differenti che si dibattono all’interno della stessa opera. Una lotta tra linee e forme grafiche che si slanciano verso l’alto e linee che spingono in basso, oggetti e corpi voluminosi che sono ancorati a terra a causa della loro stessa pesantezza. Rabaa ha lavorato molto sulla raffigurazione del corpo delle donne represse, sottomesse dal loro stesso peso, mostrandole mentre soccombono al loro volume, con il ventre che pesa e ricade verso il basso, mentre i volti e il collo si allungano verso l’alto slanciandosi verso il cielo e fondendosi con lo spazio che le circonda.
Vi è un aspetto femminista e di rivolta in questo contrasto di forme che Rabaa rivendica con forza; una visione differente del corpo femminile, non più oggetto di desiderio in contrapposizione agli uomini raffigurati nel pieno della loro forza. Quelle di Rabaa sono donne che assistono alla trasformazione del proprio corpo e, se da una parte si percepisce un’accettazione e un amore per questi corpi, dall’altra si intravede la lotta delle loro menti e dei loro spiriti attraverso le teste proiettate verso l’alto.
In vista della sua prossima esposizione mi confessa che ha iniziato a “attaquer le corps masculin” e, così come in altre sue opere del passato, sarà spesso rappresentato circondato dalla città e dallo spazio urbano. La città, l’architettura sono protagonisti dei suoi dipinti e dei suoi disegni, ciò che colpisce in queste opere non è semplicemente il contrasto delle forme, ma come il corpo, a volte gli scheletri, siano quasi un prolungamento o una proiezione dello spazio urbano, come si fondano e interagiscono in una comunicazione continua e fusionale. Ecco allora che torna la sua attenzione per lo studio dell’anatomia, la curiosità che caratterizza il suo occhio di osservatrice attenta anche davanti allo spazio urbano. Vediamo decostruito e destrutturato il corpo di esseri umani e di edifici sino a una nuova costruzione, il “dé-corps”, un gioco di parole tra “corps” e “décor” che Rabaa utilizza e che rende perfettamente l’idea della sua visione, una fusione di corpi e spazi architettonici che in alcun modo tuttavia dà la percezione di trovarsi di fronte a opere futuriste, ma piuttosto a un’arte primordiale, in cui corpi e spazi convivono alimentandosi a vicenda, fino a giungere al concetto di décorps.
“Décor, angle de vue et perspective” sono altri aspetti sui quali Rabaa Skik ha lavorato assiduamente nelle sue opere, mostrando come il punto di vista e la prospettiva mutino in rapporto al corpo e alla sua struttura e giungendo a decostruire la prospettiva nel raffigurare lo spazio urbano e il décor. Ancora una volta un impulso espressionista e surrealista che la spinge a superare il realismo; con l’avvento della fotografia l’arte non ha più necessariamente il compito di rappresentare la realtà in modo fedele e ora le si presenta piuttosto una nuova sfida, ovvero raffigurare la materia, il colore e le forme.
La plongée è l’angle de vue che Rabaa utilizza nella maggior parte delle sue opere, mi ha colpita immediatamente questo punto di vista dall’alto che è parte della grammatica cinematografica; diversi dipinti e disegni evocano tecniche e forme di certe inquadrature di film proprio per questa similitudine nel linguaggio; penso ad esempio a un suo dipinto, nato durante il periodo della rivoluzione e a cui ancora oggi sta lavorando – non solo per l’utilizzo del punto di vista dall’alto sui personaggi e per la rappresentazione dello spazio urbano, ma soprattutto per il dettaglio di una mano – si ha infatti la percezione che in qualche modo questa figura interpelli lo spettatore e gli apra la visione sul mondo raffigurato nel dipinto.
Rabaa mi confessa che razionalmente non sa per quale ragione abbia iniziato a utilizzare la plongée, è possibile che in passato si sia affacciata da un balcone e osservando in basso abbia sentito una forma di empatia percependo “l’écrasement” dei corpi che osservava, quasi fossero sottomessi dal peso di uno schiacciamento. Da lì probabilmente la scelta puramente inconscia di raffigurare questo punto di vista dall’alto, mostrando i soggetti che guardano verso il cielo, instaurando così un collegamento, un rapporto, tra chi guarda e i personaggi osservati, i quali a loro volta guardano gli spettatori e li interrogano con il loro sguardo. La plongée le permette inoltre di deformare la prospettiva, di mostrare linee allungate, di lasciar affiorare superfici concave e convesse, in altre parole di far emergere il contrasto, poiché la vita è fatta di questo, o meglio è il contrasto stesso che alimenta la vita.
