L’Italia come via d’accesso privilegiato alla cultura occidentale
Questo tema verrà qui affrontato secondo un’ottica culturale. Il primo punto di vista è quello della diplomazia culturale italiana, e perciò esamineremo gli elementi sui quali insiste la diplomazia culturale italiana, non solo orgogliosa del grande passato del Paese, ma anche della maniera in cui esso viene attualizzato nell’Italia odierna.
L’altro punto di vista riguarda l’atteggiamento della Corea del Sud nei confronti del Paese che, insieme alla Grecia, è il più antico testimone del fiorire e dello sviluppo della cultura occidentale. Per investigare cosa possa significare questa realtà per un Paese che fino agli ultimi due secoli non aveva sentito il bisogno di rapportarsi alla cultura occidentale non basta soffermarsi sugli aspetti economici e sui conseguenti rapporti, indubbiamente fondamentali con un influsso fortemente promozionale anche a livello linguistico, essendo Italia e Corea del Sud due Paesi fortemente industrializzati. Perciò, innanzi tutto, indirizzeremo l’analisi a livello storico e culturale, mostrando alcune specificità non sempre conosciute e individuando anche, a livello promozionale, spunti sui quali non sempre si è soliti indugiare nonostante la loro importanza ideale e operativa.
La civiltà romana, insieme a quella greca, si colloca nel cuore della storia dell’Occidente, e la lingua più direttamente derivata dai romani, (l’italiano per l’appunto), è uno straordinario mezzo per accedervi anche se non l’unico e, quando ad esso si ricorre, si genera una particolare empatia tra passato e presente, tenuto anche conto che, per diversi aspetti riscontrabili nelle diverse fasi storiche dell’Italia (dal Medio Evo agli anni eccezionali del Rinascimento e poi fino ad oggi) possono essere considerati un’espressione delle virtualità insite nella cultura romana. Quando nasce questa empatia tra l’Italia e il Paese estero, diventa più agevole la diffusione della lingua e della cultura italiana: queste brevi riflessioni sono indirizzate in tal senso.
La storia della Corea e il suo riferimento alla Cina, al Giappone e agli Stati Uniti
La concezione che la Corea ha maturato di sé dopo la Seconda guerra mondiale viene qui riproposta analizzando la letteratura prodotta nel Paese, mostrando che dopo il tradizionale riferimento ai vicini Paesi asiatici (Cina e Giappone) si è determinata un’apertura agli Stati Uniti e, infine, all’Europa. La Corea, pur fortemente nazionalista e attaccata ai valori tradizionali, è anche portata a conoscere meglio la propria realtà confrontandosi con altre culture.
La Cina ha esercitato sempre una grande influenza attraverso la diffusione dei suoi numerosi testi scientifici, storici e filosofici. Dopo la sconfitta cinese nella guerra sino-giapponese del 1894-95 [1], la Corea si chiuse totalmente in se stessa, mantenendo un rapporto solo con la Cina, basato sulla sudditanza all’impostazione confuciana, secondo la quale il presente altro non è se non una degenerazione della grandezza del passato, con la conseguente accentuazione dell’importanza dei valori tradizionali.
La Corea si dichiarò ‘Stato eremita’ [2] la cui chiusura durò fino alla prima dell’occupazione da parte del Giappone (1910-1945), Paese che invece aveva dato il via all’occidentalizzazione dal 1853. Sentendosi minacciata, la Corea era convinta di essere chiamata a doversi ad operare come custode dei valori antichi cinesi. Per questa ragione effettuò più volte una dura politica di persecuzione contro la comunità cattolica in diversi anni: 1785, 1791, 1795, 1839, 1846, 1866, 1868, 1871, 1873. La maggior parte dei martiri fu costituita da preti impregnati pastoralmente, cittadini e coreani convertiti [3].
Dopo la liberazione dal Giappone la Corea fu duramente provata dalla guerra civile, che provocò la divisione in due Stati che tuttora permane. Questo orientamento, però, fu di pregiudizio, alla maturazione dell’identità nazionale, all’autocoscienza dei coreani come specifico Paese e all’apertura e all’innovazione.
Nell’immediato dopoguerra la Corea chiuse totalmente le porte alla modernizzazione, che invece nel contempo, come prima accennato, veniva avviata decisamente dai giapponesi, ai quali la quota degli intellettuali coreani più desiderosi di apertura, iniziò a fare riferimento, spinta dalla convinzione che la civiltà occidentale fosse il modello da seguire a fronte della crisi della cultura cinese. Questa chiusura impedì ai coreani anche la conoscenza dell’Occidente, essendo d’ostacolo alla traduzione delle sue opere. Queste, però, iniziarono a essere tradotte [4] dagli studenti che si trovavano in Giappone, in Russia e in Cina, con gli inconvenienti, prima citate, inevitabili nelle traduzioni mediate e non condotte sui testi originali. Durante l’occupazione del Giappone la mancanza di uno spirito innovativo portò a un totale asservimento della cultura di quel Paese.
Il periodo di isolamento, iniziato nell’immediato dopoguerra, fu caratterizzato da una politica isolazionista, xenofoba e ostile al mondo occidentale. Comunque, dopo la Seconda guerra mondiale gli intellettuali iniziarono a considerare gli Stati Uniti come un modello di libertà e di uguaglianza [5] da preferire, mentre restava ancora del tutto lontana dai loro interessi l’immagine dell’Europa. Ma l’atteggiamento nei confronti degli americani andò ben presto modificandosi. A influire su questo cambiamento furono anche le reazioni dei migranti coreani recatisi a vivere in quel Paese, che si sentirono smarriti in un contesto a loro del tutto estraneo alla loro cultura. Pertanto, nella letteratura pubblicata in Corea l’immagine americana andò tingendosi sempre più di tonalità negative [6].
