di Gaetano Savatteri
Ci sono cattivi e buoni maestri. E ci sono anche maestri inconsapevoli che producono sapere e conoscenza senza mai mettersi in cattedra. Nino Giaramidaro apparteneva a quest’ultima categoria: i maestri che non salgono sul piedistallo, che non creano una distanza verticale con gli altri, che non si rinchiudono dentro la presunzione della competenza e che non si trincerano dietro l’arroganza del potere culturale. Nino coltivava l’arte del dubbio, nutrita dal sottile e scettico spirito dell’ironia che dissacra, demolisce e scardina ogni fanatismo.
Eravamo nel cuore pulsante del maggiore quotidiano della città, in una città cupa e luttuosa, densa di lutti e di storia. In quelle frenetiche giornate che si susseguivano nel cicaleccio continuo della radio sintonizzata sulle onde della centrale della polizia (doppia vela, doppia vela, siena monza siena monza, ripeteva la voce richiamando le volanti o le auto della squadra mobile), Nino affrontava le giornate alla guida della cronaca cittadina, muovendo una schiera di cronisti giovani o meno giovani, esperti o inesperti, capricciosi o cocciuti, leggendo gli articoli da mandare in tipografia per metterli in pagina.
Nino aveva una scrittura raffinata, da intellettuale siciliano, capace di cogliere il lapsus di un errore, la cacofonia di una frase, l’ingenuità di un’affermazione. Aveva mestiere e sensibilità. La sua scrittura era troppa per un quotidiano locale dove spesso non serve la bella scrittura (diffidate dei giornalisti che scrivono bene), ma serve piuttosto velocità e capacità di muoversi tra un argomento e un altro, dalla cronaca bianca alla nera, dalla giudiziaria alla politica, tenendo presenti molte cose: la linea editoriale del giornale, i suoi rapporti politici espliciti o impliciti, il profilo dei suoi lettori, la personalità, la spregiudicatezza o la timidezza del suo direttore e delle sue gerarchie. Nino aveva l’abilità di sapere leggere questa realtà complessa, di decodificarla e di evitare a noi giovani cronisti di incorrere in catastrofici errori.
Arrivava in redazione con qualche libro dentro la borsa di pelle che portava sulla spalla: libri di scrittori possenti, autori mitteleuropei, sudamericani, inglesi, siciliani. Mostrava quei libri a noi giovani cronisti, con due frasi che erano micro-recensioni. Ho capito dopo molti anni che quei libri erano il suo amuleto contro la scrittura grezza e rozza dei giornalisti, piene di frasi fatte che lui accuratamente cassava, cancellava con un tratto di pennarello per convincere che la “bella scrittura” era un inganno, una manipolazione culturale, un sistema per parlar d’altro e rendere banale la scrittura di un giornale che doveva essere sì semplice e comprensibile, ma mai banale o volgare.
Ecco, Nino era prima di tutto un uomo che sapeva leggere. E dentro la scrittura, perfino negli spazi bianchi, intravedeva l’inganno, la falsificazione, la nota stonata, l’impostura. A tarda sera, quando il giornale prendeva un respiro meno affannoso e convulso, Nino riprendeva i suoi libri dalla borsa, li schierava sulla scrivania. Era il momento per parlare d’altro, lontano dagli spari, dalle sirene, dai sussulti di una città stremata e ferita: e dentro le stanze ormai quasi vuote della redazione potevano volare parole più antiche e più nuove, potevano vivere i nomi di Kafka o Borges, di Sciascia o di Calvino, di Grass o di Duras.
Non erano lezioni, ché mai Nino si mise a dare lezione. La sua lezione era l’ironia affilata, il soprannome ficcante, la battuta folgorante, la sua stessa faccia da saraceno triste ma non rassegnato, tenace ma non fanatico, testardo ma non tetragono. Ho imparato da lui che si poteva essere gentili senza essere vili, educati senza essere arrendevoli, colti senza essere presuntuosi. Parlare a bassa voce, ma farsi sentire. Ciao Nino, maestro di cose intelligenti.
Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024
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Gaetano Savatteri, nato a Milano da genitori di Racalmuto, cresciuto in Sicilia, vive a Roma. Giornalista, ha iniziato giovanissimo a lavorare a Palermo. Ha scritto saggi e romanzi. Ha pubblicato, tra l’altro, con Sellerio: La congiura dei loquaci (2001); La ferita di Vishinskij (2003); Gli uomini che non si voltano (2006); Uno per tutti (2008); La fabbrica delle stelle (2016); Il delitto di Kolymbetra (2018), Il lusso della giovinezza (2020) e Quattro indagini a Màkari (2021); I colpevoli sono matti (2024). Per Laterza è autore di Non c’è più la Sicilia di una volta (2017) e curatore di Potere criminale. Intervista sulla storia della mafia di Salvatore Lupo (2010) e de Il contagio di Giuseppe Pignatone e Michele Prestipino (2012). Cronista a Matrix, è direttore artistico di “Trame. Festival dei libri sulle mafie”.
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