La “question du regard” ritorna più volte durante le nostre chiacchierate; al centro di una delle sale del suo atelier, circondata dalle sue opere e con lo spazio esterno che irrompe attraverso le finestre in una comunione così simile a quella presente nei suoi dipinti, mi rendo conto di quanto gli occhi, a volte protagonisti assoluti, e lo sguardo abbiano una funzione decisiva nella sua arte. Molte delle figure dipinte da Rabaa presentano gli occhi chiusi, eppure in alcun modo si ha la percezione che questi personaggi vogliano distogliere lo sguardo dalla realtà, al contrario è questa piuttosto la spinta a una riflessione intima. Attraverso gli occhi si instaura una comunicazione con lo spettatore, si stabilisce un legame; lo sguardo dello spettatore è inconsciamente portato a focalizzarsi sugli occhi delle figure rappresentate che in qualche modo catturano la sua attenzione divenendo il fulcro di un’opera. Rabaa, seppur spinta da una decisione irrazionale, sceglie di rompere questo legame chiudendo gli occhi delle sue figure; improvvisamente non siamo più attratti dallo sguardo, ma dalla materia, Rabaa lascia così spazio al corpo, per poter riflettere e far riflettere sulla loro anima.
Istinto e studio sono i due elementi costantemente presenti nelle sue opere, la composizione sembra studiata nei più piccoli dettagli, esattamente come la costruzione dell’inquadratura di un film, ma allo stesso tempo il contrasto e l’uso dei colori complementari scompagina la razionalità facendo subentrare quell’elemento irrazionale che anima i corpi delle sue figure e gli spazi con cui entrano in relazione. L’istinto d’altronde è forse alla base stessa della tecnica che ha scelto di studiare e di utilizzare, ovvero l’incisione, che Rabaa Skik definisce un “accident heureux”, poiché adottando la gravure non si può controllare tutto, al contrario, solo durante l’ultimo procedimento, alla fine del processo di incisione, si scoprirà il risultato di tanto lavoro.
L’incisione è l’arte di produrre segni su una matrice di materiale duro, tradizionalmente di legno o di metallo. Tale matrice una volta inchiostrata viene impressa per mezzo di un torchio su un foglio di carta, dando luogo a un esemplare a stampa. Rabaa si avvale dell’incisione a rilievo, in bianco e nero, in realtà vi è una ricchezza incredibile di sfumature, se si pensa che la scala dei grigi arriva fino a cento diverse tonalità. La matrice, nell’incisione a rilievo, viene scavata laddove si vuole che nella stampa finale risultino i bianchi, mediante uno strumento affilato vengono asportate da una lastra di legno le parti che sul foglio stampato appariranno bianche, lasciando in rilievo la parte su cui si stenderà l’inchiostro. La matrice viene, quindi, collocata sul torchio di stampa e su di essa viene posato il foglio di carta inumidito da stampare. Sotto la pressione della pressa, l’inchiostro passa dalla matrice al foglio, riproducendovi l’immagine. L’artista, in altre parole, scava affinché in superficie rimanga la sua creazione.
In questo processo si verifica un’alchimia tra elementi e quel qualcosa che sfugge al controllo dell’artista assume un che di rassicurante agli occhi di Rabaa, poiché in quel mistero risiede l’interazione con la materia. Quello dell’incisione è un “processo magico”, poiché l’artista lavora “alla cieca”, pensando e immaginando qualcosa che non vede, a guidarlo è il disegno, fulcro della prima tappa del processo, ma soprattutto il suo istinto e il contatto con la materia. Il tocco e l’importanza dei sensi tornano spesso durante le nostre conversazioni; la materia che tocca, plasma attraverso i corpi che incide e disegna è un fil rouge della sua arte e forse una bussola che la guida, un sostegno concreto che orienta il suo istinto nel buio del processo. Dopo aver realizzato il disegno, lo schizzo dell’immagine, inizia il lavoro di riporto sulla lastra sui cui interviene per giungere infine all’ultima tappa, l’incisione in cui sarà rivelata l’immagine; questo momento non può che essere una sorpresa, poiché per quanto si padroneggi la tecnica e si lavori minuziosamente sul disegno e sull’incisione, il contatto con la materia mentre si scava incide sull’imprevedibilità del risultato. L’accident magique è appunto questa epifania, è la magia della materia che si rivela solo all’ultimo momento.