La tardiva apertura all’Europa con un atteggiamento ambivalente
Nel periodo di isolamento, durato fino al primo accordo commerciale con il Giappone (1965 circa 60 anni dopo il precedente accordo del 1905), fu attuata una severa censura. Solo a partire dal 1987, durante la sesta repubblica del presidente Rho Tae-woo, gli intellettuali coreani poterono manifestare liberamente le loro idee all’interno e poterono anche recarsi all’estero. E così iniziò in questo periodo la conoscenza dell’Europa, che apparve ai loro occhi molto diversa dall’America per l’accentuazione degli aspetti culturali, artistici e sociali che andavano ben oltre la mera dimensione economica.
Diverso fu, invece, l’atteggiamento che stava maturando nei confronti dell’Europa. La sua immagine, prima appresa tramite la mediazione americana o giapponese, iniziò a essere conosciuta direttamente dagli studenti o dai turisti coreani recatisi sul posto, così aumentarono le possibilità di entrare in contatto con i testi originali e di ammirare il vasto patrimonio culturale e artistico di quell’area. Ad interessare maggiormente (e ciò è facilmente comprensibile se si tiene conto dei precedenti sviluppi della storia coreana) furono la libertà e l’umanesimo, sui quali vennero esaminate in prevalenza le opere storiche e letterarie (con le loro mitologie) [7]. È opportuno sottolineare che l’apprezzamento nei confronti dell’Europa è stato assoggettato in seguito a un certo ridimensionamento, in quanto per gli intellettuali coreani (ma in tal senso si è espresso anche Umberto Eco) attualmente gli europei si sentono come schiacciati dal fatto di essere gli eredi di una così grande civiltà umanitaria.
Si può dire che i coreani hanno due immagini dell’Europa. La prima immagine li porta a vedere una civiltà antica, perfetta nei suoi contenuti, maturata a beneficio dell’intera umanità, che pone la Morale e la Virtù alla base delle azioni umane per contrastare le ingiustizie, le prepotenze e le sopraffazioni. Il lascito della cultura greco-romana appare agli occhi dei coreani come un fulgido modello d’umanità [8]. La seconda immagine, commisurata alla realtà attuale, è discontinua rispetto al passato. A generare tale discontinuità sono diversi fattori: il peggioramento a livello morale e culturale che si è diffuso a discapito della tradizione; il degrado ambientale; la disonestà che si riscontra all’interno delle istituzioni e dei pubblici servizi; l’eccesso d’individualismo dei cittadini europei; l’ospitalità ridotta al semplice rapporto di accoglienza turistica su una base esclusivamente commerciale.
Per spiegare la seconda immagine vengono addotti esempi quanto mai concreti, che vanno dai borseggiatori ai taxisti furbi e al personale viaggiante delle ferrovie con le divise non in ordine, alla scarsa pulizia nelle vie delle città e così via. Insomma, la grandezza del passato non coincide del tutto con quanto si riscontra nel presente, specialmente, con l’abuso della libertà.
L’Europa ha inciso sulla Corea anche con un suo importante evento. Infatti, la riunificazione tedesca del 1989 ha risvegliato il sogno di riunificazione delle due parti in cui il Paese è attualmente diviso per poter ritornare alla storia unitaria che durò per secoli (676~892) [9]. In generale, per i coreani la difesa dei valori tradizionali comporta anche l’impegno per ritornare allo splendore del passato. Quindi la seconda immagine, che i coreani hanno dell’Europa, è completamente ottimistica, e porta a considerare questo continente titubante nell’onorare il suo grande passato. Non manca qualche tiratina anche per l’Italia.
Il pensiero dei coreani è tradizionalmente attraversato da una tendenza al pessimismo, unito a sentimenti di nazionalismo, romanticismo e nichilismo. È stato sempre confermato l’attaccamento a un passato, l’unica base che aiuta a sperare in un mondo ideale. Per questo motivo i coreani vedono nell’antica civiltà europea la chiave della loro speranza, un modello da riprendere nei suoi tratti fondamentali: l’uguaglianza (tema legato alla modernizzazione) e la libertà (tema legato alla democrazia).
I primi contatti con la Corea e i rapporti diplomatici con il Regno d’Italia
I primi contatti tra la Corea e l’Italia iniziarono nel XVII secolo grazie ai preti italiani impegnati nell’evangelizzazione in Cine e in Giappone [10]. La prima richiesta di scambio commerciale avvenne nel 1866 e fu inoltrata dall’ammiraglio del Regno del Piemonte Vettor Pisani, ma si pervenne alla firma dell’accordo il 26 giugno 1884 [11]. La prima sede diplomatica del Regno d’Italia si costituì a Seoul nel 1902 e fu operativa fino al mese di maggio del 1903, mentre si interruppero le relazioni diplomatiche durante l’occupazione giapponese. L’Italia, pur non facendo parte dell’ONU, inviò soccorsi umanitari per concorrere all’assistenza medica tramite 128 marinai durante la guerra civile (1950-1953), dando continuità al suo impegno fino al mese di gennaio del 1955.
Vennero riprese le trattative per ristabilire le relazioni diplomatiche, obiettivo che si raggiunse il 16 aprile del 1959 con la riapertura dell’ambasciata d’Italia a Seoul. D’allora sono stati sottoscritti e attuati diversi accordi, ma come vedremo nell’ambito linguistico culturale la situazione non è del tutto soddisfacente.
