di Gaetano Sabato
Spostare lo sguardo dalle stelle lontane alle persone vicine. Provare a embricare il proprio vissuto solitario, riflessivo, a quello della comunità, pulsante, forse a tratti piccolo, ma vero. È il movimento essenziale compiuto da Paolo, protagonista di Segnali di vita, film dell’agrigentino Leandro Picarella uscito nel 2023, che ha ricevuto il Premio del pubblico come Miglior Lungometraggio al Trento Film Festival. La narrazione è avviata a partire da questo gioco di prospettive che trova il suo punto focale nella vicenda del protagonista.
Astrofisico milanese, almeno in parte nei panni di se stesso, Paolo (nella realtà, Paolo Calcidese, ricercatore e responsabile della didattica e divulgazione presso l’Osservatorio Astronomico della Regione Autonoma Valle d’Aosta) è in fuga dai ritmi e dalle aspettative di un mondo lavorativo e da vicende sentimentali e familiari da cui si sente schiacciato. Cerca, quindi, un incarico temporaneo che gli consenta di ritrovare un equilibrio interiore, sempre più sfilacciato. Approda così in Val D’Aosta, all’osservatorio astronomico di Saint-Barthélemy, appena fuori dal villaggio di Lignan che è anche l’unico centro abitato della zona. Da contratto, il suo incarico è duplice: farà ricerca (in solitaria), e dovrà rilevare, tramite interviste basate su questionari statistici, la percezione e le misconcezioni della comunità locale in merito all’astrofisica. Un correlato, quest’ultimo, che il ricercatore considera un piccolo, fastidioso balzello da pagare per avere in cambio l’opportunità di rimanere in un ambiente congeniale ai suoi studi.
E proprio nell’osservatorio, in cui abita e lavora, nel silenzio delle notti stellate da scrutare per raccogliere preziosi dati, Paolo alterna l’osservazione delle distanze siderali (attraverso il telescopio) a quella dell’infinitamente piccolo dei tardigradi (attraverso il microscopio), realizzando una sorta di moderno antropocentrismo pascaliano. Finché l’imponderabile si prende gioco dello scienziato, così come dell’uomo: il telescopio, potente e sofisticato occhio rivolto alle stelle, si guasta rendendo vana la prosecuzione della ricerca. Nell’impossibilità di una riparazione veloce (lo specialista in grado di rimetterlo in sesto si trova dall’altra parte del mondo) a Paolo non resta che rivolgere lo sguardo al viciniore, alla quotidianità da cui all’inizio sembra completamente avulso, per condurre le sue interviste. Ciò lo porta a entrare, fisicamente e simbolicamente, nelle case dei pochi (e accoglienti) abitanti, ad attraversare soglie e frontiere (Lotman e Uspenskij 2001) che separano vite molto diverse, condividendo e implicando, man mano che il tempo passa, vissuti che all’inizio sembrano antitetici e divengono, poi, familiari. Lo scienziato con la testa oltre le nuvole e la comunità che lo ospita, situata innanzitutto nel quotidiano in un gioco di specchi e di rimandi. Il film è costruito su molteplici piani semantici che si intersecano fra di loro, creando davvero un complesso intreccio a dispetto dell’apparente linearità.
La narrazione principale vede come protagonista Paolo, e gran parte viene raccontato dalla sua prospettiva: tuttavia, la scelta di girare attraverso le inquadrature tipiche di un documentario in presa diretta (girato, a sua volta, da Paolo durante le sue interviste) con personaggi interpretati da attori non professionisti, gli abitanti di Lignan (e senza un vero e proprio copione), aggiunge una profondità difficile da rendere diversamente. Altre narrazioni, non veramente minori, si incrociano raccontando meglio alcuni dei personaggi che abitano il villaggio: in questo modo si entra nelle loro vite, nella loro quotidianità che scorre parallela a quella del protagonista, creando (anche) nuovi punti di osservazione da cui angolare la storia di Paolo.
