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Giovanna Marini. Canti di lotta alla Pantanella occupata (1971)

Giovanna marini

“Giovanna Marini all’occupazione del pastificio Pantanella”

CIP

di Roberta Tucci 

Nel numero 68 di “Dialoghi Mediterranei” del 1° luglio 2024, il bell’articolo di Ignazio Macchiarella Giovanna Marini. Un singolare percorso fra timbri e colori delle voci tradizionali restituisce egregiamente la figura “poliedrica” di Giovanna in tutta la sua complessità e unicità, mettendo in luce la ricerca musicale e la sperimentazione compositiva ed esecutiva che la musicista ha effettuato nel corso della sua lunga carriera, soprattutto intorno alla vocalità, a partire dalle forme cantate e dagli stili esecutivi che caratterizzano in modo peculiare le musiche di tradizione orale italiane.

A conferma di quanto scrive Macchiarella, mi sembra rilevante segnalare anche il film di Renato Morelli Giovanna Marini. Le vie del canto, pubblicato su YouTube (https://www.youtube.com/watch?v=2f5vzJdl8ZY), in cui le riprese di un concerto di Giovanna, con il suo eccellente quartetto vocale (Patrizia Bovi, Francesca Breschi, Patrizia Nasini), tenuto nei primi anni Novanta in un luogo non indicato, si alternano a sue significative, contestuali, riflessioni, come la seguente riferita al Miserere di Santu Lussurgiu: 

«Abbiamo cantato il Miserere di Santu Lussurgiu in Sardegna e avevano paura perché il Miserere di Santu Lussurgiu è uno dei pezzi più belli che io conosca e gli stessi sardi sono delle persone musicalissime, son consapevoli che il loro Miserere non va maltrattato perché è come la Cappella Sistina. Quindi come abbiamo fatto? Io l’ho trascritto, poi l’abbiamo imparato cercando i suoni: dei suoni nostri, non di imitare i suoni loro – non è possibile – ma di cogliere e di esasperare quella che è la loro particolarità stilistica e cioè il suono e l’improvvisa fusione – dentro ci stanno dei ritardi – con una nasalità esasperata nel momento in cui loro la fanno. Quella è la cosa importante perché il canto di tradizione orale si serve di questa risonanza facciale, e quasi nasale in certi punti, per dare una maggiore emozione. E lo fanno da artisti e noi cerchiamo di esasperare questo perché se tu togli questo, togli l’impostazione vocale, togli le divisioni di respiro che loro mettono, che danno il doppio accento alle parole, diventa un pezzo…, può essere, sì, una bella corale di Haydn, ma non ha più niente della sua origine, della sua persona: questo canto che invece è personalissimo e particolarissimo della Sardegna» (22’43”). 

La capacità di lavorare così minutamente e dettagliatamente su alcune forme e alcuni stilemi musicali di tradizione orale, non per ri-produrli, ma per produrre modalità esecutive da essi orientate, ha impegnato la Marini in un lungo percorso di sperimentazione e di accresciuta consapevolezza.

Giovanna Marini ("Le vie del canto")

“Giovanna Marini all’occupazione del pastificio Pantanella”

Come ricorda Macchiarella, Giovanna si è accostata al mondo della cosiddetta musica popolare nei primi anni Sessanta attraverso la collaborazione con il Nuovo Canzoniere Italiano, in seguito estesa ai molti, diversi e sfaccettati ambienti compresi sotto la generica definizione di Folk Music Revival (Plastino 2016): tutti contesti in cui lei ha operato mantenendo un suo personale approccio, distante dalla mera, pedissequa riesecuzione di canti divenuti noti o perché raccolti sul campo, secondo modalità e finalità diversificate, oppure perché già nel repertorio di altri folk singers. Non a caso Giovanna è stata sin dall’inizio attratta dallo stile esecutivo di Giovanna Daffini, una personalità complessa, la cui peculiare vocalità era contrassegnata da un condensato di mondi ‘spuri’, dai cantastorie del Nord Italia, alla tradizione ottocentesca dei canti sociali e politici, alla vocalità delle mondine, ai repertori da operetta ecc. Alla Daffini Giovanna Marini si è ispirata, non certo per imitarla, quanto piuttosto per l’esigenza di costruire un suono vocale che fosse distante tanto della tradizione colta da cui lei stessa proveniva, quanto delle stereotipie della folk music, la quale peraltro sembrava interessata più agli aspetti verbali che non a quelli musicali, più a ripetere che non a costruire forme espressive, almeno nel suo periodo iniziale.