Un coreano, nel XVII secolo, precursore nell’apprendimento dell’italiano
La storia di Antonio Corea, recante come cognome la denominazione del suo Paese di nascita, ci porta attraverso eventi avventurosi e inusuali fino al comune di Albi in Calabria [12].Egli era uno dei quattro schiavi coreani deportati in catene a Nagasaki in Giappone durante l’invasione giapponese (1592-1597). Nella città di Goa qui fu venduto al mercante e viaggiatore fiorentino Francesco Carletti. Antonio aveva già imparato l’italiano in Giappone, probabilmente presso i missionari cattolici. Durante il viaggio di ritorno in Italia, iniziato nel 1601 a bordo di una nave portoghese, i passeggeri furono depredati da pirati olandesi presso l’Isola di Sant’Elena. Seppure imprigionati, riuscirono a liberarsi e, finalmente, Francesco Carletti e Antonio Corea riuscirono ad arrivare a Firenze nel 1606. A questo punto le tracce di Antonio Corea si persero, potendo muoversi a suo piacimento. Infatti, Francesco Carletti lo aveva reso un uomo libero, come da lui precisato nelle sue memorie del 1701 [13]. Carletti ipotizzava che Antonio si trovasse a Roma e pare che di ciò vi sia una conferma. Infatti, si suppone che il pittore Peter Paul Rubens l’avesse incontrato a Roma e, l’avesse preso come modello per il quadro Uomo in costume [14]. Il quadro fu venduto nel 1983 da Sotheby’s per la rilevante somma di 324,000 sterline. La Corea considera il dipinto un simbolo delle tristi conseguenze della schiavitù e anche dell’imperialismo.
Di tempi recenti la curiosità suscitata da questo personaggio, venuto da un posto così lontano, ha mobilitato i mass media e una troupe televisiva si è recata in Calabria nel 1982. All’indubbia dimensione storica e interculturale si sono aggiunte una fervida fantasia e si è mosso lo stesso mondo accademico. Lo storico giapponese Masayuki Yamaguchi ha sostenuto che tra gli abitanti di Albi vi siano anche i discendenti di Antonio Corea, come attestato dalla diffusione del cognome “Corea” a Catanzaro, capoluogo della Calabria. Secondo altri autori il cognome ‘Corea’ è molto comune anche in Spagna [15]. Si è anche supposto che Albi, essendo stata per un certo periodo sotto la dominazione spagnola, sia stata soggetta alla contaminazione dei cognomi. per altri ancora si tratta di una semplice coincidenza con la parola greca crea. Ad ogni modo, ritornando al nucleo centrale dell’evento, Antonio Corea fu il primo coreano ad imparare l’italiano e anche il primo a diventare cittadino della penisola, allora ripartita in diversi Stati e non unificata.
La grande attenzione rivolta dai coreani all’Italia negli anni 2000
Dopo il crollo del muro di Berlino i coreani hanno avuto più facile accesso alla scienza e alla cultura degli altri Paesi, potendo fruire della libertà di recarsi sul posto. Tuttavia il vero senso della libera circolazione è iniziato negli anni 2000 con l’introduzione del concetto “ferie/vacanza”. Fino ad allora le ferie erano considerate tempo libero durante il quale si potevano sbrigare le faccende private: pensare all’aggiornamento personale con la frequenza di alcuni corsi, occuparsi delle faccende domestiche, sottoporsi a controlli medici, ecc. In questi ultimi decenni, invece, si è iniziato a visitare luoghi di rilevanza storica e architettonica e ad ammirare bellezze paesaggistiche e artistiche non attraverso il filtro dei giapponesi e degli americani, bensì spostandosi di persona.
I coreani apprezzano la Francia e l’Italia e considerano questi Paesi una tappa indispensabile del loro viaggio culturale in Europa, in quanto espressione previlegiate della cultura umanistica. Tuttavia, di fatto, i coreani si sentono più vicini all’Italia per le vicissitudini storiche e culturali, essendo tra l’altro i due Paesi entrambi penisole, e quindi, si può riscontrare già una prima empatia nella loro collocazione geografica. A ciò si aggiunge che si tratta di due “Paesi ponte”: l’Italia è tra l’Africa e il Centro-nord Europa e la Corea tra il Giappone e la Cina/la Russia; con le implicazioni e contaminazioni di natura economica, culturale e linguistica.
Nella loro evoluzione storico-culturale come nazioni hanno assunto una grande importanza, in Italia la nascita del volgare, e in Corea l’invenzione dell’alfabeto coreano. Pertanto, alla luce di questi aspetti, ai coreani l’Italia è più vicina di quanto possa sembrare, e com’è accennato già nelle loro rispettive collocazioni geografiche si riscontra un’allusione a livelli di scambio più profondi.
Per promuovere la cultura italiana in Corea del Sud
La storia della Corea appare segnata dalla necessità di comporre passato e presente, collegarsi con quei periodi precedenti per riuscire a progettare bene il proprio futuro, fare leva sulla fedeltà quando ci si apre all’innovazione, insistere sempre sull’impegno personale: relativamente a queste prospettive gli europei (gli italiani inclusi) non risultano essere il riferimento ideale per i coreani.
Di questi elementi bisogna tenere conto nella politica di diffusione della cultura e della lingua italiana in Corea, senza limitarsi alla prima immagine che i coreani hanno del vecchio continente (la grandezza socio culturale del suo passato) e, tenuto conto anche dei loro rilievi critici, cercando di insistere sugli aspetti del nostro presente più confacenti alle loro attese. Questo sforzo comporta una riflessione approfondita sul Paese al quale l’Italia si propone, come anche si richiede una riflessione altrettanto approfondita sugli aspetti della cultura italiana per cercare di essere in grado di insistere su quelli più consoni ai coreani.