Alcuni dei momenti più importanti della narrazione sono proprio gli incontri fra l’astrofisico e i vari abitanti del villaggio per le interviste. Il ricercatore somministra i questionari (non ideati da lui) per raccogliere le percezioni che la comunità ha dell’astrofisica, dell’osservatorio e dello stesso lavoro dello studioso. Paolo anticipa molte delle risposte o, comunque, ritiene le risposte in linea con le sue aspettative: i paesani di Lignan danno più peso all’influenza delle fasi lunari sui raccolti e sulle nascite di quanta non ne diano alle leggi della fisica o alla forma dei corpi celesti. Eppure, più che nell’aderenza fra le aspettative del ricercatore e le risposte degli intervistati è nel non detto lo scarto più evidente. La comunità non ha solo un atteggiamento più accogliente di quello che lo studioso si aspetta, ma mostra una grande apertura verso ciò che ignora nel senso etimologico, ossia il ragionamento scientifico a cui Paolo è votato. È vero che ad esso oppone un sistema di credenze basato su un’efficacia simbolica (cfr. Lévi-Strauss 2002) che risulta spesso fastidioso per l’astrofisico in ascolto. Tuttavia, più di lui, mostra disponibilità ad accogliere il punto di vista altrui, mentre lo scienziato dimentica che le sue argomentazioni, basate sulle leggi della fisica e su un sapere “disciplinato” (Foucault 2004), costituiscono ‘solo’ un’altra narrazione possibile.
Qui, nello stridente incontro-scontro di due narrazioni così diverse, il film tocca uno dei suoi momenti più alti: se Paolo non riesce ad accettare che gli astri influenzino le vicende umane, inizia però a comprendere meglio le vite dei suoi compaesani, vedendo e riconoscendo finalmente la loro prossimità. È il piano della credenza (Needham 1983) a giocare un ruolo fondamentale, un atto di fede reciproco, seppure divergente, che unisce lo scienziato e gli intervistati in un’interazione sempre più viva. Le voci degli abitanti del villaggio talvolta sono decisi contrappunti che assumono la valenza di co-narratori, invertendo i ruoli fra intervistatore e intervistati con domande (e risposte) che obbligano a riposizionamenti reciproci, tipici del fieldwork etnografico.
Un altro interessante livello semantico è l’articolazione dello spazio e dell’osservazione all’interno della narrazione cinematografica attraverso la dinamica alto/basso. La costruzione delle spazialità (Lefebvre 1991; Thrift 1996) apre anche nuove prospettive e modalità di osservazione a cominciare dalla sintassi filmica. L’uso del campo lungo mostra, in alcune brevi sequenze topiche, il villaggio di Lignan (con la sua torre campanaria al centro, protesa verso l’alto) sovrastato dalle Alpi. Un altro modo per rimettere al centro, semioticamente, la cerniera fra l’infinitamente grande e l’infinitamente piccolo. Le silhouette delle vette più alte, inoltre, aprono la sequenza iniziale del film in un controluce che marca la differenza fra il cielo oggetto di osservazione e l’ancoraggio terrestre. Ancora, in un’altra sequenza, l’ascensione verso l’osservatorio che domina il villaggio di Lignan ripreso dall’alto e successivamente, l’ascensione del protagonista che accompagna in un breve pellegrinaggio una devota allevatrice del villaggio verso il santuario di Cuney, rimettono in gioco le simmetrie delle prospettive, definendo una certa performatività degli spazi (Gregory 2004) naturali e antropici che fungono da paesaggi dell’attraversamento, mettendo in comunicazione mondi e linguaggi diversi. Si tratta di spazi nei quali si può “agire”, costruendo relazionalità, conoscenza e soprattutto condivisione.
La capacità di osservare (del protagonista; della comunità con cui interagisce; dello spettatore) passa, dunque, per l’articolazione delle categorie vicino/lontano (Lévi-Strauss 1988). Un processo transcalare che prova simbolicamente ad affrontare il paradosso cartografico dell’estensione e del dettaglio: ossia tenere insieme due tipi di agentività contapposte, lanciando lo sguardo verso le stelle, oltre le montagne, e allo stesso tempo guardando al mondo che si ha intorno per non dimenticare di farne parte. Perfino smettendo di conversare, come fa Paolo nell’ambiente ovattato e un po’ anonimo dell’osservatorio, con un robot di plastica animato da un’intelligenza artificiale che mostra più limiti che abilità, unica vera “alterità” nella solitudine cercata inizialmente dallo scienziato.