Giovanna Marini ("Le vie del canto")

“Giovanna Marini all’occupazione del pastificio Pantanella”

Ma della magmatica etichetta del Folk Music Revival, come è noto, faceva parte anche il variegato mondo del canto sociale e politico, che veniva abitualmente accostato, o intrecciato, al cosiddetto canto popolare sulla base di una comune presunta, vocazione ‘alternativa’, o ‘contestativa’ (Giannattasio 2010). L’accostamento era naturalmente forzato: i canti politici, di tradizione anarchica, socialista e comunista, erano molto diversi, per creazione, trasmissione e fruizione dai repertori ‘popolari’ di tradizione orale. Erano canti scritti, in parte frutto di autori noti, sia dei testi che delle musiche; in parte sovrapposti a materiali pre-esistenti – arie di opere, motivi di stampo ottocentesco – con nuovi contenuti verbali: basti pensare all’Inno del Primo Maggio, con i versi di Pietro Gori, sull’aria del coro del Nabucco di Verdi; oppure alla Ballata per l’anarchico Pinelli, sull’aria della canzone Il feroce monarchico Bava. Erano anche creazioni di autori contemporanei scaturite da eventi (ricordo, ad esempio, Per i morti di Reggio Emilia di Fausto Amodei). Avevano dei titoli, più o meno convenzionali, che li rendevano immediatamente riconoscibili e assimilabili a un’idea di rivolta, di protesta. Costituivano pertanto un repertorio ben individuabile, sebbene molto vario al suo interno: nonostante le non poche intersezioni di confine, si può dire che in questi canti le parole assumessero valore centrale, mentre i contenuti musicali fossero piuttosto funzionali a facilitarne le esecuzioni corali nei contesti di mobilitazione. Sicuramente nel Folk Music Revival italiano la figura che più ha fatto da ponte tra il ‘folk’ e la canzone politica è stata proprio Giovanna Daffini, che ha applicato il suo particolare stile esecutivo tanto alle forme contadine quanto alle arie ottocentesche di contenuto anarchico-socialista.

Da "Le vie del canto"

“Giovanna Marini all’occupazione del pastificio Pantanella”

Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, con l’autunno caldo, le occupazioni, le manifestazioni di operai e studenti, i canti politici hanno cominciato a venire eseguiti non più solo sulle pedane dei folk club o sui palcoscenici delle feste di piazza, ma anche nei reali contesti dello scontro: soprattutto le lotte operaie nelle fabbriche, contro le chiusure e i licenziamenti, per l’adeguamento dei salari, per il miglioramento delle condizioni del lavoro, per la parità fra operai e impiegati, per i diritti sindacali. In questi terreni Giovanna Marini è sempre stata presente a sostenere chi stava resistendo, come una ‘compagna’ che partecipava alle rivendicazioni perché ne condivideva i motivi di fondo: lo faceva con la sua voce, con la sua chitarra, con il suo corpo, con quel suo particolare modo coinvolto e coinvolgente di stare sul palco, che creava immediatamente empatia e motivazione.

Un significativo esempio è dato dal video Giovanna Marini all’occupazione del pastificio Pantanella (1971), pubblicato su YouTube (https://www.youtube.com/watch?v=bVyD7BatGJY). Si tratta di un filmato della durata complessiva di circa 19 minuti, in b/n, apparentemente anonimo, tratto da una puntata del 1971 del programma televisivo della Rai “Turno C. Attualità e problemi del lavoro” a cura di Aldo Forbice e di Giuseppe Momoli. Purtroppo l’intera puntata del 1971 non è disponibile on line, ma la collocazione di questo breve filmato in una trasmissione di “Turno C” appare significativa, perché il programma, nato nel 1970, riguardava i temi del lavoro visti dall’interno dei diversi contesti e rifletteva, con attenzione e aperture, il periodo di lotte, soprattutto operaie, che ha caratterizzato quegli anni. Non è un caso se una successiva puntata del 1972 sia stata interamente dedicata alla Canzone operaia e affidata alla cura da Luigi Lombardi Satriani e Paolo Luciani.