Per i coreani è importante sentirsi parte di una comune realtà culturale, dell’intera famiglia del pianeta, inseriti nell’ambito della universalizzazione concettuale da realizzare attraverso l’odierna globalizzazione. L’anelito a una salda unione con una nobile realtà universale [16] ha sempre comportato per la Corea un prezzo molto alto da pagare al punto che, come abbiamo visto, per non pregiudicare questo legame si è dichiarata Stato Eremita con una conseguente chiusura totale.
Questa visione può essere giudicata negativamente come una mera posizione rinunciataria, nient’altro che un tentativo di rifugiarsi nel passato. Tuttavia, ad avviso di chi scrive, in essa si può ravvisare la tensione a un mondo più autentico, in cui tutti i popoli siano uniti per il tramite di comuni elementi culturali, come a suo modo fece la cultura greco-romana in Occidente, da considerare ancora oggi il punto di riferimento (anche se non unico), nell’elaborazione di una visione del mondo.
Scendendo a livello di esempi, per attuare confronti più approfonditi tra le due culture, mi pare che la reincarnazione orientale altro non sia che il concetto di metempsicosi. L’assoggettamento della persona al ciclo delle rinascite in corpi diversi, in periodi temporali altrettanto differenti, offre diverse occasioni per poter riscattare il senso di una vita ideale.
Un altro esempio riguarda il confronto tra il pathos greco con quello coreano, la reminiscenza leopardiana con quella coreana e via discorrendo. I Coreani ritengono che in ogni civiltà vi sia un filo invisibile con cui non solo tutte le forme culturali differenti del mondo siano connesse, ma credono anche che tra la civiltà di ieri e quella di oggi vi siano interconnessioni. Da ciò deriva uno stimolo a individuare, quando l’Italia propone la sua cultura alla Corea, quali siano i temi da privilegiare. Senz’altro è ipotizzabile che la diplomazia culturale, distanziandosi in parte dai temi che in altri contesti sono di sicura efficacia, possa anche tenere conto della specifica sensibilità di questo popolo.
Alcuni esempi possono essere illuminanti: le storie d’integrazione degli italiani nei vari Paesi del mondo e la visione antropologica che se ne ricava, l’Intercultura e la mediazione interculturale, il volontariato, il sistema di sicurezza sociale, l’educazione dell’infanzia nel pensiero dei grandi autori del secolo scorso a partire dalla Montessori, l’ecumenismo religioso e la convivenza interreligiosa, l’evoluzione del cattolicesimo dopo il Concilio Vaticano II, la storia della tolleranza in Italia, l’impostazione dei valori fondamentali nella carta costituzionale, il futuro delle società multietniche, il razzismo e così via. In questo modo i due Paesi sarebbero più vicini non solo in ragione dell’apprezzato passato europeo ma anche di un fruttuoso confronto con aspetti riscontrabili nella società odierna.
L’attuale diffusione della lingua italiana in Corea
Già nel 2009, da una rilevazione dovuta a una iniziativa promossa dalla Fiera dello studente, risultava che l’italiano era in settima posizione tra le lingue studiate in Corea dopo il cinese, il giapponese, l’inglese americano, il francese, il tedesco e lo spagnolo. Precisiamo che nel corso del Novecento la lingua e la cultura italiana hanno conosciuto una diffusione limitata solo a ristretti ambiti specialistici a differenza dell’enorme diffusione dell’inglese americano e anche, se non nella stessa misura, del giapponese, del francese e del tedesco. A favorire la diffusione linguistica non ci sono stati in Corea gli emigrati italiani, come invece è avvenuto in molti altri Paesi. Si può dire che questa è stata un po’ un’area inesplorata fino agli anni a cavallo del nuovo millennio.
Si possono così ripartire gli aspetti riguardanti la diffusione della lingua e della cultura italiana nella Corea del Sud: l’insegnamento nelle scuole secondarie; l’insegnamento nelle università; l’attività dell’Istituto Italiano di cultura; altri tipi d’insegnamento in ambito extrascolastico.
In Corea il ciclo della scuola che porta al conseguimento del diploma di maturità dura 12 anni (uno in meno rispetto al ciclo seguito in Italia) ed è così ripartito: scuola elementare 6 anni, scuola media 3 (con essa finisce la frequenza obbligatoria) e scuola superiore 3 anni). Questa differenza ha finora portato diverse università italiane a non accettare l’iscrizione sulla base del diploma di maturità coreano, pregiudicando così l’afflusso di un maggior numero di studenti coreani. È a tutti nota la farraginosità degli ordinamenti nazionali in materia d’istruzione e la difficoltà a riconoscere i titoli rilasciati dagli altri Stati, a meno che non siano intervenuti specifici accordi. Possiamo però osservare che il programma per la maturità in un Paese viene svolto in 13 anni, in un altro viene affrontato (con ritmo più intensivo) in 12 anni. Non esistono attualmente degli accordi con la Corea del Sud per inserire l’italiano come lingua straniera curricolare nel programma del liceo (a differenza di quanto avviene per le lingue straniere prima richiamate). Completando le informazioni, aggiungiamo che la laurea breve della Corea del Sud comporta 4 anni di frequenza e il titolo conseguito dà diritto all’iscrizione alle università italiane.
Attualmente l’italiano viene insegnato presso più di 49 strutture coreane [17]. Qui di seguito alcune indicazioni su Università, Istituti universitari e College nelle più importanti città coreane:
Hankuk University of Foreign Studies [18]
Catholic University of Daegu
Busan University of Foreign Studies
Seoul National University
Sogang University [19]
Yonsei University
Chung-Ang University
Daegu University
University of Soong Sil
Kyungbook National University
Sungshin Women University
MyungJi University.
