CIP
di Pietro Clemente
Giovanna
Nonostante Il numero incalcolabile di persone che muoiono nelle guerre e nelle migrazioni, l’invasione di Gaza che ha buttato alle ortiche il senso stesso del diritto internazionale togliendo ogni possibilità di appello, di ascolto delle voci che si levano dal mondo, la politica ci vive dentro come se fosse normale lo strazio di chi non riesce neppure a trasformare in analisi politica degna di futuro quello che avviene. Però le singole morti e le singole vite continuano a dover essere oggetto di attenzione e di investimento di memoria: se non lo fossero sarebbe ancora più dura la perdita di coloro che scompaiono senza orizzonte di ricordo. Le ricordiamo nella speranza che anche a chi è stato ucciso e non ha un nome possa non mancare un ricordo e nella speranza che l’invasione di Gaza abbia finalmente fine.
Lo dico per ricordare la recente morte di Giovanna Marini, una persona e una voce. Pensare a lei è come ripassare la vita perché la Marini è stata la colonna sonora della mia giovinezza militante e una buona compagnia anche per il resto del mio tempo. Ed è stata rappresentativa di momenti significativi e importanti della storia culturale italiana. Ben al di là del folk mi innamorai del suo disco Vi parlo dell’America del 1966 che raccontava la sua esperienza di vita a Boston. Per me era come vedere la canzone politica, spesso pesante e elementarmente epica, trasformarsi in lirica, in critica culturale cantata, in emozione
Non andate in chiesa a pregare
Ma vivete pensieri d’amore nel cuore
Come la terra non si può fermare
Così so che per vivere serve l’amore.
È solo un ricordo che ha luogo a Cagliari in stanze piene di giovani sulla musica di un disco che va e una memoria che si trasforma in coro. Giovanna era presente ‘da remoto’ nei luoghi meno acritici e più poetici della generazione cosiddetta del ’68. Ma l’ho anche incontrata di persona a Piadena a casa della Regina e del Miciu con quell’aria severa che portava con sé. L’ho incontrata nei racconti di chi si era formato con lei. È stata una presenza forte che ha sempre donato qualcosa, piena di ricchezza umana e sonora ben distribuita tra la gente. Per molti è diventata colonna sonora di una vita o di una stagione. Una straordinaria compagnia. Grazie. Del suo prezioso lavoro con la musica trovate qui un racconto puntuale e denso di Ignazio Macchiarella.
Nel settembre del 2017 Il centro in periferia nasceva come rubrica di coordinamento di piccoli paesi e associazioni locali impegnate a invertire la tendenza al crollo demografico, e con lo sguardo puntato a “riabitare l’Italia”. Nel 2018 è uscito il volume Riabitare l’Italia. Le aree interne tra abbandoni e riconquiste (Donzelli) con più di 40 autori e un progetto che nel tempo si è trasformato in una Associazione. Ma la rete dei piccoli paesi che sette anni fa occupava con i suoi progetti e le sue buone pratiche lo spazio del CIP nel tempo si è dispersa. Notavo già in un’altra occasione come sia difficile coordinare attività che richiedono tempi impegnativi, che investono la propria vita nel fare giorno per giorno, e quindi come sia facile perdere per strada interlocutori.
