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Stazzi e città-natura in un libro di Lidia De Candia

contentdi Pietro Clemente 

Spesso i libri che riguardano i luoghi, le aree, il territorio variegato dell’Italia sono caratterizzati da sistemi ampi di analisi di dati statistici, oppure giocati su singole comunità, oppure le teorie di riferimento mettono le rilevazioni quasi in nota. In ogni caso quasi mai si dà la voce ai protagonisti. Difficile trovare l’equilibrio tra approcci teorici e dati, tra territori parziali e tendenze generali, tra voce di chi scrive e voci di chi l’autore ha incontrato. In 350 pagine dense, nel volume Territori in trasformazione. Il caso dell’Alta Gallura (Donzelli 2023), Lidia De Candia sembra riuscire in questa impresa. Lidia è un architetto [1] che ha aperto dialoghi larghi, con altre discipline, felicemente irrispettosa dei confini.

Le sue pagine sono dense di bibliografie trasversali, ci sono anche io tra gli autori citati e vicino a me Placido Cherchi. Che vuol dire che Lidia De Candia non ha trascurato l’antropologia culturale ma nemmeno le riflessioni teoriche che Cherchi fece nascere dall’etnologia di Ernesto De Martino. Tracce del dibattito postbellico sull’esistenzialismo e la fenomenologia nel rapporto col marxismo. C’è molta antropologia nei suoi riferimenti, ma anche geografia, urbanistica, sociologia, e assai più, ci sono queste discipline coniugate verso il mondo rurale. Campeggia la nozione ampia ed aperta di paesaggio, di paesaggio culturale, nozione che è anche al centro del suo insegnamento nel campo dell’Architettura e che avvicina le discipline.

9791221501155_0_536_0_75Condivido con lei alcune delle tematiche trattate, in specie quel che chiamo ‘porre il centro in periferia’, ovvero un nuovo sguardo sui territori marginali visti come punto di riferimento di una idea nuova del futuro. Condivido anche il dialogo con la Società dei Territorialisti/e e i temi che ha posto sul tappeto (di recente è uscito un volume plurale su Ecoterritorialismo a cura di A. Magnaghi e O. Marzocca) e con le problematiche del Riabitare l’Italia. In condivisione sento anche l’editore Donzelli, che ha scelto di costruire una collana e anche una Associazione sul Riabitare l’Italia. Anche io, come Lidia Decandia, per occuparmi di piccoli paesi e di zone interne devo uscire dalla mia disciplina di antropologo culturale e cercare rinforzi.

Inoltre al cuore delle pagine del suo libro c’è il tema della ’coscienza di luogo’, un tema proposto anni fa nel dialogo tra Becattini economista dei distretti e Magnaghi urbanista.

Alta Gallura (ph. Pietro Clemente)

Alta Gallura (ph. Pietro Clemente)

L’Alta Gallura, che dà nome al sottotitolo ed è campo della ricerca, viene studiata come terra di ritorni, e chi torna ha una altissima ‘coscienza di luogo’. Nelle pagine di Decandia c’è insieme l’attenzione alla riflessione teorica internazionale e ai singoli e minuscoli luoghi del territorio. Diciamo che la prima legittima e rinforza i secondi. Anche il suo linguaggio è rivelatore di una passione non solo descrittiva ma culturale e sociale. Sarebbe impensabile nella saggistica anglosassone un titolo come: ritornare a camminare lenti sul territorio. Oppure Guardare il buio per cogliere gli embrioni del mutamento, o Schegge di mondi urbani diluiti nella natura. Si sente già nella scrittura il desiderio di produrre una saggistica di impatto sulla vita, attenta ai problemi e alle pratiche più che ai revisori delle riviste scientifiche ed un approccio ermeneutico e/o dialogico al mondo dei soggetti della ricerca.

Il suo libro Territori in trasformazione. Il caso dell’Alta Gallura è sintesi di una progettazione architettonica che si tuffa negli spazi reali, li guarda da vicino, ne trae segnali che cerca di rilanciare perché diventino diffusi, si facciano movimenti o speranze di movimenti.  