Geoje University.
Gimcheon University
Catholic Sangi College
Kangwon Tourism College
Kyongbuk Science College
Youngnam Foreign Language College.
A commento di questo elenco si deve porre in evidenza che l’insegnamento dell’italiano, con la possibilità di conseguire la laurea e il dottorato, è garantito presso la Hankuk University of Foreign Studies, la principale università coreana per l’insegnamento delle lingue straniere, come anche presso la Pusan University of Foreign Studies, dove pure opera un fiorente dipartimento di italiano. Inoltre a partire dal 1963 l’insegnamento della lingua italiana viene attivato ufficialmente presso Facoltà per le lingue straniere dell’Università di Seoul, istituita nel 1954, collocata dopo diverse altre lingue (inglese, francese, cinese, tedesco, russo e spagnolo). Il MAECI ha concorso anche all’istituzione di lettorati italiani presso le università coreane.
L’attività dell’Istituto Italiano di cultura di Seoul e altri corsi
Nel 2009 (a cavallo tra il mese di maggio e quello di giugno), il Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napoletano fece una visita di Stato e, approfittando di questo avvenimento eccezionale; Lucio Izzo, direttore dell’Istituto Italiano di Cultura rilasciò un’ampia intervista per fare il punto sulla situazione [20]. A studiare l’italiano erano 1.000 nelle università e 200 presso i corsi promossi dall’IIC. A questi studenti bisogna aggiungere quelli iscritti ai corsi organizzati al di fuori delle strutture italiane (IIC) e delle università coreane di circa 2.000 l’anno.
Gli accresciuti rapporti economici tra i due Paesi fecero sì che il numero dei neo laureati in italiano non fossero sufficienti rispetto alle richieste in campo accademico (insegnanti d’italiano), in campo economico (manager bilingue e addetti commerciali) e culturale (traduttori e interpreti). Perciò veniva auspicata una più diffusa territorializzazione delle strutture universitarie con cattedre d’italianistica in corsi organizzati direttamente dall’IIC, senza limitarli alla grande area della capitale. Sul versante delle traduzioni delle opere italiane in coreano si riscontrò un’accelerazione grazie anche agli incentivi del MAECI e, al termine delle serrate trattative condotte dall’Ambasciata d’Italia, si aspettava a breve la firma di un accordo bilaterale per il reciproco riconoscimento dei titoli di studio accademico. Intanto rimaneva in attesa di ratifica (attesa purtroppo protrattasi fino al 2019) l’accordo bilaterale per la cooperazione culturale firmato nel 2005) [21].
Gli eventi per la promozione dei prodotti italiani (al tempo circa 80 l’anno) avevano suscitato una grande attenzione verso l’Italia, i suoi prodotti e specialmente nei settori per i quali all’Italia veniva riconosciuta universalmente il livello d’eccellenza. L’interscambio commerciale ne stava traendo un grande vantaggio e veniva incentivata la partecipazione degli studi italiani d’architettura per concorrere alle realizzazioni delle grandi opere infrastrutturali in Corea, come anche la collaborazione tecnologica con il Paese dotata della rete internet più sviluppata al mondo e con (in proporzione) il maggior numero di utenti.
L’empatia tra i due Paesi non era basata solo su quello che è appariscente come l’economia, annotava il direttore dell’IIC Lucio Izzo, (come anche da noi posto in evidenza queste riflessioni): «l’attenzione non era rivolta al solo sviluppo economico, ma ancora alla ricerca di modelli culturali che permettano di coniugare la tradizione con l’innovazione, l’utile con il bello, come l’Italia invece sa fare da sempre». Il direttore dell’IIC, nella citata intervista, teneva a sottolineare l’effetto linguistico positivo esercitato dalla presenza in loco di una comunità di cattolici (leggermente superiori al 10% dei residenti), «che considerano l’italiano lingua franca della Chiesa Cattolica e che costituiscono un importante ponte culturale tra i due Paesi a cui Ambasciata ed Istituto dedicano una particolare attenzione». Sarebbe stato interessante confrontare i dati, riportati dal direttore dell’IIC di Seoul in un’intervista del 2009, con quelli presentati agli Stati Generali del 2014, del 2016 del 2019 (relativi questi ultimi all’anno scolastico/accademico 2018-2018). Nelle prime due sessioni degli Stati generali il MAECI non ha assegnato alcun dato statistico alla Corea del Sud, mentre per l’ultima sessione riporta come totale complessivo 2.132, riferibili agli studenti che frequentano l’università e i corsi dell’IIC di Seoul. In un lasso di tempo di otto anni i progressi numerici degli iscritti non sono stati così significativi come l’intervista citata portava a sperare.
È risaputo che la grave crisi economica del 2008 ha inciso pesantemente sullo studio delle lingue estere e che a diffusione dell’italiano ha trovato difficoltà che prima non aveva incontrato. Inoltre, non è escluso che tra gli studenti iscritti a corsi non organizzati in ambito pubblico l’aumento sia stato più sensibile anche se di difficile documentazione. Per gli anni successivi, e cioè dal 2018 ad oggi il MAECI non ha più diffuso dati disaggregati e neppure si dispone di dati di fonte coreana, per cui è difficile pronunciarsi sull’attuale stato di diffusione della lingua italiana in Corea del Sud.