Giovanna Marini ("Le vie del canto")

Giovanna Marini

Il filmato Giovanna Marini all’occupazione del pastificio Pantanella, che è stato poi inserito nella puntata 61 della trasmissione Rai Soggetto Donna – Voci di donne, spostando però l’attenzione dal contesto delle lotte operaie al dibattito sulle donne, è privo di alcuna documentazione contestuale di accompagnamento. Si compone di due parti fra loro legate da un’unica cronologia e un unico tema, sebbene le riprese siano state effettuate in due diversi luoghi.

La prima parte, breve (poco più di tre minuti), è girata in una classe femminile di una non identificata scuola media romana, dove Giovanna, trentaquattrenne, tiene una lezione, forse parte di un corso. Ricordando alle studentesse che le canzoni del «nostro bagaglio di tradizioni […] sono cose vive, non sono reperti archeologici», le invita a cantare la canzone di Sacco e Vanzetti: «cantiamo la canzone di Sacco e Vanzetti, che voi già conoscete». Si tratta di un testo di cantastorie (Settimelli-Falavolti 1972: 102-103) ed è un esempio di riutilizzo di una precedente melodia, associata al canto anarchico noto come Le ultime ore e la decapitazione di Sante Caserio. Faceva parte del repertorio di Giovanna Daffini, che l’aveva incisa nel disco Canti anarchici 3 (I Dischi del Sole), nel suo inconfondibile stile: ispirandosi a tale stile Giovanna Marini la esegue insieme alle studentesse, dopo averne spiegato il contenuto. 

Il ventidue di agosto a Boston in America
Sacco e Vanzetti van sulla sedia elettrica
 
E con un colpo di elettricità
All’altro mondo li voller mandar 
[…] 

La seconda parte del video dura poco più di 16 minuti. Inizia con un taglio di montaggio che tronca la ripresa nella scuola e introduce all’interno del pastificio Pantanella, una fabbrica sulla via Casilina a Roma, sede di una prolungata occupazione da parte degli operai e poi degli immigrati stranieri, fra il 1970 e il 1971, mirata a evitarne la chiusura che purtroppo poi è ugualmente avvenuta.

Giovanna Marini ("Le vie del canto")

Giovanna Marini

Dentro un capannone industriale della fabbrica si vede un palco improvvisato, una pedana, un grande fondale con la scritta Pantanella/ fabbrica/ occupata; lungo le pareti laterali molti cartelli scritti a mano: i 400 lavoratori della Pantanella dicono no alla chiusura; 400 lavoratori licenziati; difendiamo il lavoro; il governo non ci abbandoni; no alla chiusura sì al lavoro; basta con i rinvii; operai impiegati uniti nella lotta; la Pantanella non chiuderà. Sulla pedana Giovanna, con la sua chitarra, tiene un concerto per gli operai, seduti in una platea improvvisata.

La sua esecuzione è partecipe, generosa, forte, crescente e incalzante. La scaletta è ricca: se per le adolescenti della scuola ha scelto un brano ‘classico’, adatto a sedimentare radici e sentimenti, per gli operai va oltre e seleziona canti di diversa afferenza e collocazione, con un ampio ventaglio di temi, di forme e di cronologie e con uno spazio per l’improvvisazione e la partecipazione del pubblico. Alcuni di questi brani avevano fatto parte del suo precedente spettacolo L’aria concessa è poca (1970).

ti chiamaron matta (I Dischi del Sole), eseguita da Gianni Nebbiosi insieme a Giovanna Marini

Giovanna Marini

Come sempre, la Marini alterna le esecuzioni cantate con spiegazioni, riflessioni, commenti. Sia quando canta che quando parla, la sua espressività è sempre appassionante e comunicativa. Scandisce bene le parole: vuole farsi sentire e vuole farsi capire. Forza la voce e forza la mano sulle corde della chitarra quando vuole sottolineare, far crescere il clima. Questa sua capacità performativa non è mestiere, ma è reale solidarietà, condivisione, comunione di intenti. E come tale viene percepita dal pubblico dei lavoratori che stanno portando avanti l’occupazione da molti mesi e hanno bisogno del conforto e della solidarietà dei compagni. 