A questo proposito, un’altra interessante narrazione è comparabile a quella dell’astrofisico di Segnali di vita. Nel romanzo che lo ha reso celebre a un vasto pubblico, Luce d’estate ed è subito notte (uscito in lingua originale nel 2005), lo scrittore Jón Kalman Stefánsson racconta la vita di una piccolissima comunità che vive in un villaggio della sua amata Islanda. La narrazione si apre con una memorabile pagina dedicata a un personaggio chiave per la comunità (e il romanzo stesso), nominato solo con l’appellativo di “Astronomo”. Apprezzato direttore di un maglificio (quanto di più vicino a una piccola industria su un territorio essenzialmente rurale), folgorato dalla passione per il latino e per l’astronomia, non solo decide di ritirarsi bruscamente dalla sua attività incurante delle perdite economiche e dello status sociale, ma attratto sempre più dai siderei spazi, si ritrova presto da solo, giacché moglie e prole ricambiano il suo repentino allontanamento dalla vita familiare.
La figura dell’Astronomo e la sua chiusura rispetto al mondo circostante appaiono simili a quelle dell’astrofisico protagonista del film, almeno all’inizio del suo percorso interiore. Ciononostante, proprio come l’Astronomo di Stefánsson, lo scienziato del film di Picarella riuscirà ad avere un impatto sulla comunità, avvicinando mondi tanto diversi. L’ex direttore del maglificio islandese attraverso l’organizzazione di lezioni serali mensili ai compaesani. L’astrofisico Paolo, dopo la presa di coscienza dell’esistenza dell’altro in carne e ossa nella propria vita, attraverso l’apertura dell’Osservatorio e del Planetario alla comunità di Lignan, in uno spirito di rinnovato ascolto, in un nuovo dialogo fra linguaggi, credenze, spazi umani e spazi siderei. Passaggio sottolineato, non a caso, nella sequenza di chiusura di Segnali di vita dalle note dell’omonima canzone di Franco Battiato.
Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024
Riferimenti bibliografici
Foucault, M. (2004), L’ordine del discorso e altri interventi, Einaudi, Torino.
Gregory, D. (2004), The Colonial Present. Afghanistan. Palestine. Iraq, Blackwell, Oxford.
Lefebvre, H. (1991), The Production of Space, Blackwell, Oxford-Cambridge.
Lévi-Strauss, C. e Eribon, D. (1988), Da vicino e da lontano. Discutendo con Claude Lévi-Strauss, Rizzoli, Milano.
Lévi-Strauss, C. (2002), Antropologia Strutturale. Dai sistemi del linguaggio alle società umane, Il Saggiatore, Milano.
Lotman J. e Uspenskij B. (2001), Tipologia della cultura, Bompiani, Milano.
Needham, R. (1983), Credere. Credenza, linguaggio, esperienza, Rosenberg & Sellier, Torino.
Stefánsson, J.K. (2013), Luce d’estate ed è subito notte, Iperborea, Milano.
Thrift, N. (1996), Spatial Formations, Sage, London.
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Gaetano Sabato, dottore di ricerca e Ricercatore in Geografia presso l’Università degli Studi di Palermo, insegna Geografia per la Scuola Primaria e dell’Infanzia presso lo stesso ateneo. Utilizzando la prospettiva della geografia culturale si occupa di globalizzazione, turismo, teorie della mobilità, rappresentazione dello spazio, contemporaneità, geografia e letteratura, geografia urbana, percezione del rischio e didattica della geografia. Su queste tematiche ha pubblicato diversi saggi scientifici. È autore della monografia Crociere e crocieristi. Itinerari, immaginari e narrazioni, Giappichelli, Torino 2018. Con Leonardo Mercatanti ha curato il volume Geografie digitali. Spazi e socialità, StreetLib, Milano 2018 e con Mercatanti e Stefania Palmentieri il volume Marginalità, sostenibilità e sviluppo. Analisi teorica e casi studio del Mezzogiorno. Con Mercatanti, inoltre, ha curato due Special Issues della rivista internazionale “AIMS Geosciences” intitolati “Sustainability and risk perception: multidisciplinary approaches”, 2021, e “Digital Education, Geography and Multidisciplinarity: Themes, Methods and Critical Issues”, 2022. È cocuratore, con Joan Rossello, del volume Information Technologies and Social Media: New Scientific Methods for the Anthropocene, Il Sileno, Lago (CS), 2022. È peer review di riviste scientifiche internazionali e membro del comitato editoriale di alcune collane scientifiche.
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