Il tardivo inserimento dei libri italiani nelle traduzioni e il recente recupero [22]
La Corea, un Paese peninsulare, ponte tra le culture, mostra questo suo carattere nell’apertura alle letterature degli altri Paesi e nell’elevato numero delle traduzioni. Come prima accennato, fino alla fine della guerra fredda la Corea non aveva avuto nessun contatto diretto con il mondo esterno. Durante questo periodo tutte le opere straniere venivano diffuse attraverso il filtro di altre lingue straniere [23] (il cinese, il giapponese, il francese, lo spagnolo e l’inglese americano).
L’interesse all’arricchimento della cultura personale favorì la traduzione di diversi testi classici nonché le biografie di diversi uomini illustri. Queste traduzioni riguardarono anche La Divina Commedia, la mitologia greca e latina, La metamorfosi di Ovidio e via discorrendo.
Nel lungo periodo dell’occupazione del Paese da parte dei giapponesi (1910-1945) la loro rigida politica ideologica influenzò la scelta dei testi tradotti. Furono scelte le opere di Albert Camus, Franz Kafka, Fedor Dostoevskij, André Gide, Herman Hesse, Johan Wolfgang Goethe, Ernest Hemingway, Gabriel Garcia Marquez, etc. Le opere italiane tradotte in precedenza furono poche, oltre al capolavoro di Dante e, per giunta, effettuate non direttamente dal testo originale italiano. A partire dagli anni 2000 sono iniziate le traduzioni dai testi originali, evitando così il filtro di un’altra lingua.
Negli ultimi anni è andata crescendo l’attenzione al libro italiano con lo sguardo rivolto non solo alla narrativa ma anche alla saggistica. Ribadiamo che i primi libri italiani sono stati letti in Corea nelle traduzioni effettuate da altre lingue estere, tra le quali il francese e il tedesco, lingue più conosciute per la loro rilevanza nel settore amministrativo e nel settore scientifico.
Naturalmente questo promettente ambito d’impegno merita di essere potenziato, ricorrendo agli specifici incentivi del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione internazionale. La fine della prima decade degli anni Duemila, nell’ambito diplomatico italiano a Seoul, fu considerato motivo di gande soddisfazione il fatto che il prestigioso Premio Nazionale alla Traduzione fosse stato assegnato nel 2009 dal M.I.B.A.C. alla Prof.ssa Lee Hyun-Kyung per la sua opera di traduttrice.
Sono state notevoli le difficoltà affrontare nella traduzione del La Divina Commedia direttamente dall’italiano, specialmente per quanto riguarda la sua metrica poetica. La sua prima traduzione in coreano risale alla fine del 1950, ma fu una traduzione mediata (a quanto si suppone) dalla traduzione spagnola. Negli anni ’70 sono cominciate le traduzioni dell’opera di Dante ma non nel testo integrale anche da altre lingue estere. Solo dopo il 2007 sono apparse due versioni tradotte in edizione integrale dalla versione italiana.
Ritornando alle difficoltà affrontate nella traduzione va precisato che esse sono state di vario ordine: tecnico, poetico e contestuale nonché per quanto riguarda l’uso di figure retoriche. Tecnicamente è impegnativo trasporre in metrica, con rima incatenata, le terzine in versi endecasillabi. Parimente è difficile trasporre efficacemente nella traduzione le figure retoriche dall’allitterazione agli anacoluti, dall’anafora ai chiasmi, dalle allegorie agli eufemismi, dagli ossimori alla sinonimia, dalle metafore all’ironia, dall’allegoria alle similitudini.
Non bisogna poi dimenticare la complessa struttura dell’opera di Dante: 100 canti, divisi in tre parti di 33 canti ciascuno (Inferno, Purgatorio, Paradiso), più il proemio. Ogni canto consiste in 115 o 160 versi, che fanno riferimento a personaggi illustri, antichi o meno e perfino contemporanei all’epoca del poeta.
Analoghe difficoltà si incontrano nel tradurre in italiano le poesie coreane con terzine di 6 frasi e 12 passi sillabici in totale. Ciò spiega perché non sono finora numerose le opere tradotte in italiano [24]. Il primo poeta coreano a essere tradotto in italiano è stato Ko Un con queste sue raccolte di poesie: L’Isola che canta (casa editrice Lieto Colle, Como, 2009) e Fiori d’un Istante (Casa editrice Foscari, 2006) [25].
Qui di seguito riteniamo opportuno riportare un elenco parziale di opere di autori italiani, classici, moderni e contemporanei, tradotte in coreano:
Autori classici
Dante Alighieri, La Divina Commedia;
Ludovico Ariosto, Orlando Furioso;
Giovanni Boccaccio, Il Decamerone;
Nicolò Macchiavelli, Il Principe;
Francesco Petrarca, raccolta di poesie;
Autori moderni e contemporanei
Italo Calvino, Il visconte dimezzato; Le città invisibili; Il sentiero dei nidi di ragno;
Umberto Eco, il nome della Rosa; il Pendolo di Foucault; La Misteriosa Fiamma della Regina Loana;
Elsa Morante, L’Isola di Arturo:
Alberto Moravia, La donna leopardo;
Pier Paolo Pasolini, Una vita violenta;
Cesare Pavese, La bella estate;
Luigi Pirandello, Raccolta di opere teatrali; Il fu Mattia Pascal;
Italo Svevo, La coscienza di Zeno;
Giovanni Verga, I Malavoglia;
Elio Vittorini, Conversazione in Sicilia.