Il CIP ha dato spazio e voce a dibattiti, a studi e convegni sulla rinascita delle zone interne, a forme nuove di pastoralismo e a corsi per diventare contadini oltre che a Pro Loco attive nel costruire comunità. Purtroppo però nel tempo questa attività non è cresciuta tanto da diventare sistematica, anzi è diventata occasionale. Invece è venuto crescendo il contributo di idee, recensioni, saggi a problematiche del territorio contemporaneo, fino a diventare una nuova faccia del CIP. I Musei che avevano uno spazio importante come strumenti di sviluppo locale, hanno mantenuto quello spazio conquistando a volte il primo piano, come in questo n.68. Ho ritrovato spesso le esperienze del riabitare in Convegni come quelli dell’associazione Brusco, che sono stati accompagnati nel CIP da scritti di Benedetto Meloni e Stefania Ulivieri o quelli del dottorato internazionale Ingegneria dell’architettura e dell’urbanistica per cui rimando al libro di Lidia De Candia, Territori in trasformazione, il caso dell’alta Gallura (Donzelli 2022). Di queste esperienze si dà conto in molte schede e saggi della Società dei territorialisti con cui abbiamo fatto scambi e iniziative, e il cui promotore Alberto Magnaghi ci ha onorato varie volte dei suoi scritti. Mi piace qui ricordare l’intelligenza acuta e visionaria di Magnaghi e la sua storia di generazione.
Il CIP ha cambiato o sta cambiando tendenza per diventare un contenitore di articoli, studi, dibattiti di antropologia del territorio, con riguardo particolare ai musei, al patrimonio, allo sviluppo locale. Sembra la stessa cosa ma non lo è. Forse dipende dalla natura dell’offerta o forse dalla difficoltà di orientare i testi nella difficile direzione avviata all’inizio. Forse ho perso il rapporto con la prima linea, con la frontiera delle attività del Riabitare l’Italia. Ora mi pare utile ‘ascoltare ‘ questa tendenza e cercare di interpretare l’andamento di questo spazio.
Vivaci effervescenti
I testi raccolti in questo numero sono tutti dotati di una certa loro interna effervescenza, passione, vitalità. Che siano recensioni, racconti, descrizioni di eventi o discussioni su temi del paesaggio culturale. Predominano le scritture su Musei e patrimonio: dal Museo dell’emigrazione argentina (Bindi), al museo della Birra Peroni (Gerace), passando per musei più classicamente demologici (Bertoncini, Melazzi e Vanoli,) e poi affrontando lo spazio del patrimonio urbano (Rami) e quello della scrittura autobiografica popolare (D’Amato – Strafella), per finire con un testo di notevole impegno per la riflessione sui temi che Magnaghi avrebbe chiamato co-evolutivi (Lanfranco).
Due testi ulteriori (Grato, Martellozzo) sono riletture intensamente poetiche di scritture nate da antropologie del vissuto.
Mi colpisce il ‘ritorno’ dei musei proprio perché essi sono considerati in crisi, specie nel settore demoetnoantropologico. In un recente incontro al Museo etnografico dell’Alta Brianza ho incontrato un museo attivo, ricco di progetti e con una sua comunità di riferimento, cosi come mi è capitato di vedere l’attività di Casa Cocel a Fagagna che ho rivisitato dopo tanti anni con Gianpaolo Gri. Quest’ultimo museo è pieno di oggetti del lavoro ancora vivi nella memoria pratica, di attività artigianali e di mostre accattivanti (una bellissima su Pinocchio adattata creativamente allo spazio del museo). È questo un museo che non vive di professionisti ma di appassionati, creativi, ricercatori, con forti gestioni familiari e amicali. Un museo che va in controtendenza rispetto agli standard del professionismo e che privilegia la didattica e la valorizzazione.