Lo studio meticoloso, quasi ossessivo, e la profonda libertà che trasmette come donna e come artista attraverso le sue opere e le sue azioni, riflettono, credo, l’essenza stessa della sua arte: il contrasto che “mette in scena” e rappresenta nelle sue opere, la forza e la delicatezza. Aspetti che mi hanno colpita immediatamente alla vista nella stanza in cui dipinge di un dipinto monumentale in cui è raffigurato un albero; parlando con Rabaa di questa mia sensazione di quiete ci siamo ritrovate a discutere di radici, del sentirsi radicati in un luogo senza frontiere, uno spazio che è quello dell’umanità condivisa che tanto spesso emerge dalle sue opere anche grazie ai contrasti. L’arte ritorna qui ad avere un potere taumaturgico, forse anche per questo necessita di una lunga evoluzione, dipinti che si trasformano con il passare del tempo prima di giungere al loro compimento e ad acquisire il loro posto e il loro significato più profondo.
L’arte di Rabaa, a guardar bene, ha una profonda valenza politica e femminista; “j’assume”, mi risponde quando parliamo di questo aspetto, ancora una volta gentilezza e forza scaturiscono da questa sua affermazione. Scherziamo sul nostro passato durante il periodo dell’università, entrambe impegnate politicamente, due sognatrici che lottavano, mi racconta così del suo periodo anarchico e della sua esperienza con il giornale “L’Autre-ment 93”, «ce journal s’inscrit dans une dynamique locale de résistance globale. Modestement mais sûrement, nous nous attachons à diffuser une autre information, et à analyser l’actualité d’en bas, celle de ceux qui luttent, qui valorisent la solidarité, dont on parle peu ou mal dans les grands médias».
Rabaa apre un armadio e, dopo aver frugato per qualche istante, tira fuori una copia del 2013 di questo giornale, sua l’immagine di copertina e diversi altri disegni all’interno, immagini di un articolo per cui Rabaa stessa insieme ad altri giovani era partita verso il sud della Tunisia per mostrare alcune comunità autogestite, per far parlare coloro che avevano dato vita per la prima volta in Tunisia a una “société mutuelle”.
Istintivamente ci chiediamo dove siano finite le nostre speranze e le nostre lotte, se non sia arrivato il momento di tornare a essere quelle giovani donne. Tuttavia la vera lotta politica e femminista che oggi porta avanti è nei gesti quotidiani, nell’aprire il suo atelier ai giovani affinché possano utilizzare la sua pressa e imparare una tecnica, è comunicare attraverso l’arte: forse la vera rivoluzione è nei piccoli atti.
Esco dal suo atelier con il giornale sotto il braccio e dentro un po’ di quello spirito perso con gli anni, guardo verso il balcone, sorrido e la saluto con il braccio, come una delle sue figure, schiacciata verso il basso e allo stesso tempo slanciata con la mente verso il futuro, il sole a illuminare entrambe.
Colore, materia, sole. I tre elementi che ritornano incessantemente e che caratterizzano l’arte di Rabaa Skik. Il sole forte di Kairouan, la città da cui trae ispirazione e che l’ha forgiata, quel sole che riscalda fino a bruciare, fino a far divenire folli ma che è anche l’origine della luce che ha fatto affermare a Paul Klee una volta arrivato a Kairouan, “io sono pittore!”. Un sole eterno che divora ma che allo stesso tempo feconda la terra, l’immaginazione, lo spirito dei pittori che appartengono a questa terra, che inevitabilmente, restandone intrisi e pervasi, lo restituiscono al mondo attraverso la loro arte.
Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024
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Diletta D’Ascia, docente di sceneggiatura. Laureatasi a Roma al D.A.M.S. in Teorie psicoanalitiche del Cinema, ottiene un riconoscimento di merito al Premio Tesi di Laurea Pier Paolo Pasolini. Dirige e scrive vari cortometraggi e mediometraggi e pubblica articoli e saggi in varie riviste. È fondatore e Presidente dell’Associazione Culturale Gli Utopisti, con cui dal 2010 si occupa di realizzare corsi di formazione di cinema e progetti legati al sociale, in particolar modo contro la violenza sulle donne.
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