Conclusioni: l’importanza per l’Italia di essere presenti nell’estremo Oriente
È ormai assodato che il perno dell’economia mondiale si sposterà sempre più a Oriente e non potrà non esercitare un impatto a livello sociale e culturale. Per quest’ultimo riguardo per il quale l’Italia vanta uno straordinario passato, è ipotizzabile un maggiore apprezzamento in quella popolosa parte del mondo, ma non è escluso un beneficio economico, rilevante attualmente per l’inserimento tra le maggiori dieci economie del mondo ma destinato a ridursi nel futuro.
Queste riflessioni sono servite a mostrare la notevole differenza tra il passato storico culturale della Corea e quello dell’Italia, come anche hanno posto in evidenza l’interesse dei coreani al Paese che è stato il centro della cultura romana. Si tratta di affinità elettive, per così dire, che meritano di essere assecondate con la massima attenzione perché sono in grado di condizionare il futuro, anche se attualmente sono supportate da una base quantitativa non trascurabile ma neppure del tutto soddisfacente. Da quanto è stato esposto il futuro può essere più promettente.
Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024
Note
[1] https://it.wikipedia.org/wiki/Prima_guerra_sino-giapponese
[2] La denominazione di “Stato eremita” con cui viene indicata la Corea deriva da Corea: The Hermit Nation di William Elliot Griffis (1843-1972), pubblicato nel 1882. Egli andò in Giappone nel 1870 e lavorò come docente di Fisica e Chimica presso l’università Tokyo.
[3]https://en.namu.wiki/w/%EC%A1%B0%EC%84%A0%EC%9D%98%20%EC%B2%9C%EC%A3%BC%EA%B5%90%20%EB%B0%95%ED%95%B4. https://en.namu.wiki/w/%EC%A1%B0%EC%84%A0%EC%9D%98%20%EC%B2%9C%EC%A3%BC%EA%B5%90%20%EB%B0%95%ED%95%B4. G. de Cespedes, il primo prete gesuita spagnolo operante in Giappone fu inviato dal governo giapponese durante l’invasione del Giappone (1592-1598) in Corea. secondo l’Agenzia Fides del 2023 la comunità cattolica in Corea ha inciso per l’11,3% sulla popolazione coreana. la comunità è presieduta da 2 cardinali e conta 7 università cattoliche.
https://en.namu.wiki/w/%EA%B0%80%ED%86%A8%EB%A6%AD/%EB%8C%80%ED%95%9C%EB%
[4] In realtà il senso vero della traduzione dei pensatori, poeti e filosofici occidentali inizia dal 1895 quali: Omero, Esiodo, Pindaro, Erodoto, Diodoro Siculo, Plutarco, Socrate, Aristotele, John Lock, Francesco Bacone, Newton, Dante, Petrarca, Boccaccio, Lutero, Calvino, Melantone, Lorenzo Valla, Pico della Mirandola, Erasmo, Niccolò Machiavelli, Giambattista Vico, Gaetano Filangieri, Andronico, Catullo, etc.
[5] Il concetto di uguaglianza. dopo le sofferenze subite a seguito dell’invasione giapponese, viene fortemente legato al recupero e come tale riferito anche da autori stranieri, tra i quali al Petrarca, Boccaccio, Lutero, Calvino, Melantone, Lorenzo Valla, Pico della Mirandola, Erasmo, Niccolò Machiavelli, Giambattista Vico, Gaetano Filangieri, Andronico, Catullo.
[6] Rimandiamo alla nostra tesi in letterature comparate: Suk Choi con il titolo Immagine dell’Europa nella letteratura coreana, del Dipartimento di Italianistica dell’università di Roma “La Sapienza”, anno-accademico 2001-2002.
[7] Ci pare opportuno richiamare l’opera Gli dèi della Grecia. L’immagine del divino nello specchio dello spirito greco di Walter F. Otto.
[8] I coreani considerano l’Esistenzialismo francese della metà del Novecento come una nuova rinascita dell’Umanesimo dopo l’Ellenismo e il Rinascimento. Esso viene introdotto attraverso il filtro della letteratura giapponese degli anni ’50 con la traduzione di Le mosche del 1943 di Jean-Paul Sartre, La metamorfosi di Franz Kafka, Il mito di Sisifo e Lo straniero di Albert Camus, Così parlò Zarathustra di Nietzche, Essere e Tempo di Martin Heidegger, Prometeo incatenato di Eschil e altre opere.
[9] https://en.namu.wiki/w/%ED%95%9C%EA%B5%AD%EC%82%AC
[10] Il primo contatto con il prete cattolico spagnolo Gregorio de Cespedes inviato in Corea dal prete gesuita spagnolo Pierre Gomez già operante in Giappone a richiesta del militare giapponese Konishi Yukinaga(小西 行長) nel 1593
(https://dbe.rah.es/biografias/20082/gregorio-de-cespedes. https://en.wikipedia.org/wiki/Konishi_Yukinaga). Tuttavia la diffusione del cattolicesimo ufficiale in Corea risale al tardo XVIII secolo grazie al primo padre coreano Lee Seung-Hoon, convertito e battezzato in Cina e riconosciuto in Corea. In Corea il cattolicesimo non venne considerato ‘una religione’ all’inizio della sua diffusione, ma una scienza occidentale di sani principi all’avanguardia. Ancora oggi tutte le religioni, compreso il vedismo, sono paragonate a ideologie laiche, come ha sottolineato anche lo studioso Tonino Puggioni, La Corea di ieri e di oggi a cura di Enrica Collotti Psiche, Milano, Franco Angeli 1998..