Giovanna comincia con delle ottave eseguite nello stile dei poeti a braccio dell’Italia centrale. Vettori (1974: 192, 402) nomina questo testo Rime dell’alto Lazio, precisando che sono state “raccolte da Giovanna Marini”. 

Non dico mica di piantare il grano
come che fanno in Russia e in Australia
ma quando uno sta disoccupato
starebbe meglio a fa’ il bonificato
Quel terreno dev’essere espropriato
al conte al duca al principe e al barone
e si venisse meglio coltivato
avrebbe più frumento la nazione
 
E di piante fruttifere piantato
mele, peri, ulivi a perfezione
no come sta attualmente
un gran pascolo e grano poco e niente
chi ha troppa terra e chi nulla tenente
chi mangia troppo e chi sta sempre a dieta
chi sperpera i milioni impunemente
chi è chiamato infame e va in galera
 
ma guarda il caso che tra il carcerato
non ci sta mai quello che ha sperperato
in carcere ci va propriamente
quello che per la fame ha rubato
Chi vive al mondo sempre allegramente
E chi si spassa la giornata vota
Chi si diverte spensierato
io maledico il dì che quello è nato
 
Perciò sia ben visto e constatato
Se c’è chi mangia frutta a pancia piena
Bestemmia l’altro che è disoccupato
E sta coi figli a letto e senza cena
C’è chi muore di fame e chi è nato
nella fortuna e non conosce pena
termino il canto vi dico che spero
che un giorno cambierà questa catena. 

Spiega cosa c’è dietro alle sue esecuzioni: 

«il mio lavoro consiste nel girare attraverso l’Italia, nei posti anche più piccoli, nelle città meno conosciute, per raccogliere le canzoni popolari, quelle vere, quelle che nascono dal popolo, quindi nascono sempre da momenti di lotta – perché se no non ci sarebbe motivo di fare una canzone – nascono da momenti di lotta e dal lavoro soprattutto. Le raccolgo con il registratore, poi le imparo e le ricanto. Le imparo da una parte e le ricanto da un’altra, in modo che avviene uno scambio di informazioni». 

Quindi presenta il brano che sta per eseguire: 

«Questa è una canzone fatta dalle mondine nei primi anni del 1900. Si sdraiavano sui binari per non far passare i treni carichi di crumiri, che andavano a lavorare al posto loro, e cantavano a voce spiegata – perché tutte le canzoni popolari si cantano a voce spiegata, forte, per farsi sentire». 

Si tratta di un canto convenzionalmente considerato parte del repertorio anarchico, noto come L’uguaglianza (Settimelli-Falavolti 1972: 39-41; vedi anche Vettori 1974: 89-90). Giovanna lo esegue invitando il pubblico operaio a cantare con lei il refrain, facile da ripetere per l’estrema semplicità della linea melodica. 

Noi vogliamo l’eguaglianza
siam chiamati malfattori
ma noi siam lavoratori
che i padroni non vogliam
 
E giù la schiavitù
vogliam la libertà
siamo lavoratori
siamo lavoratori
 
“Questa facciamola in coro, cantate con me”. [tutti cantano]
 
E giù la schiavitù
vogliam la libertà
siamo lavoratori
siamo lavoratori
 
E giù la schiavitù
vogliam la libertà
siamo lavoratori
vogliamo la libertà
 
E ancor ben che siamo donne
Noi paura non abbiamo
Per amor dei nostri figli
Noi in lega ci mettiamo
 
E giù la schiavitù
vogliam la libertà
siamo lavoratori
siamo lavoratori
 
E giù la schiavitù
vogliam la libertà
siamo lavoratori
vogliamo la libertà
 
Dei ribelli sventoliamo
Le bandiere insanguinate
Le farem le barricate
Per la bella libertà
 
E giù la schiavitù
vogliam la libertà
siamo lavoratori
siamo lavoratori
 
E giù la schiavitù
vogliam la libertà
siamo lavoratori
vogliamo la libertà
 
E giù la schiavitù
vogliam la libertà
siamo lavoratori
siamo lavoratori
 
E giù la schiavitù
vogliam la libertà
siamo lavoratori
vogliamo la libertà
 
[applausi scroscianti] 

Passa poi a un diverso registro e annuncia 

«Questa è una canzone diversa, che invita alla riflessione. Si tratta di un operaio che non ce la fa più nemmeno lui, che tutto a un tratto si mette a urlare – sta alla catena di montaggio – si mette a urlare basta basta per carità. Si chiama Il numero d’appello. Questa è un po’ una sorte che tocca tutti». 