A questo proposito auspico che venga riconosciuto nel mondo ICOM un professionismo della passione di ricerca, della memoria territoriale, dei saperi pratici e narrativi. In spazi come questo esiste una tale densità di saperi e di memorie inimmaginabile in strutture più istituzionali. La stessa cosa vale per il MEAB che ha un suo pubblico, una comunità di gite e di canti, che progetta, fa ricerca e realizza un gran numero di film etnografici. In questo caso si parte da una direzione esperta-professionale, che ruota intorno a Massimo Pirovano e che muove un mondo di volontari sapienti ma anche di giovani con lo sguardo museale sul presente. Infine Cà Martì è stata una sorpresa. Siamo sempre in provincia di Lecco e si tratta di un caso raro di museo sull’edilizia tradizionale e i suoi saperi. Al tempo stesso è un museo del pendolarismo, dell’emigrazione, della memoria delle generazioni. Un museo sempre impegnato a trasmettere l’eredità dei saperi del passato che risultano utilissimi nel presente. Un tema questo che diventa centrale in una museografia che orienta la sua missione verso lo sviluppo locale e la salvaguardia. E ancora Mine, museo della miniera di Cavriglia, eredità di un’altra generazione che ha visto Paola Bertoncini impegnata nel fare crescere il museo insieme alla sua professionalità. In effetti i musei DEA si battono per il riconoscimento della professionalità specifica del settore, e al tempo stesso si trovano in compagnia con musei di volontariato che sono ricchissimi di professionalità loro proprie, non istituzionali ma – si potrebbe dire – native. Ed è proprio compito dell’antropologia il valorizzare i saperi nativi o territoriali e riconoscere tali altre professionalità. Il Museo della Peroni rappresenta un’altra faccia del museo. Ci viene offerto un resoconto limpido di un buon caso di Museografia di Impresa, impegnata nella comunicazione. Il Museo argentino dell’emigrazione è cosi interessante e complesso da riuscire a farci vedere il mondo globale e la nostra storia, e ci aiuta a ripensarci sia nei linguaggi del museo, sia nella nostra vicenda umana come fosse una scatola riflessiva del tempo vissuto e contradditorio della modernità
Questi contributi di vitalità riflessiva dei musei sono un segnale molto interessante di un momento in cui forse è possibile ‘Riabitare’ gli studi demologici [1] e la museografia DEA. Un ambito che era centrale nella mia generazione, ma che è ormai marginale nell’insegnamento universitario e nella saggistica di ricerca, comprendeva etnografie locali, studi di tradizioni popolari, cultura materiale, museografia. Ora sembra mostrare segni di nuova vitalità che forse provengono da un lato dalla resistenza dei musei che ancora sono vitali, come quelli di cui qui si parla, e dall’altro dalla presenza delle scuole di specializzazione in Beni DEA che aprono alla ricerca, alla riflessione, alla militanza, al servizio anche attraverso la presenza di nuovi funzionari a livello ministeriale.
Nella stessa direzione mi è parso andasse un recente convegno di SIMBDEA (Società Italiana per la Museografia e i Beni Demo Etno Antropologici) su patrimonio immateriale e musei. Mi è parso che si fosse in presenza di una nuova fase del lavoro su Musei e patrimonio immateriale, arricchita di nuova esperienza, di inediti dialoghi con il Ministero nell’ambito dell’Istituto Centrale per il Patrimonio Immateriale e capace di superare approcci solo critici a favore di capacità e di saperi messi a disposizione delle comunità per iniziativa dei musei. Simbdea rappresenta un mondo di piccoli musei, di volontariato appassionato e sapiente, con qualche picco di musei di alta professionalità antropologica. Vive di una molteplicità che la museografia ufficiale non contiene e che cerca di accompagnare in una dimensione teorica e storica, anche a livello dell’ICOM.
Nel mondo del patrimonio l’immateriale è una risorsa soprattutto per la museografia antropologica ed apre ai temi dello sviluppo sostenibile e quindi ad una nuova mission dei musei impegnati nella battaglia per salvare il pianeta, per lo sviluppo locale, il riuso di saperi pratici nelle comunità.
Che rabbia
Mentre scrivo Liquilab è ancora coinvolta in un processo che speriamo restituisca all’associazione di Tricase e alla comunità lo spazio archivio-museo-piazza che per anni ha dato vita a ricerche e trasmissione di saperi. Il sindaco non rinuncia a una persecuzione verso l’attività di questa Associazione, giusto per dimostrare che comanda lui, nonostante che tutte le istituzioni culturali gli abbiano segnalato il valore culturale di Liquilab e che l’associazione sia stata accreditata come ONG Unesco. Un punto quest’ultimo contro il sindaco-persecutore.