[12] https://farfalleetrincee.wordpress.com/2021/04/12/antonio-corea-il-primo-coreano-di-calabria/
[13] https://it.wikipedia.org/wiki/Antonio_Corea. Il titolo originale del sue memorie “Ragionamenti di Francesco Carletti fiorentino sopra le cose da lui vedute ne’ suoi viaggi si dell’Indie Occidentali, e Orientali Come d’altri Paesi”, pubblicato nel 1701 a Garbo in Firenze presso la casa editrice la Stamperia di Giuseppe Manni.
https://books.google.it/books?id=aBrjSk6gbUwC&printsec=frontcover&hl=it#v=onepage&q&f=false
[14] https://it.m.wikipedia.org/wiki/File:Peter_Paul_Rubens_-_Man_in_Korean_Costume,_about_1617.jpg
[15] ttps://www.unionesarda.it/news-sardegna/sassari-provincia/dalla-corea-a-stintino-la-statua-della-pace-simbolo-della-giustizia-ggpr1gyp
[16] Per dirla con le parole di Earl Miner in Poetiche della creatività: un saggio interculturale sulle teorie della letteratura: «i Cinesi sono inclini a presumere che la letteratura cinese definisca la letteratura universale». La poeticità coreana è nient’altro che la fusione tra sostanza interna ed esterna. Tale orientamento poetico fa perno sulla rappresentanza della realtà, la quale cela una morale destinata a caratterizzarsi come insegnamento dottrinale.
[17] https://blog.naver.com/kkumeloan999/80122093518
[18] il lettorato di Giulia Lea Elia
https://en.namu.wiki/w/%ED%95%9C%EA%B5%AD%EC%99%B8%EA%B5%AD%EC%96%B4%EB%8C%80%ED%95%99%EA%B5%90/%ED%95%99%EB%B6%80/%ED%86%B5%EB%B2%88%EC%97%AD%EB%8C%80%ED%95%99
[19] Il lettorato di Emiliano Pennisi https://scec.sogang.ac.kr/ht_ml/w_04ed/4420.php
[20] Maugeri G., “La promozione della lingua e della cultura italiana a Seul”, https://www.itals.it/articolo/la-promozione-della-lingua-e-della-cultura-italiana-seul-colloquio-con-lucio-izzo
[21] Cfr. l’elenco degli accordi bilaterali in vigore, stilato dall’Ambasciata coreana a Roma, da cui si rileva come gli accordi di natura linguistico-culturale sono più difficili da approvare rispetto a quelli riguardanti il superamento delle doppie imposizioni fiscali, la conversione delle patenti, le disposizioni nel tensore turistico e quello scientifico(https://overseas.mofa.go.kr/it-it/wpge/m_8804/contents.do)
[22] https://www.newitalianbooks.it/it/il-libro-italiano-in-corea-del-sud-le-tendenze-piu-recenti/
[23] A titolo d’esempio possiamo citare l’opera teatrale Wilhelm Tell di Johann Christoph Friedrich Schiller tradotto dal cinese (1907); Aladdin (1913), il primo libro francese Il conte di Monte Cristo di Dumas (1916-17), I miserabili (1918) dal giapponese
[24] https://iicmadrid.esteri.it/it/lingua-e-cultura/premi-alla-traduzione/premi-alla-traduzione-maeci/
[25] https://www.edizionin Cfr. la lista dei libri coreani tradotti in italiano in https://www.mondocoreano.it/2022/07/18/5-libri-coreani-da-leggere-sotto-lombrellone/https://it.wikipedia.org/wiki/Maurizio_Riottoottetempo.it/it/newspost/al-poeta-coreano-ko-un-il-premio-internazionale-nordsud-della-fondazione-pescarabruzzoCfr. https://highstreetitalia.com/booklounge
Riferimenti bibliografici
Per evitare la citazione di opere letterarie e saggi pubblicati in coreano, che difficilmente potrebbero essere consultati, rimandiamo alla tesi discussa dalla scrivente qui in Italia, dove si trovano brani di tali pubblicazioni: Oui Suk Choi, Immagine dell’Europa nella letteratura coreana, del Dipartimento di Italianistica dell’università di Roma “La Sapienza”, anno-accademico 2001-2002. La tesi mette a fuoco l’importanza della traduzione nella tradizione coreana grazie alla poetica interpretativa (Chi è interessato a consultare il testo della tesi prima indicata può richiederla a questo indirizzo: ochois@hoitmail.com.)
Per approfondire le caratteristiche della letteratura coreana raccomandiamo l’opera critica di Earl Miner, Poetiche della creatività. Un saggio interculturale sulle teorie della letteratura, Roma, Armando 1999
Per quanto riguarda gli aspetti salienti della civiltà coreana rimandato alle seguenti pubblicazioni:
Fonti per lo studio della civiltà coreana, a cura di Peter H. Lee, vol.1, Milano, Obarra O edizione 2008.;
La Corea di Ieri e oggi di Tonino Puggioni, cura di Enrica Collotti Pischel, Milano, Franco Angeli 1998.
Per quanto riguarda la vita degli emigrati coreani in U.S.A. è rappresentativo il libro Nuclear Family di Joseph Han (https://joseph-han.com/).
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Oui Suk Choi, dottoressa in Lettere, è lettrice di lingua coreana presso l’Istituto Italiano di Studi Orientali (ISO) dell’università “La Sapienza” di Roma. Ha ricostruito il suo singolare percorso interculturale per la pubblicazione Porto Franco (Aracne, Roma, 2011), intitolato “Dalle donne migranti il coraggio della realtà e l’impresa possibile”. Di recente ha scritto un contributo, “The Humanities of Relationships: Toward Communication, Co-existence, and Empathy”, per l’ Humanities Forum di Busan: The Humanities of Relationships: Toward Communication, Co-existence, and Empathy (Busan Corea del Sud, 2023: 480-489).
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