Alta Gallura (ph. Pietro Clemente)

Alta Gallura (ph. Pietro Clemente)

Al cuore del libro c’è il dinamismo attuale della Gallura: «Un territorio in attesa tra passato e presente»; «Una sorta di serbatoio a multistrati» in cui si sono mescolate esperienze e vicende che rendono il territorio tutt’altro che semplice, uniforme o ‘liscio’, ricco invece di possibili ‘rughe’, conformazioni profonde, pronte a riattivarsi e rivalorizzare processi. Un territorio che rischia fortemente di essere bloccato da una idea turistica unilineare che ne congela le caratteristiche in una dimensione statica e stagionale, un turismo aggressivo che andrebbe totalmente riprogettato secondo l’idea guida del libro, quella di una città-natura. Una nuova dimensione urbana a tutto campo in cui centro e periferia si interconnettono e si potenziano reciprocamente riequilibrando i guasti prodotti dall’impoverimento delle periferie, dall’esodo, dall’incuria del paesaggio, e della concentrazione delle risorse verso la dimensione del turismo e non della produzione qualitativa per la sussistenza.

Alta Gallura (ph. Pietro Clemente(

Alta Gallura (ph. Pietro Clemente)

Dell’Alta Gallura Lidia Decandia analizza la profondità e le mutazioni storiche, anche nei tempi lunghi e lunghissimi del territorio, per porre in risalto la dimensione dello ‘stazzo’, specifica dell’area gallurese e centro di possibili nuove configurazioni territoriali. È un po’ come l’idea guida di Giacomo Becattini sui distretti, come luoghi in cui l’esperienza umana di lungo periodo ha prodotto un dialogo denso con il paesaggio, basato su competenze specifiche, tali da trasmettersi nelle generazioni quasi in modo incorporato, e da produrre secondo il suo lessico una sorta di ‘molla’ che favorisce anche nella contemporaneità azioni conformi a quella vocazione del paesaggio umano e produttivo. «Molle caricate nei secoli» [2], i distretti hanno successo quando ascoltano una vocazione territoriale che Becattini oppone al modello spaesante e dislocato del capitalismo internazionale. È questo anche il significato dell’esergo che apre la seconda parte del libro di Decandia, da W. Benjamin: «Nella storia nulla di ciò che è avvenuto deve essere dato per perso. Certo solo a una umanità redenta tocca in eredità il suo pieno passato».

Nella seconda parte del libro Decandia analizza, dentro lo scenario dell’abbandono e della concentrazione sulle coste, le tracce di una controtendenza, anch’essa ha più momenti e più strati, ma tende ad accentuarsi negli ultimi decenni:

«Uno sciame di persone, talvolta in fuga da realtà metropolitane, alla ricerca di nuove modalità di vivere e di abitare sta riscoprendo, infatti, proprio in maniera inedita quei buchi “densi di natura e di storia” che lo spostamento della popolazione nei territori costieri aveva prodotto» (ivi: 52). 
Alta Gallura (ph. Pietro Clemente)

Alta Gallura (ph. Pietro Clemente)

Il volume racconta quindi le storie dei ‘pionieri’, quelli arrivati negli anni dopo il ’69, tra fine settanta ed anni ottanta. Molti erano tedeschi e lombardi. Eredi di una generazione contestatrice venivano da una idea di vita e di rapporto con la natura completamente opposta a quella dominante, spesso volevano creare comuni, sia agricole che di vita. sottratte al modello familista e monogamico. Un fenomeno analogo c’è stato anche in Toscana e in altre regioni italiane. Quei pochi che sono rimasti in Gallura sono traccia significativa di una rete nazionale, a Siena dove vivo c’è ancora la Comune di Bagnaia, impegnata nell’ agricoltura biologica, e nella montagna pistoiese c’è la più importante e radicale di quelle esperienze, gli ‘Elfi del Gran Burrone’ che hanno vissuto dagli anni ‘80 con forme di agricoltura tradizionale di sussistenza ma legata anche a una rete internazionale di villaggi a vocazione simile.

Alta Gallura (ph. Pietro Clemente)

Alta Gallura (ph. Pietro Clemente)

Lo stazzo centro produttivo storico della agricoltura/allevamento della Gallura trasformato in agriturismo che produce e pratica regole di parsimonia e di rispetto del paesaggio ha dei nessi storici con la Comune di Bagnaia e anche con gli Elfi, fanno parte di un primo strato di ritorno alla terra in gran parte disperso, ma ancora attivo, che entra – secondo l’analisi di Decandia – a far parte delle tracce, dei semi, di un territorio ricco di strati utili del passato. Così per la forma ‘stazzo’ riabitato connesso con una rete di nuove presenze contadine innovative si apre la possibilità di essere parte del progetto di città-natura che Decandia propone (gli stazzi come nodi di reti transcalari).