13Il brano, di Gianni Nebbiosi, affronta la questione della malattia mentale e della violenza della psichiatria ufficiale: un tema in discussione in quel periodo storico. Giovanna, in un’intenzionale forzatura relazionale, collega il disagio mentale espresso nel canto alla condizione alienante e usurante del lavoro operaio alla linea di montaggio.

La canzone sarà poi pubblicata nel disco E ti chiamaron matta (I Dischi del Sole), eseguita da Gianni Nebbiosi insieme a Giovanna Marini (Vettori 1974: 269-270, 429). 

Quando nel cercare di farsi capire
Vide la gente voltarsi
Come se non volesse capirlo più
 
Quando lo legarono alla barella
Che era caduto in catena
Gridando basta basta per carità
 
Lui si accorse tutto un tratto
di esser diventato matto
e una porta gli si apriva
e la mente gli fuggiva
 
quando vide le facce dei dottori
chinati a fargli domande
che eran parole vuote di un’altra realtà
 
quando lo calmarono con le scosse
perché gridava e piangeva
rivoglio i miei vestiti la libertà
 
Lui si accorse tutto un tratto
Che significa esser matto
Sentì chiudere un cancello
ed insieme il suo cervello
 
quando cominciaron le prime botte
perché provava a scappare
per la paura e il dolore non provò più
 
quando regolarono il suo cervello
come una vecchia rotella
buona per obbedire e dire sì
 
lui sentì che la sua rabbia
si annegava nella sabbia
perché al posto del cervello
c’era un numero d’appello
 
Oggi oramai non piange né sorride
Né pensa né può pensare
È ormai un bravo internato sterilizzato
 
E si accorge solamente
D’esser privo della mente
Perché al posto del cervello
Ci sta un numero d’appello 
[applausi] 

Giovanna riprende a parlare e presenta l’ultimo brano del concerto. Anche questo è un canto del repertorio di Giovanna Daffini, che l’ha inciso nel disco Amore mio non piangere (I Dischi del Sole) (Vettori 1974: 262-263, 427-428). È costituito da brevi strofe, intervallate da un ritornello molto orecchiabile che si presta a venire cantato coralmente. 

«Questa canzone che vi canto ora racchiude un po’ tutta la storia delle canzoni, come vi spiegavo. Prima è nata dalle mondine che hanno scritto una canzone con un ritornello molto semplice. È così semplice che appena la canto tutti se la ricordano e mi danno un’altra strofa da aggiungere per far sapere in giro qual è la loro situazione. Perché sui giornali non vengono scritte tutte queste minuzie: che sembrano minuzie ma sono quelle cose che fanno la nostra storia. La prima parte della canzone è quella vecchia, la seconda parte sono le strofe aggiunte di attualità». 
Ama chi ti ama
Non amare chi ti vuol male
Specialmente il caporale
E i padroni che sfruttano te

 

Non guardare se son smortina
La risaia che mi rovina
Quando poi sarò a casa mia
Miei colori ritorneran
 
Miei colori son ritornati
E il mio amore m’ha abbandonato
Se saremo destinati
Torneremo a incominciar
 
Sono nata risaiola
Risaiola di Reggio Emilia
Ho lasciato la mia famiglia
Per venire a lavorar. 

«Questa la cantava la Giovanna Daffini, un nome che non avrete mai sentito perché non cantava le cose commerciali, era una mondina che ha fatto tutte queste canzoni, una più bella e una più importante dell’altra». 

Non guardare se io canto
La passione ce l’ho di dentro
Se il mio cuore non è contento
È felice chi lo godrà
 
Per venire a lavorare
Ho lasciato la casa mia
Quaranta giorni dovrò restare
sempre curva sul lavor
 
Ama chi ti ama
Non amare chi ti vuol male
Specialmente il caporale
E i padroni che sfruttano te
 
“Proviamo a cantarla che questo pezzetto è facile, provate con me”. 