Ma da pochi giorni a Soriano Calabro, la Biblioteca Calabrese, una Istituzione regionale di rilievo, è stata oggetto di un atto di ‘bullismo’ da parte di un sindaco neo-eletto che – come a Tricase – interpreta l’avere vinto le elezioni come un diritto alla predazione. Ci sono sindaci che si credono Re onnipotenti, che non rispettano e potenziano la società locale, ma la comandano (o almeno ci provano). La Biblioteca calabrese non è solo una biblioteca territoriale specializzata ma è una Istituzione di promozione della cultura. Ha ospitato la Rete nazionale dei piccoli paesi in alcune sue iniziative, ha fatto conoscere il territorio a tanti studiosi, ha valorizzato i cinque musei di Soriano fornendo importanti contributi alla cultura con la presentazione di libri e con la creazione di una rivista significativa negli studi. Per noi la Biblioteca calabrese di Soriano è uno spazio pubblico originale e importante da difendere. Un luogo di resistenza agli abusi culturali.
Per dire che non tutti i sindaci finiscono per nuocere ecco invece un altro sindaco aggredito istituzionalmente, deriso, messo in piazza, un sindaco di lotta e di innovazione, non di possesso, che processato e prosciolto, si è candidato al suo paese e alle elezioni europee e ha vinto in entrambe le sedi. Una bella soddisfazione per Mimmo Lucano e per Riace. E uno schiaffo al suo principale persecutore, Matteo Salvini. Una speranza per tutti.
In questi giorni la Sardegna e la stampa sarda sono traversate dal vento di iniziative e dibattiti contro l’eolico e l’energia solare nelle modalità che sembrano ‘cadere addosso’ alla Sardegna. Torna al centro della riflessione il tema delle comunità energetiche. Se possibile ne riparleremo.
Dialoghi Mediterranei, n. 68, luglio 2024
Note
[1] La demologia è una disciplina esistita quasi solo nominalmente nell’Università italiana: nella espressione studi demo-etno-antropologici. Fu introdotta da Alberto Mario Cirese, ma senza fortuna negli ordinamenti dove prevalse la dizione di Storia delle tradizioni popolari, un campo di studi oggi largamente dimenticato. Possiamo considerarla corrispondente da un lato agli studi di foklore, dall’altro alla etnologia europea e alla museografia etnografica o demologica. Un’area di studi sulle culture popolari. La prima proposta di questo termine è di Giuseppe Pitrè ai primi del Novecento con la dizione di ‘demopsicologia’.
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Pietro Clemente, già professore ordinario di discipline demoetnoantropologiche in pensione. Ha insegnato Antropologia Culturale presso l’Università di Firenze e in quella di Roma, e prima ancora Storia delle tradizioni popolari a Siena. È presidente onorario della Società Italiana per la Museografia e i Beni DemoEtnoAntropologici (SIMBDEA); membro della redazione di LARES, e della redazione di Antropologia Museale. Tra le pubblicazioni recenti si segnalano: Antropologi tra museo e patrimonio in I. Maffi, a cura di, Il patrimonio culturale, numero unico di “Antropologia” (2006); L’antropologia del patrimonio culturale in L. Faldini, E. Pili, a cura di, Saperi antropologici, media e società civile nell’Italia contemporanea (2011); Le parole degli altri. Gli antropologi e le storie della vita (2013); Le culture popolari e l’impatto con le regioni, in M. Salvati, L. Sciolla, a cura di, “L’Italia e le sue regioni”, Istituto della Enciclopedia italiana (2014); Raccontami una storia. Fiabe, fiabisti, narratori (con A. M. Cirese, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021); Tra musei e patrimonio. Prospettive demoetnoantropologiche del nuovo millennio (a cura di Emanuela Rossi, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021); I Musei della Dea, Patron edizioni Bologna 2023). Nel 2018 ha ricevuto il Premio Cocchiara e nel 2022 il Premio Nigra alla carriera.
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