In progressione il libro analizza esperienze recenti e attive nel presente, spesso innovative ma rispettose con modelli di una agricoltura/allevamento contadina che non ha per scopo solo il profitto. Molti di questi ritornanti sono nipoti che tornano sulle terre e con le memorie dei nonni. Nella parte finale il libro analizza musei ed eventi, come i festival, che non hanno scopi di incoraggiare un turismo di passaggio ma di riscoprire il territorio nella sua polimorfa varietà e ricchezza, e rivelarlo ai suoi stessi abitanti in cui l’arte e la musica sono di grande riferimento (Maria Lai, Paolo Fresu).

Alta Gallura (ph. Pietro Clemente)

Alta Gallura (ph. Pietro Clemente)

Il libro si conclude con l’analisi dei fattori il cui potenziamento renderebbe possibile un progetto di forte cambiamento del territorio rinforzandone l’originalità storica. C’è nelle parole dell’autrice una evidenza delle possibili azioni razionali e collettive che potrebbero modificare gli orientamenti megaturistici del territorio e potenziare i segni del ritorno positivo ai paesi e agli stazzi. Ma nel leggere si intuisce anche che la realtà è fatta da altre forze e tendenze e che il ripopolamento della zone marginali non è certo condivisibile dai soggetti che puntano al grande turismo e all’agricoltura commerciale. La consapevolezza di queste distanze conferisce alle sue parole, spesso densamente poetiche, il senso di una progettualità almeno in parte utopica, da conquistare con la trasformazione delle coscienze e la critica dello stato delle cose.

Alta Gallura (ph. Pietro Clemente)

Alta Gallura (ph. Pietro Clemente)

Ma resta che a livello di suolo è un libro concreto così da potere essere rivissuto nei luoghi raccontati, da potere essere vissuto sul campo. La varietà delle esperienze locali nell’Alta Gallura, il coraggio di chi le agisce, ma anche la mancanza di un orientamento dell’economia nazionale verso le aree interne sono i fattori che fanno anche intuire il dramma e il rischio delle esperienze che abbiamo incontrato, in controtendenza rispetto al mercato.

L’augurio è che crescano e che si potenzi il coordinamento tra di esse in reti sempre più ampie capaci di orientare politiche di vasta scala. Nella certezza comunque che esse stanno lasciando tracce – dice Linda Decandia – in un territorio complesso e stratificato capaci di essere anche semi fecondi di nuovi ritorni. Sono convinto che la linea di riabitare l’Italia periferica e di rilanciare produzioni locali con comunità energetiche comunitarie sia quasi obbligatoria per una umanità che non si voglia autodistruggere. 

Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024
Note
[1] Gallurese, formatasi tra l’Università di Firenze e quella di Roma, De Candia insegna Pianificazione territoriale e Storia della Città e del Territorio nella Facoltà di Architettura dell’Università degli di Studi di Sassari ed è membro del Collegio dei Docenti del Dottorato di Tecnica e Pianificazione Urbanistica, presso la Facoltà di Ingegneria, Università degli Studi “La Sapienza” di Roma
[2] Giacomo Becattini, La coscienza dei luoghi. Il territorio come soggetto corale, Roma, Donzelli 2015

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Pietro Clemente, già professore ordinario di discipline demoetnoantropologiche in pensione. Ha insegnato Antropologia Culturale presso l’Università di Firenze e in quella di Roma, e prima ancora Storia delle tradizioni popolari a Siena. È presidente onorario della Società Italiana per la Museografia e i Beni DemoEtnoAntropologici (SIMBDEA); membro della redazione di LARES, e della redazione di Antropologia Museale. Tra le pubblicazioni recenti si segnalano: Antropologi tra museo e patrimonio in I. Maffi, a cura di, Il patrimonio culturale, numero unico di “Antropologia” (2006); L’antropologia del patrimonio culturale in L. Faldini, E. Pili, a cura di, Saperi antropologici, media e società civile nell’Italia contemporanea (2011); Le parole degli altri. Gli antropologi e le storie della vita (2013); Le culture popolari e l’impatto con le regioni, in M. Salvati, L. Sciolla, a cura di, “L’Italia e le sue regioni”, Istituto della Enciclopedia italiana (2014); Raccontami una storia. Fiabe, fiabisti, narratori (con A. M. Cirese, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021); Tra musei e patrimonio. Prospettive demoetnoantropologiche del nuovo millennio (a cura di Emanuela Rossi, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021); I Musei della Dea, Patron edizioni Bologna 2023). Nel 2018 ha ricevuto il Premio Cocchiara e nel 2022 il Premio Nigra alla carriera.

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