[cantano. Giovanna ora inserisce le nuove strofe, con una accelerazione esecutiva che coinvolge emotivamente la platea degli operai, i quali cantano insieme alzando le voci] 

Ama chi ti ama
[suggerisce il testo restando nel tempo]
Non amare chi ti vuol male
Specialmente il caporale
E i padroni che sfruttano te
 

 “Da Massafra, vicino a Taranto ci sta l’Italsider. Gli operai dell’Italsider vi mandano a dire”: 

Qui a Massafra si è lottato
e il contratto si è guadagnato
ma se l’hanno già rimangiato
occhio ai prezzi e capite perché
 
Ama chi ti ama
Non amare chi ti vuol male
Specialmente il caporale
E i padroni che sfruttano te
 

“Dalla Snia di Colleferro”: 

Snia Viscosa ogni giorno
Noi rischiamo di non far ritorno
C’è il rimborso per la salute
undicimila lire!
Ma la vita chi ce l’ha ridà
 
[cantano tutti]
 
Ama chi ti ama
Non amare chi ti vuol male
Specialmente il caporale
E i padroni che sfruttano te
 

“Dalla Lebole, quando hanno occupato la fabbrica al padrone gli hanno cantato così”: 

Non vogliamo i tuoi gioielli
Né pellicce né palazzi d’oro
Ma vogliamo un lavoro
[applausi]
una vita in libertà
 
Ama chi ti ama
Non amare chi ti vuol male
Specialmente il caporale
E i padroni che sfruttano te
 

“Da una fabbrica tessile in Lucania dove assumono le ragazze e poi le licenziano subito per non pagargli i sussidi”: 

Quattro mesi al lavoro
Poi siam state licenziate
Questa come la chiamate
Per noi è vera schiavitù
 
Ama chi ti ama
Non amare chi ti vuol male
Specialmente il caporale
E i padroni che sfruttano te

 

“Da Porto Marghera ci mandano a dire”: 

Ama chi ti ama
Ama solo gli sfruttati
Se saremo tutti uniti
Noi la lotta si vincerà
 
Ama chi ti ama
Non amare chi ti vuol male
Specialmente il caporale
E i padroni che sfruttano te
 

[qui alza il volume, spinge la voce e forza la postura] 

Voglion vendere la Pantanella
Costruirci palazzi nuovi
Ma qui siamo i lavoratori
Pantanella non chiuderà
 
[applausi scroscianti]
 
Ama chi ti ama
Non amare chi ti vuol male
Specialmente il caporale
E i padroni che sfruttano te
Specialmente il caporale
E i padroni che sfruttano te 
D "Le vie del canto"

“Giovanna Marini all’occupazione del pastificio Pantanella”

Alla fine gli applausi sono incontenibili, gli operai visibilmente commossi. Qui la semplicità dei motivi musicali, che determina anche la loro facile cantabilità, trova senso e i canti di lotta acquistano la loro piena funzione: le strofe improvvisate, che possono apparire sconnesse, ingenue, sgrammaticate, rimarcano la presenza di soggetti attivi che vogliono essere visibili e che sentono di doversi connettere fra di loro per poter avere un peso politico.

Con il suo cantare a voce spiegata, in un crescendo continuo di intensità, e con le sue parole chiare, Giovanna non opera solo sostegno ma fa anche formazione. Nel concerto per gli operai non ci mette solo le cose ‘facili’, ma ci mette anche quelle meno immediatamente fruibili, come le ottave da poeta a braccio o la canzone sul disagio mentale di Nebbiosi; ci mette il collegamento con la tradizione anarchica, con le mondine e ci mette la possibilità di riutilizzare questi materiali in modo creativo.

Il concerto alla Pantanella occupata riflette bene il clima che si è determinato nei primi anni Settanta: anni in cui l’impegno politico per una società più giusta, contro lo sfruttamento degli esseri umani, per la parità dei diritti civili, si è sposato a una sconfinata creatività e libertà orientate su mille rivoli e incorporate nella vita stessa delle persone. Giovanna Marini ha vissuto e interpretato questa stagione in un percorso esistenziale coerente e questo video lo testimonia.

Al termine del filmato le immagini la seguono mentre esce dalla fabbrica, con la sua chitarra, senza accompagnatori né codazzi, monta sulla sua utilitaria e va via, tranquillamente. Così abbiamo sempre visto Giovanna nelle sue performance pubbliche: arrivare con la chitarra – prima a mano poi in spalla – e al termine andare via con la chitarra, tranquillamente. Distante da presunzioni, superiorità, orpelli: non ne aveva bisogno. Giovanna ha mantenuto questo suo impegno sempre, anche nell’attività di insegnamento, condotta con grande efficacia e creatività, soprattutto presso la Scuola Popolare di Musica di Testaccio a Roma, con cui ha collaborato sin dall’inizio. Nel suo sito (https://www.giovannamarini.it) se ne trovano stabili tracce: l’insegnamento di “Estetica del Canto Contadino”, tutti i martedì; la lezione di canti politici e sociali, un martedì al mese. Nella Scuola Giovanna ha anche fondato e diretto il coro Inni e Canti di Lotta, che ogni anno partecipa ai festeggiamenti dell’ANPI per il 25 aprile.

Ha saputo coniugare la sua doppia anima, quella della ricercata compositrice-esecutrice e quella della coerente militante, senza ambiguità, evitando confusioni e soprattutto mai rinunciando a spiegare, a precisare, a farsi capire, in quel suo modo affabulatorio e accattivante che tutti ricordiamo: limpido, come limpida è stata la sua intera esistenza.

Il breve filmato alla Pantanella, dove Giovanna, senza alcun artificio, riesce a galvanizzare una platea di operai in lotta, infondendo loro coraggio e determinazione, ci dice di lei molto di più di tante parole. 

Dialoghi Mediterranei, n. 69, settembre 2024 
Riferimenti bibliografici 
Giannattasio F., 2010, “Ci ragiono e (disin)canto – Riflessioni su ‘musica popolare’, etnomusicologia e folk music revival in Italia a venti anni dalla scomparsa di Diego Carpitella”, in C. Cavallaro (a cura di), Books seem to me to be pestilent things. Studî in onore di Piero Innocenti per i suoi 65 anni, Manziana, Vecchiarelli: 1097-1120. 
Macchiarella I., 2024, “Giovanna Marini. Un singolare percorso fra timbri e colori delle voci tradizionali”, in Dialoghi Mediterranei, n. 68. 
Marini G., 2005, Una mattina mi son svegliata. La musica e le storie di un’Italia perduta, Milano, Rizzoli.
Plastino G. (a cura di), 2016, La musica folk. Storie, protagonisti e documenti del revival in Italia, Milano, Il Saggiatore.
Settimelli L., Falavolti L. (a cura di), 1972, Canti anarchici, Roma, Samonà e Savelli. 
Vettori G. (a cura di), 1974, Canzoni italiane di protesta (1794-1974), Roma, Newton Compton.

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Roberta Tucci, si è formata all’Università La Sapienza di Roma con Diego Carpitella. Ha effettuato numerose ricerche di interesse etnomusicologico ed etno-oganologico in Calabria e in altre regioni centro-meridionali. Ha insegnato Organologia e storia degli strumenti musicali presso l’Università degli Studi della Calabria. Già funzionaria demoetnoantropologa dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, è attualmente docente della Scuola di Specializzazione in Beni demoetnoantropologici di “Sapienza” Università di Roma. Tra le sue pubblicazioni: I “suoni” della Campagna romana. Per una ricostruzione del paesaggio sonoro di un territorio del Lazio, Soveria Mannelli, 2003, con CD allegato; (con A. Ricci), La capra che suona. Immagini e suoni della musica popolare in Calabria, Roma 2004, con CD allegato; Calabria 1 strumenti. Zampogna e doppio flauto. Una ricerca e un disco (1977-1979), Nardò, 2009, con CD allegato; Dietro il film Calabria: zampogna/chitarra battente di Diego Carpitella, in Sounding Frame, Palermo, 2021; Le fonti sonore delle musiche di tradizione orale italiane. Questioni di metodo di descrizione e di uso, in “Dialoghi Mediterranei”, 58, 2023.

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